GAMBA, Giuseppe
Nacque a San Damiano d'Asti, il 25 apr. 1857, in una famiglia di modesti mezzadri. Il padre, Pietro, morì quando egli aveva sette anni; alle esigenze della famiglia provvide allora la madre, Lucia Aschiero, alternando i lavori campestri all'attività di lavandaia.
Ospite nell'anno scolastico 1870-71 dell'oratorio fondato da Giovanni Bosco a Valdocco, il G. ne uscì l'anno successivo per entrare nel seminario di Asti; ma l'esempio di don Bosco restò per lui un costante riferimento spirituale. Fu ordinato sacerdote il 18 ott. 1880, in leggero anticipo sul corso normale di studi. L'anno successivo venne chiamato al capitolo di Asti come vicecurato del duomo, di cui divenne parroco nel 1884, ad appena 27 anni.
Confessore ordinario e professore di sacra eloquenza e di teologia pastorale presso il seminario locale, nel 1889 partecipò al primo Congresso catechistico nazionale, svoltosi a Piacenza, di cui venne nominato segretario.
Nel 1882, dopo aver conseguito la laurea in teologia presso il collegio di S. Apollinare di Roma, fu chiamato dal vescovo G. Ronco a ricoprire la carica di provicario generale della diocesi di Asti, recando un contributo significativo alla preparazione del sinodo del 1896. Nel 1898 il nuovo vescovo, G. Arcangeli, lo nominò vicario generale.
In questo periodo si assisteva in città a un interessante sviluppo del movimento cattolico, favorito dal nuovo presule, di origine lombarda, e seguito con attenzione dal Gamba.
Preconizzato vescovo di Biella il 16 dic. 1901, ricevette la consacrazione episcopale il 23 febbr. 1902: tuttavia la sua permanenza alla guida della diocesi fu breve, poiché il 13 ag. 1906 fu trasferito a Novara. A Biella si dedicò alla formazione del clero e allo sviluppo del seminario, compì la visita pastorale e promosse la costruzione in Oropa di un nuovo grandioso tempio dedicato alla Vergine.
Preposto a due diocesi in cui era viva la "questione operaia", dimostrò sensibilità per i problemi sociali, risentendo gli influssi dell'intransigentismo. Sotto il profilo istituzionale e pastorale egli tese, invece, a un rilancio della tradizione borromaica, sull'esempio dell'episcopato milanese del card. A. Ferrari, col quale era entrato in rapporti di amicizia. Soprattutto a Novara dovette affrontare i problemi aperti dalla questione modernista, essendovi in diocesi alcuni sacerdoti sospetti di tendenze novatrici. Nei confronti di questi ultimi dimostrò sensibilità sul piano umano e carità cristiana, stabilendo con essi rapporti personali e tentando di recuperarli a posizioni di piena "ortodossia". Per questa ragione fu accusato di scarso vigore nel combattere il modernismo e dovette superare, con sofferenza, una visita apostolica tesa, tra l'altro, a chiarire la fondatezza di certe accuse integralistiche rivolte contro la sua persona. A Novara si impegnò a favore dello sviluppo dell'Azione cattolica e in particolare dell'associazionismo giovanile, che conobbe un notevole incremento; promosse inoltre la stampa cattolica.
Alla vigilia del primo conflitto mondiale assunse una posizione neutralista: ciò gli attirò accuse di antipatriottismo e gli valse severi controlli da parte della polizia. Nell'immediato periodo postbellico favorì lo sviluppo dei sindacati cristiani e fece giungere il suo sostegno al Partito popolare.
A ciò non era estranea la preoccupazione di non perdere i contatti colle masse e di contrastarvi la penetrazione socialista. In effetti nel G. era presente la diffidenza, di matrice intransigente, per il liberalismo e per il socialismo, nonché la convinzione che la "restaurazione religiosa della società" dovesse avvenire per opera dei cattolici stessi. Di qui l'attenzione per il Partito popolare di L. Sturzo e la diffidenza verso il fascismo.
Questa linea fu confermata a Torino, diocesi di cui venne designato arcivescovo il 12 dic. 1923. Gli avvenimenti del 1924, e più ancora degli inizi del 1925, mostrarono, però, che le posizioni di aperto sostegno al sindacalismo cattolico e di più cauto appoggio al Partito popolare non potevano essere perseguite indefinitamente. La via battuta dal G., con la collaborazione del suo provicario generale G.B. Pinardi, fu allora quella di apprestare una solida linea di arroccamento al movimento cattolico. In questo contesto un ruolo decisivo era destinata ad assumere l'Azione cattolica.
A essa il G. dedicò notevoli cure, rafforzandone la struttura piramidale, che aveva il suo asse portante nella linea: direttore (carica ricoperta al momento dal Pinardi), giunta diocesana, segretariati, i quali, affidati a uomini di curia e potenziati, erano ben in grado di svolgere una funzione di imbrigliamento delle forze centrifughe. L'Azione cattolica si presentava quindi come un'organizzazione fortemente accentrata nelle mani dell'arcivescovo e nello stesso tempo sufficientemente duttile; capace di svolgere una funzione di sostegno del Partito popolare e della Unione del lavoro prima, quindi di graduale assorbimento delle principali istanze presenti nel mondo cattolico.
