SANTORI (Santoro, Santorio), Giulio Antonio
SANTORI (Santoro, Santorio), Giulio Antonio. – Nacque a Caserta il 6 giugno 1532 da Leonardo e da Carmosina Baratucci da Teano, appartenenti a famiglie di legisti e chierici.
L’orientamento filofrancese del padre al tempo della guerra della Lega di Cognac (1526) ne comportò la persecuzione e la successiva riabilitazione. Santori fu destinato al clero dalla madre, il cui esempio di austera devozione e ferrea disciplina lo avrebbe profondamente influenzato nella vita. Ricevette la prima istruzione a Teano, dove prese la tonsura il 26 dicembre 1540. Mandato a studiare a Napoli nel 1547, assistette alla rivolta contro l’inquisizione, di cui avrebbe voluto comporre una cronaca, ma le schegge di un colpo di cannone gli procurarono ferite sul cranio, di cui avrebbe portato segni indelebili. Tornò a Napoli nel 1548, e intraprese gli studi di diritto. Nel 1552 una malattia del padre lo costrinse a Caserta, dove cercò di concludere il Pro confutatione articulorum et haeresum recentiorum haereticorum et pseudoapostolorum, prova di competenza dottrinale e di attrazione per il mestiere di inquisitore. Il 21 dicembre prese gli ordini minori nella chiesa dell’Annunziata a Napoli.
Laureatosi nel 1553, esercitò fino al 1556 la professione forense anche a Roma. Dei casi di eresia di Galeazzo Caracciolo, Giulia Gonzaga, Mario Galeota, dei circoli valdesiani, raccolse minute note nella De persecutionis haereticae pravitatis historia, manifestando senso della documentazione e rappresentazione storica del Santo Uffizio. Nei viaggi tra Napoli e Roma, gli capitò di esorcizzare contadine spiritate e di impugnare le armi, come a Gaeta, nella primavera del 1556, nell’allarme per un avvistamento di turchi. Ordinato sacerdote il 1° gennaio 1557, gli fu affidata la parrocchia di S. Orso d’Ercole a Caserta. Nel 1559 fu nominato vicario del vescovo Agapito Bellomo, e incaricato dell’inquisizione. Sentì «tanta gioia et allegrezza, che bramava essere ucciso per la fede cattolica» (Cugnoni, 1889, p. 335).
Nel 1559 morì Paolo IV Carafa e sotto Pio IV Medici Santori vide scatenarsi contro i carafeschi, ai quali andavano le sue simpatie, processi e ritorsioni. Seguì a distanza l’ultima fase del concilio di Trento attraverso le lettere di Bellomo. Tra il 1559 e il 1562 stese la Deploratio praesentium temporum Ecclesiae catholicae ad Pium Quartum, in cui trattò la minaccia turca e quella ereticale, l’«avaritia» del clero, la «rapacitas» dei feudatari, la crisi della morale e della pietà cattolica. L’elogio di Paolo IV vi suonò indiretta critica a Pio IV, avvertito ambiguo verso i nemici della Chiesa. In Terra di Lavoro condusse, anche a costo di insidie di notabili locali, inchieste inquadrate nella più vasta inquisizione diretta a Napoli contro una rete ereticale che pervadeva ambienti aristocratici, intellettuali ed ecclesiastici.
