GAROFALO, Giuseppe
Figlio di un battiloro, nacque a Palermo verosimilmente nel secondo quarto del XVIII secolo. Come informa Agostino Gallo (sec. XIX, p. 85), suo principale biografo, fu "sin dalla sua fanciullezza inclinato alla meccanica, nel 1760 si fe' laico dell'ordine Filippino, ivi si esercitò a far figurine modellate e a comporre de' presepii, in particolare si applicò poi all'incisione di rame eseguendo le tante figurine che sogliono distribuire i Padri del suo ordine". Secondo lo stesso biografo frequentò negli anni di formazione la bottega del pittore palermitano Vito D'Anna.
A questa fase di attività possono assegnarsi le incisioni di santi realizzate in fogli sciolti e privi di datazione: S. Lucia, S. Gioacchino, S. Giuseppe Calasanzio, S. Pietro, S. Filippo Neri da un disegno di Antonino Manno, S. Cecilia da un disegno di Giuseppe Tonelli ricavato da un quadro palermitano tradizionalmente riferito al Domenichino (Domenico Zampieri), e S. Ignazio martire. Certamente al 1761 risale la bella antiporta raffigurante un'Allegoria della Sicilia posta nel primo tomo dell'opera di A. Leanti, Lo stato presente della Sicilia, stampata a Palermo nel 1761. In questa incisione il simbolismo antiquariale tipicamente settecentesco si coniuga con una rappresentazione del paesaggio di gusto pittoresco, animato dalla raffigurazione di un albero in primo piano cui fa da sfondo l'immagine fumante dell'Etna. La vasta eco seguita all'opera di Leanti con ogni probabilità fu all'origine della commissione al G. delle illustrazioni delle Antiche iscrizioni di Palermo dell'erudito archeologo Gabriele Lancillotto Castello, principe di Torremuzza, opera stampata a Palermo nel 1762.
Queste incisioni di soggetto antiquario documentano singoli reperti quali stele, urne e lapidi. Alcune furono realizzate sulla scorta dei disegni forniti da altri incisori: Melchiorre Di Bella e Domenico Boxia, pure autori di incisioni dello stesso volume. Molti dei rami predisposti dal G. per il volume sulle Antiche iscrizioni, ma non utilizzati, furono pubblicati poi nel 1784 a Palermo nell'opera Siciliae et obiacentium insularum veterum inscriptionum nova collectio… dello stesso principe di Torremuzza.
Contemporaneamente il G., come altri incisori coevi, si dedicò alla creazione di carte da visita con "simboli figurativi costanti che individuano il grado di nobiltà e di qualità personali dei committenti" (Malignaggi, 1988, p. 219).
Già nel 1764 il G. iniziò a cimentarsi nel ritratto inciso realizzando l'effigie di Ercole Michele Branciforti, principe di Butera, per l'antiporta di un opuscolo commemorativo redatto da Stefano Amato. Nel 1766 incise l'antiporta raffigurante il Crocifisso, tratto da un modello scultoreo barocco, per i Capitoli de' regolamenti della Compagnia del Crocifisso…, stampati a Palermo nel 1766 presso Pietro Bentivegna, redatti dal principe di Torremuzza. Nello stesso anno il G. chiese e ottenne dalla Congregazione filippina il permesso di trasferirsi a Roma per sei mesi al fine di perfezionare la tecnica incisoria. Probabilmente durante questo primo soggiorno romano il G. entrò in diretto contatto con gli incisori più noti operanti a Roma, tra cui verosimilmente G. Vasi. Il periodo trascorso a Roma portò il G. a un deciso affinamento della tecnica dell'incisione a bulino; non si può affermare invece che l'esperienza romana lo abbia maturato sotto il profilo dell'invenzione compositiva. Sin da questi anni il G. si qualificò essenzialmente come incisore di traduzione. A Roma, sempre nel 1766, incise il rame con la Madonna, il Bambino, gli angeli e s. Serafino d'Ascoli in occasione della canonizzazione di quest'ultimo. Da Roma mantenne i rapporti con il principe di Torremuzza che gli commissionò una serie di ritratti di persone illustri siciliane che lo stesso Torremuzza, insieme con Domenico Schiavo e Gioacchino Drago, doveva raccogliere per una pubblicazione rimasta poi incompiuta. Proprio da Roma il G. spedì il ritratto di Giovanni Aurispa ricordato da Gallo. Al periodo del soggiorno romano si può assegnare uno Studio di piedi, non datato, ma certamente tratto da un disegno di Annibale Carracci. Poiché il periodo trascorso a Roma superò di gran lunga i sei mesi concessigli, dopo reiterati inviti a rientrare, il G. fu espulso dalla Congregazione dell'Oratorio. Nel 1767 fece comunque rientro a Palermo dove continuò la serie dei ritratti avviata a Roma.
Fra questi si segnalano in particolare i ritratti di Andrea Cirino, Gianfilippo Ingrassia, Lucio Marineo (datati 1767) e quelli non datati di Francesco Maurolico, Giovanni Paternò e Pietro Ranzano. Nel 1768 eseguì il ritratto di Gabriele Di BlasiGambacurta e quello dei sovrani Ferdinando di Borbone e Maria Carolina d'Austria, quest'ultimo redatto in due versioni che mantengono tuttavia identica la cornice ornamentale. Nello stesso anno su commissione dei padri cappuccini di Palermo incise il Miracoloso intervento del beato Bernardo da Corleone in occasione dell'inondazione avvenuta a Palermo la notte del 27 nov. 1666, tratto da un'incisione di fra Felice da Sambuca. Un'immagine della Maddalena da un disegno di R. Strange ispirato a un'opera di G. Reni fu incisa dal G. nel 1768. È possibile che il G. fosse rientrato a Palermo con una serie di repertori grafici (disegni e incisioni) dei più noti artisti allora operanti a Roma e che tale serbatoio di conoscenze avesse supportato la sua attività successiva.
