ZOPPIO, Girolamo
ZOPPIO (Zoppi), Girolamo. – Nacque nobile a Bologna, forse nel 1533.
La data di nascita, talora fissata al 1516, sembra doversi posticipare al 1533 sulla base dei Ragionamenti in difesa di Dante et del Petrarca (Bologna, G. Rossi, 1583), dove Zoppio allude a «cinquanta anni» trascorsi nello studio di certi classici (p. 46; cfr. Pietrucci, 2015, p. 65 e nota 29). Se l’informazione fosse vera, andrebbe rettificata anche la data di nascita del figlio Melchiorre, letterato e cofondatore, nel 1588, dell’Accademia bolognese dei Gelati, giacché non può risalire al 1544 come per lo più si legge. Stando a Ghilini (1667, p. 157: «Visse più di ottant’anni, e nell’ultimo di sua vita, cioè dell’anno 1634») e Quadrio, (1743, p. 76: «morì nel 1634, ottantesimo dell’età sua»), il giorno genetliaco di Melchiorre dovrebbe quantomeno collocarsi nel 1554.
Peraltro, ambo i casi risultano contraddetti dalla cronologia dell’incontro con Dorotea Ercolani, la nobildonna bolognese – non maceratese, come erroneamente è tramandato (per esempio in Istituzioni, 1953, p. 7) – che Zoppio avrebbe conosciuto nel 1560 e sposato entro il 1567. È infatti chiara l’allusione contenuta nel secondo dei sonetti proemiali alle Rime (Bologna, A. Benacci, 1567), dove si ricorda, alla maniera di Francesco Petrarca, il giorno dell’innamoramento: «Nel Sessantesimo anno sopra i mille / e cinquecento della nostra pace / scese Amor nel mio albergo a starvi eterno. Tredici di gennaio al maggior verno» (c. 1r). Quanto al terminus post quem delle nozze, non lascia dubbio l’appellativo di «cognato» riferito a Ridolfo Ercolani, al quale è rivolto un altro sonetto della raccolta (c. 51r).
Dell’Accademia dei Catenati fu «primo padre et fondatore», come attestano gli Atti del sodalizio formalmente istituito il 2 luglio del 1574 in casa di monsignor Claudio Ciccolini, presso la cui famiglia si mantenne sino alla fine del XVIII secolo (Macerata, Bibloteca comunale, ms. 623-624, fasc. X; 463, p. 254, dove per errore si legge «millecinquecentosessantaquattro», come in Graziosi, 1971, p. 122; Adversi, 1974, pp. 121 e nota 1, 127; Baldoncini, 2000, p. 9). È però verosimile che la sua iniziativa fosse coadiuvata dal concorso di altri personaggi del luogo, tra i quali Marco Antonio Cittadini e Pirro Aurispa, che ne tenne l’orazione inaugurale (Maylender, I, 1926, p. 510).
Formatosi probabilmente alle lezioni di Giambattista Camozzi (Foglietti, 1878, p. 120), il 28 luglio del 1574 conseguì la laurea in filosofia presso lo Studio di Macerata, dove, nei due anni successivi, insegnò retorica, oratoria e poetica (Macerata, Bibloteca comunale, ms. 555-556, c. 20r), mentre nel 1576 ricoprì la cattedra di filosofia morale (Foglietti, 1878, pp. 117, 119; Fantuzzi, 1790, p. 300 e n. 2, con diversa data; Mazzetti, 1848, p. 331). Come «maestro di fisica naturale», nel 1580 appare tra i membri del Collegio di dottori in artibus et medicina del medesimo ateneo (Foglietti, 1878, p. 65). A Macerata fu richiamato a insegnare dal 1582 al 1584 (Macerata, Bibloteca comunale, ms. 463).
