SCARLATTI, Domenico (Giuseppe Domenico). – Nacque a Napoli il 26 ottobre 1685, sesto di dieci figli di Antonia Anzalone e di Alessandro Scarlatti, musicista palermitano che l’anno prima si era trasferito da Roma a Napoli come maestro di cappella reale. Battezzato il 1° novembre nella chiesa di S. Maria della Carità, ebbe per padrini Eleonora Cárdenas (Cardines)
, principessa di Colobrano, e Domenico Marzio Carafa, duca di Maddaloni.
La formazione del ragazzo, soprannominato Mimmo, sarà stata curata dal padre e avrà beneficiato dell’ambiente familiare: le zie Anna Maria e Melchiorra e lo zio Tommaso erano cantanti, lo zio Francesco e il fratello maggiore Pietro compositori. Non risulta che abbia studiato con Francesco Gasparini o Bernardo Pasquini a Roma, né con Gaetano Greco a Napoli, come vorrebbero taluni biografi. Quindicenne, il viceré Medinaceli lo nominò organista e compositore nella cappella reale di Napoli (13 settembre 1701), con la funzione supplementare di suo «clavicembalista di camera».
Risalirebbero a quest’epoca le prime composizioni, nei tre diversi generi ch’egli coltivò poi in varie fasi della sua vita: un mottetto a 5 voci, archi e basso continuo (Antra, valles, divo plaudant a cura di D. Fabris, Madrid 2008); le tre sonate che nel catalogo Kirkpatrick (d’ora in avanti: K) sono numerate 287, 288 e 328, individuate come opere giovanili destinate all’organo; e, tra il 1699 e il 1703, le prime cantate da camera.
Nel 1702 Alessandro portò con sé Domenico in un breve viaggio a Firenze, alla corte del granprincipe Ferdinando de’ Medici, non senza una sosta a Roma per offrire al marchese Francesco Maria Ruspoli una cantata dello Scarlattino. Di ritorno a Napoli, tra il 1703 e il 1705, Domenico lavorò per il teatro di S. Bartolomeo, gestito dallo zio Nicola Barbapiccola: compose L’Ottavia ristituita al trono (‘melodramma»’ di Giulio Convò) e rimise a nuovo Il Giustino di Giovanni Legrenzi e l’Irene di Carlo Francesco Pollarolo. Sempre premuroso delle esperienze professionali del figlio, nel 1705 Alessandro lo mandò a Venezia con il castrato Nicolò Grimaldi, con una tappa a Firenze nella speranza di un incarico presso il granprincipe. In una famosa lettera così scrisse a Ferdinando: «Io l’ho staccato a forza da Napoli, dove, benché avesse luogo il suo talento, non era talento per quel luogo. L’allontano anche da Roma, perché Roma non ha tetto per accoglier la musica, che ci vive mendica. Questo figlio ch’è un’aquila cui son cresciute l’ali non deve star oziosa nel nido, ed io non devo impedirle il volo» (30 maggio 1705; Pagano, 2015, p. 253). Ma il granprincipe Medici si limitò a lodarne il talento.
Poco si sa del soggiorno a Venezia, da dove, con lettera del 12 dicembre 1705, il musicista ventenne inviò a monsignor Annibale Albani una cantata (non identificata; Della Libera, 2011, p. 207). Charles Burney (1789, IV, p. 263) riferisce di un primo incontro con il clavicembalista inglese Thomas Roseingrave, il quale, stupefatto del demoniaco virtuosismo del collega, divenne poi il principale fautore della sua musica in Inghilterra: ma l’aneddoto, se è vero, deve risalire all’epoca del viaggio di Roseingrave in Italia (dicembre del 1709), la stessa in cui si collocherebbe un episodio del tutto simile – mitico anch’esso? – riferito da John Mainwaring nella biografia di Georg Friedrich Händel (1760): «Fu scoperto ad una mascherata, mentre suonava il cembalo, anche lui in maschera. Capitò che fosse presente Scarlatti, il quale affermò che non si poteva trattare che del famoso Sassone, oppure del diavolo in persona» (Memoria della vita del fu G.F. Händel, a cura di L. Bianconi, Torino 1985, p. 33).
Scarlatti, che a Venezia non trovò impiego, nel 1708 si stabilì a Roma, dove Alessandro era ritornato nel 1703 con la famiglia. Sempre a detta di Mainwaring, il cardinale Pietro Ottoboni, patrono di Alessandro, avrebbe promosso un’altra gara tra i due brillanti coetanei, Händel e Scarlatti (ibid., p. 35). Alessandro, allora alla testa della cappella liberiana in S. Maria Maggiore, chiamò presso di sé il figlio come direttore del secondo coro nella messa di Spagna per sant’Ildefonso (23 gennaio 1708) e come organista in quella del settembre successivo. Alcune composizioni di Domenico vi vennero eseguite, come la Missa La stella (a cura di E. Simi Bonini, Roma 1985), conservata con alcuni mottetti nell’archivio di S. Maria Maggiore.