Nel 1770 il G. incise due tavole con antiche monete siciliane da inserire nelle "correzioni ed aggiunte" (in Opuscoli siciliani, XI, Palermo 1770) che il principe di Torremuzza stava apportando al più antico testo di Filippo Paruta, Sicilia numismatica. Nel 1770 il G. incise l'anfiteatro di Catania per l'opera (pubblicata in quell'anno a Palermo) di G. Paternò Buonajuto, Del ginnasio e anfiteatro di Catania… (p. 49).
Per l'opuscolo Orazione ne' funerali di d. Giuseppe Maria Jurato…, stampato a Palermo nel 1774, incise il ritratto, il mausoleo funebre progettato da G.V. Marvuglia e l'apparato funebre, ideato da Nicolò Anito.
Fra i ritratti si ricordano ancora quello del siracusano Benedetto Piazza dipinto da Vincenzo Sortino e tradotto quindi in incisione dal G. (Gallo, ms., c. 756) e l'altro di Francesco Oneto, duca di Sperlinga, inciso nel 1777 sulla scorta del dipinto di Francesco Manno. Estremamente variegata si rivela la produzione di incisioni tratte da importanti testi pittorici come il Ritratto di Clemente XIV inciso a Roma nel 1781, copia di un quadro di Tommaso Sciacca da Mazara, il S. Feliciano martire, inciso a Roma nel 1785 sull'originale del pittore Francesco Manno, e il S. Pietro che dorme svegliato dall'angelo, inciso sulla base del dipinto di Gaspare Serenario. Inoltre tradusse da dipinti di F. Manno il ritratto di Ferdinando di Borbone (1778) e una Sacra Famiglia (1780).
Nel 1777 la consueta produzione del G. fu segnata da una svolta: in quell'anno incise la Pianta geometrica di Palermo patrocinata da Francesco Maria Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca e ricavata dal rilievo effettuato dall'ingegnere Nicolò Anito qualche anno prima.
Tale pianta fu ristampata a spese del Senato palermitano nel 1783, con le aggiunte del giardino pubblico di villa Giulia e dell'orto botanico, e fu di nuovo riprodotta nel 1791. L'impegno cartografico del G. continuò con l'incisione della Carta della Sicilia riprodotta su quella del barone S. Schmettau ed edita a Palermo da Giovanni Martinon solo nel 1812. In queste cartografie il G. aggiunse piccole vedute di monumenti e una serie di articolate ornamentazioni barocche che arricchiscono la composizione.
Con ogni verosimiglianza la stampa della pianta di Palermo fece scaturire un rapporto di collaborazione con il marchese di Villabianca che commissionò al G. il proprio ritratto, lo stemma di famiglia e i ritratti degli antenati. Nel 1780 il G. effettuò un secondo soggiorno romano durante il quale, oltre a mettere in opera le incisioni già ricordate, realizzò nel 1785 il Ritratto di Pio VI in medaglia e nel 1786 l'immagine della VergineImmacolata, ricavata da un dipinto di padre Fedele da San Biagio, donato a Pio VI. Non datata, ma afferente a questo secondo periodo romano, è l'Immagine della Vergine Maria di Alcamo, incisa a Roma su un modello del pittore trapanese Francesco Matera. Negli ultimi anni di attività il G. produsse una nutrita serie di stemmi di famiglie nobili siciliane, immagini di devozione e ritratti di personaggi noti su commissione del marchese di Villabianca che inserì a guisa di illustrazioni nei suoi diari e opuscoli manoscritti (conservati presso la Biblioteca comunale di Palermo). Nel 1787, lasciata Roma per la seconda volta, il G. soggiornò a Napoli; rientrato a Palermo si ammalò e ritornò a Napoli dove morì il 16 sett. 1787.
Fonti e Bibl.: A. Gallo, Notizie degli incisori siciliani (sec. XIX), a cura di D. Malignaggi, Palermo 1994, pp. 85-88, 142; Palermo, Biblioteca centrale della Regione Siciliana, Mss., XV.H.18: A. Gallo, Notizie de' pittori siciliani… (prima metà del sec. XIX), c. 756; V. Marcellino, Sulle piante topografiche della città di Palermo, in Arch. stor. siciliano, s. 3, II (1947), p. 213; P. Roccaforte, P. Fedele da San Biagio, pittore e letterato 1717-1801, Palermo 1968, p. 54; R. La Duca, Cartografia generale della città di Palermo e antiche carte della Sicilia, Napoli 1975, pp. 43, 162, 164; C. Barbera Azzarello, Raffigurazioni, ricostruzioni, vedute e piante di Palermo, Palermo 1980, pp. 158, 165; F. Riccobono, Immagini devote in Sicilia, Messina 1982, p. 48; R. La Duca - S. Pedone, G. G. incisore palermitano (1761-87), Palermo 1985 (con elenco delle incisioni); Immagine e testo. Mostra storica dell'editoria siciliana dal Quattrocento agli inizi dell'Ottocento, a cura di D. Malignaggi, Palermo 1988, pp. 251, 257, 261; S. Di Matteo, Iconografia storica della provincia di Palermo, Palermo 1992, pp. 55, 163, 176; D. Ruffino, in G. Bongiovanni - A. Pravatà - D. Ruffino, Omaggio a Villafrati. Studi sulla chiesa madre, Villafrati 1993, p. 25; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 212