VENERIO, Girolamo
VENERIO, Girolamo. – Nacque a Udine il 18 settembre 1777 da Francesco e da Laura Pilosio, primo di quattro fratelli: Laura, Margherita, e Antonio.
La sua famiglia disponeva di un considerevole patrimonio che si era consolidato nel corso del Settecento – proprietà agricole, beni immobiliari, attività commerciali – amministrato dal padre. Nel 1786, alla sua morte, Girolamo ancora frequentava la scuola dei barnabiti a Udine. L’anno successivo passò al collegio dei padri somaschi di Cividale, dove nel 1796 concluse il suo secondo ciclo di studi lungo un percorso didattico che considerò sempre lo studio delle lettere umane come premessa delle scienze della natura. Entrambe le scuole, affidate a ecclesiastici, accettavano le istanze scientifiche proprie dell’Illuminismo, accompagnando «la Gioventù Friulana allo studio della Storia Naturale della Patria» (Zanon, 1770, p. 219). Mentre il rettore della scuola barnabita, Angelo Maria Cortenovis, privilegiava un sapere enciclopedico sostenuto da viaggi di studio, i somaschi, più concretamente, avviavano i futuri proprietari terrieri a una moderna agricoltura.
In Friuli, nelle ‘corse’ a fine di studio, Cortenovis si accompagnava con Girolamo Asquini, figlio di Fabio Asquini, fondatore nel 1762 insieme ad Antonio Zanon della Società di agricoltura pratica di Udine, con la quale la scuola dei somaschi di Cividale da tempo collaborava tramite ‘accademie’ degli studenti.
Uscito dal collegio di Cividale, Venerio affrontò lo studio della matematica sotto la guida di Mario Cortenovis, barnabita e fratello di Angelo Maria, del quale in seguito divenne amico e compagno di studi.
Venuto a mancare Gottardo, il cugino del padre che aveva retto le sorti economiche della famiglia, Venerio dovette assumere responsabilità dirigenziali e rinunciare agli studi universitari. L’attenzione per le scienze naturali, per la statistica e la geografia, frutto dei suoi studi, ma anche per l’elettricità e per la chimica, lo portarono a impegnarsi in un’agricoltura razionale, sempre sottesa al dovere morale del possidente. I viaggi a Parigi, Lione e Ginevra nel 1809, in Toscana nel 1810, a Vienna nel 1817 e infine a Roma nel 1819, testimoniano la sua curiosità per tutte le novità scientifiche che l’Europa poteva offrire, sia per lo sviluppo dell’agricoltura sia per i suoi interessi scientifici. Con tutta probabilità l’introduzione della colza in Friuli si deve alla prima di queste esperienze, confermando lo stretto legame che sempre intercorse per lui tra ricerca e immediata applicazione. In perfetta analogia, dopo i colloqui su ‘l’olio cafro’ con Fabio Asquini, Venerio costruì senza indugi un frantoio per la soia nella tenuta modello di Felettis, attirando l’interesse e il consenso dei grandi possidenti friulani, e si recò a Vienna per ottenere un visto per gli Stati Uniti per indagare i progressi agricoli d’Oltreoceano ed esplorare la repubblica della scienza in ogni sua parte. Mentre si prodigava per estendere gelsi e bachi da seta in Friuli, per migliorare la qualità dei vini, per individuare il tracciato ottimale di un canale irriguo per l’alta pianura, e dialogava per corrispondenza con i maestri europei della modernizzazione, Venerio cercò di evitare ogni carica pubblica e scelse di non partecipare alle attività delle accademie che pur perseguivano i suoi stessi fini. L’impegno politico avrebbe costituito un ostacolo non solo alla cura del patrimonio e della famiglia (della madre in specie) ma soprattutto alle ricerche e ai rilevamenti che aveva impostato e che perseguiva quotidianamente. Rifiutò pertanto cariche importanti adducendo di regola gracilità di costituzione e problemi di salute, ai quali, dopo i cinquant’anni, si aggiunse la sordità (Malignani, 1944, pp.14 s.). Durante il Regno Italico, per collocazione censitaria, fu tuttavia designato consigliere generale per il dipartimento di Passariano; nello stesso 1807 dovette assumere la carica di savio alla Circoscrizione e leva e nel 1808 quella di savio del Comune di Udine. Nel 1809 fece parte della Commissione alle manifatture, arti e commercio, strumento di valutazione e programmazione economica del dipartimento; fu incluso come membro nella Deputazione comunale degli ornati e nella Commissione incendi; figurò tra i consiglieri comunali di Bicinicco, Palma, Trivignano, Gonars, Ontagnano. Nel 1810 rifiutò la nomina a podestà di Udine; nel 1812 accettò invece il ruolo di presidente delegato agli esami finali del liceo ginnasio di Udine, dove esaminò gli studenti in matematica, filosofia teoretica e pratica, metafisica, fisica generale, agricoltura, botanica, storia, letteratura e disegno.
