GENOESE ZERBI, Giuseppe
Nacque a Reggio Calabria il 9 ott. 1870 da Domenico e da Elisabetta Melissari, appartenenti entrambi a famiglie dell'aristocrazia agraria calabrese abitualmente presenti sia nella vita politica e amministrativa, sia nelle attività produttive e commerciali della città. Il padre, capitano della guardia nazionale nel 1860 e sostenitore di Garibaldi, era stato sindaco per tre volte, tra il 1867 e il 1874; eletto deputato nel 1875, era stato confermato l'anno successivo e, esponente della Sinistra, si era unito ai dissidenti che il 29 apr. 1880 avevano votato contro il governo Cairoli sulla questione della proroga dell'esercizio provvisorio, determinando lo scioglimento della Camera.
Ufficiale di Marina, il G. prese parte alla guerra di Libia con il grado di capitano di corvetta, guadagnandosi anche una medaglia d'argento al valore militare per essere entrato "risolutamente" nel porto di Bengasi; nel primo conflitto mondiale, in qualità di capitano di vascello, si distinse, prima dell'armistizio, nell'occupazione delle isole dalmate nel canale di Curzola, guadagnandosi l'Ordine militare di Savoia. Collocato in posizione ausiliaria il 1° luglio 1920, nel maggio del 1927 fu promosso al grado di ammiraglio di squadra nella riserva navale. Il 9 ott. 1929 fu collocato a riposo.
Costituitosi il fascio a Reggio Calabria (ottobre 1920), il G. aderì subito alla nuova organizzazione: il che gli consentì di vantare meriti di fascista antemarcia. Nel 1921, in occasione delle elezioni, si candidò nelle file liberali entrando nella lista ministeriale dell'Unione democratica nazionale, che aveva per simbolo un aratro e della quale facevano parte i cosiddetti tre magi (G. Colosimo, G. De Nava e L. Fera), i politici più influenti della zona. Né gli mancò il sostegno del nuovo movimento fascista, che nel suo primo congresso regionale, svoltosi a San Lucido nel 1921, votò all'unanimità un ordine del giorno che, pur optando per l'astensione, segnalava come meritevole del suffragio l'ex combattente G.; questi, però, quantunque sostenuto anche dai legionari fiumani e dagli arditi, andò incontro a una delusione, ribadita nel 1924, quando sperò fino all'ultimo di essere incluso nel "listone" fascista.
Luogotenente generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale fuori quadro, il G. salì alla ribalta quando assunse le due massime cariche cittadine, di podestà (dicembre 1926) e, tre mesi dopo, di commissario straordinario e segretario della federazione provinciale fascista, quest'ultima su proposta dell'onorevole M. Maraviglia.
Riguardando un personaggio che, come il G., godeva di prestigio nella città, tale designazione aveva uno scopo prettamente politico: bloccare in via definitiva i contrasti tra le due fazioni in lotta per il potere locale e, nello stesso tempo, dare un segnale di cambiamento. Ma la copertura del gruppo facente capo ai fratelli Marcianò Agostinelli, la vecchia guardia intransigente, contro la cosiddetta "banda dello sgombero", vicina agli uomini del liberalismo e del combattentismo, non giovò molto alle fortune politiche del G., costretto, nel luglio del 1928, a dimettersi dalla segreteria provinciale senza aver risolto i contrasti cittadini. Alla decisione non furono estranei i suoi comportamenti poco ortodossi e alcune recenti divergenze personali con Michele Bianchi, sottosegretario del ministero dell'Interno. Analoghi limiti contraddistinsero il suo operato di primo podestà di Reggio Calabria: le realizzazioni concrete, infatti, non mancarono, ma gravarono oltre misura sulle finanze comunali. Comunque, l'azione di ricostruzione della città, avviata dal sindaco G. Valentino, proseguì col completamento di alcuni edifici a uso di abitazione e con la riattazione delle strade e della rete dei servizi. Oltre a rendere più efficiente la burocrazia, coinvolgendo i sindacati fascisti, il G. propose un ambizioso piano di opere pubbliche, progettando tra l'altro un campo sportivo rispondente a criteri più avanzati (fu inaugurato nel 1932 a sud del rione Ferrovieri), e la sistemazione del Lido.
La sua più grande idea fu il progetto di un unico agglomerato urbano con i comuni contermini, in grado di mirare, superando gli ostacoli della frantumazione locale, al potenziamento economico e alla razionalizzazione dello sviluppo cittadino. Il 7 luglio 1927, con un r.d. pubblicato il 19 sulla Gazzetta ufficiale, nasceva la "Grande Reggio", una città di 120.000 abitanti, lunga 35 chilometri, da Torre Cavallo a Punta Pellaro e dal mare fino all'Aspromonte. La nuova formazione territoriale, accolta positivamente da B. Mussolini, aggregava 14 comuni. L'operazione, una scelta politica, imposta dall'alto e proposta non sulla base di una ponderata programmazione, ma di suggestioni del momento, orientate a rinverdire i fasti dell'antichità classica, si prefiggeva, contestualmente, di risolvere anche i problemi finanziari con i proventi degli altri comuni, di assorbire il porto di Villa San Giovanni, terminale scalo ferroviario alternativo per i traffici nello stretto di Messina, e di ricavare le spinte per incrementare le strutture industriali con la produzione dei derivati degli agrumi e della seta, di cui esistevano nella zona di Cannitello avviati opifici.
Per la sua debolezza di fondo, l'esperienza unitaria non ebbe, però, lunga vita. Non solo non vennero trovati i finanziamenti necessari, stante la politica deflazionistica di quegli anni e la successiva crisi del 1929, ma le stesse autonomie locali, una volta evidenziati gli squilibri esistenti tra città e campagna, ritornarono in vigore in gran parte dei comuni incorporati, a cominciare dal 1932, quando un successivo decreto, ricostituendo il Comune di Villa San Giovanni, riportò la città di Reggio Calabria al suo ritmo di crescita reale.
Il 10 nov. 1928 il G. lasciò l'incarico di podestà. La precedente sostituzione da segretario della federazione aveva già inferto un duro colpo alle sue speranze di rimanere alla guida dell'amministrazione di Reggio. Il gruppo contrario alla vecchia guardia, sostenuto anche dal nuovo prefetto, poco tenero nei suoi confronti, mise in evidenza gli errori commessi dal G., accusato di considerare la carica appannaggio della sua famiglia. Nel novembre 1928 fu rimpiazzato da un regime commissariale e nel 1930 da un secondo podestà, P. Muritano, che difese fino alla fine il progetto dell'ampliamento urbano, ma senza alcun risultato.
Cessata l'attività politica, il G. si ritirò a vita privata. Presto dimenticato dalla cittadinanza, morì a Napoli, dove si era trasferito con la famiglia, il 12 sett. 1930.
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