Nel 1563, per desiderio del viceré Pedro Afàn de Ribera duca d’Alcalà, fu chiamato ad affiancare nella capitale Luigi Campagna, vicario dell’arcivescovo Alfonso Carafa e commissario generale del S. Uffizio nel Regno. Santori avviò allora il suo legame politico con un altro carafesco, il cardinale Michele Ghislieri, dal 1558 inquisitore generale a Roma. Di Campagna, temette il «cervello torbido et audace» (Estratto..., c. 138r), ma il contesto napoletano gli fu reso difficile soprattutto dalle ostilità tra i carafeschi e Pio IV, dagli interessi del governo spagnolo, e dalle solidarietà di eretici in ambienti ecclesiastici e nobiliari. L’esecuzione dei relapsi Gianfrancesco Alois e Giovan Bernardino Gargano, il 4 marzo 1564, e la confisca dei loro beni, provocarono la rivolta dell’aristocrazia, di cui Santori lasciò memoria nella Persecutione... e nell’Estratto da’ diarii... Riparato il cardinal Carafa in Castelnuovo, fuggito Campagna, egli affrontò da solo la protesta contro la Curia. Rientrata la rivolta, il 15 aprile 1564 ricevette dal S. Uffizio la subdelega a procedere in nome della congregazione. In giugno fu però convocato a Roma per rispondere dell’accusa di aver complottato con altri carafeschi contro la vita di Pio IV, lanciata da un gruppo di prigionieri del S. Uffizio. Restò a Roma fino all’ottobre, tenendo relativi Diari. Scagionato, Pio IV lo lusingò offrendogli nuove cariche, ma Santori riprese invece il suo ufficio a Napoli.
Il 7 gennaio 1565 Ghislieri fu eletto papa Pio V e chiamò Santori a Roma come consultore del S. Uffizio, nel quadro del potenziamento del tribunale. Il 6 marzo 1566 fu creato arcivescovo di Santa Severina e consacrato il 12 marzo dal cardinale Scipione Rebiba. Cominciò a tenere diari delle sue udienze presso il papa (Libri delle mie private udienze). Si occupò dell’ultimo processo contro Pietro Carnesecchi e fu incaricato di redigere il Compendium degli atti istruiti contro il cardinale Giovanni Morone nel 1557-59. Il 16 aprile 1568 gli morì il fratello Cola Antonio, alfiere nella compagnia di Baldassarre Acquaviva e commilitone di Giovanni Bruno, padre del filosofo Giordano. Nominato cardinale il 17 maggio 1570, il 9 giugno gli fu dato il titolo di cardinale presbitero di S. Bartolomeo all’Isola, e provvisto dal papa, in quanto cardinale povero, nelle prime spese. Aggiunse alla compilazione dei Libri quella dei Diari concistoriali, fonti di primario interesse per la storia della Curia romana e per l’integrazione del profilo dell’attività e della visione di Santori, non limitate al S. Uffizio, e animate dall’idea che il tribunale della fede dovesse costituire l’ufficio dottrinale e politico centrale della Chiesa. Come cardinale, Pio V lo volle nella Congregazione per i vescovi e i regolari, e lo confermò nel S. Uffizio, dove contribuì alla conclusione del processo al primate di Spagna Bartolomeo Carranza, su cui radunò vasta documentazione (Processus in causa Toletana). Santori non partecipò, nel maggio del 1572, al conclave di Gregorio XIII, poiché malato. Il nuovo papa ne ebbe viva stima e gli permise di aiutare i suoi familiari, non senza qualche suo scrupolo, motivato dal confronto con l’ammirato modello di vita di Pio V.
Nel concistoro segreto del 16 dicembre 1572 Gregorio XIII gli tolse il vescovato di Santa Severina, trasferito al fratello Francesco Antonio Santori, ma gli conservò la collazione dei benefici. Il papa gli assicurò anche la commenda di S. Lazzaro di Capua e una pensione di mille scudi sulla mensa vescovile di Gerace. Una pensione di mille scudi sulla mensa di Pamplona gli confermò il favore di Filippo II. Altri mille scudi gli provenivano dalla mensa di Reggio Emilia, mille da quella di Torcello, 500 dalle rendite del priorato di S. Gregorio di Venezia. A questi benefici si aggiunsero l’abbazia di S. Nicola di Jacciano a Nicastro, il priorato di S. Maria di Domicella a Nola e l’abbazia abruzzese di S. Giovanni in Venere. Nel 1574 Santori lasciò la sua residenza in piazza Navona, per affittare una parte del palazzo Cesi in Montecitorio. Ottenne per il nipote Paolo Emilio Santori l’abbazia di S. Elia di Carbone e quella di S. Giovanni in Fiore per un altro nipote, Alfonso Pisano. Nel 1584 acquistò e rinnovò la dimora di Montecitorio.
