CERUTTI, Giuseppe Antonio
Nacque a Torino il 13 giugno 1738. Dopo aver compiuto brillanti studi presso i gesuiti di Torino, nel 1752 egli entrò nel noviziato della Compagnia ad Avignone e a vent'anni divenne professore nel collegio di Lione. Fin da quel periodo mostrò un fervore più letterario che religioso. Per farsi conoscere, partecipò ai concorsi indetti da varie accademie di provincia, presentando dal 1758 al 1761 non meno di sette discorsi, tre dei quali furono premiati. Uno di essi (Pourquoi l'éloquence est-elle moins florissante dans les républiques modernes qu'elle ne l'était dans les anciennes?) fuin un primo tempo attribuito a J.-J. Rousseau tanto la sua retorica, sempre dotta e spesso impetuosa, nutrita di riferimenti all'antichità classica e vivificata da un entusiasmo egualitario, poteva far pensare alle due prime opere di Rousseau, senza averne tuttavia né la profondità di vedute né l'originalità.
Per i gesuiti, attaccati da ogni parte dai Parlamenti, dall'opinione pubblica, dai giansepisti, dai gallicani e dai philosophes, questo giovane e già celebre novizio era una provvidenza. Nel 1762 essi incaricarono il C. di confutare il Compte rendu des Constitutions del La Chalotais, che sosteneva la soppressione della Compagnia. Sia che fosse mosso da convinzione personale, sia dalla preoccupazione di difendere i suoi maestri contro quella che egli considerava una ingiustizia, il C. accettò, contando anche di poter diventare celebre con un intervento clamoroso. Egli lasciò subito Lione, si stabilì alla corte di Stanislao di Lorena e, utilizzando le memorie di due altri gesuiti, de Menous e Griffet, redasse in un anno la sua Apologie.
Il piano dell'opera è semplice: trascurando come poco serie le accuse che attaccano le qualità o i costumi dei gesuiti, egli prende in considerazione quelle che prendono di mira l'istituzione in se stessa. Dopo un rapido esame dei vari Ordini religiosi, egli enuncia a grandi tratti i principî, le regole e le strutture della Compagnia; analizza l'insieme degli attacchi lanciati contro di essa sottolineandone la fragilità, poi divide la sua argomentazione principale in due parti: nella prima combatte le opinioni sfavorevoli ai gesuiti e sostiene quelle loro favorevoli con fatti e ragionamenti troppo abili per non essere talvolta un po' speciosi. Nella seconda analizza i mezzi adoperati dall'istituto ignaziano per servire gli interessi congiunti di Dio, dello Stato e della stessa Compagnia, puntando l'attenzione sui tre fini ch'esso si propone: la perfezione religiosa, l'utilità pubblica e l'onestà individuale.
Il Grimm, nella sua Correspondance littéraire, giudica l'Apologie "bien plate et bien bête" e dichiara di non aver mai "rien lu d'aussi fastidieux". Peraltro il C. affiancò a quella dimostrazione astratta e pesante opere più brevi di carattere divulgativo: Réponse d'un jeune Jésuite à la lettre d'un de ses amis qui le pressait d'abandonner la Société,Précis pour servir de réponse aux accusations faites contre les Jésuites,Dix principaux chefs d'accusation ou Mes doutes sur l'affaire présente des Jésuites, in cui riprende gli stessi temi, inframmezzandoli con aneddoti; il che rende la lettura più agevole.
Questi sforzi non impedirono allo Choiseul di ottenere nel 1762 dal Parlamento la soppressione della Compagnia in Francia e a Luigi XV di confermare questo decreto nel 1764. Tuttavia rimane il fatto che l'Apologie del C. ebbe un grande successo e valse al suo autore la notorietà, assicurandogli la protezione di Stanislao.
Da allora iniziò un periodo mondano che lo staccò progressivamente dall'Ordine. Nel 1763 il C. fu accolto all'Accademia reale di Nancy ove pronunciò il discorso Sur l'intérêt d'un ouvrage, di contenuto molto tradizionale e di tono piuttosto freddo. Poi, munito di una lettera di raccomandazione di Stanislao di Lorena, si recò a Parigi dove il delfino lo legò a sé con una pensione di 11.000 lire, destinandolo all'educazione dei suoi figli. In questa speranza, che andrà delusa nel 1765 per la morte del delfino, egli redasse alcuni trattati sull'educazione che non ci sono pervenuti.
