MANTICA, Giuseppe
Nacque a Reggio Calabria, da antica e nobile famiglia, il 29 giugno 1865, da Ignazio e da Antonietta Vernì.
Conseguita la licenza liceale "d'onore" al liceo-ginnasio T. Campanella, intorno al 1883 si trasferì a Roma per proseguire gli studi. Si laureò in giurisprudenza nel 1887 e in lettere l'anno seguente. Entrato come impiegato nell'amministrazione delle Finanze, dopo poco tempo vinse un concorso in quella della Pubblica Istruzione, dove iniziò la sua carriera come funzionario delle Antichità e Belle Arti, diventando il collaboratore più fidato del direttore generale, il senatore G. Fiorelli.
Già in questo primo periodo la vita del M. fu divisa fra gli impegni della politica e l'attività letteraria, che sentiva come la sua più autentica inclinazione e verso la quale non nascose mai qualche rimpianto per non potervisi dedicare totalmente. Dopo alcune prove come traduttore dal tedesco (da F. Schiller, F. Hölderlin, A. von Platen, H. Heine), a ventun anni aveva pubblicato due opere, uscite a Roma nel 1886, che gli dettero una certa notorietà: un "poema profano" di 380 ottave di tipo ariostesco, Scanderbeg, e Zoologia letteraria contemporanea (fauna italiana).
La prima opera narra, in cinque canti, le avventure militari ed erotiche di Giorgio Castriota (1403-68), principe albanese, eroe della resistenza del suo popolo contro l'invasione turca, soprannominato dai Turchi stessi Scanderbeg (cioè "Signor Alessandro"). La narrazione, qua e là sapientemente interrotta e ripresa alla maniera di L. Ariosto, fu resa più "attuale" da note autoironiche e allusioni diverse alla contemporaneità e alla vita dell'autore. Quando uscì, Scanderbeg fu giudicato favorevolmente da G. Chiarini, critico di solito tutt'altro che indulgente verso le opere poetiche giovanili, il quale confessò di aver letto con piacere i versi del M., e anche di aver imparato a stimarne l'autore (si veda la Lettera preposta alla prima edizione, pp. 7 s.). Se furono riconosciute al M. doti sicure di scrittore umoristico (Pirandello, L'umorismo), la critica moderna ha maggiormente insistito sulle caratteristiche di "immaturità artistica" e di "frivolezza" del poemetto (Marco, pp. XVI-XVIII).
Pubblicato con lo pseudonimo di Professor Vespa, Zoologia letteraria contemporanea (fauna italiana) è invece un curioso libro di ispirazione ironico-satirica che, classificando come animali (mammiferi, uccelli, pesci, insetti ecc.) i letterati e i giornalisti più in vista del momento, offre una serie di giudizi rapidissimi, a volte sorprendentemente acuti - sempre originali, spesso severi sebbene mai offensivi - sul panorama letterario e politico di fine Ottocento.
L'ispirazione alacre e festosa, insieme con la gioia del raccontare, portarono naturalmente il M. verso la letteratura per l'infanzia, sia coi versi A me i bimbi (Roma 1893) sia con un'opera narrativa, Il Cece. Storiella pei giovanetti (Firenze 1898). In quel torno di anni il M. pubblicò anche due volumetti di poesie, Specchio (Rocca San Casciano 1892) e Rime gaje (Roma 1894): "versi limpidi e forti, originali e spigliati, di forma eletta e di contenuto giocondo e pensieroso insieme, dove le gentili immagini si disposano ai teneri affetti" (Ferrari, p. 8).
Nelle Rime gaje (una trentina di componimenti in versi, metricamente estrosi e liberi, facili e orecchiabili, in cui il M. scrive soprattutto d'amore ma pure della natia Calabria, i cui paesaggi sono rivissuti con struggente nostalgia), si distinguono la poesia dedicata all'amico U. Fleres (p. 114: in cui si fa riferimento a L. Pirandello) e quella in cui il M. medita sulla propria eterna insoddisfazione di poeta e sulle proprie contraddizioni, augurandosi di vivere fino a quando "Una volta s'accordino davvero / L'eterno riso e i palpiti del cuore" (p. 115).
Fra le prose spicca il racconto La coda della gatta, che dette il titolo a una raccolta di novelle (ibid. 1893).
Il M. immagina che la costola d'Adamo, tolta da Dio al primo uomo per creare la donna, venisse rubata da una gatta, e che al suo posto restasse nelle mani dell'Eterno la coda del felino. Di qui, la conseguenza che la donna sarà "gatta" per l'eternità.
In casa di Pirandello, in quella di Fleres, e anche in quella del M., che abitava in via del Corso, quasi di fronte al caffè Aragno, si svolgevano riunioni domenicali di un gruppo di intellettuali. Il sodalizio, o meglio il cenacolo, dette vita proprio in casa del M. a una rivista settimanale, Ariel, che ebbe vita breve ma non fu senza echi, improntata com'era - secondo una cifra antidannunziana - a esigenze di schiettezza, immediatezza e semplicità. La stesura del programma della rivista fu opera del M., oltre che di Pirandello. In effetti in quegli anni il M., insieme con Fleres, G. Ferri, G. Cena (redattore capo della Nuova Antologia) e L. Capuana, fu tra gli amici più cari di Pirandello e da tutti era apprezzato.
