DOGLIOTTI, Giulio Cesare
Nato ad Alba (Cuneo) il 14 marzo 1906 da Luigi, medico, e Clotilde Ferrara Bardile, si laureò in medicina e chirurgia presso l'università di Torino nel 1929.
Frequentò la clinica medica dell'università di Torino, diretta da F. Micheli, e dopo due anni divenne aiuto presso la cattedra di patologia medica dell'università di Firenze, diretta da P. Bastai. Nel 1932 egli consegui la libera docenza in istologia generale e nel 1936 quella in patologia speciale medica. Nel 1939 venne chiamato alla cattedra di patologia medica dell'università di Cagliari, dove per due anni fu anche incaricato dell'insegnamento di farmacologia e direttore medico dell'ospedale militare. In questa città organizzò il primo Centro italiano per la diagnosi e l'assistenza ai pazienti colpiti da malaria. Nel 1943 fu chiamato alla cattedra di patologia medica dell'università di Ferrara, dove dopo la fine della guerra fu anche incaricato dell'insegnamento di semeiotica medica, preside della facoltà di medicina e primario dell'arcispedale S. Anna.
Nel 1950 tornò a Torino come direttore della cattedra di patologia medica; il ritorno in questa città favorì la sua collaborazione in campo scientifico e assistenziale con il fratello Achille Mario.1 direttore della clinica chirurgica della stessa università e già chirurgo di fama internazionale. A Torino il D. sviluppò ulteriormente il potenziale scientifico dell'istituto, consolidando in particolare l'attività di ricerca in campo cardiologico in stretta collaborazione con la clinica chirurgica, dove nel frattempo era sorto il primo Centro italiano di cardiochirurgia. Nel 1958 fu chiamato a dirigere la clinica medica, succedendo così al suo antico maestro Bastai, e mantenne questa carica prestigiosa fino alla morte.
Il D. fu autore di numerosi studi riguardanti una estrema varietà di argomenti, tanto che riesce difficile operare una sintesi critica dell'opera scientifica sua personale e della scuola da lui diretta. Tuttavia a un'attenta disamina appare possibile individuare i principali contributi che mantengono tuttora un carattere di originalità.
La cardiologia fu uno degli argomenti ai quali il D. si dedicò con maggiore interesse; già a Firenze, con A. Beretta e altri collaboratori, iniziò a studiare l'emodinarnica e la fisiopatologia dello scompenso cardiaco, dell'infarto del miocardio e della cardiopatia tireotossica. Via via si concretizzarono studi sui rapporti tra fegato e cuore e tra polmone e cuore, che costituirono l'argomento di due importanti relazioni: Correlazioni fisiopatologiche e cliniche tra fegato e circolo nello scompenso cardiaco, all'XI congr. naz. della Soc. ital di gastroenterol. tenuto a Roma nel 1954; Fisiopatologia polmonare nei mitralici, al XIX congr. naz della Soc. italiana di cardiol. a Palermo nel 1957 (Fisiopatologia del circolo polmonare nella cardiopatia mitralica, in Atti d. Soc. ital. di cardiologia, VIII [Roma 1964], pp. 55-59). Al di là di elementi specifici, frutto di una ricerca clinica condotta con spirito critico e innovatore, questi due contributi sottolineano la fondamentale concezione degli intimi rapporti tra organo e organo, apparato e apparato, che il D. sosteneva, come appare anche da altri lavori (ad e s., Correlazioni fisiopatologiche e cliniche tra apparato digerente e circolatorio nello scompenso cardiaco, in Arch. it. per le malattie d. apparato digerente, XXI [1955], pp. 424-443, con A. Allodi; Sindromi addominali nell'infarto cardiaco acuto, in Atti d. XVII Congr. d. Soc. ital. di gastroenter., Bologna 1967, pp. 975-999, con A. Brusca).
Mentre prendevano corpo nei suoi scritti i concetti fisiopatologici e clinici del "fegato cardiaco" e del "cuore polinonare da cardiopatia mitralica", si andava concretizzando l'originale concezione della visuale periferica dello scompenso cardiaco, che rappresenta una delle più lucide e precorritrici interpretazioni cliniche dell'intera sua produzione scientifica (La visuale periferica nell'interpretazione clinica e nell'orientamento terapeutico dello scompenso cardiaco, in Minerva medica, XLII [1951], 2, pp. 333-341). Con essa il D. capovolse l'abituale modo di interpretare, durante lo scompenso cronico di cuore, il danno subito dagli organi periferici, fino ad allora considerato un evento puramente passivo, secondario; egli invece dimostrò che all'opposto da tale danno possono derivare interferenze sulla patologia primaria in un contesto di reazioni reciproche e complesse. Tale concetto è confermato sul piano clinico dalla frequente diversa fisionomia dei quadri dello scompenso cardiaco, pur a parità di meccanismi eziopatogenetici. A questa nuova interpretazione seguirono indicazioni terapeutiche altrettanto innovatrici che riguardarono sia il campo medico, e in particolare il trattamento dello scompenso cardiaco a impronta epatica, sia quello chirurgico; sotto quest'ultimo profilo risultano di particolare interesse alcuni aspetti riguardanti la valutazione funzionale del cardiopatico mitralico destinato all'intervento chirurgico, che formarono l'oggetto della sua relazione La situation pulmonaire chez les mitraux en vue de la commissurotomie alla Semaine cardiologique internationale de la Pitié di Parigi del 1955.La collaborazione con il Centro di cardiochirurgia dette origine a numerosi altri contributi scientifici; tra tutti si ricorda la descrizione e l'interpretazione della "sindrome post-cardiotomica", in quanto è ancora oggi valida e riportata nella trattatistica clinica (Pulmonary function in mitral valve disease, in American Journal of cardiology, III [1959], pp. 28-39).