Tale evoluzione si trova riflessa nelle pagine del Corriere, che se ne faceva nel contempo strumento e copertura sul piano ideologico; il giornale, espressione dei vescovi e delle giunte diocesane del Piemonte, nacque sullo scorcio del 1924, adottando una linea democratica e antifascista. Pur non potendosi certo definire "popolare" in senso stretto, tale venne sempre considerato dai fascisti e dai clerico-fascisti del Momento, che condussero contro di esso durissime campagne, non peritandosi di richiedere l'intervento vaticano. Il quotidiano venne attenuando alquanto le proprie posizioni nel corso del 1926; tuttavia ciò non valse a salvarlo dal decreto di sospensione che lo colpì, insieme con tutta la stampa antifascista, nel novembre 1926.
Le trasformazioni avvenute sul piano istituzionale, in seguito all'attentato Zamboni, e l'inevitabile logorio cui erano stati sottoposti i popolari moderati, che avevano sopportato, anche formalmente, il peso maggiore della ristrutturazione in atto nel mondo cattolico e che continuavano a essere irrimediabilmente invisi al fascismo, dettarono al G. una nuova sofferta svolta. Questa comportò un ulteriore rafforzamento sul piano istituzionale; l'eliminazione di ogni contrasto col fascismo; la liquidazione degli ex popolari dai vertici dell'organizzazione diocesana. Di ciò risentì soprattutto la Gioventù cattolica, la più vivace delle organizzazioni diocesane dell'Azione cattolica, nei confronti della quale si procedette a una difficile normalizzazione. Era sintomatico, peraltro, che questa fase corrispondesse all'affermarsi di posizioni dichiaratamente integraliste come quelle di C. Lovera di Castiglione, che divenne consigliere ascoltatissimo del G. e a cui fu demandata la gestione della nuova linea; mentre, come segno dell'ormai definitiva distensione nei confronti del fascismo, nel giugno del 1927 l'ex popolare G. Colonnetti veniva sostituito ai vertici della giunta diocesana con il canonico F. Imberti, fratello del podestà di Cuneo.
Agli interventi in questi settori il G., insignito della porpora cardinalizia il 22 dic. 1926, veniva affiancando un complesso lavoro di ristrutturazione sul piano pastorale e istituzionale della Chiesa torinese e lo sforzo di omogeneizzazione e unificazione degli atteggiamenti dell'episcopato piemontese.
In ambito diocesano, a mano a mano che i problemi posti dai rapporti con il potere politico si facevano meno urgenti, l'attenzione dell'arcivescovo si venne progressivamente rivolgendo allo sviluppo delle missioni, attraverso la rivitalizzazione della Pia Opera e la costituzione degli oblati di S. Massimo; all'erezione di nuove parrocchie e agli studi per la revisione del territorio di quelle del capoluogo piemontese; alla raccolta di fondi per la costruzione di un nuovo seminario; al restauro del duomo quattrocentesco di Torino. Sul piano regionale egli promosse conferenze episcopali annuali e organizzò il primo concilio plenario piemontese, svoltosi a Torino dall'11 al 13 ott. 1927: esso intervenne, in particolare, negli ambiti della predicazione, dell'insegnamento della dottrina cristiana, delle missioni al popolo, della disciplina del clero e dei laici.
La morte colse il G. a Torino il 26 dic. 1929, mentre stava preparando il sinodo diocesano.
Fonti e Bibl.: Documenti sul G. sono conservati presso gli archivi delle curie delle diocesi di Biella, Novara e Torino. Ha carattere elogiativo G. Angrisani, Il cardinale G. G., Torino-Roma 1930. Vedi inoltre: S. Soave, Fermenti modernistici e democrazia cristiana in Piemonte, Torino 1975, pp. 280-282, 288 s.; B. Gariglio, Cattolici democratici e clerico-fascisti. Il mondo cattolico torinese alla prova del fascismo (1922-1927), Bologna 1976, pp. 36 s., 148-150, 171-178; M. Reineri, Cattolici e fascismo a Torino 1925-1943, Milano 1978, pp. 35-37 e passim; F. Traniello, L'episcopato piemontese in epoca fascista, in Chiesa, Azione cattolica e fascismo nell'Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939). Atti del V Convegno di storia della Chiesa, Torreglia… 1977, Milano 1979 (ora in Id., Cultura cattolica e vita religiosa tra Ottocento e Novecento, Brescia 1991, pp. 295-299, 301-304, 313-315); P.G. Longo, Il cattolicesimo novarese dai "liberi fedeli onesti" ai "cattolici integrali", in Novara. Ieri oggi, II (1980), 3, pp. 3-99; A. Ciampani, La buona battaglia. Giulio Pastore e i cattolici sociali nella crisi dell'Italia liberale, Milano 1990, pp. 23-28, 44-50; B. Gariglio, La Torino cattolica degli anni di Pier Giorgio Frassati, in Sociologia, XXVI (1992), p. 17; M. Forno, Rinnovamento cattolico e stabilità sociale. Chiesa e organizzazioni cattoliche astigiane tra le due guerre, Torino 1997, pp. 83 s., 129.