BERTONI, Giulio
Nacque a Modena da Giuseppe e da Adele Baroni il 26 ag. 1878. Nella città natale cominciò gli studi secondari, terminati poi al liceo Gioberti di Torino (1897). Ad accendere la sua vocazione agli studi filologici fu appunto quella tradizione modenese che da Giammaria Barbieri, Ludovico Castelvetro, Carlo Sigonio era continuata viva e feconda fino a Giovanni Galvani, i cui scritti sulla poesia dei trovatori costituirono, per lui, una stimolante lettura.
Ad offrirgli occasìone di sperimentare in tali studi la sua precoce avidità di cultura fu l'agio di quella Biblioteca Estense che aveva alimentato l'operosità esemplare d'un L. A. Muratori e d'un G. Tiraboschi, e che conservava tanti preziosi manoscritti ancor poco esplorati. A questi il B. cominciò a volgere la propria curiosità quand'era ancora studente liceale.
S'era frattanto iscritto alla facoltà di lettere nell'università di Torino, dove R. Renier, titolare di letterature neolatine e autorevole rappresentante dei metodo storico, fu pronto ad accogliere nel suo Giornale storico della letteratura italiana (XXIV [1899], pp. 117-139) Il complemento dei canzoniere provenzale di Bernart Amoros, scoperto dal B. appena ventenne proprio tra i manoscritti modenesi.
Tra i maestri dell'ateneo torinese che il B. particolarmente seguì, oltre al Renier, convien ricordare D. Pezzi per la giottologia e A. Graf per la letteratura italiana. Soprattutto quest'ultimo, con le sue rievocazioni delle leggende e dello spirito medievale, con la sua acuta sensibilità tardo-romantica, con la sua vena dolorosa di poeta, esercitò sul B. una profonda e durevole suggestione. Se ne possono scorgere le tracce non solo nei versi cui H B. affidò i propri sentimenti giovanili (e che non disdegnò poi di raccogliere in un volumetto, Primavera di rime, pubblicato a Modena nel 1906),ma ancor più in quella propensione a una sorta di lirismo e quasi di misticismo estetico che, quasi a compenare l'oggettivismo naturalistico della disciplina erudita, accompagnò pur negli anni più maturi la sua critica letteraria e la sua stessa attività filologica.
A Torino il B. conseguì la laurea in lettere nel 1901, con una dissertazione su un corpulento poema franco-veneto conservato da un manoscritto estense, La guerra d'Attila di Nicolò da Casola, illustrata dapprima in collaborazione con C. Foligno (in Mem. della R. Accad. d. Scienze di Torino, s. 2, LVI [1906], pp. 77-158),che indipendentemente da lui, a Milano, aveva anch'egli dedicato allo studio dell'inedito poema la propria tesi di laurea, e poi (1907) lo aveva parzialmente edito nei Collectanea Friburgensia.Nel 1902 il B. passò a Firenze, dove seguì un corso di perfezionamento sotto la guida di P. Rajna e a contatto di G. Mazzoni ed E. G. Parodi. Nel 1903 una borsa di, studio gli consentì un soggiorno a Parigi, dove frequentò filologi e linguisti quali P. Meyer, A. Jeanroy, J. Gilliéron, A. Thomas. Oltre a cose minori, pubblicò in quell'anno due opere di notevole e già maturo impegno: un'edizione dei Trovatori minori di Genova (Dresda), conferma della preparazione raggiunta nel dominio degli studi provenzali, e un libro su La Biblioteca Estense e la cultura ferrarese ai tempi dei duca Ercole I (Torino), primo solido contributo a una vagheggiata storia della Rinascita nell'Italia settentrionale, giudicato dal Renier "uno dei migliori studi che siano stati fatti sulla corte Estense, dai tempi del Muratori e dei Frizzi in poi". L'anno dopo, mentre dava seguito alle ricerche rinascimentali con un volume di Nuovi studi su Matteo Maria Boiardo (Bologna 1904), e continuava a pubblicare con ritmo intenso note d'erudizione modenese (alcune scritte in collaborazione con l'amico E. P. Vicini) e vari articoli su testi provenzali, francesi e italiani dei primi secoli, si recava a completare la propria preparazione a Berlino, dove conobbe A. Tobler. Dopo avere così preso contatto diretto con le migliori scuole filologiche d'Europa ed essersi messo in condizione di compararne i metodi, rientrò in Italia e tornò, con la borsa di studio "Passaglia", presso l'università di Torino. Qui conseguì, nel 1905,la libera docenza in filologia romanza avendo già al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni. Lo stesso anno era chiamato a professare la sua disciplina nell'università di Friburgo in Svizzera.