Il 4 novembre 1585 fu tra i docti viri reclutati dall’Università di Fermo, la più antica di pontificia istituzione, allo scopo di promuoverne i corsi. Riconfermata da Sisto V il 13 settembre di quell’anno, dopo un decadimento di alcuni decenni (Curi, 1880, p. 48; Brizzi, 2001, p. 9), Zoppio vi ottenne l’insegnamento di eloquenza pronunciando un discorso inaugurale poi stampato, con dedica al cardinale Alessandro Peretti, col titolo di Oratio Hieronymi Zoppii bononiensis habita in primordiis firmani, studii anno MDLXXXV (Fermo, S. Monti, 1585; cfr. Curi, 1880, p. 67 nota 2).
Su invito del Senato felsineo, dal 1586 fu lettore di umanità presso lo Studio di Bologna, e ciò spiega la «risentissima lettera degli Accademici Catenati» per il fatto che lo Studio maceratese non lo riconfermò tra i docenti nel 1587 (Foglietti, 1878, p. 121).
A Bologna morì il 5 luglio del 1591.
Zoppio s’inserisce nel quadro delle pratiche e dei dibatti letterari del tempo con ingegno versatile. Volgarizzò in ottava rima il primo libro dell’Eneide (Bologna, A. Barbiroli, 1554); sempre in ottave compose i tre libri Del nascimento di Christo (Bologna, A. Giaccarello, 1555); approntò un secondo volgarizzamento del poema virgiliano, limitato a I primi quattro libri con alcune annotazioni nel fine di ciascun libro (Bologna, A. Benacci, 1558); pubblicò un volume di Rime e prose (Bologna, A. Benacci, 1567), un poemetto in ottave dedicato a Don Giovanni d’Austria trionfante a Lepanto (Bologna, A. Benacci, 1572) e una favola mitologico-pastorale, Il Mida, rappresentata nel Carnevale del 1573, pubblicata nello stesso anno e ristampata nel 1602 (Bologna, A. Benacci; a cura di L. Piantoni, Manziana 2017).
A un parto collettivo andrà invece ascritta la tragedia Athamante (Macerata, S. Martellini, 1579; v. Macerata, Bibloteca comunale, Mss. 463, p. 256), peraltro «ricondotta, già a partire da fonti coeve, al solo Zoppio senior» (Pietrucci, 2015, pp. 60 s.). Va comunque segnalato che il frontespizio dell’edizione, raffigurante una «cathena d’oro distesa dal cielo in terra» come in Omero, Iliade VIII, 16-27 (Macerata, Biblioteca comunale, Mss. 463; Athamante, cit., c. a4v; Ercolani, 1829), contribuì certamente all’iconografia dello stemma accademico maceratese, le cui ragioni sono illustrate all’interno del ms. 463, Gli amori... in lode dell’onestissima e bellissima M. Giulia Fedele da Macerata, canzoniere che Giuseppe Nelli, nel 1827, afferma di trascrivere da un manoscritto del 1572 (Baldoncini, 1981).
Degno di nota è anche il Nascimento di Cristo, libera traduzione del De partu Virginis di Iacopo Sannazaro, poiché assegna a Zoppio il primato cronologico sia nell’ambito dei volgarizzamenti del testo sia in quello delle più eclettiche interpretazioni di esso. Il manoscritto dell’opera, conservato presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, precede infatti, stante la dedicatoria del 21 marzo del 1550, il rifacimento in versi sciolti di Francesco Monosini, del 1552, e, per quanto concerne una meno vincolante fedeltà all’ipotesto sannazariano, quello in ottava rima di Juan de Ayala, del 1554.
Sotto tale rispetto, è ragguardevole la tempestività con cui Zoppio aderisce a un’istanza di divulgazione devota che di lì a poco si sarebbe imposta in sede di discussioni tridentine. Il tentativo di amalgamare il modello di poema religioso proposto da Sannazaro, con le sue innovative commistioni di sacro e di profano, al campo delle coeve sperimentazioni epiche, pone l’autore tra i precursori di una tendenza che avrebbe di gran lunga superato la stagione rinascimentale. Si pensi al fervore legato al culto mariano e ai suoi molteplici travestimenti ideologico-letterari, o al sempre più stretto dialogo con l’arte della pittura, in una rete di scambi intellettuali e di interessi teorico-applicativi nella cui trama, tra ambiente felsineo e direttrici venete, l’autore era ben inserito.