Le distinte qualità e le ricchezze familiari, forse anche la sostanziale apoliticità, sono le probabili ragioni per cui nel 1816 venne designato con nomina di Francesco I rappresentante di Udine presso la Congregazione centrale di Venezia. La prestigiosa carica, ambitissima e ben retribuita, fu però respinta da Venerio che addusse scarsezza di cognizioni e circostanze di famiglia. Solo dal 1828 e fino al 1835 accettò di sedere nella Congregazione provinciale, come rappresentante degli estimati non nobili. Deciso nel declinare ogni nuova elezione di carattere politico-amministrativo, accettò invece le consulenze tecniche riguardanti la bachicoltura, la vendemmia, i parafulmini, ma anche le fontane pubbliche e l’illuminazione di Udine. Nel 1837 diventò presidente del Consorzio Rojale di Udine e intervenne nella questione del canale Ledra, derivazione progettata per risolvere il problema dell’acqua nell’alta pianura friulana.
Dopo una vita dedicata alla famiglia, alla cura del patrimonio, al progresso dell’agricoltura in generale, Venerio morì a Udine il 4 marzo 1843, lasciando erede universale il fratello Antonio, compagno indivisibile di una vita, che diventò proprietario assoluto dei beni mobili e usufruttuario degli immobili destinati a pii istituti di pubblica beneficenza. In seguito, vescovo e autorità comunale avrebbero deciso, secondo le leggi del Lombardo-Veneto, destinazione e amministrazione della cospicua donazione.
Nel testamento Venerio lasciò rispettivamente 100 e 20 fiorini a ogni famiglia dei propri coloni e braccianti, ai quali in vita aveva dedicato sempre costanti attenzioni e assistenza economica. La Casa di ricovero di Udine, alla cui prima impostazione fin dal 1826 aveva partecipato di persona, fu realizzata in tempi brevi. Entrò in funzione già nel 1847, grazie al fratello che anticipò di sua volontà la cessione degli immobili. La filantropia, nel caso, si legava alla condivisa fede religiosa e all’assenza di eredi, ma era anche un modo per legittimare i nuovi ruoli della borghesia nella gestione delle grandi ricchezze e del progresso in genere. Venerio di fatto intendeva il privilegio di potersi dedicare alla scienza senza difficoltà economiche di sorta come un dovere sociale, come ricerca dei mezzi per migliorare la vita del prossimo. Questi aspetti della sua personalità furono riassunti nel cenotafio a lui dedicato nel duomo di Udine: «Ai ricchi insegnava a più arricchire beneficiando»; «Mostrava ai dotti che il vero sapere conduce a Dio» (Venerio, 1851, p. X). La Casa di ricovero fondata sul suo lascito ribadisce il ruolo sociale e civile delle scienze, il dovere di sostenere chi è provato da guerre e carestie, di migliorare la qualità della vita delle classi più deboli.
