FIORAVANZO, Giuseppe
Nacque il 14 ag. 1891 a Monselice (Padova) da famiglia di antiche origini fiorentine. Allievo dell'Accademia navale dì Livorno dal 1909, guardiamarina nel 1912, partecipò alla campagna di Libia e fu a Costantinopoli, a bordo della. "B. Brin", inviata per proteggere i residenti italiani durante la prima guerra balcanica. Promosso sottotenente nel 1914, tenente nel 1916, primo tenente nel 1918, svolse l'incarico di comandante di batteria sul Carso nel battaglione S. Marco. Venne inviato in missione lungo il basso Piave e quindi a Venezia e Monfalcone. In servizio presso il dipartimento marittimo di Pola nel 1921, divenne capitano di corvetta nel 1923. Nello stesso anno, al comando della torpediniera "Calhope", fu inviato nel Dodecanneso per la protezione dei residenti italiani. Nel 1928 venne promosso capitano di fregata; nel 1934, dopo svariati comandi navali sul "Trieste", "Freccia" e "Abba" (come capo squadriglia), capitano di vascello. Nel 1939 raggiunse il grado di contrammiraglio e l'anno successivo quello di ammiraglio di divisione.
Studioso dei problemi balistici e, in particolare, dell'uso dei cannoni navali al fronte, aveva pubblicato nel 1921 gli Elementi di cinematica, manovre di navi riunite (Livorno), che l'aveva indicato come notevole studioso ed esperto di armi navali, sicché nello stesso anno (mentre usciva a Torino un altro suo lavoro, Qualche consiglio ai nostri guardiamarina), fu chiamato ad insegnare cinematica navale presso l'Accademia navale di Livorno; da quel momento con altre attività didattiche (intervenne con continuità anche all'Istituto di guerra marittima) e con una serie di articoli e volumi divenne uno dei più apprezzati teorici della dottrina di guerra. Tra i primi a cogliere l'importanza del fattore aereo, pubblicò nel 1927 Cinematica aeronavale e fondamenti di tattica (Livorno), nel 1930 La guerra sul mare e la guerra integrale (Torino), momento fondamentale della sua riflessione teorica; e nel 1936 Basi navali nel mondo (Milano).
I suoi lavori riguardavano la teoria militare marittima nei suoi diversi aspetti e l'organizzazione della futura marina da guerra. A suo parere, l'obiettivo della guerra marittima, che doveva svolgersi in stretta correlazione con le altre due forze armate, doveva essere per l'Italia la difesa delle proprie comunicazioni e l'attacco a quelle avversarie da portare fino al risultato di impedire al nemico l'uso del mare. A tale fine doveva essere soprattutto impiegato il naviglio leggero e sottile, mentre le grandi navi corazzate della massima potenza unitaria avrebbero dovuto essere scortate da portaerei per la difesa dal bombardamento nemico. In sostanza la flotta avrebbe dovuto agire con navi capaci di resistere alle offese per serrare da vicino l'avversario e con portaerei leggere fatte per la scorta più che per il combattimento, con sistemi di collegamento rapidi ed elastici, con la massima autonomia nei comandi e con attacchi veloci delle sue unità siluranti. Auspicava l'uso di materiale semplice, sicuro e uniforme e sollecitava l'aviazione a valorizzare gli aerosiluranti. Ma dal 1933 in avanti prevalse una linea di costruzioni diversa, interpretata dall'allora sottosegretario e capo di stato maggiore ammiraglio D. Cavagnari, il quale volle privilegiare, in base ad una concezione di guerra antiquata, la costruzione delle grandi corazzate, trascurando o non sviluppando sufficientemente il naviglio leggero e dimenticando non solo l'opportunità delle portaerei, ma anche la necessità di organizzare una collaborazione tra forze aeree e forze navali.
Le tesi del F. trovarono numerose conferme nello svolgimento della seconda guerra mondiale, ma egli stesso finì con l'accettare almeno in parte le idee allora dominanti. Così già in Comandi navali (Milano 1938), pur ribadendo la necessità di assicurare le vie di comunicazione e di contrastare efficacemente quelle dell'avversario, faceva scivolare in secondo piano le portaerei, definite utili, ma non necessarie in bacini ristretti come il Mediterraneo, mentre la grande battaglia veniva vista come l'epilogo decisivo della guerra. Inoltre anche il concetto di difesa del traffico subiva notevoli riduzioni, ma soprattutto era esaltato l'accentramento della autorità politica in una sola persona, come fattore di organizzazione e di compattezza della marina italiana che grazie ad esso rimaneva immune dai frequenti cambi di indirizzo delle nazioni democratiche. In seguito, in una serie di interventi di carattere politico o strategico-politico più che strettamente militare (Il Mediterraneo centro strategico del mondo, Milano 1943) il F. portava avanti, pressato anche dallo spirito conformista dell'epoca, e tuttavia in un linguaggio assai poco consono al suo ruolo di studioso, una interpretazione delle vicende storiche italiane diretta all'esaltazione incondizionata dell'opera di Mussolini e a un'accettazione dei miti nazionalisti.
