ORLANDI, Giuseppe
(al secolo Felice). – Nacque a Tricase (Lecce) il 27 novembre 1713 «di antica ed onesta famiglia» (Vaccolini, 1836, p. 427).
Nel 1724 entrò nella Congregazione dei celestini presso il monastero di S. Croce di Lecce. Data la sua attitudine agli studi, fu inviato dai superiori a completare la formazione presso lo studentato interprovinciale sito nel monastero di S. Eusebio a Roma. Pur arrivandovi presumibilmente dopo la partenza di Celestino Galiani (1731), è certo che venne qui a contatto con gli aspetti più avanzati della cultura contemporanea che questi vi aveva introdotto: le Sacre Scritture e la storia ecclesiastica improntati ai nuovi criteri storico-filologici, la fisica newtoniana di stampo apologetico.
Nel dicembre 1736 prese gli ordini sacerdotali. Divenuto lettore di teologia e diritto canonico entro il suo Ordine, sembra che esercitasse l’attività di precettore e educatore nei diversi monasteri della provincia meridionale. Il primo documento certo che lo riguarda è però del 1738 e lo trova a Napoli alla vigilia del suo reclutamento presso la regia Università. In quei mesi, infatti, stava divenendo finalmente operativo il progetto di riforma dello Studio napoletano al quale Galiani lavorava fin dalla sua nomina a cappellano maggiore. Uno dei suoi primi provvedimenti era stato lo sdoppiamento della cattedra di filosofia naturale in una cattedra di fisica teorica, assegnata a Mario Lama, e una di fisica sperimentale, per la quale fu reclutato Orlandi. Per non incorrere in accuse di clientelismo in un periodo di moralizzazione dell’Ateneo, gli fu assegnato un insegnamento interinale, che lo avrebbe trovato in posizione privilegiata al momento del concorso (peraltro mai celebrato). A lui sarebbe spettato l’onere delle spese per la realizzazione degli esperimenti con le macchine in dotazione all’Ateneo, un dovere per cui sollecitò spesso l’aiuto finanziario di Bartolomeo Intieri e di Galiani stesso.
Nell’assumere il prestigioso incarico, Orlandi tracciò le linee generali del suo programma, improntato alla più rigorosa lezione galileiana, in una lettera al cappellano maggiore del 21 settembre 1738 (Napoli, Società napoletana di storia patria, ms. XXXI.A.5, c. 63r). Introduttivamente avrebbe illustrato agli studenti quanto la moderna fisica – nata solo «da che da tanti valenti uomini s’è incominciato a osservare il libro della natura, ed a studiare quei caratteri colli quali egli viene scritto, che sono l’osservazioni, le sperienze e la geometria» – fosse distante tanto dalla filosofia naturale scolastica, quanto dal metodo di coloro, evidentemente i cartesiani, «li quali tanto si compiacciono dell’ipotesi». Questi intenti si sarebbero poi calati in una materia vasta e articolata: le proprietà generali e particolari dei corpi, il moto dei solidi e dei fluidi, con particolare riguardo al ruolo dell’elasticità). La corrispondenza di Intieri con Galiani degli anni 1638-39 (ibid., ms. XXXI.A.7, passim) documenta la brillante attuazione di questo programma, il felice esordio di Orlandi nell’insegnamento, immediatamente convertito da latino all’italiano su richiesta degli studenti, e il rapido favore che incontrò presso la popolazione studentesca.
La nomina alla lettura fu solo uno degli aspetti della collaborazione intellettuale fra Galiani e Orlandi, il quale venne annoverato tra i membri dell’Accademia delle scienze fondata da Galiani nel 1732, che comprendeva gli esponenti di tutti i partiti dei moderni, accomunati dal rifiuto della metafisica e degli antichi riti accademici e arcadici. Svolgeva anche l’incarico di lettore per i novizi del suo ordine nel convento di S. Pietro a Majella e nel 1738 era già precettore per le materie scientifiche e supervisore all’istruzione dei nipoti del cappellano, Bernardo e Ferdinando, i quali, ospiti del convento per lunghi periodi, in assenza da Napoli dello zio, condividevano la formazione dei novizi. Nel dicembre 1739, Bernardo Galiani difese al convento una conclusione «contro gli scettici darsi verità e scienza» (ibid., c. 65r), un argomento peraltro rivelatore della posizione di Orlandi rispetto al neo-pirronismo di certa parte della cultura napoletana e al cartesianesimo.
I giovani Galiani condividevano con i novizi anche i libri di testo: per la geometria gli Elementa geometriae planae ac solidae del gesuita belga André Tacquet (Anversa, apud Iacobum Meuserium, 1672), che Orlandi integrava, quanto alle sezioni coniche, con un ‘trattatino’ dello scolopio Edoardo Corsini – probabilmente il capitolo 12 degli Elementi di matematica (Firenze 1732), che conosceva manoscritto – composto sul modello del Compendio delle sezioni coniche d'Apollonio di Guido Grandi (Firenze 1722) ma a suo avviso superiore a questo per chiarezza e sinteticità. Fu probabilmente proprio per colmare quella che aveva sperimentato essere una lacuna nel testo di Tacquet per quanti, come lui, avevano una posizione di conciliazione tra i sostenitori del metodo euclideo e di quello analitico, che Orlandi compose una teoria delle sezioni coniche edita in coda all’edizione napoletana del testo degli Elementa euclidea di Tacquet (apud Josephum Antonium Elia, 1744), con le note e le aggiunte del teologo e matematico inglese William Whiston.