Apprezzato dalla nobiltà romana, Domenico ebbe un posto di spicco come maestro di cappella della regina Maria Casimira di Polonia, vedova di Giovanni III Sobieski, che, nel 1699, si era stabilita a Roma ed emulava il mecenatismo artistico espresso da Cristina di Svezia nel secolo precedente (lo stesso Alessandro era stato al suo servizio nel 1708).
Per la regina Domenico compose l’oratorio La conversione di Clodoveo (settembre 1709) e sette opere recitate per Carnevale nel teatrino di palazzo Zuccari, architettura e scene del messinese Filippo Juvarra: il dramma pastorale La Silvia (1710) e i drammi per musica Tolomeo et Alessandro overo La corona disprezzata e L’Orlando overo La gelosa pazzia (1711), Tetide in Sciro (1712), Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauri (1713) e Amor d’un’ombra e gelosia d’un’aura (1714). Oratorio e drammi ebbero libretti di squisito gusto classicistico, autore il segretario della regina, Carlo Sigismondo Capece, arcade come lei (e come Alessandro Scarlatti). Due sole di queste opere, Tolomeo e Tetide, sono pervenute in partiture più o meno complete; di una terza, Amor d’un’ombra, fu poi stampata una versione rimaneggiata sotto il titolo Narciso (London 1720). La recente riscoperta della partitura di Tolomeo (edita in Domenico Scarlatti’s «Tolomeo et Alessandro»: an investigation and edition, a cura di K. De La Matter, Ph.D. diss., City University of London, 2011) ha consentito di rivalutare appieno la musica teatrale di Scarlatti, spavalda ed elegante nel focalizzare sulla patetica rappresentazione degli affetti e dei conflitti ogni risorsa armonica, melodica e ritmica. Per la regina, Scarlatti compose inoltre cantate, serenate e oratori, tra cui l’Applauso devoto al nome di Maria santissima (settembre del 1712) e la serenata Clori e Fileno (1712).
Nel 1714, sommersa dai debiti, Maria Casimira riparò in Francia (morì poco tempo dopo). Nello stesso anno Scarlatti ottenne la protezione del mecenate che gli avrebbe spalancato una nuova carriera nella penisola iberica, Rodrigo Anes de Sá Almeida e Menezes, marchese de Fontes, ambasciatore straordinario del Portogallo a Roma. Nel libretto della serenata Applauso genetliaco, data il 10 agosto su una scena provvisoria dirimpetto all’ambasciata in piazza Colonna per la nascita del principe ereditario Giuseppe, Scarlatti risulta «mastro di cappella» del diplomatico. Non si ha notizia di altre attività musicali di Scarlatti per conto del marchese, ma il rapporto dovette avere un seguito, se cinque anni dopo Domenico fu assunto alla corte portoghese.
Frattanto Scarlatti coltivò una carriera di musicista da chiesa. Da fine 1713 assisté Tommaso Baj, maestro della cappella Giulia in S. Pietro; alla sua morte (22 dicembre 1714) gli succedette. Nel 1715 fu affiliato alla Congregazione dei Musici di santa Cecilia.
Del considerevole incremento di composizioni ecclesiastiche che il servizio vaticano dovette comportare rimangono scarse tracce, in particolare due Miserere conservati nel fondo della cappella Giulia e forse il famoso Stabat mater a 10 voci (edito a cura di R. Scandrett, Stuttgart 1986), documentato in numerose copie, del quale peraltro non è certo se sia stato scritto per Roma oppure per Lisbona (d’Alvarenga, 2008, p. 54). Un’idea dell’entità della produzione vaticana di Scarlatti la dà un inventario di manoscritti (perduti) dell’archivio della cappella Giulia risalente al 1770: registra sette messe e una cinquantina di pezzi sacri (Rostirolla, 2014, pp. 497-500).
A detta del diario di David Nairne, che in qualità di segretario del pretendente cattolico al trono inglese, Giacomo III Stuart, soggiornò a Roma dal 22 maggio al 17 luglio 1717, Domenico si esibiva come cantante in palazzi privati, a conferma della formazione polivalente dei musicisti dell’epoca: il 3 giugno 1717, nel palazzo della principessa Teresa Albani, «M. Scarlatti le jeune, grand musicien, joua du clavessin et chanta» (Pagano, 2015, p. 365). Tra il 1708 e il 1719 svariate sue cantate e serenate furono eseguite in spazi nobiliari o pubblici, inclusi palazzo Mignanelli (del principe Guido Vaini), il palazzo Apostolico e il Campidoglio, dove nel 1711 fu data La virtù in trionfo, per commissione dell’Accademia di S. Luca. A Roma, Domenico scrisse sia cantate da camera (almeno 18, Fabris - Veneziano, 2010, p. 106), sia partiture operistiche per il teatro Capranica: nel 1715 Ambleto (libretto di Apostolo Zeno e Pietro Pariati) e gli intermezzi La Dirindina (Girolamo Gigli; edizione a cura di F. Degrada, Milano 1985), una salace satira del sottobosco operistico, che però non andò in scena (fu allestita solo nel 1729, al Valle, tra gli atti di una tragedia in prosa) e nel 1718, in collaborazione con Nicola Porpora, Berenice regina di Egitto (Antonio Salvi).