Per sedici anni - fino al 1921 - il B. rimase ad insegnare nel fervido centro di studi elevetico, a lui congeniale per la sua tradizione cattolica illuminata (vi spiccava allora tra gli insegnanti la figura del domenicano P. Mandormet, grande storico dei pensiero medievale), propizio per le condizioni ambientali al sereno raccoglimento e apertissimo, per la stessa composizione del corpo docente e della popolazione studentesca ai contatti con culture nazionali diverse. Sono anni d'intensa operosità, durante i quali la biografia dei B. coincide veramente con la sua bibliografia, che s'arricchisce a ritmo febbrile d'oltre seicento numeri. Di questa produzione i nuclei fondamentali - alimentati dalla fedeltà agli scavi di biblioteca, in primo luogo all'Estense, e rispondenti in prevalenza a intenti di documentazione erudita, nello spirito del "metodo storico" - sono costituiti ancora da contributi alla filologia provenzale e alla storia della cultura modenese.
Tra i primi, oltre ad innumeri proposte di critica testuale e interpretativa, appunti su singoli trovatori, indicazioni circa le vicende di questo o di quel manoscritto, sono da ricordare almeno leedizioni de Il canzonire Provenzale della Riccardiana n. 2909, ediz. diplomatica…, Dresden 1905; de Il canzoniere provenzale di Bernart Amoros, ricostruito nella sua integrità giustapponendo alla sezione riccardiana il complemento Campori (Friburgo 1911); de Il canzoniere provenzale della Biblioteca Ambrosiana R. 71, ediz. diplomatica, Dresden-Halle 1912; l'edizione particolare di Rambertino Buvalelli trovatore bolognese e le sue rime Provenzali, Dresden 1908; e quella complessiva de I Trovatori d'Italia (Modena 1915). Nel secondo gruppo, oltre a indagini su grammatici, poeti, amanuensi, artisti, medici, e naturalmente sui rappresentanti maggiori e, minori della tradizione filologica modenese, oltre a letture d'iscrizioni e spogli di documenti cittadini latini e volgari, oltre alla descrizione dal vivo dei dialetto modenese (Il dialetto di Modena, Torino 1905),almeno i contributi ai Rerum Italicarum Scriptores, con le edizioni della Relatio translationis corporis sancti Geminiani (VI, parte 1, 1907) e del Chronicon Estense (XV, parte III, fasc. I, Città di Castello 1908; fasc. II, ibid. 1937), l'Atlante storicopaleografico del Duomo di Modena (Modena 1909), il Laudario dei Battuti di Modena (Halle 1909), lo studio sul venerando Ritmo delle scolte (in Atti e Mem. d. Dep. di st. patria per le provincie modenesi, s. 6 [1910], pp. 133-158), l'edizione della secentesca Cronaca… di G. B. Spaccini (in Monumenti di storia patria delle provincie modenesi, Modena 1911).
