SAVELLI, Giulio.
– Nacque intorno al 1574, a Roma o nei feudi paterni, da Elena di Cristoforo Savelli e da Bernardino, maresciallo di santa romana Chiesa e ultimo duca di Castel Gandolfo (acquistato il 26 ottobre 1596 da Clemente VIII, insieme a Roccapriora).
Proseguì negli studi fino al grado di magister nelle discipline giuridiche e si avviò alla carriera nella Curia romana, entrando nel 1603 fra i referendari delle Segnature di Grazia e di Giustizia, eminenti corti giudicanti dell’ordinamento pontificio. Conseguì quindi, in rapida successione, una serie di incarichi di governo in Umbria e nella Marca: fu governatore di Orvieto a partire dal 15 giugno 1605, di Spoleto dal 21 febbraio 1607, di Ancona, dal 6 giugno 1608.
Gli incarichi diplomatici lo assorbirono presto. Nell’estate del 1614 fu inviato a Torino per tentare di scongiurare l’apertura di un conflitto a causa della successione del Monferrato.
Il Monferrato era un marchesato del Piemonte orientale di cui era titolare il duca di Mantova, Francesco IV Gonzaga, morto nel dicembre 1612. Il cardinale Ferdinando, suo fratello, aveva raggiunto Mantova agli inizi dell’anno successivo e si era insediato sul trono ducale, ma il duca di Savoia, la cui figlia Margherita era andata in sposa al defunto, aveva approfittato del momento di incertezza politica per avanzare le sue pretese sul feudo, mandando le sue truppe contro Alba, Trino, Moncalvo e Nizza Monferrato già nella primavera del 1613. Il papa aveva esortato alla pace dapprima inviando monsignore Innocenzo de’ Massimi a Milano e a Torino; poi, non avendo quest’ultimo ottenuto risultati, nell’estate del 1614 aveva nominato Savelli nunzio straordinario.
L’istruzione consegnata a Savelli non è conservata. Il carteggio con la Segreteria pontificia ne offre però alcuni dettagli. La dupplicata di cifra del 2 settembre 1614 (Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, serie II, 370, c. 240v), per esempio, ricorda «quello, che gli fu dato nell’Instruttione, cioè, che quando ella trovasse difficultà nel disarmare, et che il negotio fusse ridotto a termine di rottura, procurasse con ogni stridio la suspensione dell’arme, et che non venesse ad atto di ostilità, et di offesa, et non si facesse novità, per haver tempo fra tanto di trattare per la quiete, et per il disarmamento». Savelli non doveva dunque prendere iniziative di nuove proposte alle parti, come invece fece anche prima di arrivare a destinazione, immaginando che l’unica erede del defunto duca, Maria, fosse fatta soggiornare presso il duca di Modena. Doveva semplicemente chiedere l’immediata cessazione degli atti ostili.
Partito ai primi di agosto, Savelli arrivò a Milano il 14, dove incontrò il governatore Juan Hurtado de Mendoza, marchese di Hinojosa. Il 29 agosto era a Pavia, donde inviò un corriere al duca di Mantova Ferdinando, per sottoporgli alcune proposte di accordo, compresa la nomina ad arbitro del re di Spagna Filippo III d’Asburgo. Non ricevette risposte positive. Anzi, venne ripreso dalla Segreteria pontificia, che lo stimolò di nuovo «a usare della solita sua prudenza con procedere con molta cautela, et circospettione per non dare occasione di disgusti a qualche uno de Principi con i quali tratta» (ibid., c. 244r).
All’inizio di settembre si spostò presso Vercelli, nel campo del duca di Savoia, che fronteggiava le armate spagnole. La sua frequentazione quasi quotidiana del duca Carlo Emanuele iniziò a diventare sospetta. Egli invece, in un rapporto inviato da Confienza a Roma alla metà del mese, attribuì proprio alla sua influenza il fatto che fino a quel momento gli eserciti sabaudo e milanese non fossero arrivati a scontri di larghe dimensioni (anche se, nello stesso tempo, le truppe dell’Hinojosa avevano superato il Sesia, entrando nel Vercellese).