Gregorio XIII lo incaricò delle relazioni con il patriarcato greco e con la Chiesa copta, della riforma dei monasteri basiliani, della fondazione a Roma del Collegio dei greci e di quello armeno. Su proposta dello stesso Santori, il papa istituì nel 1573, cooptandolo, la Congregazione per i greci d’Italia, destinata alla ‘ridotione’ delle comunità greche dell’Italia meridionale. Il papa pose sotto la sua supervisione anche la Congregazione per l’expurgatio dei libri ebraici, e nel 1584 lo esortò a completare il già avviato Rituale sacramentorum Romanum, in cui il cardinale profuse la sua cultura liturgica e di cui restano alcuni esemplari stampati in quell’anno. Sotto Sisto V l’edizione fu però sospesa, e Santori, che l’aveva quasi terminata, sarebbe morto prima che fosse pubblicata. Il rituale di Paolo V riconobbe tuttavia la sua opera (Rituale romanum Pauli V P.M. iussu editum, Romae, Ex Typographia Camerae Apostolicae, 1617, c. IIr).
Durante il regno di Sisto V (1585-90) l’azione inquisitoriale di Santori si esercitò nel contesto della rinnovata influenza del S. Uffizio, del quale il papa fissò antiche e nuove competenze nella bolla Immensa aeterni Dei (1585), e nominò Santori viceprefetto (1587). Gli affidò la preparazione della bolla del 5 gennaio 1586 Coeli et terrae creator Deus, contro magia e astrologia.
Il 18 agosto 1585 Santori concluse l’ampio restauro a sue spese della chiesa romana di S. Bartolomeo all’Isola, in particolare dell’altare maggiore, con sistemazione sotto di esso di un sontuoso sarcofago di porfido contenente le spoglie del santo. La cerimonia inaugurale si colorò di ascesi, poiché recando in processione sulle sue spalle il corpo del santo, il cardinale si procurò una ferita nel fianco sinistro, mai più del tutto sanata. La sensibilità per le antichità, nutrita fin da fanciullo, oltre che la devozione, lo mossero ad aver buona cura delle chiese affidategli; biasimò la febbre edilizia di Sisto V e la conseguente manomissione del patrimonio dell’Urbe.
Sulla questione delle guerre civili francesi, non condivise la linea di Sisto V, che nel settembre del 1585 scomunicò Enrico di Navarra, poiché temette che quell’atto rafforzasse la Ligue filoispanica dei duchi di Guisa a scapito del legittimo sovrano Enrico III di Valois; previde le proteste contro il papa in Francia, meritando il soprannome di Cassandra (Cugnoni, 1889-1890, p. 169). Enrico III si attirò a sua volta la scomunica per l’assassinio di Enrico di Guisa e del fratello cardinale Luigi (1588). Nominata la congregazione per gli affari di Francia (1589), il papa la volle presieduta da Santori, che ne diresse e raccolse gli atti (Scritture di Francia). Assassinato a sua volta Enrico III (1589), e proclamato Navarra re di Francia, Santori si collegò con la Spagna e con la Ligue, il che gli avrebbe comportato nei futuri conclavi il sostegno di Filippo II e della diplomazia spagnola, e istruì in tal senso il legato straordinario a Parigi Enrico Caetani, ma Sisto V nutrì invece il disegno di favorire la conversione di Navarra e confermarlo sul trono. Santori cercò invano di opporsi a questo progetto e di conciliare con Madrid il papa, il cui piano fu troncato solo dalla sua morte (27 agosto 1590).
Nel conclave, Santori fu per la prima volta tra i candidati del re di Spagna e di parte del partito sistino, insieme con Ippolito Aldobrandini e Girolamo Della Rovere. Fu eletto invece Giovan Battista Castagna (Urbano VII), e morto anche questi (27 settembre 1590), Santori fu di nuovo sostenuto da Filippo II, ma incontrò questa volta l’opposizione dei sistini, dei filofrancesi e di Venezia.
