ENRIE, Giuseppe
Figlio di Giorgio e di Rosa Derucelli, nacque a Ceresole d'Alba (provincia di Cuneo) il 9 nov. 1886.
Dopo avere compiuto gli studi classici l'E., oltre a dedicarsi saltuariamente al giornalismo, nel 1911 iniziò a interessarsi attivamente, sotto il profilo sia tecnico sia teorico, alla fotografia, della quale Torino era per molti aspetti l'ideale capitale d'Italia.
Tale tradizione si era avviata fino dall'anno dell'invenzione, il 1839, quando Carlo e Federico Jest avevano eseguito i primi dagherrotipi in città, dando inoltre alle stampe qualche anno dopo, in lingua italiana, uno tra i primi manuali di tecnica fotografica apparsi in Italia (M. A. Gaudin, Trattato teorico pratico di fotografia…, presso l'editore E. F. Jest, Torino 1845).
Nel 1911 ricorreva il cinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, che venne celebrato anche a Torino con grandi manifestazioni espositive, dove trovò ampio spazio e successo la fotografia; la città contava oltretutto sull'attività di importanti sodalizi culturali del settore, come la Società fotografica subalpina, fondata nel 1899, e sulla presenza di pubblicazioni specializzate, come La fotografia artistica, diretta da Annibale Cominetti, che si era confermata di rilievo internazionale a sette anni dalla sua fondazione.
L'E., che aveva un fratello, Angelo, a sua volta fotografo ritrattista oltre che pittore, rilevò proprio nel 1911 uno studio fotografico denominato "Fotografia nazionale di Bosco e Bricca", del quale in seguito l'E. cambiò la ragione sociale in "Fotografia nazionale del cav. Giuseppe Enrie", che aveva sede in via Garibaldi 26, dove tuttora operano Ezio, ed Elio Dutto, collaboratori dell'E. dal 1939 al 1961, e che gli sono succeduti nella conduzione della ditta.
L'E., come il fratello Angelo, d'altronde. si dedicò soprattutto alla fotografia di ritratto, ottenendo subito un notevole successo, sia per la perizia della tecnica d'illuminazione, sia per il rigore della composizione e del ritocco, secondo gli stereotipi figurativi più diffusi e consolidati in quegli anni nella ritrattistica internazionale d'atelier, dedicati soprattutto alla ricca borghesia cittadina. Contemporaneamente l'E., che a Torino diresse per alcuni anni la rivista specializzata Vita fotografica italiana (che ebbe periodicità saltuaria ed è di difficile reperimento), si impegnò anche nella ricerca fotografica d'avanguardia e presentò alcune di queste opere alla Esposizione di fotografia futurista allestita nel 1928 a Torino; si occupo inoltre di problemi teorici della fotografia e nel 1931 pubblicò un significativo saggio, La fotografia contro il suo assoluto (pp. 5 s.), nel catalogo della Mostra sperimentale di fotografia futurista, aperta a Torino tra il 15 marzo e il 6 aprile di quell'anno.
Dovettero essere anche queste credenziali di fotografo-intellettuale, oltre che la sua riconosciuta abilità tecnica, a procurargli nell'aprile del 1931 l'incarico di fotografare la S. Sindone, di proprietà di casa Savoia, in occasione dell'ostensione in duomo nel mese di maggio, ch'era stata decisa dal cardinale Maurilio Fossati per le nozze di Umberto di Savoia con la principessa Maria José del Belgio. L'E., per la sua profonda devozione religiosa, fu accolto come membro del sodalizio Cultores Sanctae Syndonis nel 1932.
L'E. avrebbe dovuto eseguire alcune fotografie della S. Sindone a trentatré anni di distanza da quelle ottenute dall'avvocato e fotografo dilettante Secondo Pia nel 1898, immagini che avevano suscitato tanto scalpore ed emozione in tutto il mondo, rivelando per la prima volta con sorprendente chiarezza, "in positivo" nella lastra negativa, l'immagine del corpo di un uomo il cui volto corrispondeva straordinariamente a quello tradizionale della iconografia di Gesù Cristo, flagellato e crocifisso.