Durante questo periodo, lungi dal confinarsi nella vita di devozione o negli studi teologici, il C. frequentò liberi pensatori come D'Alembert o Duclos, il che fece dire a questo ultimo, almeno a voler credere a ciò che riferisce il Bachaumont con tono ironico nei suoi Mémoires, "qu'on n'avait rien à craindre de ce Jésuite et que cette double visite valait une abjuration".In realtà il delfino, conosciuto per la sua bigotteria, ma che aveva una segreta inclinazione per i philosophes, l'incoraggiava su questa strada. Ne è prova quella controversia sull'esistenza di Dio che egli fece tenere in sua presenza contro il padre Berthier al C., il quale sostenne una tesi che Voltaire non avrebbe respinto.
D'altronde il mondo gli prodigava i suoi favori. A ventiquattro anni, il C. aveva un aspetto fisico piacevole, uno sguardo malinconico, dei bei capelli biondi, una corporatura alta e snella. Egli s'innamorò di una giovane donna ricca di doti intellettuali e morali, Adriana Caterina di Noailles, contessa di Tessé. Questa passione, impetuosa e durevole, accelerò la sua evoluzione. I giansenisti, che continuavano a vedere in lui il seguace incondizionato dei gesuiti, si unirono ai suoi rivali in amore contro di lui; fu minacciato d'esilio, se non avesse rinunciato al suo Ordine. Egli cedette e chiese di abiurare i principî della Compagnia. La corte, irritata da questa richiesta, rispose con una lettre de cachet.Obbligato all'esilio, si stabilì prima in Olanda e poi nella Franca Contea. Due anni dopo, ritornò a Parigi abbattuto, malato, in uno stato di estrema prostrazione fisica e morale. Provvidenzialmente incontrò una donna intelligente e di gusto, dama d'onore della delfina, madame de Brancas, allora sessantenne, la quale gli offrì subito un'amicizia profonda e disinteressata. Ella l'invitò ad accompagnarla nella sua residenza di Nancy a Fléville, dove si ritirava per una parte dell'anno in un ambiente formato dai superstiti della brillante corte di Stanislao. Qui il C. resterà fino alla morte della duchessa, nel 1784. Questi furono, come egli confidò a Grouvelle, "ses années les plus belles, les seules où il ait goûté la vie". Divideva il suo tempo fra passeggiate in campagna, ove amava intrattenersi con i contadini prendendo gusto a istruirli, la lettura, particolarmente quella dei filosofi illuministi, le conversazioni, le dispute, gli scambi epistolari in versi e in prosa su ogni genere di argomenti. La maggior parte di questi scritti di circostanza sono andati perduti. Non è il caso di rimpiangerli se li si giudica da quel che ce ne ha trasmesso Grimin qua o là nella sua Correspondance littéraire. Ci restano tuttavia alcune dissertazioni morali, come l'Histoire du charlatanisme, o letterarie come la Dissertation épistolaire sur les monuments antiques et les monuments modernes,sur les langues et les styles, o composizioni in versi come il Poème sur les échecs.Questi giochi di società molto apprezzati a quell'epoca da spiriti avveduti come La Harpe, Choiseul e D'Alembert, nonostante alcune punte satiriche e una scoperta ammirazione per Montesquieu e Voltaire, dimostrano un pensiero politico ancora molto incerto. Più avanzato appare l'Aigle et le Hibou, opera destinata all'educazione del re.
Sotto forma di favola egli propone l'ideale del re-filosofo. L'educazione di questo deve basarsi essenzialmente sulla cultura generale e la conoscenza approfondita delle migliori costituzioni, quelle di Olanda, Inghilterra e Stati Uniti, sullo sviluppo dello spirito critico attraverso viaggi che aiutano a confrontare leggi e popoli, la lettura dei philosophes del secolo, infine sulla morale e il patriottismo per il cui insegnamento bisogna far ricorso ai classici dell'antichità.
Nel 1784 si aprì per il C. il periodo più importante della sua vita. La morte di madame de Brancas disperse la corte di Fléville ed egli rientrò a Parigi alquanto in disarmo, poi, rimproverandosi, secondo il Grouvelle, "d'avoir dissipé dans les illusions du coeur les plus beaux temps de son génie", si gettò con ardore insospettato nella lotta politica. Un poema, Les Jardins de Betz, testimonia questa evoluzione verso una nuova concezione del mondo e della professione di scrittore.