Zoppio è ricordato soprattutto per la parte avuta nelle controversie mediocinquecentesche di carattere linguistico e letterario. In particolare si ricorda quella in cui assunse le difese di Annibale Caro nei rispetti di Ludovico Castelvetro, che gli obiettava la canzone Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro. Il testo, scritto nel 1553 e poi recuperato, insieme a un autocommento e alle repliche di Castelvetro, nell’Apologia che Zoppio pubblicò nel 1558, destò una fitta serie di pronunciamenti che divisero il fronte di non pochi intellettuali del tempo. Zoppio si schierò con Benedetto Varchi, conosciuto grazie all’amicizia comune con Lorenzo Lenzi (Rinaldi, 2008, p. 92; Avellini, 1999, p. 432; Varchi, 1995, II, p. 498), e fece circolare le proprie posizioni in forma inizialmente manoscritta, come si evince da una lettera indirizzata da Caro a Varchi il 17 maggio del 1555 (Caro, 1974, p. 279). Quindi, nel volume di Rime et prose (1567), videro luce come Discorso intorno ad alcune opposizioni di Lodovico Castelvetro alla canzone de’ Gigli d’oro.
Oltre alle difese del Petrarca volgare, ulteriore risonanza produsse la partecipazione alle dispute sulla Commedia dantesca, allorché si diffuse un trattatello manoscritto a nome di Ridolfo Castravilla, a lungo ritenuto pseudonimo di Bellisario Bulgarini, che invece si limitò a correggere l’opuscolo indirizzato dall’artefice contro L’Hercolano di Varchi (Discorso di m. Ridolfo Castravilla scritto a un gentiluomo suo amico, nel quale si mostra l’imperfezione della Commedia di Dante, contro il Dialogo delle lingue del Varchi). Inserendosi nella diatriba tra Bulgarini e Iacopo Mazzoni, Zoppio espresse la condivisione per le idee di quest’ultimo nei Ragionamenti in difesa di Dante e del Petrarca (Bologna, Rossi, 1583), dove il poeta è celebrato sia per l’eccezionalità dello stile sia per l’opportuna scelta del volgare, sia per la convenienza, retoricamente intesa, con la quale seppe esprimere, usando «parole e concetti proprii et alti», i costumi «d’ogni sesso» e «d’ogni condizione».
Com’era da attendersi, lo scritto suscitò non poche reazioni, come quella, segnatamente appassionata, del grammatico e poeta Diomede Borghesi. Dalla Risposta di Zoppio Alle opposizioni sanesi fatte a’ suoi Ragionamenti (Fermo, S. Monti, 1585) si sentì coinvolto lo stesso Bulgarini, il quale, con l’aiuto di un altro letterato, Leonardo Ghini, che gli fornì le proprie postille ai testi di Aristotele, Omero, Plutarco e altri autori greci affinché l’amico controbattesse le censure di Zoppio, replicò, nel 1586, con le Risposte a’ Ragionamenti di Girolamo Zoppio. La polemica assunse i tratti di uno scontro personale, di cui gli ultimi capitoli sono le Particelle poetiche sopra Dante (Bologna, A. Benacci, 1587) e la Poetica sopra Dante (1589, a istanza del figlio Melchiorre), cui Bulgarini oppose, nel 1602, quando ormai da un decennio l’autore non avrebbe più potuto obiettare, una Riprova delle sue precedenti Particelle.
Se per un verso tali dibattiti costituiscono momenti minimi nel lungo percorso della critica dantesca, per l’altro appaiono interessanti in quanto mezzi attraverso i qua;li, «segrete e inosservate» (Vallone, 1966), transitarono verso il nuovo secolo alcune delle idee più originali del tempo. In ciò consiste l’importanza della produzione zoppiana: l’essere un appassionato riflesso delle tendenze estetico-culturali in corso, e, per il piglio militante che la contraddistingue, attivatrice embrionale di importanti sperimentazioni a venire.
