FARINA, Giulio
Nato a Frascati presso Roma il 31 maggio 1889 da Gioacchino e da Maria Formilli, manifestò precocemente interesse per l'Egitto faraonico quando era ancora studente al liceo "Mamiani" di Roma, in seguito alla lettura del volume di O. Marucchi, Gli obelischi egiziani di Roma (Roma 1898). Stimolato da questa monografia, maturava la sua prima indagine epigrafica, L'obelisco, lateranense e la riforma religiosa di Chuenaton (in Bessarione, X [1906], pp. 63-72), cui fece seguito lo studio di un non facile testo geroglifico di età romana, L'obelisco di Domiziano nel circo agonale (in Bull. della Commiss. archeolog. comunale di Roma, XXXVI [1908], pp. 254-274). Contemporaneamente, desideroso di approfondire le conoscenze del mondo orientale, si dedicava allo studio dell'ebraico e dell'arabo. La stima del Marucchi, il quale gli facilitò il contatto diretto con i monumenti del Museo Egizio Gregoriano e la considerazione dell'orientalista Ignazio Guidi, gli valsero l'affidamento della redazione del bollettino bibliografico critico relativo all'Egitto antico nella Rivista degli studi orientali, incarico che ricoperse ininterrottamente dal 1907 al 1920 e che gli permise di mantenersi costantemente aggiornato ai progressi degli studi egittologici. Erano gli anni in cui le indagini morfologiche e strutturali sulla lingua egiziana antica facevano notevoli progressi, specie per merito della scuola tedesca legata ai nomi di Adolf Erman e Kurth Sethe, studiosi con i quali il F. rimase in costante rapporto.
Nel 1908, aggregato alla missione archeologica in Egitto diretta da Ernesto Schiaparelli, ebbe la prima opportunità di scendere in Egitto. Un soggiorno a Tebe gli permise di collazionare i testi di Medinet Habu relativi ai cosiddetti popoli del mare, appunti utilizzati nel decennio successivo per la messa a punto di un articolo fondamentale: I popoli del mare (in Aegyptus, I [1920], pp. 8-20). La rassegna si chiudeva con un garbato cenno polemico verso alcuni studiosi che si erano occupati dell'argomento senza una preparazione adeguata.
La sua spiccata propensione allo studio costante e aggiornato degli sviluppi filologici dell'egittologia lo indusse molto presto a pubblicare una Grammatica della lingua egiziana antica in caratteri geroglifici (Milano 1910), che denota sicura conoscenza della morfologia, della sintassi e dell'esegesi testuale. L'opera, completamente rinnovata, fu ripubblicata con lo stesso titolo (ibid. 1926), preceduta da una significativa dedica ad Adolf Erman.
Un esame comparativo delle due grammatiche permette di constatare quanto il loro autore abbia perfezionato nella seconda il metodo espositivo, abbia innovato il sistema di trascrizione di alcune consonanti (dal confronto con il semitico), ampliato le correlazioni con l'area semito-camitica. La seconda edizione, che ebbe anche una versione francese (Paris 1927), era destinata a rimanere per un quarantennio l'unico manuale di sicuro riferimento per studiosi e studenti italiani.
L'ampiezza della sua preparazione glottologica e filologica traspare anche nella Grammatica araba per la lingua letteraria con appendice sul dialetto tripolino (Heidelberg-Roma 1912), edizione italiana, con aggiunte e correzioni dell'Arabische Konversations-Grammatik di Ernst Harder. Contemporaneamente si occupava di divulgare gli aspetti archeologici e artistici dell'Egitto antico traducendo l'opera di G. Maspero, L'arte in Egitto (Bergamo 1913; ristampa 1929).
Nel 1914 venne nominato ispettore della sezione egiziana del Museo archeologico di Firenze, ove rimase con tale carica fino al 1928.
Fu il periodo della maggiore e più articolata produzione scientifica. Avanzando proposte originali sviluppò tematiche di interpretazione testuale di rituali funerari nell'indagine su "La preghiera delle offerte" degli antichi egiziani (in Rivista degli studi orient., VII [1916], pp. 467-484) e mise a fuoco le componenti tematiche di un altro celebre rituale: Intorno al "Libro dei morti" (in Religio, II [1920], pp. 149-166). Elaborò una esposizione compendiosa del fenomeno religioso in Religioni dell'Egitto antico e della Siria (in Riv. di storia delle relig., I [1916], pp. 147-160). Una ricerca puntuale su Il mito di Osiri nei Testi delle Piramidi (in Bilychnis, XII [1923], pp. 202-212), rimane tuttora consultabile con profitto.