Nel 1719 Scarlatti lasciò il posto di maestro della cappella Giulia per entrare al servizio del re di Portogallo, Giovanni V di Braganza (1707-1750). Ma una nota nei diari vaticani del 3 settembre lo dà partito per l’Inghilterra, non per Lisbona. Non vi è certezza di questo viaggio per Londra, ma siccome Domenico arrivò in Portogallo in novembre, la cosa non è impossibile. Il 30 maggio 1720 il Narciso, ossia Amor d’un’ombra adattato da Paolo Rolli e Roseingrave, andò in scena a Londra: all’epoca Domenico era ormai a Lisbona, ma suo zio Francesco era sul Tamigi e uno dei direttori della nuova Royal Academy of music, Thomas Coke, che aveva assistito alle recite romane dell’opera originale, potrebbe averne favorita la ripresa londinese.
Giovanni V riformò gli organismi musicali di corte in conformità con l’erezione della cappella reale al rango di basilica patriarcale, concessa da Clemente XI nel 1716, il che comportò l’adozione dei modelli cerimoniali e musicali delle cappelle e basiliche pontificie. In questo contesto va vista l’assunzione di Scarlatti e di vari cantori della cappella Giulia. Scarlatti arrivò a Lisbona il 29 novembre 1719, «impazientemente atteso dal Re», come scrisse il nunzio Vincenzo Bichi (Doderer - Rosado Fernandes, 1993, pp. 92 s.); accolto a palazzo, cantò accompagnato dalla regina Maria Anna d’Austria. Assunto come compositore della cappella patriarcale e maestro di musica della famiglia reale, ebbe due alunni di talento: il fratello minore del re, António, che nel 1732 fu poi il dedicatario delle Sonate da cimbalo di piano e forte di Lodovico Giustini da Pistoia (la prima edizione musicale espressamente destinata al pianoforte), e Maria Barbara (nata nel 1711), che, ben presto divenuta un’egregia interprete di musica da tasto, stabilì con Domenico una relazione artistica e didattica destinata a durare una vita intera.
Nell’apparato musicale della monarchia portoghese il ruolo di maggior prestigio era quello di compositore di corte (o della Camera reale, come fu poi chiamato nel secondo Settecento), unito alle funzioni di maestro di musica delle altezze. Come nella cappella pontificia, il maestro della patriarcale poteva essere indifferentemente un cantore o un compositore. Una insufficiente comprensione di questa peculiarità ha innescato taluni equivoci storiografici: così la qualifica di «Capellmeister» nell’elenco dei musicisti del 1728 pubblicato da Johann Gottfried Walther (Musicalisches Lexicon, Leipzig 1732, p. 489), non suffragata da documenti diretti, va intesa in senso generico (‘musicista di rango’). In aggiunta alle mansioni di «capo e direttore di tutta la sua musica della Patriarcale», di cui parla il nunzio apostolico (21 novembre 1719; in Doderer - Rosado Fernandes, 1993, p. 93), Scarlatti doveva provvedere alle serenate e cantate per i genetliaci e gli onomastici della famiglia reale e per altre occasioni festive, secondo un uso che la regina aveva introdotto sull’esempio della corte di Vienna.
Il soggiorno portoghese fu interrotto a più riprese. Tra il 1723 e il 1725 Scarlatti fu variamente a Napoli (via Londra?), Parigi, Roma e di nuovo Parigi. Un soggiorno romano nella seconda metà del 1724 è testimoniato dall’autobiografia di Johann Joachim Quantz, una visita all’anziano genitore a Napoli è riferita da Johann Adolf Hasse e Burney. I carteggi dell’ambasciatore Luís da Cunha documentano la presenza di Domenico a Parigi nel maggio del 1724 e nell’agosto del 1725 e la concessione di 2500 cruzados portoghesi per spese di viaggio; da una lettera del 18 agosto 1725, di cui Domenico fu il latore, risulta ch’egli «teve aqui [in Parigi] muyta estimação e aplauzo, pela sua grande habilidade e dezenteresse» (d’Alvarenga, 2008, p. 22): dunque si era esibito in pubblico.
Sulla sua attività dopo il rientro a Lisbona la documentazione scarseggia. Un manoscritto inedito (Diários de notícias de Lisboa, 1° dicembre 1725 - 11 ottobre 1727, dedicato a Teresa Marcelina da Silveira, contessa Sarzedas, collezione privata) riferisce il successo di una «Serenata de Escarlatti» data il 12 gennaio in casa del conte di São Miguel e conferma che fu dell’«Escarlate» la serenata del 26 luglio 1726, onomastico della regina, a palazzo reale: il che consente di attribuirgli la musica di Andromeda (il libretto, adespoto, è nella Biblioteca nazionale di Lisbona).
Nel febbraio del 1727 Scarlatti ritornò a Roma, grazie a un sussidio regale di 1000 scudi per il viaggio. Il 15 maggio 1728, in S. Pancrazio, il musicista quarantaduenne sposò Maria Caterina Gentili, puella romana di 16 anni. All’andata (7-8 aprile 1727) e al ritorno (26-28 giugno 1729) passò per Massa: ospite dei duchi Malaspina, «cantò e sonò egregiamente» (Giampaoli, 1978, pp. 63 s.). Ritornò a Lisbona «acompanhado da mulher e dois filhos» (da un diario conservato a Évora, Biblioteca pública, Cód. CIV/1-5 d, p. 19; 27 settembre 1729), ma di questa prole non vi è altra traccia.