In mezzo a una serie di descrizioni graziose e frivole, di riflessioni morali, ricordi della dolce mediocrità di Fléville, scaturiscono infatti dall'interno del poema o da note marginali preoccupazioni politiche e sociali con accenti la cui violenza stupisce: diatribe contro la Chiesa e il clero di cui denuncia il dispotismo, la cupidigia e la crudeltà ("tout prêtre est un bourreau patenté par la foi") e che vorrebbe veder rimpiazzati da una religione pura e senza preti ("l'Etre suprême sans image, le monde, Jésus, sans interprête"), attacchi contro la nobiltà feudale; voti per la distruzione di un sistema di potere sociale oppressivo e primi appelli per l'instaurazione di un ordine nuovo che egli profetizza: "La France depuis deux mille ans est grosse d'une révolution: elle accouchera avant la fin du siècle".
Si legò strettamente con gli scrittori patrioti che aveva già incontrato nelle riunioni della celebre loggia massonica delle Nove Sorelle fondata da Lalande nel 1776, alla quale egli apparteneva.
L'Epitre en vers irréguliers, poi soprattutto le Bagnolaises e la Satire universelle, due opere dirette contro Rivarol e i costumi della società aristocratica, il cui liberalismo gli sembrava di pura facciata, lo fecero definitivamente passare agli occhi della gente nelle file dell'opposizione. Madame d'Adhémar nei Mémoires sur Marie-Antoinette lopone a fianco di Mirabeau, di Danton, di Siéyès, di Raynal.
Nel 1788 il C. prese parte attiva alla preparazione degli Stati generali sostenendo con Siéyès (che lo cita in Qu'est-ce que le Tiers-Etat?) le tre rivendicazioni fondamentali dei patrioti: il voto per testa, la deliberazione in comune, il numero doppio dei rappresentanti del Terzo Stato, prima nella sua Consultation épistolaire..., poi in un opuscolo più importante, Mémoire pour le peuple français.
Rifiutando di battersi sul terreno della legalità che è quello dei suoi avversari, egli sviluppa la sua argomentazione in nome dell'interesse generale che esige una costituzione "qui représente la volonté de tous et qui maintienne l'intérêt de chacun". Il Terzo Stato deve partecipare alla sua elaborazione in virtù del diritto imperscrittibile "du grand nombre sur le petit nombre". Ciò non significa che il C. disconosca i privilegi del clero e della nobiltà. Con una moderazione comune a tutti i patrioti d'avanguardia alla vigilia della rivoluzione egli non nega la legittimità delle prerogative dei due ordini. La contestazione si riferisce solamente alle esenzioni e all'uso dei loro beni "qui devraient être destinés à l'entretien des pauvres et des indigents plutôt qu'à leur propre jouissance". Analogamente non si tratta di negare l'autorità del re, necessaria per mantenere l'equilibrio dei tre ordini: "La Démocratie n'est bonne qu'aux Démagogues qui gouvernent, aux Pontifes qui persécutent, aux Orateurs qui jouent un rôle brillant et aux Sénats qui n'oublient pas le leur, celui d'usurper, tout en ayant l'air de tout protéger".
Alcuni mesi più tardi, nel febbraio 1789, egli riprese gli stessi temi nelle sue Observations rapides sur la lettre de M. Calonne au Roi e, nel maggio 1789, nella sua brossura Exhortation à la Concorde, che contribuì a preparare la seduta del 17 giugno. Egli immagina Luigi XVI che tiene alla nazione un discorso destinato a far cessare le manovre della corte per far annullare gli Stati generali. I deputati vi sono invitati a verificare i loro poteri in comune e le Camere, una volta legalmente costituite, a deliberare per testa. Il sovrano attacca apertamente i due ordini privilegiati: i loro privilegi, lungi dall'essere dovuti ai loro meriti non sono fondati che sulla vanità e l'ignoranza. Il loro timore per il progresso della democrazia è ben vano e ipocrita, perché da sempre i disordini, le guerre, le persecuzioni, gli scismi sono stati suscitati dall'aristocrazia e non dal popolo. Infine la loro diffidenza riguardo al popolo ignorante deve cadere perché, in materia di legislazione, l'incompetenza si trova dalla parte dei nobili e del clero.
L'insieme di queste opere valse al C. la fiducia popolare; citato in un cahier parigino come uno di quelli che hanno avuto il merito di "tirer leurs concitoyens de l'ignorance où ils étaient des droits de la nation", egli ebbe l'onore d'essere inserito a fianco di Siéyès, Condorcet, Brissot in una "Liste des amis du peuple qui méritent de fixer le choix des électeurs de Paris".