Ma l'opera che lo rese noto anche nel campo internazionale, condotta con ampio e puntiglioso respiro, rimane Le funzioni del visir faraonico sotto la XVIII dinastia secondo l'iscrizione della tomba di Rechmirîe a Tebe (in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, s. 5, XXV [1916-17], pp. 923-974), con due tavole. La monografia, in cui per la prima volta venivano pubblicati, tradotti e commentati criticamente il testo della tomba di Rekhmiré (tombe tebane n. 100) e i paralleli delle tombe di User (tombe tebane n. 131) e di Amenemopet (tombe tebane n. 29), costituì un'indagine fondamentale sulle attribuzioni della carica del visir ricavata dallo studio delle terminologie specifiche e del loro inquadramento nel complesso reticolo dell'amministrazione civile. Anche il problema dell'accertamento di un archetipo da cui sarebbero derivate le tre redazioni attestate nelle tombe dei funzionari tebani si presenta impostato sulla base di un minuto esame filologico. La validità dello studio del F. si rivela anche confermata indirettamente dal fatto che una ripresa globale dell'argomento si è avuta soltanto in tempi molto recenti (G. P. F. van den Boorn, The duties of the visir, London-New-York 1988). L'indagine sulle attribuzioni del visir costituì il suo titolo migliore per il conseguimento della libera docenza che esercitò per alcuni anni presso l'università di Roma a partire dal 1923.
Una compilazione non egittologica rappresentò per il F. un approfondimento di impegno morale e politico, non semplice divagazione. Si tratta di una sintesi dal titolo Compendio di sociologia generale ... (Firenze 1920), derivata dal classico Trattato di sociologia generale di Vilfredo Pareto.
Nella prefazione dichiara di aver curato il compendio per quei "giovani studiosi italiani che, coltivando discipline connesse con la sociologia, si veggono spesso fallire nel loro intento per difetto di metodo o per ignoranza dei più elementari problemi sociali".
Nel corso della permanenza a Firenze metteva ancora a punto due indagini, una strettamente linguistica, Le vocali dell'antico egiziano (in Aegyptus, V [1924], pp. 315-325), l'altra di natura topografica ed etnica, Contributo alla geografia dei "paesi barbari meridionali" nell'antico Egitto (ibid., VI [1925], pp. 29-53).
Alla morte dello Schiaparelli (1928) fu chiamato a ricoprire la carica di direttore della massima raccolta di monumenti egiziani in Italia, il Museo Egizio dì Torino. Nell'anno successivo pubblicava La pittura egiziana nella collezione Thesaurus artium (Milano, 25 pp. e 205 tavv., di cui una a colori).
L'introduzione, ad un tempo agile e rigorosa, tratteggia le caratteristiche formali di questo aspetto fondamentale delle arti figurative egiziane. Si espongono i canoni della proiezione prospettica del disegno, le convenzioni cromatiche, le tecniche. Si passano in rassegna le tematiche seguendone le motivazioni e lo sviluppo cronologico con riferimenti puntuali alle tavole. Queste presentano una ricchezza di documentazione non raggiunta in opere precedenti, anche se il cromatismo si trova escluso data l'impossibilità tecnica a quel tempo di disporre di riproduzioni a colori accettabili. Il testo si presenta punteggiato da acute osservazioni, talune ravvivate da un sottile humor.
A partire dallo stesso anno (1929) iniziava la collaborazione all'Enciclopedia Italiana, per la quale redasse tutte le voci inerenti all'egittologia.
La sua nuova posizione gli offrì l'opportunità di dirigere alcune campagne di scavo nel sito di Gebelein nel corso degli anni 1930 (cfr. Aegyptus, X [1929], pp. 291-294), 1935 e 1937, con notevoli risultati specie per quel che concerne l'esplorazione di sepolture appartenenti al periodo predinastico. Ma il lavoro che maggiormente lo occupò in quel periodo fu l'edizione di un documento tanto famoso quanto tormentato, IlPapiro dei re restaurato (Roma 1938). Propose una nuova collocazione di alcuni frammenti, diede la trascrizione in geroglifico del testo ieratico, la traduzione e un ampio commento storico-cronologico.
Incaricato presso l'università di Torino, svolse anche corsi differenziati per studenti che intendevano approfondire particolari aspetti della disciplina. I suoi ultimi anni furono offuscati da un lento ma inesorabile declino fisico che gradatamente gli precluse ogni attività. Morì a Trofarello (Torino) il 23 dic. 1947.
Nell'egittologia italiana della prima metà del '900 il F. rimane la personalità di maggior spicco per ricchezza di interessi, rigore metodico, acutezza critica, vivacità espressiva spiccata. Rivolse la sua operosità al settore che gli era particolarmente congeniale, quello filologico-ermeneutico, senza tuttavia trascurare gli impegni di carattere archeologico e museografico richiesti dalla carica di conservatore del massimo patrimonio egiziano in Italia.
Bibl.: Necrologi in Aegyptus, XXVII (1947), pp. 240-244 (con bibl.); in Riv. degli studi orient., XXIII (1948), pp. 109-112; W.R. Dawson-E.P. Uphill, Who was Who in Egyptology, London 1972, pp. 102 s.