PROCACCI, Giuliano
PROCACCI, Giuliano. – Nacque ad Assisi il 20 dicembre 1926, unico figlio di Virgilio e Maria (Flora) Probati.
Un anno dopo la sua nascita, i genitori si trasferirono a Belluno, a insegnare entrambi al liceo-ginnasio Tiziano: il padre italiano e latino al liceo; la madre lettere al ginnasio. Del padre, che morì nel 1929 quando ancora non aveva compiuto trent’anni, rimangono alcune pubblicazioni tra le quali spiccano gli studi su Matteo Maria Boiardo; la madre, originaria di Agordo (Belluno), era figlia di Eugenio Probati, colonnello della brigata Piemonte combattente durante la Grande Guerra sull’Ortigara.
Giuliano Procacci frequentò a Belluno il liceo Tiziano, dove entrò in contatto con un gruppo di giovani intellettuali antifascisti. Nel Bellunese militò nella Resistenza con il nome di battaglia di Leo.
Avrebbe ricordato più tardi: «Ero giovanissimo; nel ’43 avevo 16-17 anni; militavo nel Btg. Manara della Brg. 7° Alpini. Sono stato preso dai tedeschi ed ho conosciuto per qualche giorno le carceri di Baldenich e la gendarmeria, dove sono stato sottoposto ad interrogatori; non ho subito però torture» (Intervista a Giuliano Procacci, in Protagonisti, ottobre-dicembre 1991, p. 69).
Nel 1945 si trasferì a Firenze – dove risiedeva la famiglia paterna – conseguendo la maturità classica, per poi iscriversi alla facoltà di lettere, dove studiò con Carlo Morandi. Qui incontrò e poi sposò Serenella Polidori, nipote di Piero Calamandrei, insegnante di lettere e storia nei licei, dalla quale ebbe tre figli: Francesca, Aldo e Piero.
All’indomani della laurea in lettere la sua formazione proseguì, grazie a una borsa di studio, presso l’Istituto di studi storici di Napoli, dove ebbe come guida Federico Chabod che – assieme a Morandi – avrebbe considerato suo maestro.
Dal 1949 al 1952 visse a Parigi, con una borsa di studio del Centre national de la recherche scientifique (CNRS), dove strinse contatti e amicizie con un gruppo di storici comunisti francesi suoi coetanei, tra i quali François Furet, Emmanuel Le Roy Ladurie e Denis Richet. La loro frequentazione assunse un significato anche politico, visto che dal 1948 Procacci era iscritto al Partito comunista italiano (PCI).
«Eravamo un circolo ristretto, una setta», così avrebbe ricordato quel gruppo, sottolineando per contrasto come nel PCI il clima fosse più aperto: «essere comunisti e anche essere marxisti in Italia, nel paese di Gramsci, era cosa diversa dall’esserlo in Francia» (Con Manacorda a Studi storici, in G. Manacorda, Il movimento reale e la coscienza inquieta, Milano 1992, p. 302).
Fondamentali nella sua formazione furono la lettura di Benedetto Croce e di Antonio Gramsci: «non si poteva accostarsi e ‘scoprire’ Gramsci – scrisse – senza aver letto a fondo Croce» (Postfazione, in Storia degli italiani, Bari 1998, p. 63).
Tornato in Italia, insegnò per qualche tempo nelle scuole medie, per poi passare con un comando all’Istituto storico italiano di Roma. Risalgono a questi anni i primi importanti saggi, Classi sociali e monarchia assoluta nella Francia del secolo XVI (Torino 1955) e Le elezioni del 1874 e l’opposizione meridionale (Milano 1956). Data al 1952 l’inizio del suo rapporto con l’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, all’interno del quale visse la crisi legata all’invasione sovietica dell’Ungheria (1956), firmando assieme a – fra gli altri – Luigi Cortesi, Giuseppe Del Bo, Giangiacomo Feltrinelli, Rossana Rossanda un documento che definiva il movimento ungherese «una forte istanza per la democrazia socialista» (C. Feltrinelli, Senior Service, Milano 1999, p. 104). Non per caso, Leo Valiani, scrivendone a Franco Venturi il 26 novembre 1956, lo indicò come un forte sostenitore, a Milano, della condanna dell’invasione sovietica dell’Ungheria (L. Valiani - F. Venturi, Lettere 1943-1979, Firenze 1999, p. 218).