Frattanto il F. era stato impegnato, quale capo di stato maggiore delle forze navali riunite, durante la guerra italo-etiopica. Nel 1937, a bordo dell'"Aquila", aveva partecipato al pattugliamento delle coste spagnole per il controllo del contrabbando, secondo i sopraggiunti accordi internazionali; nel 1941 fu incaricato dal comando supremo di colmare, con il gen. U. Cappa, la gravissima lacuna del mancato coordinamento dell'aeronautica nella guerra marittima. La stesura del primo regolamento di interventi aerei sul mare fu della metà del 1941 e fu efficace, ma i primi frutti si videro solo nel 1942. Partecipò con la 9a divisione sotto il comando dell'ammiraglio A. Iachino alla battaglia di mezzo giugno. Ma non ebbe modo di intervenire nel combattimento, essendosi gli Inglesi ritirati prima del contatto. Il 6 ag. 1943 partecipò, al comando dell'8a divisione (con insegna sull'incrociatore "Garibaldi"), ad una delle ultime operazioni navali di guerra prima dell'armistizio. Salpò da Genova per dirigere verso Palermo e contrastare il traffico alleato verso quel porto, ma, avendo un aereo tedesco percepito grosse unità in movimento tra Ustica e la Sicilia, essendo scarsa la visibilità e mediocri le condizioni delle macchine del "Garibaldi", il F. virò di bordo, ritirandosi.
Comandante dei dipartimento militare marittimo di Taranto al momento dell'armistizio, si adoperò per far accettare le clausole di questo agli ufficiali dissenzienti, richiamandoli, con gli ammiragli A. da Zara e B. Brivonesi, al rispetto del giuramento e all'obbedienza; nei mesi successivi fu anche prefetto della città, addossandosi praticamente l'intera amministrazione del capoluogo e della regione. Organizzò in maniera efficace le operazioni di approvvigionamento, sanità, traffico, comunicazioni, divenendo il maggior responsabile logistico dell'apparato militare italiano che si andava ricostruendo al Sud e degli ingenti quantitativi di materiale bellico alleato che giungevano in quel porto.
Nell'immediato dopoguerra, accettato l'avvento della Repubblica (scrisse La marina italiana nella lotta per la Liberazione, Roma 1945), fu ispettore nell'Italia settentrionale e fece parte di una delle quattro commissioni di inchiesta per l'epurazione del personale di marina troppo compromesso con il fascismo.
Riprese gli studi per la difesa costiera dell'Adriatico e pubblicò Arte del comando, riflessioni (Livorno 1950), una somma delle sue precedenti esperienze in cui ritrovò il tono pacato e lungimirante dei suoi primi scritti. Insegnò alla scuola di guerra aerea a Firenze, tenne conferenze di storia e arte militare al Nato Defence College, alle università di Torino, Genova, Pisa; fu membro della World Ship Society di Londra, dell'Accadernia di marina di Parigi e dell'Istituto navale americano presso l'Accademia di Annapolis. Promosso ammiraglio di squadra nel 1953, fu direttore dell'Ufficio storico della marina tra il 1950 e il 1960 e sotto la sua supervisione uscirono diversi volumi della serie "La marina italiana nella seconda guerra mondiale". Venne edito più tardi (Roma 1973) Storia del pensiero tattico navale. Fu posto in congedo assoluto nel 1964.
Il F. morì a Roma il 18 febbr. 1975.
Fonti e Bibl.: Ministero della Difesa, Archivio dell'Ufficio stor. della Marina, Estratto matricolare; U. Cavallero, Comando supremo, diario 1940-43, Bologna 1948, p. 104; R. Bernotti, Storia della guerra nel Mediterraneo (1940-43), Roma 1960, p. 308; M. Gabriele, Operazione C/3: Malta, Roma 1965, pp. 7, 55 s., 62, 67, 83, 86, 107, 115, 117, 149, 165, 201; M.A. Bragadin, Il dramma della marina italiana, Milano 1968, pp. 328, 394; G. Bocca, Storia d'Italia nella guerra fascista 1940-43, Bari 1969, p. 406; Ufficio stor. della Marina militare, La marina italiana nella seconda guerra mondiale, Le azioni navali in Mediterraneo, V, Roma 1970, pp. 340, 342, 486 ss.; G. Rochat, Militari e politici nella preparazione della campagna d'Etiopia, Milano 1971, pp. 12, 108, 116; Ufficio stor. della marina militare, Gli incrociatori italiani, Roma 1971, p. 630; W. Polastro, La marina militare italiana nel primo dopoguerra (1918-1925), in Il Risorgimento, XXIX (1977), 3, pp. 127-170; G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo persico, Milano 1989, pp. 126, 307 ss., 389, 427, 443, 486, 517, 558, 588, 599.