Nel periodo lisbonese compose almeno 23 opere di grande mole. Dalla corrispondenza del nunzio apostolico e dalla Gazeta de Lisboa (d’Alvarenga, 2008, pp. 58-61) si ha notizia di 11 serenate: di tante composizioni – tra cui Il trionfo della Virtù e Cantata pastorale (1720), Gli amorosi avvenimenti (1722), Amore nasce da un sguardo (1725), Festeggio armonico (1728) – non sopravvive altro che la prima parte della Contesa delle stagioni (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, ms. It.IV.198 = 9769), data il 7 settembre 1720 per il genetliaco della regina. Delle musiche da chiesa composte in Portogallo restano un Laetatus sum, il mottetto Te gloriosus e un Te Deum a otto voci (in varie copie). Quest’ultimo brano, per l’officio del mattutino, non va confuso con il Te Deum a quattro cori (perduto) eseguito in un grandioso rendimento di grazie a san Silvestro del 1721 nella chiesa gesuitica di S. Roque. Ma stando al Breve rezume de tudo o que se canta en cantochão e canto de orgão pellos cantores na santa igreja patriarchal (d’Alvarenga, 2008, pp. 52 s., 65 s.), la produzione sacra di Scarlatti eseguita nella capitale, ben più ingente, incluse serie complete di responsori per l’Immacolata Concezione e la Natività e svariati mottetti.
La scarsità di sonate di Scarlatti nelle fonti portoghesi contrasta con il suo ruolo di insegnante della principessa Maria Barbara e con il favore di cui esse godevano a corte e presso la nobiltà: fu forse colpa del terremoto del 1755. Anche dopo che Domenico ebbe lasciato il Paese continuarono le richieste di copie delle sue sonate per la corte portoghese, come risulta dalla corrispondenza del segretario particolare del sovrano, Alexandre de Gusmão, nel 1747 e nel 1751: «Têm-nos vindo bastantes sonatas novas de Scarlatti, e muitas bem saborosas» (12 agosto 1747, in Brito, 1992, p. 526). Fatto sta che soltanto quattro sonate in manoscritti di musica da tasto portoghesi del secondo Settecento e del primo Ottocento sono concordemente accettate come antesignane degli Essercizi del 1738 (d’Alvarenga, 2008, p. 56); tra queste spicca la Sonata n. 25 in La maggiore contenuta nel Libro di tocate per cembalo, oggi nella Biblioteca nazionale di Lisbona (facsimile a cura di G. Doderer, Lisboa-Regensburg 1991).
Scarlatti, allora a Roma, non presenziò all’esecuzione del Festeggio armonico (Lisbona, 11 gennaio 1728) da lui composto per le doppie nozze reali di Maria Barbara con l’erede al trono di Spagna, il futuro Fernando VI, e di Marianna Vittoria di Borbone con il principe Giuseppe, futuro re del Portogallo; né prese parte al corteo cerimoniale della troca das Princesas (lo ‘scambio delle principesse’) sul fiume Caia alla frontiera tra i due reami, cui intervenne invece il compositore Francisco António de Almeida (J. da Natividade, Fausto de Hymeneo, Lisboa 1752, pp. 157, 176). Poco dopo il rientro a Lisbona, nel 1729, a Domenico fu ordinato di mettersi in viaggio per Siviglia, al seguito dell’augusta discepola.
Tra il 1729 e il 1733 la corte di Filippo V e Isabella Farnese risiedette a Siviglia per volontà della regina, desiderosa di scongiurare l’abdicazione del consorte, afflitto da gravi depressioni. In quel quinquennio (il cosiddetto lustro regale) la città andalusa – la prima dove abbia soggiornato Scarlatti in Spagna – ospitò musicisti, pittori e artisti di ogni genere. Dalla posizione pubblica detenuta in Lisbona, che abbracciava i diversi organismi musicali della corte e le funzioni di rappresentanza della monarchia in campo sacro e profano, il musicista passò alla condizione esclusivamente privata di maestro di musica della principessa delle Asturie. Il che, almeno in parte, spiega la modesta visibilità di cui godette poi nella corte spagnola assai più che non l’ipotesi di un improbabile ostracismo della regina Isabella nei confronti dei principi ereditari, o il cono d’ombra proiettato dalla luminosa posizione che Carlo Broschi (Farinelli), vi tenne a partire dal 1737. Alcune serenate di Scarlatti già eseguite a Lisbona furono riprese a Siviglia: è il caso di Amor nasce da un sguardo, data il 27 dicembre 1725 sul Tago per l’onomastico di Giovanni V e ripetuta sul Guadalquivir il 1° maggio 1731 per l’onomastico di Filippo V. L’elenco delle musiche possedute da Maria Barbara, passate poi a Farinelli, menziona una pastorale e ben 14 serenate a 4-8 voci di Scarlatti (Cappelletto, 1995, pp. 211-221), che peraltro potrebbero ben risalire al periodo lusitano.