L'attività pubblicistica di Orlandi fu interamente legata alla produzione di testi per la divulgazione e l’insegnamento pubblico e privato della fisico-matematica, un impegno che condivise con gli altri membri dello «stato maggiore newtoniano» (Zambelli, 1972, p. 831), a Napoli – il somasco Giovanni Maria Della Torre, i fratelli Pietro e Nicola Antonio de Martino (con il quale, verso la fine degli anni Quaranta, aveva progettato l’edizione di un trattato sulle unghiette cilindriche del matematico palermitano Girolamo Settimo) – e nel resto d’Italia (fu in contatto con i mimini François Jacquier e Thomas Le Seur, con Maria Gaetana Agnesi, con l’olivetano Ramiro Rampinelli, con il camaldolese Guido Grandi, con Antonio Conti).
Particolarmente stretto fu il rapporto con Antonio Genovesi, con cui nel 1745 collaborò alla Dissertatio physico-historica de rerum origine et constitutione, il primo di una lunga serie di manuali destinati a far partecipe la gioventù del clima di rinnovamento culturale che interessava da anni la città. La Dissertatio uscì per la prima volta in forma anonima come introduzione all’edizione napoletana degli Elementa physicae di Petrus van Musschenbroek, che era quasi interamente annotata da Orlandi e comprendeva anche un suo De rebus caelestibus: interventi da cui emergeva «un fenomenismo newtoniano e gnoseologicamente connesso con la lettura lockiana della realtà» (Ferrone, 1982, p. 610).
Dalla fine degli anni Quaranta, Orlandi fu tra gli intellettuali più brillanti di Napoli – insieme a Alessandro Rinuccini, Nicola Viviani, i Di Martino, Genovesi, Raimondo di Sangro, principe di S. Severo – che si riunivano intorno all’ormai anziano Intieri nella villa di Massa Equana, per discutere sul «progresso della ragione umana, delle arti, del commercio, della economia dello stato, della meccanica e della fisica» (Genovesi, 1977, p. 26). Fu parte attiva nell’attuare il programma riformatore del gruppo: da una parte elaborò una vera e propria scienza dell’economia e delle sue leggi modulata su un newtonianesimo sperimentalista (da notare come una lettera di Intieri a Ferdinando Galiani del 6 ottobre 1751 [Napoli, Società napoletana di storia patria, ms. XXXI.A.7, cc. 55v-56r] riveli il timore di quest’ultimo per un giudizio negativo di Orlandi a proposito del suo trattato Della moneta, 1751); dall’altra si sforzò di avviare i giovani al ‘discernimento’ e al ‘buon gusto’ e di promuovere un sapere aperto alle arti e al benessere della società. A questo scopo, il gruppo di Intieri partecipò alla realizzazione della Scelta dei migliori opuscoli, stampata nel 1755 a Napoli da Fortunato De Felice (di cui anche Orlandi collaborò a orientare le scelte editoriali, suggerendogli, per esempio, la traduzione francese su cui approntare il testo latino dello Specimen edfectuum aeris in humano corpore di John Arbuthnot, pubblicato nel 1753): un’antologia che comprendeva la traduzione integrale della Lettre sur le progrès des sciences di Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, la prima traduzione italiana del Discorso sul metodo di Cartesio e La vita di Galileo di Vincenzo Viviani.
Orlandi esercitò un pensiero non conformista anche in qualità di revisore civile. Espresse infatti parere positivo sugli Elementa metaphysicae (Napoli 1743) di Genovesi, sul Mustafà Bassà di Michele Accardi (ibid. 1751) e sulla Lettera apologetica di Raimondo di Sangro (ibid. 1750), tutte opere denunciate e quindi forzatamente ritrattate dagli autori; fu, peraltro, l’ispiratore dell’editto moderato contro la massoneria emanato da Carlo III il 10 luglio 1751.
Benché «alieno da simili impieghi» (Intieri a Ferdinando Galiani, 30 settembre 1571; Napoli, Società napoletana di storia patria, ms. XXXI.B18, c. 47v), aveva seguito nel frattempo una discreta carriera ecclesiastica. Nel 1746 divenne commendatario dell’abbazia benedettina della Ss. Trinità sul Monte Sacro, nel Gargano, e nel 1749 di quella di Norcia; nel 1751 era procuratore generale dell’Ordine celestino allorché, il 23 marzo 1752, fu nominato da Carlo III arcivescovo di Giovinazzo e Terlizzi. La designazione, sollecitata dallo stesso Orlandi, convinto ad abbracciare definitivamente lo stato ecclesiastico in seguito a una «sofferta tempesta» di cui non è nota la natura, fu nuovamente il risultato della protezione di Celestino Galiani, sollecitato a sua volta da Intieri (4 marzo 1752; ibid., c. 89r).
