STUARD, Giuseppe
– Nacque a Parma il 26 marzo 1790, da Domenico, forse discendente degli Stuardi o Stuerdi piemontesi, e da Barbara Paralupi, appartenenti entrambi alla ricca borghesia locale.
Attraverso una costante politica di compravendite, il bisnonno Paolo Antonio e il nonno Pietro avevano costituito un cospicuo patrimonio di fondi agricoli e immobili in città, trasmessi poi a Giuseppe, unico erede della famiglia. In particolare, tra il 1730 e il 1754 circa, Paolo Antonio aveva investito denaro in terreni nelle frazioni di San Nazzaro (Sissa-Trecasali), Valera e San Pancrazio. Non distante da Parma, sulla strada per Piacenza, quest’ultima proprietà divenne ben presto la più importante: nel giro di pochi decenni Paolo Antonio costituì un podere di 60 biolche, donato nel 1762 con una casa al nipote Domenico. Questi fu nominato quattro anni più tardi unico erede dal padre Pietro, con diritto di prelazione sui beni della matrigna Angiola Rossi, comprensivi di 5 biolche di terreno con casa dotata di forno e fienile, sempre a San Pancrazio, ricevuti in usufrutto vita natural durante. Angiola sarebbe stata assistita, fino alla sua scomparsa nel 1816, sia dal figliastro sia da Giuseppe.
Anche i genitori di Giuseppe, Domenico e Barbara, promossero ingrandimenti e migliorie a S. Pancrazio, piantando 400 olmi nel 1798 e rinnovando il casino nello stesso periodo. In particolare, Barbara si occupò della gestione di terreni e mezzadri, seguita poi da Giuseppe, che nel 1831 sarebbe stato eletto capo della sezione della ‘nave’ (canale irriguo) detta di San Pancrazio, località elevata a comune in epoca napoleonica.
Per quanto concerne gli immobili urbani, Paolo Antonio nel 1730 aveva acquistato una casa in borgo Bosazza, già di don Carlo Fontana, alla quale si aggiunsero altri investimenti edilizi. Nel 1806 Giuseppe risiedeva in una casa in strada S. Barnaba al numero 143, poi ceduta per un’abitazione al numero 69 della stessa via, dove abitava nel 1814. Dieci anni più tardi, nel 1824, era domiciliato al civico 51 di strada Santa Croce (attuale via Massimo d’Azeglio), di fronte alla chiesa della Ss. Annunziata: un immobile acquistato nel 1822 con gli edifici ai numeri 47 e 49 (oggi corrispondenti ai numeri 13, 15 e 17), poi concessi in affitto a Giuseppe Conti nel 1831 con un appartamento nello stabile numero 51. Negli estratti della matricola catastale del marzo 1834 risultano intestati a Giuseppe altri immobili in Parma, oltre a quelli di strada Santa Croce e di borgo Bosazza 7-9: borgo S. Vitale 9, strada S. Barnaba 69-73 e borgo delle Grazie 20. Gli acquisti e le vendite, i lavori e le migliorie, gli affitti e i contratti con i mezzadri risalenti al periodo 1806-31 e riguardanti questi edifici e le proprietà rurali sono rintracciabili nella documentazione della Pinacoteca Stuard e dell’archivio di Ad Personam – Azienda dei servizi alla persona del Comune di Parma (ASP), in parte indagata da Giovanni Copertini, Giuseppe Cirillo, Giovanni Godi e Francesco Barocelli.
Per entrare in possesso della ricca eredità paterna (Domenico, probabilmente scomparso tra il 1801 e il 1805, risulta deceduto nel 1806, mentre Barbara morì nel 1805), Giuseppe dovette attendere la maggiore età, ed ebbe come tutori il canonico Antonio Maberini e Pietro Cantù. Fin da piccolo di costituzione fragile, fu educato nel collegio dei nobili, acquisendo una cultura tardo-illuminista. Le lettere e le arti furono da lui coltivate anche in seguito a prolungati periodi di inattività trascorsi tra le pareti domestiche, e intervallati da alcuni viaggi effettuati alla ricerca di un clima migliore, come quello a Napoli del 1808.
Entrato nella Congregazione di S. Filippo Neri, dal 18 febbraio 1820 al 1833 vi espletò compiti di carattere amministrativo, aiutato dall’oculatezza profusa nella gestione del proprio patrimonio, e riscontrabile nei libri di conti da lui meticolosamente compilati e conservati presso la Pinacoteca Stuard.