Se in questi due filoni s'individuano gli interessi prevalenti e più costanti del B., non mancano tuttavia d'essere rappresentati nella sua attività anche il dominio spagnolo, con un diligente Catalogo dei codici spagnuoli della Biblioteca Estense (Erlangen 1905),con la pubblicazione di canzonette da sillogi musicali e con una traduzione del Cantare del Cid (Bari 1912);il dominio francese con parecchie note, specialmente su manoscritti, e una funzionale raccolta di Testi antichi francesi per uso delle scuole di filologia romanza, Roma-Milano 1908; soprattutto, come è naturale, l'italiano, con articoli vari su autori d'età medievale e umanistica, e in particolare con l'ampio quadro del Duecento per la Storia letteraria d'Italia edita dal Vallardi (Milano 1910) e con il volume su L'Orlando Furioso e la Rinascenza a Ferrara, nutrito di dati inediti o ignoti (Modena 1919).
Ancor più merita di venire sottolineato l'accentuarsi in lui dell'interesse per gli studi linguistico-dialettologici, annunciato già dal profilo del dialetto modenese, confermato poi da un graduale infittirsi di note lessicali ed etimologiche, documentato infine con maggiore impegno da due inchieste onomasiologiche su Le denominazioni dell'"imbuto" nell'Italia del Nord (Bologna-Modena 1909) e sulle Denominazioni del "ramarro" (lacerta viridis) in Italia (in Romania, Paris, XLII [1913], pp.161-172), quindi da due libri intesi rispettivamente a illustrare L'elemento germanico nella lingua italiana (Genova 1914) e a delineare un compiuto profilo dell'Italia dialettale (Milano 1916).
In particolare la ricerca sui nomi dell'"imbuto" assume, nella prospettiva biografica, un rilievo ben superiore alla sua consistenza materiale, relativamente limitata. Con essa, infatti, il B. rivela la propria volontà d'inserirsi nel processo di rinnovamento che animava allora gli studi linguistici, e ne fa esplicita professione nella breve introduzione teorica, che reagisce al naturalismo meccanicistico dei cosiddetti "neogrammatici", rifiutando il predominio della fonetica sugli altri aspetti, specialmente semantici e culturali, in cui s'attua la vita delle lingue. L'impostazione dei lavoro si collega da un lato al movimento sorto sotto la suggestione di H. Schuchardt e rappresentato dalla rivista Wörter und Sachen, che proprio in quell'anno R. Meringer e W. Meyer-Luebke avevano fondato a Heidelberg, dall'altro canto e ancor più strettamente si richiamiè al metodo della "geografia linguistica" e risente dell'influsso diretto dei Gilliéron, con il quale, dopo i primi contatti parigini, il B. s'era ritrovato in Svizzera. Ne nacque uno scontro con C. Salvioni, chedei neogrammatici era allora in Italia il campione più autorevole, e la polemica si rinnovò poi vivace a proposito dell'Elmento germanico. Il B. ne fu stimolato ad accentuare ulteriormente nel proprio orientamento di studioso gli spunti, ancora piuttosto estrinseci, che per qualche aspetto si contrapponevano alle dottrine tradizionali, a coordinarli in una più vasta ambizione di rinnovamento, a cercarne giustificazioni tendendo l'orecchio alla filosofia idealistica cui in Italia aveva dato impulso decisivo l'opera di là. Croce, a cimentarsi insomma con generoso ardore in uno sforzo di rimeditare globalmente, sotto una luce nuova, principi e metodi della propria disciplina.
Comincia allora un nuovo periodo della sua attività. Ne dà il primo segno l'iniziativa con cui nel 1917. superando difficoltà non lievi con l'appoggio d'ell'editore L. S. Olschki, allora a Ginevra, il B. riesce a fondare e prende a dirigere, chiamandovi a collaborare da ogni parte anziani e giovani studiosi e componendo egli stesso in gran numero saggi, note e recensioni, una sua rivista specialistica: l'Archivum Romanicum.