Altro settore di studi prediletto del D. fu quello della malattia diabetica. Tra i suoi contributi che restano fondamentali si ricordano la scelta di indirizzi terapeutici metabolicamente corretti, l'impiego antesignano dell'insulina ritardo, lo studio clinico. fisiopatologico e terapeutico del diabete giovanile instabile, ma soprattutto la interpretazione originale - contemporanea e indipendente da altri studiosi stranieri - della patogenesi della vasculopatia micro e macroangiopatica, intesa come concomitanza e non come complicanza della malattia diabetica (Diabete mellito e patologia vasale, in Minerva medica, XLIII [1952], pp. 2-8; Diabete ed affezioni coronariche. Rilievi clinici e considerazioni patogenetiche, relaz. al I Simposio nazionale sul diabete, Catania 1956; Vasculopatie diabetiche o vasculopatie in diabetici?, in Recenti progressi in med., XXII [1957], pp. 91-98). Quest'ultima concezione, sebbene parzialmente modificata da ricerche successive di altri autori, trova ancora oggi numerosi consensi nella medicina anche internazionale. A dimostrazione che il D. non separò mai la propria attività scientifica da un profondo interesse per i problemi del malato aggiungiamo che il suo contributo allo studio della malattia diabetica fu completato dalla creazione dei primi centri antidiabetici a Firenze, Genova e Ferrara. In tale settore si ricorda ancora l'importante capitolo Diagnostica delle glicosurie che il D. redasse in collaborazione con G. F. Lenti per il Trattato di diagnostica di P. Bastai e altri (II, Milano 1964, pp. 283-344): tema già affrontato diversi anni prima dal D. (Diabete e glicosurie non diabetiche con speciale riguardo alla terapia, Firenze 1939).
Di grande interesse per l'originalità e le vedute precorritrici furono anche le ricerche del D. in campo infettivologico. Ne è esempio il concetto di "substrato malarico", da lui definito organicamente nella sua prolusione al corso di patologia medica di Ferrara, che correlò all'incidenza plurisecolare dell'infezione malarica l'esistenza nella popolazione della zona di un fattore morbigeno, la cui importanza clinico-prognostica si può estrinsecare in varie espressioni patologiche. L'intuizione di questo fattore, pur non trovando applicazioni cliniche immediate, postulò un'interpretazione della malattia più ampia e complessa, sulla quale i genetisti hanno successivamente lavorato con parametri biologici e statistici. D'altronde la valutazione del terreno organico come entità di fondamentale importanza nel condizionare la risposta alla noxa infettiva e nel modificare l'effetto terapeutico dei farmaci antibatterici, fu uno dei cardini della concezione patogenetica delle infezioni, prospettata dal Dogliotti. Essa è alla base dei suoi studi sugli effetti extrabatterici degli antibiotici, intesi anche come modificatori della reattività organica, e soprattutto della proposta e delle prime applicazioni della terapia cortisonica nelle infezioni. I risultati di questi studi, esposti in una relazione al congresso di malattie infettive del 1954, suscitarono allora discussioni e polemiche, mentre oggi tale modo di curare le malattie infettive è entrato nell'uso comune (La resistence aux antibiotiques surtout au point de vue clinique, relaz. alle journées thérapeutiques internationales di Parigi del 1951; Fenomeni allergici e trattamento cortisonico nelle malattie infettive, in Giorn. di mal. infett. e paras s., VII [1955], pp. 349-394, con G. F. Lenti). La terapia cortisonica delle infezioni fu poi estesa dal D. anche alle forme infettive a evoluzione subacuta e cronica nelle quali, a un certo momento del decorso, si evidenzia una componente disergica, mentre quella batterica si attenua progressivamente. Queste sue intuizioni trovarono altre applicazioni di rilievo specie nell'ambito dell'interpretazione patogenetica e della classificazione delle endocarditi batteriche subacute (Les formes intermédiaires et les formes de transition entre endocardite rhumatismale et endocardite bactérienne, relaz. al XXXI congr. francese di medicina di Parigi del 1957; The classification of endocarditis, in Panminerva med., II [1960], pp. 453-456).