Sul letto di morte Venerio affidò a Giambattista Bassi i risultati delle sue sistematiche rilevazioni meteorologiche, accettando che venissero pubblicate a esclusione dei dati igrometrici che riteneva non del tutto affidabili. In una edizione riservata ad accademie, università e studiosi, nel 1851 furono stampate a Udine le Osservazioni meteorologiche fatte in Udine nel Friuli pel quarantennio 1803-1842. Bassi tradusse in metri e centimetri le misure che Venerio aveva effettuato in piedi di Parigi e gradi Fahrenheit, perfezionò i modi di rappresentazione dei dati, raccolse le memorie relative a terremoti e alla vegetazione in rapporto alla temperatura (Gentilli, 1966, pp. 322-327). L’osservatorio meteorologico di Venerio coincise con la sua abitazione in contrada Savorgnan, numero civico 58, a Udine. Gli strumenti e il sistema di rilevamento erano stati confrontati e perfezionati con quanto di più avanzato esistesse in Europa. Durante i viaggi di aggiornamento che aveva intrapreso in Italia, Francia, Svizzera e Germania per comparare strumenti e verificare tecniche di rilievo, il fratello Antonio gli garantì a Udine la continuità delle osservazioni. Misure di pressione, temperatura, umidità, pioggia, venti e stato del tempo, furono eseguite quattro volte al giorno senza interruzioni per quarant’anni, comparando i dati ottenuti con quelli dell’osservatorio secondario di Felettis per valutare le differenze tra città e campagna. Nel 1765, in occasione dell’inaugurazione della nuova Società di agricoltura pratica, Fabio Asquini aveva sostenuto la «necessità di istituire con ogni possibile prontezza le tavole meteorologiche» (Malignani, 1944, p.18). Il progetto trovò perfetta realizzazione in quest’opera che pur era stata anticipata dalle osservazioni cittadine che gli Asquini avevano eseguito tra il 1782 e il 1797, destinandole al Giornale astro- meteorologico di Giuseppe Toaldo, professore a Padova di astronomia e meteore. La differenza specifica tra queste serie di rilievi consiste nella matematica precisione e nel rigore di rilevamento di Venerio. L’opera sua costituisce per certo «uno dei monumenti della climatologia mondiale» (Gentilli, 1964, p. 12), ma la qualità della ricerca ha imposto nella città di Udine un modello di serietà scientifica che la scuola geografica di Giovanni Marinelli avrebbe fatto proprio (Marinelli, 1886).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Udine, Archivio Venerio, b. 34, Testamento di Girolamo Venerio, 10 ottobre 1842; Udine, Biblioteca civica, fondo principale, ms.1523, Libro ad uso di lettere.
A. Zanon, Dell’educazione civile con riflesso all’agricoltura data dai R.R. P.P. Barnabiti commoranti in Udine alla gioventù loro affidata, in Giornale d’Italia, VI, Venezia 1770, pp. 217-219; L. Fabris, In morte di G. V. Elogio letto nella Chiesa di S. Maria Maddalena in Udine il dì 23 marzo 1843, Udine 1843; G. Venerio, Osservazioni meteorologiche fatte in Udine nel Friuli pel quarantennio 1803-1842, a cura di G.B. Bassi, Udine 1851; G. Marinelli, Aria e suolo, in Illustrazione del Comune di Udine, Udine 1866, pp. 3-25; C. Malignani, G. V. nel centenario della sua morte (1843-1943), Udine 1944; G. Gentilli, Il Friuli. I climi, Udine 1964; Id., L’opera di G. V. e di Giambattista Bassi come precursori della climatologia italiana, in Rivista geografica italiana, LXXIII (1966), pp. 321-327; F. Micelli, Gerolamo Venerio e il progresso scientifico, in 1815-1848 L’età della Restaurazione in Friuli, Trieste 1998, pp. 198-200; L. Cargnelutti, Interessi commerciali e agrari in Friuli e fuori dal Friuli: i primi contratti di assicurazione tra ’700 e ’800, in Le carte sicure. Gli archivi delle Assicurazioni nella realtà nazionale e locale: le fonti, la ricerca, la gestione e le nuove tecnologie, Trieste 2004, pp. 273-286; A. Cittadella, Progresso e innovazione nelle campagne friulane dell’Ottocento: l’introduzione e diffusione del colzàt, in Metodi & ricerche, XXVIII (2009), 2, pp. 147-174; F. Micelli, V. G., in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, a cura di C. Scalon - C. Griggio - G. Bergamini, III, L’età contemporanea, Udine 2011, pp. 3511-3516; A. Cittadella, G. V. Agronomia e meteorologia in Friuli fra Settecento e Ottocento, Trieste 2016; L. Cargnelutti - E. Commessatti, «Siamo tutti dentro la vita». Dalla Casa di ricovero a La Quiete di Udine (1847-2017), Udine 2017.