Rientrata la corte a Madrid, nel 1733 Scarlatti prese casa in calle Ancha de S. Bernardo; l’anno dopo assistette all’incendio che distrusse il palazzo reale, ivi compreso l’archivio musicale della cappella regia. La vita quotidiana dei principi delle Asturie si divideva tra i diversi sitios reales (El Escorial, la Granja de S. Ildefonso, Aranjuez) e spesso Scarlatti li accompagnava.
Dedicati al re Giovanni V, gli Essercizi per gravicembalo (K 1-30) incisi a Londra nel 1738 in una bella edizione di Benjamin Fortier, impreziosita da un’antiporta di Iacopo Amigoni (facsimile Farnborough 1967), diedero grande impulso alla notorietà europea di Scarlatti. Prima di questa vi era stata un’edizione parigina, probabilmente non autorizzata (1737; Duron, 2012). Dal canto suo Roseingrave pubblicò a Londra in simultanea con l’edizione Fortier una diversa raccolta degli stessi 30 brani, accresciuta di 12 sonate (K 31-42).
Il 21 aprile 1738 il re del Portogallo aveva insignito Scarlatti del titolo di cavaliere dell’Ordine di Santiago e, con decreto del 10 giugno 1739, gli concesse un appannaggio vitalizio annuo di 400.000 réis portoghesi, da dividere in parti eguali tra i discendenti dopo la morte. Deve risalire a quest’epoca il noto ritratto di Scarlatti, già attribuito a Domingo Antonio Velasco (Prozhoguin, 2010, pp. 127-146), oggi nella collezione José Relvas, Casa dos Patudos (Museo di Alpiarça).
Nel 1746, morto Filippo V, Fernando e Maria Barbara assursero al trono di Spagna. L’ascesa al soglio dei suoi padroni non comportò per Domenico un ritorno ai grandi generi vocali drammatici: al contrario, continuò nel ruolo di maestro di musica privato dei monarchi. Sotto il nuovo sovrano la direzione delle opere in musica e delle feste reali fu affidata a Farinelli, impiegato a corte, come detto, dal 1737. Pur essendo stato chiamato a Madrid da Isabella Farnese, il castrato aveva instaurato uno stretto rapporto con gli sposi principeschi, prendendo parte agli intrattenimenti musicali nei loro appartamenti privati: alcune cantate da camera della maturità di Scarlatti potrebbero essere state concepite per lui.
Il rapporto di simbiosi musicale tra Domenico e Maria Barbara, clavicembalista e compositrice dalle doti tecniche e artistiche elevate; il contatto con le più diverse tradizioni della musica iberica, oltre che di quella italiana, stante il contesto musicale di corte e la vasta biblioteca musicale della regina; la disponibilità di una vasta scelta tra cembali, clavicordi e pianoforti raccolti dalla real discepola: l’insieme di questi fattori rappresentò una fonte d’ispirazione inesauribile per Scarlatti, il quale doveva bensì aver conosciuto – a Firenze, a Roma (presso Ottoboni), a Lisbona – il nuovo clavicembalo a martelletti «col piano e forte». Tuttavia la stragrande maggioranza delle sonate dette fondo ai caratteri idiomatici peculiari del clavicembalo a corde pizzicate (a uno o due manuali). Domenico dovette anche impartire lezioni di cembalo a Fernando VI, come risulta dalla dicitura apposta sulle Sonate K 480 e 487 in un manoscritto di brani di Scarlatti e Antonio Soler, altro probabile suo alunno (New York, Pierpont Morgan Library, ms. 316355). Almeno a due riprese, nel 1744 e nel 1748, fu ventilata la possibilità di una visita di Scarlatti a Lisbona, che però non si concretò (Brito, 1992, p. 526).
Nell’ultima fase della carriera, per volontà della regina, Scarlatti progettò il riordino delle sonate e la confezione dei volumi manoscritti che le contengono quasi tutte, disposte perlopiù a coppie della stessa tonalità (sulla questione degli accoppiamenti si veda Sutcliffe, 2003, pp. 367-375). Risale al 1742 la copiatura di un volume di 61 sonate, al 1749 un altro di 41. Nel 1752 il lavoro fu ripreso forse dal copista Joseph Alaguero (Pedrero Encabo, 2012, pp. 155 s.), che in un quinquennio ricopiò 28 volumi, in due serie quasi gemelle passate poi a Farinelli: i volumi I-XIII della prima, adornati di fregi e stemmi portoghesi e spagnoli, sono infine approdati con quelli del 1742 e 1749 a Venezia (Biblioteca nazionale Marciana; facsimile, I-XV, Firenze 1985-1992), i quindici della seconda a Parma (Biblioteca Palatina; facsimile, I-XVIII, New York-London 1972).