La rivista si presenta programmaticamente consacrata "alla storia del pensiero e della parola dei popoli neolatini, attraverso lo spazio ed il tempo, ma con particolare riguardo all'età anteriore alla Rinascenza" e ispirata ad "un metodo ampio di ricerca, così nei dornini delle lingue, come in quelli delle lettere". Altrettanto significativo è che la produzione del B. non solo s'espanda con rapidissimo accrescimento, dopo una comprensibile contrazione in corrispondenza con i primi anni del conflitto europeo, ma tenda nello stesso tempo a comporsi, per la parte di maggior rilievoi in sillogi di relativa organicità, la prima delle quali, Poesie, leggende, costumanze del Medio evo, appare anch'essa nel 1917 (Modena), seguita nel 1921, sempre a Modena, da una seconda, Studi su vecchie e nuove poesie e prose, d'amore e di romanzi. La tematica è ancora sostanzialmente la medesima, ma sulla sua vasta gamma si innesta un travaglio di reinterpretazione spiritualistica, che si fa palese specialmente in alcuni scritti pubblicati sull'Archivum Romanicum nel 1920, quali Filologia romanza come erudizione, scienza naturale e scienza dello spirito (pp. 1-19); Lingua come arte o energia fonetica (pp. 340-342); La legge fonetica (pp.486-489). In essi il B. fissa alcune direttrici su cui non cesserà poi di sviluppare, con successive insistenti riprese, il suo pensiero. Anche la sua vita privata ha intanto acquistato una dimensione più piena, per il matrimonio con Francesca Paola Bertoni, (25 apr. 1919)e la nascita della figlia Ginevra.
Nel 1921 l'università di Torino, che lo aveva avuto allievo, lo richiamava presso di sé quale maestro. La prolusione chegli vi tenne il 2 febbr. 1922 è una professione di fede nel rinnovamento della filologia romanza secondo i convincimenti maturati durante l'ultima fase del periodo fríburghese. Questi vengono intanto riorganizzati intorno al nucleo costituito dagli articoli dei 1920, e trovano più larga esplicazione in quel Programma di filo romanza come scienza idealistica (Ginevra 1923) che, dedicato agli allievi di Friburgo, rappresenta per così dire il manifesto con cui il B. assegna un significato ideale al proprio rientro in Italia.
Oltre che alle idee dello Schuchardt e delGilliéron, egli si richiama esplicitamente alla "concezione filosofica idealistica", in particolare "alle opere di due pensatori italiani, il Croce e il Gentile", cui professa di dovere "moltissimo". Né manca di rammentare: "questa concezione era al di fuori della mia mentalità, quando intrapresi in Isvizzera, nel 1905, il mio insegnamento con intenti del tutto intellettualistici e naturalistici". Sitratta dunque, ai suoi occhi, d'una conversione, anche se maturata "per gradi" attraverso un'evoluzione interiore "laboriosa"; edella conversione il suo atteggiamento ha senza dubbio i caratteri più vistosi, a cominciare dall'entusiasmo fideistico. In realtà, come la nozione stessa di "filologia" è da lui assunta nell'accezione più larga, inclusiva non solo di linguistica e critica testuale, ma anche di storia della letteratura e critica letteraria, così la sua nozione di "idealismo" si palesa assai elastica, giungendo a coprire con tale etichetta anche posizioni sostanzialmente naturalistiche (sia pure d'un naturalismo nonmeccanicistico, come quello dei neogrammatici, ma piuttosto biologico e psico-sociologico) come quelle del Gilléron, e riuscendo d'altra parte a salvare con largo riconoscimento l'importanza della "ricerca naturalistica",ossia della "erudizione",che viene sussunta all'interpretazione, "idealistica" come nella teoria gentiliana dello spirito il "fatto" rispetto all'"atto". Per l'appunto questo e simili ricorsi all'attualismo gentiliano, ben più sensibili di quelli allo storicismo crociano, denotano e ad un tempo incrementano la naturale inclinazione del