Di grande rilievo furono anche gli studi di cancerologia e in particolare quelli riguardanti cancro e vecchiaia e quelli su cancro e tiroide (Cancro e vecchiaia, relaz. al II congr. naz. di gerontologia e geriatria, Milano 1952; The role of senile decay and hormonal factors in the development of cancer, in Panminerva med., II [1960], pp. 110-114; Diagnosi precoce e lotta contro i tumori, in Il Cancro, XI [1963], pp. V ss.; Valutazione clinico-statistica dei rapporti tra cancro ed ipertiroidismo, relaz. al II simposio di statistica medica, Roma 1963). Le osservazioni del D. riguardanti l'aumento dell'incidenza delle neoplasie con l'età, la relativa minore malignità del tumore nel vecchio, la minore frequenza di alcuni carcinomi nei soggetti ipertiroidei costituiscono elementi clinico-epidemiologici di grande importanza, che hanno ricevuto conferme valide a distanza di anni. Ma il suo interesse per le neoplasie portò a ulteriori risultati: favori lo sviluppo di ricerche sulle leucemie, che assunsero ben presto risonanza internazionale a opera di alcuni suoi collaboratori; sviluppò il filone di osservazioni sull'ormonodipendenza dei carcinomi mammario e prostatico con rilevanti contributi clinici e sperimentali realizzati nel Centro di endocrinochirurgia, creato in collaborazione con il fratello Achille Mario. L'argomento del trattamento ormonale del carcinoma mammario fu ripreso in una ricerca clinica successiva, che fu una delle prime nel mondo, ancora oggi valida, anche perché antesignana di quei concetti di ormonodipendenza legata a caratteristiche biochimiche della neoplasia (presenza dei cosiddetti "recettori ormonali") che, dalla metà degli anni '70, hanno contribuito in modo decisivo all'avanzamento delle ricerche di endocrino-oncologia (Trattamento del cancro avanzato della mammella con progestativi di sintesi, in Minerva medica, LXI [1968], pp. 4283-4296).
Oltre agli studi summenzionati, l'attività scientifica del D. fu rivolta ad altri campi della patologia, tra i quali la pneumologia; in riferimento a essa vanno ricordati in particolare i risultati di alcune sue ricerche sull'ilite tubercolare acuta che gli consentirono di identificare l'essenziale importanza del substrato allergico-iperergico in questa particolare forma tubercolare.
Si interessò anche di gastroenterologia con importanti contributi sulla patologia del coledoco terminale e della giunzione coledoco-duodenale, sulla sofferenza insulopancreatica e le affezioni epato-biliari, nonché sulla clinica del tenue mesenteriale (Signes et diagnostic de l'hypertension portale par obstacle intrahépatique, relaz. al congr. intern. di gastroenterol., Parigi 1954; Fisiopatologia e clinica delle stenosi benigne della papilla di Vater., relaz. al XIII congr. naz. d. soc. it. di gastroenterol., Genova 1959; Sofferenze insulo-epatiche pancreatiche ed affezioni epato-biliari, relaz. al II simposio intern. di epatologia, Chianciano 1960; Clinica del tenue mesenteriale, relaz. al XIV congr. naz. d. soc. it. di gastroenterol., Catania 1963).
Resta fondamentale infine il contributo nefrologico, e in particolare una sua relazione sulla pielonefrite cronica, nella quale questo processo morboso viene, per la prima volta in Italia, esaminato a fondo in tutti i suoi aspetti eziopatogenetici, fisiopatologici, clinici e terapeutici (La pielonefrite cronica, relaz. al LXIV congr. naz. d. Soc. it. di med. int., Roma 1963) La terapia della pielonefrite cronica, in Terapia, IL [1964], pp. 95-100, con A. Vercellone). Alla nefrologia, d'altra parte, la sua scuola aveva già dedicato in precedenza numerosi studi e altri ne dedicherà in seguito sia in campo fisiopatologico che terapeutico, realizzando inoltre uno dei primi centri di emodialisi italiani. Tra i vari altri lavori del D. si ricordano ancora: Fisiologia e patologia della vecchiaia, Roma 1938, con P. Bastai; Alimentazione e principi di terapia dietetica, in Terapia medica. Manuale pratico per medici e studenti..., diretto da F. Galdi, I, Torino 1944, pp. 271-306; Medicina interna. Manuale sintetico per medici e studenti, Torino 1953, 2 ed. ibid. 1959-60.
Il D. morì a Torino il 16 marzo 1976.
Bibl.: G. C. D.: maestro e clinico, Torino 1965; G. Lenti, G. C. D. (1906-1976), in Giorn. d. Accad. med., CXL (1977), pp. 12-21.