Il C. seguì molto da vicino il lavoro della Costituente difendendo la cartamoneta di Necker contro i suoi detrattori, specialmente contro Mirabeau, spiegandone il funzionamento e i vantaggi, pubblicando numerosi opuscoli, difendendo i suoi amici e gli eroi di ieri (La Fayette, Bailly, Necker), alcuni dei quali erano già rinnegati o persino, come Mounier, accusati di tradimento perché volevano mantenere sul trono il re. L'estendersi delle agitazioni, il moltiplicarsi delle richieste del popolo e la loro radicalizzazione gli fecero temere l'anarchia e disordini senza fine. Perciò giudicò opportuno proporre le sue riflessioni al popolo francese fin dal luglio 1789, in uno stile che voleva essere accessibile aipiù, con l'opera intitolata: Vues générales sur la Constitution ou Exposé des droits de l'Homme dans l'ordre naturel,social et monarchique.
Era un progetto, abbastanza vicino alla costituzione che sarà votata nel 1791, basato su due principî, quello della separazione dei poteri, derivato da Montesquieu, e quello della sovranità del popolo. Ma poiché si temono l'ignoranza e le cieche passioni di questo, la nazione ha bisogno di una "force coactive" che è quella del monarca. Costui eserciterà il potere esecutivo, ma sarà limitato dalla permanenza dell'Assemblea nazionale, dall'istituzione delle assemblee provinciali, dalla responsabilità dei ministri, dalla libertà personale, dalla libertà di stampa, dalla creazione di una polizia municipale, da votazioni per introdurre nuove imposte. Nei riguardi degli ordini privilegiati, la posizione del C. si è fatta più dura: senza pensare di sopprimere la nobiltà egli si oppone ai privilegi e reclama violentemente dalla Chiesa la restituzione dei suoi beni. Tuttavia egli non è partigiano dell'eguaglianza totale che gli sembra "une funeste extrêmité", e propone di creare, in seno all'Assemblea nazionale, due Camere, una formata da tutte le classi dei cittadini liberi, l'altra unicamente da quella dei cittadini proprietari.
Altre opere scritte alla line dell'anno 1789 o all'inizio del 1790, Harangue à la Nation,Etrennes au public,Correspondance entre M.C. ... et le comte de Mirabeau sur le rapport de M. Necker,Lettre aux rédacteurs de la chronique de Paris,Traduction libre de trois odes d'Horace, esprimono una certa diffidenza verso i capirivoluzionari, di cui egli teme un fanatismo che metterebbe in pericolo le principali conquiste della Rivoluzione. Egli rifiuta le esecuzioni arbitrarie che disonorano i successi del popolo; profetizza la guerra civile o il dispotismo borghese: "Le peuple aspire à un degré de bonheur dont il est digne, mais qu'il est impossible de lui procurer tout de suite. Lorsqu'il verra que son sort n'est presque pas changé, que la Bourgeoisie a tout pris pour elle, il n'aura que deux partis à prendre, ou d'envahir toute propriété, ou de s'attacher aux grands propriétaires, et ceux-ci se serviront bien vite de son retour pour rétablir leur despotisme".
Queste esitazioni non dureranno. Alla fine del 1790, in una lettera a Dillon, egli plaude alla nazionalizzazione dei beni del clero; nella sua corrispondenza, con madame M..., egli ormai rifiuta ai nobili ogni privilegio onorifico, fonte della loro tirannia. "Le peuple seul mérite qu'on lui prête foi; l'avenir de la France lui appartient s'il sait se garder de certains écarts". La festa della Federazione lo gettò in un entusiasmo delirante riguardo alla "Monarchie Démocratique". Definitivamente guadagnato alla Rivoluzione, si sforzò nei due anni che gli restavano da vivere di parteciparvi più attivamente. Eletto l'11 ott. 1790 membro dell'Assemblea elettorale di Parigi, incaricata di designare le principali autorità del dipartimento, egli ne fu nominato segretario aggiunto il 20 novembre, poi segretario generale in dicembre e presidente nel gennaio 1791. Nominato quello stesso mese amministratore del dipartimento, fu eletto alla Assemblea legislativa il 4 sett. 1791; il 3 ottobre ne divenne segretario con François de Neufchâteau, Garan de Coulon, Lacépède, Condorcet e Guiton de Morvaux, e il 23 ottobre membro del Comitato d'istruzione pubblica. Ma la sua permanenza all'Assemblea fu di breve durata. Colto da una malattia che i medici non riuscirono a diagnosticare, molto indebolito e nonostante tutto rifiutando di risparmiare le sue forze, egli morì a Parigi il 4 febbr. 1792.