B. verso un certo tipo di sintesi suggestivamente conciliatrici dei contrasti teoretici, anche se non altrettanto operative sul terreno delle concrete applicazioni filologiche, piuttosto che verso la pazienza delle distinzioni dialettiche in re. Si comprende perciò come un filologo assai più vicino al Croce, K. Vossler, che al tema Positivismus und Idealismus in der Sprachwissenschaft aveva dedicato fin dal 1904 (Heidelberg) un libro importante, ma a giudizio del B. "più fortunato nella parte demolitrice che nella parte ricostruttiva", esprimesse a sua volta sulla costruttività del Programma bertoniano riserve che, con il generale affermarsi del crocianesimo nella cultura italiana, vennero da molti raccolte. "Non posso - egli scriveva (in Literaturbiatt für germ. und rom. Philol., XLIV[1923], pp. 225 ss.) - aver molta fiducia nella forza d'urto d'un programma che tra presupposti, risultati e problemi della ricerca propone una conciliazione generale a così buon mercato, in luogo delle tensioni concrete che sarebbero state da impostare chiaramente". Ma non mancava di riconoscere (e di questo si dimenticarono troppo facilmente altri critici del B.): "di positivo esso possiede tuttavia uno slancio personale che tocca simpaticamente, e davanti al quale non sono certo rimasti insensibili,gli studenti di Friburgo, cui il libro è dedicato". In effetti il B. fu sempre maestro efficacissimo, nell'immediata comunicativa didattica ancor più che negli scritti, e al calore suadente della sua parola non meno dei friburghesi furono sensibili gli studenti di Torino, durante i sette anni (1921-1928) ch'egli rimase ad insegnare presso quella università. Oltre che attraverso lezioni e conferenze, il suo entusiasmo di maestro s'esplicava poi anche, con l'autorità ormai conquistata, in una fervida attività d'organizzazione e propulsione degli studi attraverso iniziative e collaborazioni atte a mobilitare le energie d'amici e discepoli.
All'Archivum Romanicum, affermatosi in pochi anni come organo specialistico tra i più prestigiosi su piano internazionale, affiancava. ancora presso l'editore Olschki, una ricca collana ("Biblioteca dell'Archivum romanicum") di monografle linguistiche e filologiche, inaugurata nel 1921 da ún suo volume su Guarino da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara (Ginevra 1921), nuovo tributo alle inintermesse ricerche sull'umanesimo nell'Italia settentrionale. Nel 1922 entrava nella redazione del Giornale storico della letteratura italiana, diretto allora da V. Cian, e alle cui pagine, dopo il primo articolo del 1899, mai era venuta meno, né mai mancherà, fino alla morte, la sua collaborazione. Nello stesso periodo entrava altresì come condirettore, insieme con M. G. Bartoli, nel comitato di redazione dell'Atlante linguistico italiano dal Bartoli ideato, e nel 1924 presentava al congresso di Gradisca il piano generale per la sua realizzazione. Frutto della collaborazione con il Bartoli fu pure il battagliero Breviario di neolinguistica, pubblicato a Modena nel 1925, per il quale, lasciata al collega la formulazione dei Criteri tecnici, il B. redasse la prima parte, dedicata ai Principi generali (pp. 7-39).
Tra le altre pubblicazioni di questo periodo, oltre agli articoli sempre numerosi e sempre nutriti d'indicazioni inedite (illustrazioni di manoscritti, notizie d'archivio, ecc., con immutata fedeltà alla Biblioteca Estense e alla tradizione modenese), sono da ricordare: il Profilo storico dei dialetto di Modena (Genève 1925), che nel riprendere un tema trattato vent'anni prima ben mostra l'evoluzione del metodo; gli agili profili L. Ariosto (Roma 1925) e L. A. Muratori (ibid. 1926), una terza raccolta di saggi (Poeti e poesie del Medio evo e del Rinascimento, Modena 1922) e una di note erudite (Spunti, scorci e commenti, Genève 1928).