Procacci rimase tuttavia nel PCI, dove si andava rafforzando la posizione del gruppo di giovani storici, tra cui Gastone Manacorda, che nel 1959 avrebbe dato vita a Studi storici: che la rivista fosse edita dall’Istituto Gramsci non impedì ai suoi fondatori (e tra loro Procacci) di chiedere e ottenere dai dirigenti del PCI una garanzia sulla piena autonomia scientifica della rivista stessa.
Legati all’attività svolta nell’Istituto Feltrinelli furono i saggi sulla storia del pensiero socialista, tra cui Antonio Labriola e la revisione del marxismo attraverso l’epistolario con Bernstein e con Kautsky. 1895-1904 (Annali della Fondazione Feltrinelli, 1960) e l’Introduzione a La questione agraria di Karl Kautsky (Milano 1971).
Centrale, nei due scritti, fu l’analisi del revisionismo, considerato come una risposta ai problemi nuovi che le dinamiche della società ponevano al movimento operaio e al socialismo.
Con La lotta di classe in Italia all’inizio del secolo XX (Roma 1970) la storia dell’organizzazione politica e sindacale del socialismo italiano veniva affrontata con una impostazione per quegli anni innovativa, capace di raccogliere elementi della stratificazione sociale e della geografia del movimento operaio e di utilizzarla come sfondo per comprenderne le diverse tradizioni ideologiche e fisionomie organizzative.
Le ricerche su Niccolò Machiavelli, iniziate a metà degli anni Cinquanta, confluirono negli Studi sulla fortuna di Machiavelli (Bari 1965) che, alcuni decenni dopo, avrebbero dato luogo a qualcosa di più di un aggiornamento con il lavoro Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna (Bari 1995).
In esso veniva ripercorsa la fortuna di Machiavelli attraverso i momenti in cui il pensiero del Segretario fiorentino era stato effettivamente letto e assimilato. «ll Machiavelli ‘politologo’ – scriveva nell’introduzione – presupponeva un Machiavelli ‘antropologo’, di una antropologia integralmente laica e sconsolatamente nuova» (Introduzione a Machiavelli nella cultura europea, cit., p. VII).
Fu una casa editrice francese, Fayard, per il tramite di Furet e Richet, a commissionargli la Storia degli italiani. L’opera, pubblicata in Francia nel 1969, era già uscita l’anno prima in Italia con l’editore Laterza e, anche grazie alla vittoria del premio Viareggio, avrebbe fatto di Procacci uno dei pochi storici italiani conosciuti al grande pubblico.
Percorre l’opera una forte attenzione per le differenze territoriali dell’Italia, che le divisioni politiche non avevano fatto altro che rafforzare. Ne consegue il ruolo di collante assegnato agli intellettuali: è attraverso loro che viene avviato «il processo formativo di una coscienza se non nazionale, pan italiana», in cui svolge una parte decisiva l’unificazione linguistica e culturale del Paese (Storia degli italiani, Roma-Bari 1998, p. 21).