La Congregazione di S. Filippo Neri, detta della Carità, era stata fondata dal minore osservante Francesco da Meda tra il 1499 e il 1500, grazie all’appoggio di Luca Cerati, vescovo di Costanza e vicario del vescovo di Parma, e aveva ricevuto i primi capitoli nel 1540 per intervento di Pietro Favre, un gesuita francese seguace di Ignazio di Loyola. Dopo aver occupato per alcuni decenni uno stabile nelle vicinanze di S. Michele di Porta Nuova, dal 1588 si era trasferita in un edificio in vicolo S. Tiburzio, dotandosi in seguito di una farmacia e di una struttura medico-sanitaria. Formata da laici ed ecclesiastici, per secoli poté garantire assistenza materiale e spirituale ai malati e ai bisognosi, guadagnandosi il sostegno dei parmigiani e dei differenti governi, compreso quello napoleonico, che il 14 febbraio 1806 autorizzava la prosecuzione delle attività della «congrégation réligieuse de la Charité moitié laïque et moitié ecclesiastique, chargée de la distribution des secours à domicile [...] placée sous la direction et surveillance de l’evèque diocesain» (Mémoires historiques..., 1823, p. 69).
Pur di salute cagionevole, Giuseppe si occupò del proprio patrimonio, e di quelli della Congregazione e della parrocchia dei Ss. Gervaso e Protaso, e giunse a ricoprire altri importanti incarichi: nel 1829 entrò nel Consiglio degli anziani del Comune di Parma, nel 1830 fu ammesso nella Società del Gabinetto letterario, nel 1831 venne eletto membro della Fabbriceria del duomo, per volere del podestà di Parma il barone Lucio Bolla, e della commissione amministrativa degli Ospizi civili, su ordine della duchessa Maria Luigia d’Asburgo, oltre a fungere da conservatore del collegio Lalatta. La simpatia per le idee liberali mostrata durante i moti del 1831, che gli costò una segnalazione alla polizia, non intaccò la considerazione e la stima godute in città, anche negli ambienti governativi.
A queste impegnative attività Stuard affiancò quella collezionistica, forse innescata dal nucleo dell’avo Pietro, che nel testamento del 1768 lasciava ritratti, nature morte e opere sacre. Appena dodicenne Giuseppe ordinava cornici e vetri e riceveva carta e strumenti da disegno. In poco più di una ventina d’anni formò una notevole raccolta di dipinti, sculture, disegni e incisioni. Se fin da giovane aveva manifestato uno spiccato interesse per i libri (nel 1808 vendeva al conte Jacopo Sanvitale L’Adone di Giovan Battista Marino), negli anni successivi incrementò notevolmente la propria biblioteca con acquisti a Roma e Bologna, soprattutto di volumi d’arte. Fu assiduo lettore di Carlo Cesare Malvasia, di Anton Raphael Mengs, di Johann Joachim Winckelmann, di Anton Maria Zanetti e del gesuita maceratese Luigi Lanzi. Di quest’ultimo tracciò un profilo biografico, ove si pronuncia sull’elemento a suo dire più innovativo della Storia della pittura in Italia: «il primo, ed il più grande servizio che Lanzi ci abbia reso, è di averci preservato da tanti equivoci e confusioni, e di aver dato a questo genere di fatti e di cognizione un ordine, una proporzione, un insieme che essi non avevano ancora» (Barocelli, 1996b, p. 14). Anche la sua collezione d’arte risentì del pensiero dell’autore maceratese, specie nella ricostruzione del tessuto connettivo in ambito artistico, che non trascurava le opere di piccole dimensioni, anche di pittori locali minori: se il Lanzi «vi ammette ancora qualche artista del 3° ordine, si è perché egli crede utile ed anche necessario per discernere i loro quadri, sovente confusi con altri di un merito superiore dagli amatori poco intelligenti» (pp. 14 s.).
Nella sua collezione spiccano le tavole dei maestri toscani del Tre e Quattrocento, per la maggior parte provenienti dalla pionieristica raccolta settecentesca di ‘primitivi’ del marchese Alfonso Tacoli Canacci, non inviate Oltralpe dai francesi anche su pressione dell’Accademia di belle arti, ma in parte redistribuite alle chiese del contado per ornarne gli altari, in parte immesse sul mercato. Della problematica situazione a livello artistico vissuta a Parma nel periodo napoleonico, Giuseppe Stuard incolpò il governatore Médéric Moreau de Saint-Méry, responsabile di aver spogliato la città dei suoi dipinti migliori, ma anche del «vandalismo d’avere dispersa sì rara ed interessante raccolta, il di cui valore non seppe apprezzare» (Copertini, 1926, p. 16).