Nel 1928, morto C. De Lollis, il B. venne chiamato a succedergli nell'università di Roma. Lasciò allora la collaborazione all'Atlante linguistico, e cominciò invece quella all'Enciclopedia italiana, diretta da G. Gentile, per la quale curò, come membro del comitato tecnico, la sezione linguistica, e compilò personalmente parecchie voci, soprattutto di storia letteraria medievale e di dialettologia italiana. Nell'agosto 1929 fu nominato cancelliere reggente dell'Accademia d'Italia, la quale inaugurava la sua vita il 28 ottobre di quell'anno. In tale carica rimase fino all'ottobre 1930, ossia per tutta la durata della presidenza di T. Tittoni. Fu nominato accademico d'Italia nel 1932. Riconoscimenti e responsabilità ufficiali non rallentavano, anzi stimolavano il suo ardore operoso. Accanto ai saggi critici e filologici, accanto agli appunti eruditi, vediamo moltiplicarsi in questi anni gli articoli d'attualità culturale su riviste e giornali; accanto alle conferenze, le conversazioni radiofoniche, specialmente su questioni di lingua, ispirate a un neopurismo su cui facilmente si innestavanointerferenze politiche: attività che trova poi pratica sistemazione in un Prontuario di pronunzia e d'ortografia (Torino 1939) compilato con la collaborazione di F. A. Ugolini. Il Duecento vallardiano raggiunge una seconda (Milano 1930), Poi (ibid. 1939) una terza edizione, con ampliamenti e aggiornamenti. Alle precedenti raccolte di saggi, altre se ne aggiungono: in particolare la "trilogia" Linguae pensiero (Firenze, 1932), Lingua e poesia (ibid. 1937), Lingua e cultura (ibid. 1939).
Negli scritti qui riuniti il B. svolge ed applica ad esempi diversi una distinzione tra lingua e linguaggio assai dìfferente da quella famosa di F. de Saussure, raccogliendo piuttosto spunti offerti dal Vossler e rielaborandoli con una forte inserzione d'influssi gentiliani. Lingua è per lui un "fatto" culturale collettivo, linguaggio l'"atto" individuale dell'espressione; nella lingua si rispecchiano la storia e la civiltà d'un popolo, nel linguaggio la vita spirituale e la personalità d'uno scrittore; la lingua è oggetto di critica storica, il linguaggio di critica estetica. Queste impostazioni non mancarono di suscitare alla fine la reazione del Croce, il quale (La Critica, XXXII[1941], pp. 168 ss.) accusò il B. di aver "resi confusi e contraddittori" i concetti della sua estetica, contaminandoli con le formule del Gentile. Non è comunque difficile riconoscere come nell'irrequieto eclettismo teorico rimproverato al B. e nelle sue approssimazioni applicative (apparse vaghe di fronte all'affermarsi di più puntuali indirizzi di critica stilistica) si traducesse con sincerità l'esperienza intimamente vissuta della crisi attraversata dagli studi filologici nel passaggio dal clima naturalistico, entro cui il B. s'era formato, a quello idealistico dominante nella cultura italiana del ventennio fra le due guerre mondiali. Di questa crisi inevitabile e degli sforzi tesi con insoddìsfazione ansiosa al suo superamento, la trilogia bertoniana resta documento significativo. Né per altro verso meno significativa dell'equilibrio che il B. sapeva portare e conservare nelle più delicate questioni tecniche rimane la sua solenne edizione critica della Chanson de Roland (editio minor,Firenze 1935; maior,ibid. 1936), che di fronte alla soluzione propughata e consequenziafiamente attuata da J. Bédier, d'un rigido ancoraggio al codice oxoniense, ripropone le esigenze d'una prudente critica ricostruttiva, appoggiata all'interpretazione puntuale del testo.