La partecipazione all'azione rivoluzionaria fu accoppiata con un'attività giornalistica che cessò anch'essa solo con la sua morte. Egli creò in effetti nel settembre 1790 con i suoi collaboratori Rabaud Saint-Etienne, Grouvelle, Guinguené, Romme, Kersaint, Dantheas, François de Neufchâteau, tutti moderati, un giornale settimanale, La Feuillevillageoise, indirizzato a tutti i villaggi di Francia per istruirli sulle leggi e gli avvenimenti che interessano ogni cittadino. Esso ebbe un grande successo, perché v'era un vuoto da riempire: un periodico di scarso interesse, La Bibliothèquedes villages, di Berquin era infatti scomparso prima di questa data e Le Journal des laboureurs di Lequinio cominciò ad essere pubblicato soltanto il 31 marzo 1792. Ai sedicimila abbonati del primo anno bisogna infatti aggiungere i lettori a cui lo si prestava e l'imponente massa dei contadini analfabeti a cui il curato o un notabile lo leggevano la domenica mattina. Ma più che a una preoccupazione di carattere commerciale la nascita del giornale era dovuta a quell'interesse pedagogico e didattico che il C. aveva sempre mostrato, dall'epoca di Fléville, verso i lavoratori delle città e delle campagne e alla necessità politica, per l'avvenire stesso della rivoluzione, di istruire i contadini: "L'ignorance est le pire ennemi de la Révolution - scriveva -. Oeuvre des villes, elle risque d'échouer très rapidement si les campagnes n'y sont pas associées". A questo fine, adottando come modelli Socrate e Fontenelle, i suoi collaboratori ed egli stesso cercarono di adattare il loro stile al loro pubblico: testi brevi, immagini familiari, vocabolario usuale, argomentazioni che partivano dai concetti più semplici per giungere a quelli più complessi, raggiungendo spesso una grande chiarezza.
La Feuille, presentata sotto forma di lettera ai contadini, comprendeva parecchie rubriche: analisi di un paese nelle sue usanze, nei suoi costumi, nel suo regime politico; testo e commento di una nuova legge; rassegna degli avvenimenti della settimana in politica interna ed estera; informazioni sulle scoperte tecniche recenti concernenti i lavori del villaggio, lezioni di morale e di civismo, specialmente sul vocabolario politico, storico o geografico. Programma variato, abbondante e pratico che tendeva a spiegare tutto, a far comprendere le cause e gli effetti e incitava gli animi ad aderire alle nuove idee.
La sua linea politica era molto vicina a quella della Gironda: pacificazione degli animi attraverso la denuncia dei disordini e degli "exagérateurs qui dupent le peuple pour l'entraîner", difesa della monarchia costituzionale, indipendenza dai partiti e dalle consorterie. Lo spirito era nettamente paternalistico. Sebbene vi si potesse leggere: "Vous, paysans, vous avez le droit d'élire ceux qui vous représentent, vous pouvez être élus vous-mêmes", La Feuille manifestò a più riprese in casi concreti la sua opposizione alla effettiva partecipazione dei contadini, invocando la loro mancanza di competenza e di maturità. Rivoluzionario dunque, ma molto poco democratico, il giornale si trovava d'accordo con le posizioni dei girondini e di un certo numero di montagnardi molto esitanti di fronte alla partecipazione dei contadini. Esso, naturalmente, era violentemente combattuto dai giacobini e dai sanculotti.
Le sue posizioni moderate valsero al C. nemici sia a destra sia a sinistra. Morì maledetto dagli emigrati, rifiutato da Robespierre che, come unico, omaggio, gli accordò "l'indulgence que la mort seule réclame pour tous ceux qu'elle a frappés" e ingiuriato da Marat che nell'Ami du Peuple (settembre 1791) lo chiama "disciple achevé de Loyola", "caméléon subtil", "bas valet né des grands", "vil esclave des favoris de la fortune" e l'accusa inoltre di miserabile opportunismo. Tuttavia, tra i rivoluzionari più ardenti conservò amici fedeli e pieni di ammirazione. I girondini considerarono la sua morte una sciagura nazionale e Condorcet si fece garante della sincerità delle sue convinzioni democratiche.