La prima moglie di Domenico, Maria Caterina Gentili, era morta ventisettenne il 6 maggio 1739. Avevano avuto cinque figli: Juan Antonio (1729-1749 ca.), Fernando (1731-1794), Mariana (1734-1749/1751), María (1735-1757 ca.) e Alejandro (1736-1754). Nel 1741 il musicista sposò Anastasia Ximenes Parrado Macarti (1727-1768), originaria di Cadice, che, tra il 1743 e il 1749, gli diede quattro figli: Bárbara (1743-1763), Rosa (1745-post 1768), Domingo (1747-post 1815) e Antonio (1749-post 1818). Negli ultimi anni Domenico tenne vita ritirata. In una lettera indirizzata al duca di Huéscar in data incerta (anni Quaranta-Cinquanta, Prozhoguin, 2008) scrisse: «Io non posso uscir di casa», forse per un’invalidità. Nella stessa lettera si doleva dei «moderni teatristi compositori», ignoranti del vero contrappunto. E però, stando al resoconto di una conversazione che il medico austriaco Alexandre-Louis L’Augier, viaggiatore e melomane, ebbe con Scarlatti intorno al 1755, il compositore avrebbe a sua volta riconosciuto «di avere infranto tutte le regole della composizione nelle sue Sonate», suo unico intento essendo peraltro «di non dispiacere al solo senso cui si rivolge la musica, l’udito» (Burney, 1773, p. 248). Risalgono agli ultimi anni due composizioni da chiesa antitetiche nello stile: una Missa quatuor vocum del 1754 in ‘stile antico’ (edita a cura di R. Scandrett, Stuttgart 1985) e lo struggente Salve Regina per soprano, archi e continuo (edito a cura di R. Ewerhart, Köln 1960), che si rifà alla grande tradizione vocale napoletana.
Morì il 23 luglio 1757 nella sua casa di Madrid, in calle de Leganitos, e fu inumato nella chiesa (oggi distrutta) del convento di S. Norberto. Il 27 agosto 1758 morì Maria Barbara; il re Fernando morì, demente, il 10 agosto 1759. I due sovrani avevano assicurato alla vedova e ai sei figli superstiti una congrua pensione, cui se ne aggiunse una del re del Portogallo.
Charles Burney raccolse le voci correnti circa la presunta ludopatia del musicista, che si sarebbe rovinato al tavolo da gioco (G. Sacchi, Vita del cavaliere don Carlo Broschi, Venezia 1784, pp. 29 s.). Nondimeno, l’inventario dei beni lasciati dal defunto include pezzi di mobilio e dipinti di pregio ed è piuttosto improbabile che la vedova e i figli fossero ridotti in ristrettezze (Tortella Casares, 2007, p. 28; Prozhoguin, 2010). Il testamento del 1749 nomina come eredi i nove figli. Le carte dell’Archivo histórico de protocolos di Madrid, successive alla morte di Domenico, consentono di ricostruire l’albero genealogico delle generazioni seguenti (Kirkpatrick, 1953; Tortella, 2007; Prozhoguin, 2010) e almeno in parte la rete dei contatti della famiglia.
Il lascito artistico di Domenico Scarlatti è sempre rimasto vivo, in particolare per la musica da tasto; ma l’assenza di fonti autografe e la mancanza di datazioni certe ha ostacolato la ricostruzione di un tracciato stilistico evolutivo: donde diversi tentativi di ordinamento cronologico (Kirkpatrick, 1953; Pestelli, 1967; Fadini, 1986; Flannery, 2004). Roseingrave gettò le basi del precoce culto di Scarlatti in Inghilterra, alimentato anche da Charles Avison, Thomas Arne e Muzio Clementi. (Lawrence Sterne prese a paragone la Sonata K 29, trascritta per archi da Avison nel 1744, per connotare il temperamento furioso del padre di Tristram Shandy nell’omonimo romanzo). Nel 1740-1742 una ristampa parigina delle sonate edite da Roseingrave alimentò la fama di Scarlatti in Francia. L’abate romano Fortunato Santini possedette centinaia di sonate, che fece conoscere a pianisti famosi come Johann Baptist Cramer e Franz Liszt. Una raccolta appartenuta al diplomatico melomane vallone Adéodat-Joseph- Philippe du Beyne de Malechamp (poi acquistata a Vienna dall’arciduca Rodolfo nel 1814), l’uso didattico delle sonate da parte di Carl Czerny, un’edizione tedesca di Hans von Bülow (sia pure ‘emendata’ in stile bachiano) e l’interesse palesato da Johannes Brahms, alacre collezionista di sonate scarlattiane, perpetuarono il ricordo del compositore nel mondo tedesco fino al Novecento. Alla prima edizione completa delle sonate allora note, curata dal pianista calabrese Alessandro Longo (1906-1910), e alla prima indagine critica (Gerstenberg, 1933), tenne dietro la capitale monografia di Ralph Kirkpatrick (1953), che dettò la catalogazione tuttora vigente delle 555 sonate da tasto. Nel 1985 il terzo centenario ha dato nuovo impulso agli studi scarlattiani, sui quali spiccano le monografie di Roberto Pagano (tre edizioni, 1985-2015) e di Malcolm Boyd (1986), che per primo ha opportunamente illustrato anche i versanti vocali della produzione di Domenico. Nuove edizioni critiche delle sonate si devono a Kenneth Gilbert (Paris 1971-1984) ed Emilia Fadini (edite da Casa Ricordi a partire dal 1978); nuove fonti scoperte tra l’altro a Torino, Lisbona, Saragozza, Madrid, Valladolid e Barcellona hanno ampliato il perimetro della loro fortuna coeva. La musica di Domenico Scarlatti ha infine lasciato un’impronta incisiva su compositori del Novecento come Igor′ Stravinskij, Manuel de Falla, Alfredo Casella, Béla Bartók, Goffredo Petrassi e Salvatore Sciarrino.