L’arrivo del marchese di Rambouillet, Charles d’Angennes, coincise con un cambio di passo nelle trattative. La Segreteria pontificia diede dopo la metà di ottobre disposizioni precise di seguire le sue mosse. Ma Savelli non si limitò a questo. Iniziò infatti a collaborare con il diplomatico francese proponendo nuove soluzioni, prima fra tutte che il duca di Savoia desse il suo esercito in consegna al re di Francia, oppure alla Repubblica di Venezia. Una proposta di fine ottobre, che lasciò interdetta la Segreteria pontificia, prevedeva addirittura che la vertenza fosse affidata al re d’Inghilterra e Scozia Giacomo Stuart. Il 17 novembre 1614, poi, Savelli stese una vera e propria bozza di trattato secondo il quale il duca Carlo Emanuele avrebbe licenziato gran parte del suo esercito; in cambio, il duca di Milano avrebbe promesso di non attaccarlo; quanto al merito della contesa, esso sarebbe stato sottoposto ad arbitrati nominati sia dal duca di Savoia, sia dal duca di Mantova. Non avendo ricevuto riscontri, Savelli lavorò a un altro articolato, datato 1° dicembre 1614, che ripeteva queste condizioni e ne aggiungeva addirittura altre, evidentemente favorevoli al duca di Savoia. Neanche quest’accordo andò in porto e la Segreteria pontificia considerò chiusa la missione. Savelli ebbe disposizioni di ritirarsi alla Certosa di Pavia, tanto più che gli spagnoli avevano deciso di tirare le fila del negoziato direttamente dalla corte del re, scavalcando ogni possibile mediazione del governatore di Milano. A giudizio di Roma, del resto, l’operato del Rambouillet era tutt’altro che gradita alla corte di Francia.
Preoccupavano la corte pontificia anche le ingerenze del duca di Savoia nei feudi pontifici di Masserano e di Montafia, contro le quali Savelli reagì in modo risentito, e la presenza di soldati ‘eretici’ sul teatro delle operazioni. In ottobre, gli si diede facoltà di concedere ai confessori reggimentali il potere di assolvere i soldati anche per casi di ‘eresia’, limitatamente al tempo in cui sarebbero durate le controversie in atto.
Rientrato in Italia nella primavera del 1615, Savelli ricevette il cappello cardinalizio nella promozione del 2 dicembre 1615, con il titolo di S. Sabina. Vescovo di Ancona dall’11 gennaio 1616, non vi fece mai residenza, poiché dal 7 dicembre 1619 al 1621 fu creato cardinale legato di Bologna. Fu il suo ultimo incarico di governo. Rientrato in Curia, assunse il titolo di cardinale protettore, sia di Germania, sia di Polonia e fece parte della congregazione dello Studio di Roma, fra il 1621 e il 1623 e nel 1629. Quanto ai suoi impegni pastorali, nella primavera del 1626, chiese l’intervento del papa per ottenere la cattedra di Cagliari, oppure un’altra chiesa in Sardegna. Divenuto il 2 dicembre 1629 cardinale vescovo di Frascati, dovette accontentarsi di essere nominato arcivescovo di Salerno, il 28 gennaio 1630.
Savelli non mancò di ottemperare ai suoi obblighi, indicendo subito il sinodo diocesano e curando il locale seminario, affidato nel 1635 ai padri della Compagnia di Gesù. Alternò però presto periodi di residenza a Napoli, ad Albano e nella stessa Roma. Il 10 novembre 1636 era infatti passato al titolo cardinalizio di S. Maria in Trastevere. Lo preoccupavano inoltre le condizioni economiche della sua famiglia. Nel 1636 chiese al cardinale Francesco Barberini l’autorizzazione a vendere il feudo di Palombara (effettivamente acquistato nel 1637 da Marcantonio Borghese).
Lasciò l’arcidiocesi salernitana nel 1642 e morì il 9 giugno 1644, a Roma. Fu sepolto nella chiesa di S. Maria in Aracoeli. Aveva ottenuto già il 24 marzo 1618 la facultas testandi.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 7151, cc. 29r-86r; 8763, cc. 48r-199v; Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, serie I, 906, cc. 3r-61v; serie II, 370, cc. 239r-286v; Le istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici (1605-1621), a cura di S. Giordano, Tübingen 2003, ad ind.; W. Reinhard, Paul V Borghese (1605-1621): Mikropolitische Papstgeschichte, Stuttgart 2009, ad ind.; P. Merlin, Il Monferrato. Un territorio strategico per gli equilibri europei del Seicento, in Monferrato 1613. La vigilia di una crisi europea, a cura di P. Merlin - F. Ieva, Roma 2016, pp. 15-30 (in partic. p. 17).