Opere: Comment un esprit trop subtil ressemble à un esprit faux, Lyon 1759 (premio d'eloquenza al concorso della Accademia di Montauban, il 25 ag. 1759); Pourquoi l'éloquence est-elle moins florissante dans les rèpubliques modernes qu'elle ne l'était dans les anciennes?, ibid. 1760 (premio d'eloquenza all'Academie des Jeux floraux di Tolosa, il 3 maggio 1760); Les vrais plaisirs ne sont que pour la Vertu, Paris 1793 (premio d'eloquenza all'Accademia di Montauban, il 25 ag. 1760); Discours sur l'origine et les effets de ce désir si général et si ancien de transmettre son nom à la postérité, La Haye 1765; La Lumière des lettres n'a-t-elle pas plus fait contre la fureur des duels,que l'autorité des lois?, Lyon 1761; Réponse d'un jeune Jésuite à la lettre d'un de ses amis qui le pressait d'abandonner la Société, Avignon 1762; Dix principaux chefs d'accusation ou Mes doutes sur l'affaire présente des Jésuites, en France 1762; Apologie de l'Institut des Jésuites, Soleure 1763; Sur l'intérêt d'un ouvrage, Nancy 1763; Ala mémoire auguste de feu Monseigneur le Dauphin,père du roi, s.l. né d.; Portrait de feu Monseigneur le Dauphin, Paris 1766; L'Aigle et le Hibou, ibid. 1783; Les Jardins de Betz, ibid. s.d.; Dissertation épistolaire sur les monuments antiques et les monuments modernes,sur les langues et les styles, Glasgow 1784; Réforme du code criminel, Londres 1787; Consultation èpistolaire touchant l'opinion par ordre ou par tête, s.l. né d.; La Satire universelle, Paris 1788; Mémoire pour le peuple Français, s.l. 1788; Les Bagnolaises ou Etrennes de M. le Comte de Rivarol présentées à son Excellence par une société de grands hommes, Paris 1789; Observations rapides sur la lettre de M. Calonne au roi, ibid.; Exhortation à la concorde, s.l. 1789; Traité de la sanction royale, Paris 1789; Vues générales sur la constitution française ou Exposé des droits de l'Homme dans l'ordre naturel,social et monarchique, ibid.; Harangue à la Nation, ibid.; Etrennes au public, s.l. né d.; Correspondance entre M. C. ... et le Comte de Mirabeau sur le rapport de M. Necker et sur l'arrêt du Conseil du 29 décembre, s.l. 1789; Lettre de M. Corutti aux auteurs du Journal de Paris, Aix 1789; Traduction libre de trois odes d'Horace, Paris1789; Copie d'une lettre de M. Cerutti,à M. le Comte de Lauraguais, s.l. né d.; Harangue miraculeuse ou le Muet devenu orateur, s.1. né d.; Lettre à M. le Vicomte de Noailles sur la motion du 4 août 1789, Paris 1789; Epitre en vers irréguliers sur les jardins,l'agriculture,les assemblées provinciales,les ministres,les parlements,la tolérance..., ibid. 1790; Lettre aux rédacteurs de la Chronique de Paris, ibid.; Correspondance avec Mme M. ..., ibid.; Le Fanatisme dévoilé, Honfleur s.d.; Idées simples et précises sur le papier monnaie,les assignats forcés et les biens écclésiastiques, Paris 1790; Adresse des électeurs du département de Paris,rédigée par C. et prononcée par La Rive à l'Assemblée Nationale,scéance du 14 décembre 1790, ibid.; Réponse de M. C. à la lettre de Monsieur l'abbé Arthur Dillon, ibid.; Eloge funèbre de M. de Mirabeau prononcé le jour de ses funérailles dans l'église Saint-Eustache, ibid. 1791; Motion de M. C., faite après le serment individuel prononcé,la main sur l'acte constitutionnel,par MM. les députés à l'Assemblée Nationale législative,le 4 octobre 1791, ibid. s.d.; Bréviaire philosophique ou histoire du judaïsme,du christianisme ou du déisme en trente trois vers par le feu roi de Prusse et en trente trois notes par un célèbre géomètre, s.l.1791 (scritto nel 1763). Postume videro la luce: Quels ont été les effets de la décadence des moeurs sur la littérature française?, Paris 1808 (discorso scritto nel 1761 per l'Academie des Jeux floraux); Histoire du charlatanisme, ibid. 1825; Précis pour servir de réponse aux accusations faites contre lesjésuites, ibid. 1827 (composto nel 1762); Poème sur les échecs, ibid. 1834.
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