Nel 1998, trent’anni dopo l’uscita del libro, ne curò una nuova edizione, arricchendola di una Postfazione a cui affidò conferme e ripensamenti. A proposito del secondo dopoguerra, non si ritrovava più nella contrapposizione tra «un’Italia qualunquista che risultò vincente e le forze di sinistra che risultarono soccombenti». La scelta ‘occidentale’ compiuta con le elezioni del 1948, «costituendo un orientamento largamente condiviso dall’opinione pubblica, rappresentava un elemento e un fattore di stabilità interna» (p. 567). La Postfazione si misurava anche con l’idea della Resistenza come ‘guerra civile’ presente in un libro pubblicato qualche anno prima da Claudio Pavone e dalla quale dissentiva. A suo giudizio, le guerre civili – quella russa, la spagnola, la Vandea – coinvolgevano larghe maggioranze della popolazione, quando invece partigiani e fascisti erano minoranze. Nella stessa Postfazione sottolineava inoltre come, in uno scenario dominato dalla guerra tra esercito tedesco ed esercito alleato, la Resistenza, che per altro non era stata solo armata, avesse goduto di un consenso molto più alto del regime di Salò.
Il primo interesse di Procacci nei confronti dell’Unione Sovietica ebbe una chiara origine politica. Nel lavoro Il partito nell’Unione Sovietica 1917-1945 (Roma-Bari 1974) sviluppò l’idea che il rafforzamento del controllo del Partito sull’apparato statale avesse posto le premesse del sistema staliniano. Pur nei limiti di un linguaggio e di categorie interpretative riecheggianti quelle che il regime sovietico aveva applicato a se stesso, gli studi di storia sovietica (ai quali iniziò un consistente gruppo di giovani studiosi, suoi allievi) si segnalarono per la capacità di fondare l’analisi – anche politica – su una rigorosa filologia storica e una grande libertà di giudizio.
A partire dagli ultimi anni Settanta, le sue ricerche furono soprattutto rivolte al modo attraverso il quale nel movimento comunista e in quello socialista era stato affrontato il nodo pace-guerra.
Appartengono a questa fase saggi come Il socialismo internazionale e la guerra d’Etiopia (Roma 1978), La ‘lotta per la pace’ nel socialismo internazionale alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale (in Storia del marxismo, III, Torino 1981, pp. 551-588), Dalla parte dell’Etiopia. L’aggressione italiana vista dai movimenti anticolonialisti d’Asia, d’Africa, d’America (Milano 1984). Procacci vi sottolineava le molte riserve con cui, negli anni Trenta, l’Internazionale comunista aveva promosso l’idea di una ‘lotta per la pace’, mettendo anche in luce incertezze e insufficienze dei governanti sovietici e dell’Internazionale socialista riguardo le prospettive di unità antifascista aperte dall’aggressione italiana all’Etiopia.
Nel saggio La coesistenza pacifica. Appunti per la storia di un concetto (in La politica estera della perestrojka. L’URSS di fronte al mondo da Brežnev a Gorbačëv, a cura di L. Sestan, Roma 1988, pp. 35-83), riprendeva l’idea che la ‘coesistenza pacifica’ non fosse estranea all’orizzonte ereditato dagli anni Trenta. Una rottura concettuale si sarebbe avuta – a suo dire – solo con Andrej Sacharov, per il quale il soggetto primo della lotta per la pace doveva essere non il movimento operaio o il ‘campo socialista’, ma lo stesso genere umano. L’esperienza di Michail Gorbačëv costituì il capitolo finale di questi studi. Procacci la seguì con vivo interesse, ponendosi la domanda se Gorbačëv sarebbe riuscito a trascinare il grosso dell’apparato sovietico al di là delle barriere ideologiche che avevano sino ad allora raggelato ogni possibile evoluzione dell’URSS.
Sempre intorno al nodo pace-guerra ruotarono le sue ultime importanti ricerche, a cominciare da quelle confluite nel saggio Premi Nobel per la pace e guerre mondiali (Milano 1989) e nell’importante opera di sintesi Storia del XX secolo (Milano 2000).