Attraverso fitti carteggi con i parroci di campagna e alcune permute – che provano la volontà di costituire una raccolta tematica – Stuard strappò quei dipinti all’anonimato o alla dispersione. La sua propensione andò soprattutto alle scene sacre dal Trecento al Settecento, opere destinate alla devozione privata e riconducibili perlopiù ad artisti lombardi, emiliani e nordici, nei diversi supporti della tela, del legno, del rame e della lavagna. Effettuò i suoi acquisti soprattutto a Parma, Milano, Modena, Guastalla e Piacenza. Per valorizzare la raccolta chiese all’amico architetto Luigi Bettoli di adattare l’abitazione in strada Santa Croce, in un allestimento del quale purtroppo non rimane traccia. Dopo la sua morte (1834), essa era ricordata da Lorenzo Molossi tra le più rinomate e varie della città, perché «possono vedersi opere di valenti pennelli antichi e moderni cominciando da Cimabue» (Barocelli, 1996b, p. 18), e definita da Pietro Grazioli nella sua Parma microscopica del 1847 «rara assaissimo e bella» (Barocelli, 2005, p. 9).
Dopo un primo testamento, del 1824, nel quale nominava erede universale l’amica Teresa Melli Cocconi, che sempre gli era stata accanto, nel 1827 Stuard decise di lasciarle soltanto i presunti cartoni del Correggio per la cupola del duomo (poi purtroppo perduti), nonché numerose incisioni e arredi, e di destinare invece tutta la restante raccolta alla Congregazione della quale faceva parte, così da preservarla intatta nei secoli (diversamente da altre collezioni cittadine smembrate e in parte confluite nella galleria ducale).
Il 3 agosto 1831 egli scrisse al pretore di Parma di non poter accettare altri incarichi amministrativi per via di un problema in aggravamento alla trachea, spegnendosi a soli quarantaquattro anni nel febbraio del 1834.
La Congregazione lo ricordò con una lunga epigrafe marmorea affissa sul primo pilastro a sinistra dell’ingresso nella chiesa della Ss. Annunziata, che ne esalta la probità e i talenti. L’amico pittore Giovanni Battista Borghesi fu incaricato nel giugno dello stesso anno di redigere il primo inventario dei beni del defunto lasciati alla Congregazione. Questa, tra il 1858 e il 1859, provvide a sistemare le opere nel palazzo di S. Tiburzio, affidandone l’allestimento all’architetto Luigi Bettoli, e all’inizio del Novecento aprì la pinacoteca al pubblico. La sala principale o ‘galleria’ di tale sistemazione è stata in parte ricreata all’interno dell’attuale sede espositiva: dal 2002, infatti, le opere di Stuard sono custodite presso l’ex monastero benedettino di S. Paolo in una nuova realtà museale voluta dal Comune di Parma e costituita da due nuclei: il primo, appartenente all’archivio Ad Personam - ASP, comprende i pezzi donati da Stuard alla Congregazione e quelli accumulati da essa nei secoli, attraverso lasciti e acquisizioni; il secondo è costituito dalle opere pervenute o donate al Comune stesso. La variegata raccolta annovera reperti archeologici, disegni, incisioni, dipinti, sculture, mobili e oggetti dalla tarda antichità fino al Novecento.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, Catasto cessato, sezione M, mappa n. 1629; Parma, Azienda dei servizi alla persona del Comune, Ad Personam, mazzo I, nn. 4-6, 11, 13-14, 16, 18-19, 21, 24, 26, 32, mazzo II, nn. 49, 58, 61, 65-67, mazzo III, quaderni 2-3, mazzo IV, Patti di mezzadria; Archivio storico del Comune, Atlante Sardi, 1767, tav. VIII, isola 39.
Mémoires historiques sur les affaires ecclésiastiques de France, pendant les premières années du dix-neuvième siècle, II, Paris 1823, p. 69; G. Copertini, La Pinacoteca Stuard di Parma, Parma 1926; O. Masnovo, Patrioti parmensi del ’31 secondo nuovi documenti, in Archivio storico per le province parmensi, s. 3, II (1937), pp. 91-247 (in partic. p. 206); La singolare e nobile figura del benefattore G. S., in Gazzetta di Parma, 8 maggio 1958; La Pinacoteca Stuard di Parma, a cura della Congregazione San Filippo Neri, con prefazione di G. Copertini, Milano 1961; F. Cocconi, G. S. e la sua Pinacoteca, in Parma nel mondo, I (1962), pp. 8-11; G. Cirillo - G. Godi, La Pinacoteca Stuard di Parma, Parma 1987, pp. 13-25; F. Barocelli, G. S. Collezionista protoromantico, in Aurea Parma, LXXX (1996a), pp. 239-260; Id., La Pinacoteca Stuard di Parma, Milano 1996b, pp. 9-21; Id., La Pinacoteca ‘G. S.’. Il percorso museale. 1, Parma 1998; R. Lasagni, S., G., in Dizionario biografico dei Parmigiani, Parma 1999, pp. 491-495; La Pinacoteca Stuard tra i disegni antichi e i dipinti moderni, a cura di F. Barocelli, Milano 2000; F. Barocelli, La Pinacoteca Stuard di Parma. Gli ambienti storici, le sculture, le incisioni, gli arredi, Milano 2005.