Durante il conclave Santori soffrì di una malattia ricordata da Torquato Tasso nel sonetto a lui dedicato Roma, a questo gran colle i lumi gira (vv. 2-4: «un signor severo e santo, / che di Pietro le chiavi e ‘l grave manto / merita ormai»). Allusione alla sua candidatura si ritrova anche in un altro sonetto, Fu sentier lungo faticoso ed erto, offerto da Tasso a Paolo Emilio Santori (vv. 10-12: «e, s’egli al seggio antico / di Pietro ascende, e veste il grave incarco / insino al sommo ciel vi s’apre il varco»).
Santori fu candidato anche nei conclavi da cui furono eletti Gregorio XIV e Innocenzo IX. Morto anche quest’ultimo (30 dicembre 1591), nel conclave del gennaio 1592 entrò in testa nei pronostici, venendo appoggiato, almeno formalmente, non solo dalla Spagna, ma anche dai partiti veneziano e fiorentino e dai cardinali sistini. L’11 gennaio 1592 gli fu prospettata l’elezione per adorazione e i conclavisti si gettarono nel tradizionale spoglio della cella del candidato ritenuto eletto. L’improvvisa secessione di diciassette cardinali, guidati da Paolo Emilio Sfondrati e Marco Sittico Altemps, cui si unì Ascanio Colonna, compromise l’accordo, vanificando la temuta ascesa di un papa intransigente nel centralismo inquisitoriale e capace di accordare la tradizione carafesca con una politica favorevole alla Spagna. Nelle successive votazioni, il nome di Santori arretrò. Il 30 gennaio fu eletto Ippolito Aldobrandini (Clemente VIII), non sgradito alla Spagna, ma che avrebbe tenuto politica filofrancese. Santori affidò alle pagine finali della sua autobiografia – stesa dal 1591 – il ricordo della terribile prova (sudò di notte «sangue, cosa incredibile a credere», e avvertì svanire «ogni senso delle cose mondane», Cugnoni, 1889-1990, p. 204), e la rassegna dei variegati motivi che a suo giudizio avevano ispirato gli avversari. Clemente lo nominò penitenziere maggiore (9 febbraio 1592) e lo titolò cardinale presbitero di S. Maria in Trastevere (20 febbraio 1595), e poi cardinale vescovo di Palestrina (18 agosto 1597).
Benché battuto in conclave, Santori proseguì, imperniata nel S. Uffizio come «centro autonomo di iniziative e di azione», una politica al possibile coerente con la visione di Paolo IV e di Pio V, svolgendo «un ruolo chiave», non scindibile «dalla sua posizione istituzionale di inquisitore» (Fattori, 2004, pp. 344, 347). Contribuì all’opposizione dei cardinali filospagnoli all’inclinazione del nuovo papa a chiudere la delicata questione canonistica e politica del perdono di Enrico di Navarra, che aveva abiurato al calvinismo, riammettendolo alla Chiesa e riconoscendolo re di Francia. Il 17 settembre 1595 Santori dovette comunque officiare come penitenziere maggiore e inquisitore generale, nella basilica di S. Pietro, il rito di assoluzione per procura del re, ma la sua presenza destò polemiche in Francia.
Viceprefetto del S. Uffizio, Santori ne tutelò i tribunali periferici rispetto alle curie e agli inquisitori diocesani, e ne difese le prerogative davanti agli Stati, anche quando domini della Spagna. Attraverso la direzione dei processi, documentata dalla serie dei Decreta della congregazione e dall’assidua istruzione epistolare di inquisitori, vescovi e nunzi, esercitò costante richiamo al rigoroso rispetto del corretto stile del tribunale, orientandone la procedura. Non produsse opere di dottrina, ma aiutò Francisco Peña nell’edizione del Directorium Inquisitorum di Nicolau Eymerich (1578), prestandogli manoscritti appartenenti alla sua biblioteca. Guidò alcuni dei più celebri procedimenti contro naturalisti e filosofi, come Giovan Battista Della Porta, Giordano Bruno, Nicola Antonio Stigliola, Tommaso Campanella, ed esponenti dell’eresia italiana di tardo Cinquecento, quale Francesco Pucci. Fra gli echi della sua figura fra i letterati d’Italia sta il tormento spirituale di Torquato Tasso, che nel 1595 gli chiese per iscritto «perdono de l’offese che aveva fatte a Dio» (Le lettere..., a cura di C. Guasti, 1855, p. 178). Nel 1597 uscirono dalla tipografia napoletana di Stigliola, con dedica al cardinale, gli Epistolarum medicinalium libri septem di Giovanni Donato Santoro; il matematico Cherubino Sandolino da Udine, dell’Ordine dei cappuccini, di cui Santori era protettore, gli offrì la Nova horologiorum inventio (Venezia 1599).