Nell’avvertimento premesso agli Essercizi l’autore dichiara: «Non aspettarti, o dilettante o professor che tu sia, in questi componimenti il profondo intendimento, ma bensì lo scherzo ingegnoso dell’arte, per addestrarti alla franchezza sul gravicembalo». Con accorta litote, la formula addita le tre componenti fondanti della sonata scarlattiana. In primo luogo, un controllo della dottrina compositiva – posseduta nei più sottili arcani contrappuntistici, armonici e fraseologici – così totale da lasciarsi dissimulare sotto un velo di noncurante eleganza e sprezzatura. In secondo luogo, il piacere, al tempo stesso intellettuale e sensuale, tanto dell’inventio estrosa (nel caleidoscopio combinatorio dei soggetti, nei contrasti ex abrupto, nei voltafaccia repentini dal modo maggiore al minore, negli scarti sorprendenti, negli inceppi e ripartenze a rotta di collo, nelle reiterazioni ossessive, nell’accumulo di cadenze sospese, interrotte, d’inganno) quanto dell’elocutio ghiribizzosa (nella frequente imitazione di passi di danza e clangori chitarristici, nell’incastro di ritmi binari e ternari, nello scialo di dissonanze vuoi strutturali vuoi coloristiche, nelle appoggiature deliziose e nelle acri acciaccature, nel brivido delle modulazioni vertiginose e inaudite), la dispositio essendo invece prestabilita: le sonate di Scarlatti sono di regola in un sol movimento, bipartito, e in ciascuna delle due parti prevedono taluni punti obbligati di rottura e di svolta. In terzo luogo, lo sfruttamento – a piene mani, letteralmente, e sotto il segno di uno spavaldo impassibile esibizionismo – di tutte le risorse idiomatiche dello strumento a tastiera, in una profusione di arpeggi, salti di registro, acrobatici incroci di mano, note ribattute, trilli e mordenti, raddoppi per terze, seste e ottave, che mettono a duro cimento la perizia dell’esecutore, oscillando tra estremo nitore e congesto turgore sonoro. Nell’insieme, le sonate di Scarlatti sono un miracolo senza paragoni nel panorama, pur così florido, della musica europea del suo secolo.
Dall’alto del suo «splendido isolamento» (Sutcliffe, 2003, p. VII), Domenico Scarlatti, un artista inclassificabile tanto nel profilo biografico quanto nello stato delle fonti o nella definizione stilistica, sfida lo storico, come il musicologo: donde una gran varietà di prospettive critiche e di divergenze ermeneutiche. Recepito per un verso come eroe di una presunta ‘arte latina’ opposta alla tradizione austro-tedesca, per l’altro come portabandiera musicale di questo o quel Paese, vantandone di volta in volta la sorgiva italianità o la quintessenziale ispanitudine, Domenico continua a proiettare immagini contrastanti, sospese tra estrema, sublime stilizzazione del contegno barocco e spiritata, indagatrice inquietudine illuministica.
Ricerche recenti hanno aperto importanti spiragli sulla musica vocale, ma sono beninteso le sonate, mille volte registrate su disco, a esercitare un fascino irresistibile su interpreti, musicologi e melomani, a scatenare vivaci dibattiti circa la liceità dell’esecuzione al pianoforte anziché al cembalo, il risalto degli stilemi spagnoli, la pertinenza dei riferimenti al flamenco, al folklore andaluso, al cante jondo, l’intrinseca teatralità, il rapporto con la musica da ballo, la componente improvvisativa, le finalità didattiche, l’adeguatezza dei metodi analitici moderni e degli approcci critico-stilistici, la storia dell’interpretazione (Baiano - Moiraghi, 2014).