Università e Accaderma offrivano intanto occasioni per altre rilevanti iniziative culturali. Il passaggio della facoltà di lettere dal vecchio palazzo Carpegna alla nuova Città universitaria permetteva al B. di fondarvi un Istituto di filologia romanza, solennemente inaugurato il 3 giugno 1936 con un suo discorso su Il latino di Roma e le lingue romanze, pubblicato a Firenze nello stesso anno. Tale Istituto s'affermò subito quale centro vivace di studi, con le conferenze ed esercitazioni che insigni filologi italiani e stranieri furono invitati a tenervi; con la sua biblioteca destinata a svilupparsi intorno al nucleo costituito dal lascito dei libri, già appartenuti al filologo padovano V. Crescini; con le sue due serie di pubblicazioni, iniziate nel 1937 presso la Società tipografica modenese di C. Mucchi: gli "Studi e testi", a carattere rigorosamente scientifico, e i "Testi e manuali", (una decina dei quali compilati dal. B. stesso), a carattere elevatamente didattico; infine con il suo "bollettino", la rivista Cultura neolatina, cominciata a pubblicarsi nel 1941 (mentre l'Archivum Romanicum, raggiunto il venticinquesimo volume, cessava). L'Accademia, dal canto suo, commise al B. l'organizzazione e la direzione d'impegnative opere lessicografiche. Si trattò dapprima di un Dizionario di marina medievale e moderno, giunto a pubblicazione nel 1937 a Roma, che doveva essere, il primo (ma rimase il solo) d'una serie di dizionari d'arti e mestieri. Si trattò poi, impresa più vasta e complessa, d'un Vocabolario della lingua italiana, "concepito come letterario e dell'uso e impostato filologicamente".
L'opera, che per espressa volontà di Mussolini doveva essere compiuta "nel termine di anni cinque", a partire dal 1935,richiese - anche proprio per le pressioni politiche presenti nello sfondo della sua impostazione e che mal potevano conciliarsi con le esigenze d'un rigoroso e pacato lavoro scientifico - enormi fatiche e responsabilità di coordinamento e revisione.
Il B., che aveva accettato l'incarico con il solito entusiasmo e sopportato le fatiche con tenace abnegazione, cercando nell'assiduo lavoro qualche conforto alla morte della moglie (1938), finì con logorarvi le proprie energie, già segretamente minate dall'insidia d'un male incurabile, e molto lo amareggiarono, le inevitabili polemiche da cui fu accolto il primo volume (A-B) uscito a Roma nel 1941. A questo le vicende politiche impedirono poi seguissero gli altri, in parte già preparati, mentre il B., dopo qualche mese di degenza, veniva sopraffatto a Roma da una crisi della sua malattia il 28 maggio 1942. Le sue ultime Note di erudizione storica e letteraria furono raccolte, nel trigesimo della morte, dall'amico editore Mucchi, di Modena.
Oltre che all'Accademia d'Italia, il B. appartenne, come membro effettivo o corrispondente, a molte altre Accademie italiane e straniere. Tra esse: i Lincei, la Crusca, le Accademie di Torino, Modena, Lucca, Siena; l'Accademia provenzale d'Avignone, l'Accademia polacca di Varsavia, la Sächsische Akademie der Wissenschaften di Lipsia, l'Académie Royale del Belgio, quella dei Lussemburgo, ecc. Tra i molti riconoscimenti da lui ricevuti durante la sua vita, ricordiamo i dottorati honoris causa delle università di Wilno, Cernauti, Strasburgo, Sofia.
Opere: un Elenco dille pubblicazioni in ordine cronologico, comprendente 1379numeri e corredato da un Indice per materie, è stato compilato da G. Stendardo e pubblicato, con un'introduzione di A. Monteverdi, in Cultura neolatina, XII (1952), pp. 1-78 (corrispondenti all'intiero fascicolo 1°) e anche in estratto a parte.