Fonti e Bibl.: Macerata, Biblioteca comunale, Mss., 463: Gli amori di Girolamo Zoppio in lode dell’onestissima e bellissima M. Giulia Fedele di Macerata; 555-556, f. XII: Memorie storiche dell’Accademia dei Catenati, cc. 19v-20r; 623-624, f. X: Elenco dei soci dell’accademia dei Catenati dal 1574 al 1846.
G. Ghilini, Teatro d’huomini letterati, Venezia 1667, pp. 156-158; N. Pasquali Alidosi, I signori anziani consoli e gonfalonieri di Giustizia della città di Bologna... dall’anno 1456. Accresciuti fino al 1670, Bologna 1670, ad ind.; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, III, Milano 1743, p. 76; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VIII, Bologna 1790, pp. 300-303; C. Ercolani, Memorie storiche dell’Accademia de’ Catenati, Macerata 1829, pp. 8-19; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori, antichi e moderni, della famosa Università e del celebre Istituto delle Scienze di Bologna. Con in fine alcune aggiunte e correzioni alle opere dell’Alidosi, del Cavazza, del Sarti, del Fantuzzi e del Tiraboschi, Bologna 1848, p. 44; D. Foglietti, Cenni storici sull’Università di Macerata, Macerata 1878, pp. 65, 117, 119-121; V. Curi, L’Università degli Studi di Fermo. Notizie storiche, Ancona 1880, pp. 48, 67; M. Maylender, Storia delle accademie d’Italia, I, Bologna 1926, p. 510; Istituzioni culturali della provincia di Macerata, a cura del Consorzio provinciale per l’istruzione tecnica e dell’Accademia dei Catenati, Tolentino 1953, p. 7; B. Weinberg, A history of literary criticism in the Italian Renaissance, II, Chicago-Toronto 1961, pp. 866 s., 870, 883-885, 895-899, 910 s.; A. Vallone, Aspetti dell’esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce 1966, p. 170; M.T. Graziosi, G. Z. lettore del Petrarca a Macerata, in Studi maceratesi, 1971, n. 5, pp. 121-128; A. Adversi, Accademie ed altre associazioni e istituzioni culturali, in Storia di Macerata, a cura di A. Adversi - D. Cecchi - L. Paci, IV, Macerata 1974, pp. 171-174; A. Caro, Apologia degli accademici di Banchi di Roma contra M. Lodovico Castelvetro, in Opere, II, a cura di S. Jacomuzzi, Torino 1974; S. Baldoncini, Il canzoniere a sacco. G. Z. imitatore del Petrarca, in «Per vaghezza d’alloro»: Olimpo da Sassoferrato, Eurialo d’Ascoli e altri studi, Roma 1981, pp. 81-104; E. Esposito, Z., G., in Enciclopedia dantesca, V, Roma 1984, pp. 1173 s.; B. Varchi, L’Hercolano, a cura di A. Sorella, I-II, Pescara 1995, ad ind.; L. Avellini, Prove di epica a Bologna: G. Z. nella cerchia farnesiana, in Torquato Tasso e la cultura estense, a cura di G. Venturi, I, Firenze 1999, pp. 431-448; S. Baldoncini, Dei Catenati e di altre accademie del Maceratese, in Istituzioni culturali del Maceratese, Atti del XXXIV Convegno di Studi maceratesi..., Tolentino... 1998), Macerata 2000, pp. 1-10; G.P. Brizzi, Le origini dello Studio fermano, in L’antica Università di Fermo, Fermo-Milano 2001, pp. 9-32; M. Rinaldi, L’aristocrazia a Bologna tra Arcadia e Parnaso. G. Z. e l’humile avena virgiliana, in Fra Olimpo e Parnaso. Società gerarchica e artificio letterario, a cura di F. Pezzarossa, Bologna 2008, pp. 91-116; C. Pietrucci, G. Z. e i Catenati di Macerata, in Schede umanistiche, XXIX (2015), pp. 59-71.