Fonti e Bibl.: Cataloghi sommari ma esaurienti delle opere di Scarlatti sono in R. Pagano - M. Boyd, (G.)D. S., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXII, London-New York 2001, pp. 398-417, e in D. Fabris, (G.)D. S., in MGG Online, a cura di L. Lütteken, Kassel-Stuttgart-New York 2016, https://mgg-online.com/article?id=mgg 11433&v=2.0&rs=id-251bf247-90a9-e500-5383-900984365bb6 (16 marzo 2018). La bibliografia scarlattiana è compendiata in C.F. Vidali, Alessandro and D. S.: a guide to research, New York-London 1993, e in R. Pagano, Alessandro e D. S. Due vite in una, Lucca 2015, nonché in varie collettanee: Händel e gli S. a Roma. Atti del Convegno internazionale di studi, Roma... 1985, a cura di N. Pirrotta - A. Ziino, Firenze 1987; D. S. e il suo tempo. Atti del Convegno di studi, Siena... 1985, Firenze 1990; D. S. adventures, a cura di M. Sala - W.D. Sutcliffe, Bologna 2008; D. S. en España. Actas de los Symposia FIMTE, 2006-2007, a cura di L. Morales, Almería 2009; D. S.: musica e storia. Atti del Convegno internazionale..., 2007, a cura di D. Fabris - P. Maione, Napoli 2010. Qui si segnalano le pubblicazioni anteriori più cospicue e quelle citate nel testo: C. Burney, The present state of music in Germany, London 1773, pp. 247-249; Id., A general history of music, III-IV, London 1789, ad ind.; U. Prota-Giurleo, Alessandro Scarlatti «il Palermitano». La patria e la famiglia, Napoli 1926; W. Gerstenberg, Die Klavierkompositionen D. S.s, Regensburg 1933; R. Kirkpatrick, D. S., Princeton 1953 (trad. it. Torino 1984); G. Pestelli, Le sonate di D. S., Torino 1967; S. Giampaoli, Musica e teatro alla corte di Massa, Massa 1978; J. Sheveloff, D. S.: tercentenary frustrations, in Musical Quarterly, LXXI (1985), pp. 399-436, LXXII (1986), pp. 90-118; M. Boyd, D. S., master of music, London 1986; E. Fadini, Hypothèse à propos de l’ordre des Sonates dans les manuscrits vénitiens, in D. S. 13 Recherches. Actes du Colloque international de Nice 1985, Nice 1986, pp. 43-51; M.C. Brito, Novos dados sobre a música no reinado de D. João V, in Livro de homenagem a Macario Santiago Kastner, Lisboa 1992, pp. 513-533; G. Doderer - C. Rosado Fernandes, A música da sociedade joanina no relatórios da Nunciatura Apostólica em Lisboa (1706-1750), in Revista portuguesa de Musicologia, 1993, vol. 3, pp. 69-146; S. Cappelletto, La voce perduta: vita di Farinelli, evirato cantore, Torino 1995; F. Degrada, Tre ‘lettere amorose’ di D. S., in Il Saggiatore musicale, 1997, vol. 4, pp. 271-316; Id., Una nuova serenata di D. S., in Revista portuguesa de musicologia, 1997-1998, voll. 7-8, pp. 133-148; M.T. Fernández Talaya, Memoria con las ultimas voluntades de D. S., in Revista de musicología, XXI (1998), pp. 155-164; W.D. Sutcliffe, The keyboard sonatas of D. S. and eighteenth-century musical style, Cambridge 2003 (recensione di G. Pestelli, in Il Saggiatore musicale, 2006, vol. 13, pp. 395-406); M. Flannery, A chronological order for the keyboard sonatas of D. S. (1685-1757), Lewiston (N.Y.) 2004; J. Tortella Casares, 24 documentos sobre S. en el Archivo Histórico de Protocolos de Madrid, Madrid 2007; J.P. d’Alvarenga, D. S. in the 1720s: Portugal, travelling, and the Italianization of the Portuguese musical scene, in D. S. adventures, a cura di M. Sala - W.D. Sutcliffe, Bologna 2008, pp. 17-68; S.N. Prozhoguin, Rileggendo la lettera di D. S., ibid., pp. 69-154; D. Fabris - G. Veneziano, Le cantate da camera di D. S., in La cantata da camera intorno agli anni italiani di Händel, a cura di M.T. Gialdroni, Roma 2009, pp. 183-210; Iid., Le cantate “giovanili” di D. S., in D. S.: musica e storia, a cura di D. Fabris - P. Maione, Napoli 2010, pp. 91-114; S.N. Prozhoguin, Cinque studi su D. S., in Ad Parnassum, 2010, vol. 8, n. 16, pp. 97-198; L. Della Libera, Nuovi documenti biografici su Alessandro Scarlatti e la sua famiglia, in Acta Musicologica, 2011, vol. 83, p. 205-222; A. Hart, A re-evaluation of the manuscripts of the keyboard sonatas of D. S. in the Santini collection in Münster, in Studi musicali, n.s. II (2011), pp. 49-66; J. Duron, La réception de l’œuvre de D. S. en France, in Fonti musicali italiane, XVII (2012), pp. 135-149; Á. Pedrero Encabo, Una nuova fonte degli “Essercizi” di D. S.: il manoscritto Orfeó Catalá (E-OC), ibid., pp. 151-173; E. Baiano - M. Moiraghi, Le sonate di D. S. Contesto, testo, interpretazione, Lucca 2014; M.Á. Marín, Música para tecla: S. y sus contemporáneos, in La música en el siglo XVIII, a cura di J.M. Leza, Madrid 2014, pp. 279-291; G. Rostirolla, Musica e musicisti nella Basilica di San Pietro. Cinque secoli di storia della Cappella Giulia, I, Città del Vaticano 2014, pp. 481-509; C. Yáñez Navarro, Nuevas aportaciones para el estudio de las sonatas de D. Scarlatti. Los manuscritos del archivo de música de las catedrales de Zaragoza, diss. dott., Universitat Autònoma de Barcelona, 2015; A. Markuszewska, Serenatas and politics of remembrance: music at the court of Marie Casimire Sobieska in Rome (1699-1714), in La fortuna di Roma: italienische Kantaten und römische Aristokratie um 1700, a cura di B. Over, Kassel-Berlin 2016, pp. 269-294; G. Rostirolla, La Cappella Giulia 1513-2013. Cinque secoli di musica sacra in San Pietro, I-II, Kassel 2017.