In uno degli ultimi saggi pubblicati, Carte d’identità. Revisionismi, nazionalismi e fondamentalismi nei manuali di storia (Roma 2005), compiva una ricognizione sui modi attraverso i quali la storia veniva insegnata nelle scuole dei cinque continenti mettendo in luce l’influenza dell’insegnamento nei processi di costruzione dell’identità nazionale. Il tema del nazionalismo lo aveva affrontato qualche anno prima anche in La disfida di Barletta. Tra storia e romanzo (Milano 2001).
Procacci ebbe il suo primo incarico di insegnamento a Cagliari, dove dal 1965 ricoprì la cattedra di storia moderna nella facoltà di magistero. In questa facoltà e in quella di lettere, allora in una fase di intensa crescita e trasformazione, ebbe una profonda influenza. Nel 1969 fu chiamato nella facoltà di lettere dell’Università di Firenze, dove insegnò sino al 1986 prima storia moderna poi storia contemporanea. In quello stesso anno si trasferì alla facoltà di lettere dell’Università La Sapienza di Roma, dove avrebbe concluso la sua carriera di docente.
Indimenticabile il modo in cui il magistero dello storico si arricchisse nelle sue lezioni dei riferimenti a una cultura politica, quella del comunismo italiano nella sua variante più coerentemente riformista che, per quanto leggibile, non veniva mai esibita.
Per due legislature (dal 1979 al 1986) – durante le quali non insegnò – fu senatore del PCI, occupandosi soprattutto di politica estera. Dimettendosi dal Senato per poter ricoprire la cattedra alla quale era stato chiamato a La Sapienza, si disse convinto «che quella dell’impegno civile e politico da parte degli uomini di studio è una tradizione e un tratto caratteristico della nostra storia nazionale» (Atti parlamentari, Senato della Repubblica, IX leg., Assemblea, 20 novembre 1986).
Morì a Firenze il 2 ottobre 2008.
Fonti e Bibl.: In occasione degli ottant’anni, Francesco Benvenuti, Sergio Bertolissi, Roberto Gualtieri, Silvio Pons hanno curato una raccolta di scritti in suo onore, La passione della storia (Roma 2006): una prima analisi dei suoi scritti è offerta dai saggi di Rosario Villari, Elena Fasano Guarini, Adrian Lyttleton, Leonardo Rapone, Michal Reiman, Giuseppe Vacca. Poco tempo dopo la sua morte, Studi storici gli ha dedicato un intero numero (LI (2010), n. 3), al quale hanno collaborato David Bidussa, Michele Ciliberto, Andrea Panaccione, Antonello Venturi ed Elena Fasano Guarini.
Al Procacci contemporaneista è dedicato il saggio di M.G. Rossi, G. P. storico del Novecento, in Passato e Presente, XXVIII (2010), 79, pp. 83-108. Ampi riferimenti sono contenuti in G. Zazzara, La Storia a sinistra. Ricerca e impegno politico dopo il fascismo, Roma-Bari 2011, ad indicem. Per gli anni bellunesi e la partecipazione alla Resistenza, si veda M. Fiori, Ricordo di G.P., in Protagonisti, 28 dicembre 2008. Sulla sua attività nell’Istituto Feltrinelli: D. Bidussa, La Biblioteca Feltrinelli dall’«accumulazione originaria» alla nascita degli «Annali», in Studi storici, XL (1999), 4, pp. 945-991. Una ricostruzione dei primi anni della Biblioteca e dell’Istituto Feltrinelli è condotta dallo stesso Procacci in Il contributo di una istituzione culturale agli studi storici, Milano 2004. Sulla nascita di Studi storici si veda G. Manacorda, Una rivista di tendenza, in Studi storici. Indice 1959-1984, a cura di A. Vittoria - G. Bruno, suppl. al n. 1, 1985. Dedicata agli studi su Machiavelli l’intervista di Giuseppe Vacca, Letteratura e Vita civile, www.treccani.it/enciclopedia/intervista/ (24 febbraio 2016). Per la sua attività parlamentare si veda www.senato.it/sitostorico/home (24 febbraio 2016).