Santori svolse un ruolo centrale nelle vicende dell’Indice clementino (1596), a prezzo di un duro confronto con il pontefice e con la congregazione competente, imponendo la sospensione dell’Indice diramato e correzioni alle decisioni adottate intorno ai poteri di vescovi e inquisitori locali sulla stampa, alle licenze di lettura delle Bibbie in volgare, al divieto delle opere di Jean Bodin, alla expurgatio del Talmud; contrastò i tentativi di riabilitazione delle opere di Niccolò Machiavelli. Affrontò anche il problema della liceità dei permessi di prestito a interesse concessi a banchieri ebrei, documentando Clemente VIII con il ms. De usuris Iudaeorum, dedicatogli nel 1571 da Alfonso Delgado (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 5555, cc. 1-38). Nel 1599 Clemente VIII ritenne di adoperare la sua esperienza nella nuova congregazione De propaganda fide, durata fino al 1604, precedente di quella istituita nel 1622 da Gregorio XV.
Santori morì a Roma il 7 giugno 1602 e fu sepolto nella basilica dei Ss. Giovanni Battista ed Evangelista. Il monumento sepolcrale, nella cui lapide Santori è ricordato come sommo inquisitore, è sormontato dal busto del cardinale orante, scultura di Giuliano Finelli (1633-34), collocata nella cappella da lui commissionata intorno al 1660 a Onorio Longhi (ora delle Grazie o dell’Adorazione). La notizia della morte fu accompagnata dalla voce che Santori era spirato fra i debiti e che sarebbe ricaduto sul nipote Paolo Emilio l’onere di saldare le pendenze e terminare i lavori della cappella (Economopoulos, 2015, pp. 140-142). Il nipote ereditò anche la biblioteca, che legò, nel 1635, alla Vaticana.
Un coevo dipinto (Roma, Pontificio Collegio dei greci) restituisce il volto di Santori. La sua fisionomia morale fu ritratta nel 1598 dall’ambasciatore Giovanni Dolfin: «signore di gran virtù e di valore», ma di natura «terribile», e «difficile a trattare»; l’aver «tollerato costantemente [...] la repulsa del pontificato dopo che Dio glie l’aveva concesso», ne aveva accresciuto «il credito e la reputazione»; paladino della «giurisdizione ecclesiastica», il suo obiettivo apparve sempre di «ampliare» l’autorità del Santo Uffizio (Le relazioni degli ambasciatori veneti..., 1839-1863, X, p. 481).
Opere manoscritte. Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 12014-17: Processus in causa Toletana. Excerpta, ex parte manu Iul. Antonii Sanctorii; 12233, cc. 7-46: Deploratio praesentium temporum Ecclesiae catholicae ad Pium Quartum, 1559-1562; cc. 64-439: Pro confutatione articulorum et haeresum recentiorum haereticorum et pseudoapostolorum (1552); Barb. lat., 4592, cc. 129-159: Estratto da Diarii del Sig. G. Antonio Santorio in Napoli; cc. 139-160: Persecutione eccitata contro al d. Giulio Santorio; Chigi, M.1.10, cc. 1-272; N.III.76, 7, cc. 123-228; Ottobon. lat., 2168, cc. 1-149; Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Misc. Arm. I, tt. 20-32: Scritture di Francia; Arm. LII, tt. 17-22A: Libri delle mie private udienze, 1566-1594 (altri testimoni elencati in Tamburini, 1998, p. 114); Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, S. O., St. St. I.4-b, cc. 3-21: De persecutionis haereticae pravitatis historia (dal 1556); I 4-b [22], cc. 411-422: Diari del star mio in Roma (1564); Roma, Biblioteca Corsiniana, A.808.2, cc. 1-114: Vita del card. Giulio Antonio Santori detto il card. di Santa Severina composta e scritta da lui medesimo (edita in Cugnoni, 1889-90), altri testimoni: ibid., B.405.3., cc. 147-215; Roma, Biblioteca Altieri, 22.C.13; Chicago, Newberry Library, Case, 6.A.35. Una redazione parziale della Vita (12 marzo 1548-26 febbraio 1558), De meae aetatis aliquo discursu, casualmente ritrovata da Santori nel 1583, unita al ms. Iesu, e ai Diari del star mio in Roma, è in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, S. O., St. St. I 4-b (22), cc. 404-406v.