Il M. si interessò con passione e competenza dei problemi della scuola e degli insegnanti, che poté affrontare con cognizione di causa, dal momento che dal 1898 alla morte ebbe la cattedra di linguistica e stilistica nell'Istituto superiore femminile di magistero di Roma, dove fu collega di Pirandello, che gli successe sulla stessa cattedra.
Nel 1900 fu eletto deputato nel collegio di Cittanova, un collegio "senza competizione" che gli confermò il mandato nel 1905. In Parlamento prese la parola diverse volte, e alcuni suoi discorsi sul bilancio dell'Istruzione e sulla crisi agricola della Calabria sono di grande rilievo per la lucidità dell'analisi e l'arguzia degli argomenti in difesa degli interessi degli insegnanti, dell'economia e soprattutto, dell'agricoltura del Mezzogiorno.
Degna di memoria fu, per esempio, la lunga interpellanza ai ministri dell'Agricoltura e delle Finanze, il 9 giugno 1902, sulla crisi economica degli agricoltori calabresi, tassati secondo i criteri catastali di 85 anni prima. Quei criteri non consideravano che nel frattempo, a causa della fillossera dei vigneti e della mosca olearia per gli oliveti, il reddito agricolo era diminuito di molto; sicché le tasse equivalevano ormai al 75% del reddito (Atti del Parlamento italiano. Camera dei deputati, Sessione 1902 (2ª della XXI legislatura), Discussioni, III, Roma 1902, pp. 2613-2626, in partic. p. 2616).
Le sue capacità e i meriti in campo amministrativo e politico furono pienamente riconosciuti dal ministro G. Baccelli, di cui fu segretario particolare e capo di gabinetto quando Baccelli fu per la terza volta ministro della Pubblica Istruzione (1898).
Oltre che nei numerosi articoli originali o nelle recensioni a opere altrui apparsi nei giornali letterari fra Otto e Novecento (Roma letteraria, Germinal, Ateneo italiano, Gran Mondo, ecc.), il M. ebbe occasione di dare organicità ed efficacia alle proprie idee sulla letteratura e sull'arte in un'applaudita conferenza letta a Firenze, a Salerno e a Prato, intitolata Il quadro nero (Firenze 1905), nella quale, rifacendosi agli insegnamenti di F. De Sanctis e di R. Bonghi, sostenne la necessità della chiarezza e della naturalezza nella poesia, criticando talune astruserie mitologiche di G. D'Annunzio, del quale comunque riconosceva la grandezza letteraria.
Verso il 1905 si presentarono i segni di una "lunga e insidiosa" malattia che lo limitarono molto. Trasferitosi nel 1906 nella zona dei Castelli romani, il M. morì ad Ariccia, nel villino Remiddi, il 25 giugno 1907.
La salma fu trasferita a Roma e il 27 giugno a Reggio Calabria, dopo un commosso omaggio di D. Oliva e dei rappresentanti della Società degli autori italiani, di cui il M. era vicepresidente.
Fonti e Bibl.: Commemorazioni e necrologi di G. Marcora, A. Baccelli, G. De Nava e R. Galli alla Camera dei deputati nella tornata del 25 giugno 1907 in Atti del Parlamento italiano. Camera dei deputati. Sessione 1904-1907 (Iª della XXII legislatura), Discussioni, XIII, Roma 1907, pp. 1668 s.; B. Camagna, Per G. M. (discorso tenuto al Consiglio comunale di Reggio Calabria), Reggio Calabria 1907; A. Raso, Commemorazione del… G. M. (al Consiglio comunale di Cittanova), Palmi 1907; V. Marano Attanasio, in Gran Mondo, 30 giugno 1907; La Rassegna calabrese, dicembre 1907 (n. monografico dedicato al M.); L. Pirandello, G. M., in Il Marzocco, 30 giugno 1907, p. 3, e in Giornale d'Italia, 27 giugno 1907; G.M. Ferrari, G. M., Napoli s.d.; G. M., in La Tribuna illustrata, XV (1907), 27, p. 7; G. Natali, Date al fanciullo i canti!, Palermo 1927, p. 102; T. Gnoli, Un cenacolo letterario: Fleres, Pirandello & C.i, in Leonardo, VI (1935), marzo, pp. 103-107; L. Pirandello, L'umorismo, in Id., Saggi, Milano 1939, p. 129; G. Squarciapino, Roma bizantina, Torino 1950, pp. 450 s.; U. Fleres, Il caleidoscopio di Uriel, Roma 1952, pp. 23-25, 118-120; Scrittori calabresi: G. M., in Corriere di Reggio, 18 giugno 1955; G. Giudice, Pirandello, Torino 1963, ad ind.; G. Natali, Ricordo di un maestro e amico: G. M., in Nuova Antologia, gennaio 1964, pp. 87-94; C. Marco, Introduzione, in G. Mantica, Scanderbeg. Poema profano (rist. anast.), Lungro 1989, pp. XI-XVIII; Album Pirandello, Milano 1992, ad ind.; L. Pirandello, Lettere della formazione 1891-1898. Con appendice di lettere sparse 1899-1919, a cura di E. Providenti, Roma 1996, ad ind.; A. De Gubernatis, Dictionnaire international des écrivains du monde latin, Rome-Florence 1906, p. IV; L. Aliquò Lenzi - F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi. Diz. bio-bibliografico, II (G-M), Reggio Calabria 1955, sub voce.