Il lavoro dell'E. ebbe inizio il 3 maggio 1931 e si concluse il 24 dello stesso mese, con lo scopo, oltretutto, di approfondire lo studio fotografico della reliquia, che nessuno aveva affrontato, dopo il Pia, cui d'altronde si doveva una unica fotografia d'insieme, del formato di cm 53 per 14, della quale aveva poi ingrandito alcuni particolari. Avrebbe dovuto riprendere il sacro lenzuolo anche nei dettagli, per mettere "in luce nuovi pregi della Sindone … mentre i fedeli formulavano voti perché la nuova illustrazione fotografica venisse ad esaltare l'oggetto della loro venerazione, coi più moderni mezzi di convinzione e di propaganda", precisò lo stesso E. in un suo volume, La Santa Sindone rivelata dalla fotografia (Torino 1933, p. 7).
Le riprese eseguite dall'E. nel 1931 furono dodici, e precisamente: tre immagini d'insieme su lastre di formato 40 × 50 cm, 30 × 40 cm e 24 × 30 cm; cinque fotografie di dettagli, di cui tre dei volto, una del dorso e una della ferita del polso e della trama della tela, tutte su lastre di 40 × 50 cm; tre fotografie dell'insieme, ma suddiviso in tre parti eguali, e, infine, la S. Sindone, che nell'originale misura m 4,36 × 1,10, entro il quadro dell'ostensione, cosi come era stata esposta all'esterno del duomo alla venerazione dei fedeli. Quest'ultima fotografia venne realizzata su di una lastra ortocromatica di cm 18 × 24.
Tutte le altre fotografie vennero eseguite, a differenza di quella del Pia, togliendo dalla Sindone il vetro di protezione, per poter operare un rilievo di maggiore fedeltà; l'illuminazione, che per il Pia era dovuta a due lampade ad arco di 1.000 e 900 candele, questa volta fu della potenza totale di 16.000 candele, adattissima, scrisse l'E. nel suo volume La Santa Sindone…, che costituisce una sorta di diario dell'avvenimento, "per l'esatta visione e per la facoltà della riproduzione" (p. 81). Per le fotografie realizzate in interno l'E. usò lastre Cappelli della rapidità di 500º Hurter & Driffield; l'apparecchio fotografico, 40 × 50, montava, a seconda dei casi, un obiettivo Zeiss ortostigmatico di 46 cm di lunghezza focale, oppure un Tessar-Zeiss di mm 315, o uno Steinheil di cm 78; quest'ultimo aveva 6 cm di apertura utile, che venne ridotta a F 1:39, per ottenere una maggiore profondità di campo. Per aumentare il contrasto chiaroscurale, in alcune riprese l'E. applicò dinanzi all'obiettivo un filtro giallo Agfa nº 3. Le varie lastre vennero impressionate mediante una posa di nove minuti, per le più sensibili, e di tre per le altre. Alle operazioni di sviluppo, in una camera oscura improvvisata in un locale del duomo, presenziarono il dott. Paul Vignon, uno scienziato di Parigi, il salesiano don Tonelli e l'avv. Secondo Pia.
Per questa impresa, il 21 marzo 1934 l'E. venne ricevuto in particolare udienza dal papa Pio XI, al quale illustrò sinteticamente il lavoro compiuto.
L'E. continuò a dedicarsi per tutta la vita alla fotografia, a volte anche con intento artistico, mediante sovrimpressioni di gusto simbolistico, e scrivendo alcuni rigorosi manuali, tra cui la prima storia della fotografia dovuta a un autore italiano, Il miracolodella fotografia, Torino 1960.
L'E. mori a Torino l'11 nov. 1961.
Tra gli scritti dell'E., oltre a quelli citati all'interno della voce, si ricordano: Le ultime rivelazioni fotografiche, in L'ostensione della S. Sindone, Torino 1931; Io vi insegno la fotografia, ibid. 1934.
Fonti e Bibl.: L. Lovera di Maria, In memoria di G. E., in Sindon, Torino, dic. 1961, pp. 39 s.; E. Dutto-E. Dutto, Osservazioni alle riprese fotografiche del 1969, in Osservazioni alle perizie ufficiali sulla S. Sindone 1969-1976, Torino 1977, pp. 121 ss.; G. L. Marini, La foto più antica della storia, in Bolaffi Arte, VIII (1977), Suppl. al n 70, pp. 13, 80.