Opere a stampa. Rituale sacramentorum Romanum, Gregorii XIII. Pont. Max. iussu editum, Romae, [Ex Typographia Dominici Basae], 1584. Edizioni moderne: Quinternetto di memoria, rifuso da una copia secentesca per mano del teatino Antonio Caracciolo nel Compendium del processo contro Giovanni Morone, attribuito a Santori, 1566, Roma, Biblioteca Casanatense, 4204, edito in Firpo, 1981, pp. 39-49; Diari concistoriali, dal 17 maggio 1570 al 17 dicembre 1576, editi in Tacchi Venturi, 1903 (per i testimoni ms. cfr. Papa, 1954; Tamburini, 1998, pp. 116 s.; Ricci, 2002 p. 253 nota).
Fonti e Bibl.: Si rinvia per maggior dettaglio a Tamburini, 1998, pp. 112-136; per la vasta documentazione in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, resasi successivamente disponibile, cfr. Ricci, 2002. Per i documenti risalenti a Santori nell’Archivio della Sacra Penitenzieria e per quelli relativi al Rituale romanum, cfr. Tamburini, 1998, pp. 117-121, e Tamburini, 2000, pp. 54-57. Per la biblioteca cfr. Vat. lat., 8185, cc. 394-402: Index Bibliothecae sive manuscriptorum aut scripturarum cardinalis a Sancta Severina. 1635 (altro elenco in Archivio segreto Vaticano, Arm. 36, t. 38, cc. 575-583 (editi in Tamburini, 2000, pp. 64-93). Per le lettere, conservate in varie biblioteche italiane e straniere, cfr. Tamburini, 1998, pp. 128-136; P. Scaramella, Le lettere della Congregazione del Sant’Ufficio ai tribunali della fede di Napoli, 1563-1625, Trieste 2001 (lettere di Michele Ghislieri a Santori, 25 settembre 1563 - 20 ottobre 1565, e di Santori viceprefetto del S. Uffizio ai tribunali di Napoli, 1587-1602).
Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo decimosesto, a cura di E. Alberi, Firenze 1839-1863, X, p. 481; Le lettere di Torquato Tasso, a cura di C. Guasti, V, Firenze 1855, p. 178; G. Cugnoni, Vita del card. G.A. S. detto il card. di Santa Severina composta e scritta da lui medesimo, in Archivio della R. Società di storia patria, XII (1889), pp. 329-373: XIII (1890), pp. 151-205; P. Tacchi Venturi S.I., Diario concistoriale di G.A. S. cardinale di Santa Severina, Roma 1903; Rime inedite di Torquato Tasso, a cura di M. Vattasso, Roma 1915, pp. 34, 36; P.M. Baumgarten, Neue Kunde von Alten Bibeln, I, Roma 1922, pp. 38-65; C. Korolevskij, Le udienze e relazioni concistoriali del cardinale G. S. per gli affari delle Chiese orientali (1566-1602), suppl. a Studion, LVI (1928-1931); J. Birkner, Ein zweiter Caraffa-prozess unter Pius IV, in Römisches Quartalschrift, XLI (1933), pp. 79-99; E. Rossi, Roma ignorata [Morti illustri. Roma, 8 e 13 giugno 1603], in Roma. 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