Bibl.: Tra gli scritti concernenti la figura dei B. e pubblicati lui ancor vivo, si possono ricordare i profili di G. Zoppi, in L'Italia che scrive, V (1922), p. 57. e di S. Wedkiewicz, Cracovia 1930, la voce B. G. in Encici. Ital., VI, p. 796, e quella nel repertorio Scrittori di Roma, Roma 1938, pp. 836-838; altri profili in Riv. ital. di letter. dialettale, IV (1932), pp. 97-101, e in Romana, V (1941), pp. 317-328; infine il numero speciale di La Festa, Assisi, 15 febbr. 1942. Tra i necrologi: quelli di A. Schiaffini, in Primato, 15 giugno 1942, p. 223; F. Neri, in Nuova Antologia, 16 giugno 1942, pp. 221-225; U. Cianciolo, in Transilvania, giugno 1942, n. 6, pp. 459-464; P. Aebischer, in Arch. stor. d. Svizzera ital., giugno 1942, pp. 115 s.; R. M. Ruggieri, in L'Italia che scrive, XXV(1942), pp. 113-114; G. Stendardo, in Studium, luglio-agosto 1942, pp. 213-215; C. Calcaterra e F. Neri, in Giorn. stor. della letter. ital., CXIX(1942), pp. 97-104; I. Iordan, in Buletinul Institutului de Filologie Romîna "Alexandru Philippide", Universitatea din Iasi, IX (1942), pp. 224-225; A, Monteverdi, in Studi medievali, n.s., XV (1942), pp. 230-232 (rist. nell'Annuario dell'università di Roma, 1944-45,pubbl. nel 1947, pp. 291ss.); L. Hielmsiev. in Actalinguistica, VI (1950-51), pp. 94 s. Ricordi particolari: F. Picco, G. B. studente a Torino,in L'Italia che scrive, XXX (1942), pp. 1141-16;G. Stendardo, G. B."modenese", in Il Resto del Carlino, ed. modenese, 28 maggio 1943;R. M. Ruggieri, G. B. e l'Istituto di Filologia romanza, in Cultura neolatina, II (1942), pp. 131-136. Commemorazioni: di E. P. Vicini e T. Sorbelli, in Studi e documenti d. Deputaz. di storia patria per l'Emilia e la Romagna, sez. di Modena, n.s., I (1942), pp. 10-14; C. Tagliavini, in Atti dell'Accad. delle scienze di Torino, LXXVIII (1943), pp. 338-343;soprattutto G. Bottiglioni. G. B.: nel decennale della sua morte, in Atti e mem. dell'Accad. di scienze, lettere ed arti di Modena,s. 5. X (1952),pp. XXXIX-LII; e naturalmente il già ricordato profilo delineato da A. Monteverdi come introduzione alla bibliografia compilata da G. Stendardo. in Cultura neolatina, XII (1952), pp. 5-14. Per un aspetto particolare: G. Medri, Gli studi ferraresi di G. B., in Atti e mem. della Deputaz. di storia Patria per l'Emilia e Romagna, sezione di Ferrara, II (1944), pp. 101-154. Per inquadramento nella storia culturale e discussioni metodologiche: B. Croce, La teoria del linguaggio e le sue condizioni presenti in Italia, in La Critica, XXXII (1945), pp. 568 ss. (poi rist. in Discorsi di varia filosofia, I, Bari 1945, pp. 235-250); U. Cianciòlo, G. B. si filologia romanica stiinta idealista, Cluj-Sibiu 1944; G. Nencioni, La teoria dei linguaggio di G. B., in Idealismo e realismo nella scienza del linguaggio, Firenze 1946, pp. 17-28; A. Gramaci, Letteratura e vita nazionale, Torino 1950, passim; Cinquant'anni di vita intellettuale italiana (1896-1946), a cura di C. Antoni e R. Mattioli, Napoli 1950 (dove sono da vedere specialmente gli scritti di G. Devoto, Cinquant'anni di studi linguistici italiani, I, pp. 374s.; G. Marzot, La critica e gli studi di letteratura italiana, I, pp. 504 ss.; A. Schiaffini, Gli studi di filologia romanza, II, pp. 418s.); R. M. Ruggieri, I lavori di linguistica romanza in Italia dal 1939 al 1948,in Os estudos de linguistica romànica na Europa e na América desde 1939 a 1948, Coimbra 1951, specie pp. 470 ss.; I. Iordan, Einführung in dieGeschichte und Methoden der romanischen Sprachwissenschaft, a cura di W. Bahner, Berlin 1962, pp. 167-170, 274 a.; R. A. Hall jr., Idealism in Romance Linguistics, Ithaca, N. Y., 1963, pp. 62-70.