In questo modo, Orlandi si trovò a esercitare il suo magistero non lontano dal fratello maggiore Celestino, membro del suo stesso Ordine religioso. Già consigliere e poi segretario della Congregazione delle indulgenze e delle reliquie, Celestino Orlandi era stato informatore assiduo di Celestino Galiani dalla Curia su questioni riguardanti l’Ordine e la sua politica culturale a Napoli (Napoli, Società napoletana di storia patria, ms. XXXI.A.5, cc. 73-180). Nel 1754 divenne vescovo di Molfetta, attuando nella diocesi iniziative agrarie e filantropiche, e diffondendo nella provincia della Terra di Bari, insieme al fratello, un approccio scientifico ai problemi economici e sociali.
Giuseppe Orlandi morì a Giovinazzo il 15 aprile 1776.
Secondo i suoi primi biografi, avrebbe lasciato inedite alcune opere composte prima della nomina al vescovato: lezioni di fisica, un corso di algebra, le annotazioni alla fisica di Jacques Rohault – forse sul modello di quelle di Samuel Clarke alla traduzione latina del Traité de physique (Colonia [ma Napoli] 1713) – e alla Philosophical grammar (1835) del newtoniano Benjamin Martin, alcune riflessioni sul lotto, tema già felicemente indagato da Intieri, e varie dissertazioni sulla luce e sui colori, altro tema congeniale ai newtoniani del gruppo di Galiani. Gli è stato inoltre attribuito un libretto anonimo – Theoremata et problemata selecta institutionum physicae experimentalis – pubblicato a Napoli dall’editore de Simone nel 1749 e di nuovo nel 1759, contenente 261 tesi di fisica (Gatto, 2010), che compariva anche nella biblioteca privata di Ferdinando VII di Spagna.
Fonti e Bibl.: M. Barbieri, Notizie storiche dei matematici e filosofi del Regno di Napoli, Napoli 1778, pp. 202 s.; A. Buonafede, Della restaurazione d’ogni filosofia, II, Venezia 1786, p. 176; Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, II, Napoli 1815, pp. 113-116; D. Vaccolini, G. O., in Biografia degli Italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, III, Venezia 1836, pp. 427 s.; C. Villani, Scrittori e artisti pugliesi, s.l. 1904, p. 704; F. Nicolini, La puerizia e l'adolescenza dell'abate Galiani (1735-1745), in Archivio storico per le province napoletane, XLIII (1918), pp. 105-132; K. Eubel et al., Hierarchia Catholica Medii et Recentioris aevi, VI, Padova, 1958, p. 247; E. Garin, Antonio Genovesi e la sua introduzione storica agli Elementa physicae di Pietro van Musschenbroek, in Physis , XI, 1969, pp. 211-222; M.T. Marcialis, Note sulla Disputatio physico-historica di Antonio Genovesi, in Annali della facoltà di lettere e filosofia e magistero dell’Università di Cagliari, XXXII (1969), pp. 301-333; F. Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, passim; P. Zambelli, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, Napoli 1972, pp. 830-832 e passim; A. Genovesi, Scritti, a cura di F. Venturi, Torino 1977, passim; A. Brigaglia - P. Nastasi, Due matematici siciliani della prima metà del XVIII secolo; G. Settimo e N. Cento, in Archivio storico per la Sicilia orientale, III (1982), pp. 18-21 e 47-50; V. Ferrone, Scienza, natura e religione: mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, passim; F. Palladino, La riforma dello Studio napoletano nella prima metà del Settecento e l’istituzione della cattedra di fisica sperimentale, in Rendiconti dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL. Memorie di scienze fisiche e naturali, s. 5, IX (1985), p. II, pp. 333-336; M. Torrini, Introduzione ad A. Genovesi, Dissertatio physico-historica de rerum origine et constitutione, a cura di S. Bonechi - M.Torrini, Napoli 2001, p. V; M.T. Marcialis, Le ragioni della scelta, in A. Genovesi, La scelta de’ migliori opuscoli, a cura di M. Torrini, Napoli 2002, passim; Id., Scienza e filosofia nella ‘Dissertatio physico-historica de rerum origine et constitutione di Antonio Genovesi’, in Rivista di storia della filosofia, LVII (2002), 4, pp. 601-612; G. O., in Scienziati di Puglia: secoli V a.C.-XXI, a cura di F.P. De Ceglia, Bari 2007, p. 396-398; N. Palladino - A.M. Mercurio - F. Palladino, La corrispondenza epistolare tra Niccolò De Martino e Girolamo Settimo, Firenze 2008, p. 17; R. Gatto, Libri di matematica a Napoli nel Settecento: editoria, fortuna e diffusione delle opera, Roma 2010, pp. 73 s.