SIMONCELLI, Girolamo
– Nacque a Orvieto nel 1522, da Antonio, conte di Castel di Piero, e da Cristofana (o Cristofora) Ciocchi Del Monte, figlia di Baldovino, luogotenente dell’Umbria (1524), stretto collaboratore dello zio, cardinale Antonio, e del fratello, cardinale Giovanni Maria. In seguito all’elezione di quest’ultimo al soglio pontificio (Giulio III, 1550-55), Girolamo ottenne a sua volta la porpora cardinalizia, poco più che trentenne (1553), quindi il titolo dei Ss. Cosma e Damiano (1554) e la cattedra vescovile di Orvieto (1554).
Il legame con la sua città natale (diocesi che resse fino al 1562 e poi dal 1570 alla morte, con mansioni questa volta connesse alla sola amministrazione contabile) fu particolarmente intenso durante il pontificato di Paolo IV (1555-59), in ragione della sua appartenenza alla fazione anticarafiana (facente capo ai cardinali Cristoforo Madruzzo, Pedro Pacheco, Ercole Gonzaga e Alvise Corner). In replica alle misure repressive adottate dal nuovo pontefice nei confronti dei protetti di Giulio III e della discendenza di Baldovino (privata, con l’estinzione della linea primogenita, della contea di Monte San Savino e della sontuosa residenza romana, dono dello stesso papa Del Monte), Simoncelli avviò a Orvieto il vasto programma di rilancio politico che lo avrebbe impegnato fino ai suoi ultimi giorni.
Pose studio anzitutto alle sue residenze private, in linea con le posizioni di Giulio III, che aveva esortato i propri congiunti a «vivere se non da Prencipi almeno da Gentilhomini» (Tesoroni, 1889, p. 80); ampliò e abbellì il palazzo cittadino (già Filippeschi) e la villa di Torre San Severo (frutto della ristrutturazione dell’omonimo complesso abbaziale, pure di origine tardomedievale, in precedenza appartenuto alla Camera apostolica). In questi cantieri furono per decenni impegnati i pittori Cesare Nebbia e Girolamo Muziano, unitamente a gran parte degli stuccatori e dei decoratori attivi anche nella fabbrica del duomo. La basilica, simbolo della stessa Orvieto, costituì il tassello cardine del disegno di Simoncelli, il più importante sul piano propagandistico, rispetto all’esigenza di rappresentare le accresciute prerogative dei vescovi e più in generale il nuovo dettato tridentino. Posto sotto la direzione di Ippolito Scalza (1567), l’edificio giunse così a termine, dopo più di due secoli (facciata e guglie), e si arricchì di opere figurative (Muziano e Nebbia) che divennero emblema del cosiddetto stile orvietano controriformato.
Dopo la morte di Paolo IV, Simoncelli si trasferì stabilmente a Roma, ove poté capitalizzare i traguardi orvietani: divenne membro dell’Inquisizione (1569 circa), passò quindi all’ordine dei preti e contemporaneamente ottenne il titolo di S. Prisca (1588), sfiorò infine l’elezione al Sacro soglio nella mossa temperie del 1590-91, che vide l’avvicendarsi di ben tre pontefici.
L’episodio della sua mancata elezione (che più esattamente concerne il conclave del dicembre del 1590: la consacrazione di Gregorio XIV) è legato alla poco limpida vicenda della cosiddetta profezia di S. Malachia, il libello di ignoto autore mediante cui i sodali di Simoncelli tentarono di pilotare il consesso cardinalizio. La scrittura in questione (un falso coevo, la cui paternità certamente non spetta al benedettino irlandese Malachia, XII secolo) profetizzava l’avvento di un pontefice ex antiquitate Urbis, e Urbs Vetus era appunto detta Orvieto.
All’inizio del XX secolo, Luigi Fumi attribuì questo pamphlet ad Alfonso Ceccarelli, medico e falsario di origine umbra. In anni più recenti, Armando Petrucci (1979) ha ritenuto che tale tesi non avesse «molto fondamento» (p. 201), anche perché Ceccarelli era stato giustiziato nella stessa Roma, sette anni prima (in ottemperanza a una condanna per falsificazione di documenti). L’indagine di Petrucci ha d’altra parte confermato i saldi legami fra Ceccarelli e Simoncelli: per intercessione di quest’ultimo, Ceccarelli era stato assunto ai servizi di Ersilia Cortese Del Monte (1574), zia di Simoncelli, e si era trasferito nella residenza romana della nobildonna; in quegli stessi anni aveva inoltre elaborato falsificazioni genealogiche e storiografiche per conto dei Monaldeschi di Orvieto, pure strettamente imparentati con il cardinale (Giovanni Battista, fratello di Girolamo, aveva per esempio sposato Costanza Monaldeschi).
La vicenda della falsa profezia ebbe un impatto comunque negativo sull’immagine di Simoncelli, il cui cursus conobbe una nuova battuta d’arresto fino al termine del pontificato di Clemente VIII (1592-1605), quando ragioni d’età e di anzianità in ruolo (cardinale primo prete dal 1598) ne determinarono il passaggio all’ordine dei vescovi e alle diocesi suburbicarie di Albano (1600), Frascati (1600-03), Porto e S. Rufina (1603-05). Divenne frattanto sottodecano del S. Collegio, in quanto ormai ottuagenario (porporato da più di cinquant’anni).
Morì a Roma nell’inverno del 1605, poco prima di quello che sarebbe altrimenti divenuto il suo undicesimo conclave. Venne sepolto in S. Pietro in Montorio, chiesa dei Del Monte. Il marchigiano Orazio Augenio, medico insigne, gli dedicò il trattato Del modo di preservarsi dalla peste (Fermo 1577).
Fonti e Bibl.: M. Monaldeschi, Comentari historici, Venezia 1584; A. Wion, Lignum vitae, ornamentum & decus Ecclesiae, Venetiis 1595, pp. 307-311; E. Masini, Sacro Arsenale overo Prattica dell’Officio della Santa Inquisitione, Genova 1653, p. 430; G. Leti, Conclavi de’ pontefici romani, Ginevra 1667, p. 174; M. Battaglini, Annali del sacerdozio, e dell’Imperio, Venezia 1701, p. 442; P. Le Brun, Storia critica delle pratiche superstiziose, IV, Mantova 1745, pp. 22-30; G.A. Riccy, Memorie storiche dell’antichissima città di Alba-Longa, Roma 1787, p. 243; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1839-1846, tav. 119 (famiglia Del Monte di Montesansavino); G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, I-CIII, Venezia 1840-1878, XVI, p. 12, LV, p. 287, LXVI, pp. 155-157; D. Tesoroni, Il palazzo di Firenze, Roma 1889, p. 80; L. Fumi, L’opera di falsificazione di Alfonso Ceccarelli, in Bollettino della R. Deputazione di storia patria dell’Umbria, VIII (1902), pp. 213-277; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1963, pp. 122, 345; A. Petrucci, Ceccarelli, Alfonso, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIII, Roma 1979, pp. 199-202; P. Tosini, Il duomo di Orvieto nella seconda metà del Cinquecento, in Storia di Orvieto, a cura di C. Benocci et al., III, 2, Quattrocento e Cinquecento, Pisa 2010, pp. 463-482.