FARNESE, Girolamo
Nacque a Latera (presso Viterbo) il 3 sett. 1599 da Mario, duca di Latera e Farnese, e da Camilla Meli Lupi. D'ingegno promettente, dodicenne fu probabilmente al servizio dei cardinale Odoardo come "abatino". Quindi a Parma, protetto da Ranuccio 1 in ottimi rapporti di stima e di amicizia con il padre che aspirava per il F. ad una carriera curiale, frequentò il collegio dei nobili ed ebbe modo di seguire con profitto studi tradizionalmente organizzati nelle discipline giuridiche, teologiche e filosofiche. Sostqnne una tesi di dialettica che, secondo il Mandosio, venne pubblicata in Parma e ricevette ufficialmente il dottorato il 19 nov. 1617. Iniziò la sua carriera ecclesiastica romana con Paolo V che lo nominò cameriere d'onore e, sotto Gregorio XV, divenne referendario utriusque signaturae ottenendo la commenda dell'abbazia di S. Lorenzo di Novara.
Consacrato arcivescovo di Patrasso il 25 apr. 1639, il 4 maggio Urbano VIII lo destinò alla nunziatura in Svizzera in sostituzione di Ranuccio Scotti. L'importanza strategica dei Cantoni svizzeri, la loro dimensione confessionale di frontiera, il lamentevole stato di molte diocesi, l'accanimento nella difesa delle posizioni controriformate, la grande attenzione della Propaganda Fide, l'impegno dei gesuiti e dei cappuccini furono ben presenti al F. sino alla sua sostituzione avvenuta il 28 ott. 1643. Giunto a Lucerna il 28 giugno 1639, l'azione del F. fu improntata ad un attivismo accentuato e itinerante. Il suo impegno politico e diplomatico si concentrò dapprima nel controllare i rapporti tra Francesi e Spagnoli e nel sorvegliare l'atteggiamento degli Svizzeri in una situazione inevitabilmente delicata e condizionata dalle operazioni belliche della guerra dei Trent'anni.
In un contesto in cui spesso si confondevano aspetti confessionali e politici, il F. cercò di salvaguardare soprattutto la presenza e gli interessi delle popolazioni cattoliche dei Cantoni. Nel settembre 1639, a seguito del trattato ispano-retico-lombardo, le Tre Leghe ripresero possesso della Valtellina e il F. non mancò di esternare la sua apprensione nel vedere gli interessi del cattolicesimo sacrificati alle ambizioni spagnole. Egli ostacolò l'azione delle Leghe, cercando d'introdurre l'Inquisizione a Sondrio e Chiavenna; e unitamente con le autorità ecclesiastiche di Milano protestò, anche con l'adozione di forme di boicottaggio, contro i soggiorni trimestrali dei protestanti a Morbegno, Tirano e Sondrio. Inoltre, segnalò la fragilità del fronte cattolico all'interno della Confederazione elvetica e si adoperò per la sollecita restituzione di terre e castelli del vescovo di Basilea occupati dall'esercito weimarese. E, in generale, appoggiò ogni iniziativa per tenere lontana la furia della guerra e dei saccheggi dai territori svizzeri, stimolando iniziative a Vienna presso l'imperatore Ferdinando III, presso la diplomazia spagnola - con cui ebbe sempre rapporti difficili, specie con Carlo Casati - e la Corona francese.
Tuttavia, alla fine del 1640, a causa della militanza mercenaria svizzera in entrambi i blocchi militari e per la conseguente subalternità che ciò comportava, il F. non poteva che verificare che i protestanti come i cattolici in realtà risultavano in totale balia delle potenze belligeranti. Nel 1641 propose l'invio massiccio di predicatori nel Bernese dove i contadini si erano sollevati, ma soprattutto fu pressato da Roma per contribuire alla preparazione militare di un'eventuale aggressione del ducato di Castro, trasferendo la conflittualità tra il papa e gli Stati italiani nel confuso e contraddittorio contesto elvetico. Quando gli fu chiesto dal duca Odoardo di arruolare un reggimento svizzero il F. rifiutò decisamente, opponendo ogni tipo di ostacolo sino a minacciare di scomunica chiunque avesse agevolato il duca di Parma. Nell'estate dello stesso anno, dal 7 agosto al 17 settembre, si recò a Coira dove portò innanzi un'azione insistente" per scacciare i riformati dalla Valtellina, sovrapponendo una logica fortemente confessionale a qualunque mediazione e sollecitazione di carattere politico da parte degli Spagnoli, preoccupati di mantenere gli accordi con i Grigioni che garantivano la libertà dei passi. Nel settembre 1642 compilò un memoriale per il papa sulla possibilità di leve militari e sulle gravi difficoltà di organizzazione e finanziamento. L'anno seguente fu impegnato ad organizzare prediche e interventi propagandistici presso le popolazioni cattoliche a sostegno delle ragioni papali nella disputa del ducato di Castro e a preparare un avvicinamento alla diplomazia francese in sintonia con gli orientamenti della S. Sede. E soprattutto si industriò nel reperire milizie e tentar di ostacolare, "nonostante gl'ordini limitati" e "la tenuità del soldo", la concorrenza degli ambasciatori veneti Giovanni Grimani e Angelo Contarini e del loro segretario residente a Zurigo, Domenico Vico.
Dovendo subire la maggiore abilità e i superiori mezzi finanziari dei Veneziani, senza troppe speranze di "resistere alla violenza del danaro appresso questi popoli tanto amatori dell'oro e dell'argento" (Bibl. ap. Vaticana, Barb. lat. 9820, c. 28rv), irritato dalle difficoltà poste dagli Spagnoli per la concessione dei passi nonostante le sue personali promesse all'ambasciatore spagnolo Carlo Casati di "rassegnar una mia badia nello Stato di Milano a un suo figlio" (Barb. lat. 7137, c. 21), riuscì tuttavia ad ottenere l'arruolamento di ottocento soldati e cinque capitani, pagati 929 doppie, da spedire dopo "molte spese su l'hosteria" alla volta di Genova e di li negli Stati pontifici.
D'altro canto durante la sua nunziatura il F. si dedicò, avendo sempre come base di residenza Lucerna, a visite pastorali per rimediare al profondo degrado di costumi, di disciplina e di organizzazione che caratterizzavano il clero cattolico delle regioni svizzere. Nell'agosto 1640 era a Muri, dove lamentava la scarsità di ecclesiastici, quindi a Vettingen e San Gallo; infine a Coira, l'anno seguente, tentò di stemperare l'animosità dei canonici nei confronti di un vescovo latitante che "in vece di pagare a' creditori del vescovato gl'interessi correnti facci peculio privato con ultimo esterminio di questa chiesa" (Arch. segr. Vaticano, Segr. di St., Nunz. Svizzera, 34, c. 572). Nell'estate 1642, in un lungo viaggio nel Vallese per verificare la grande difficoltà nell'applicazione delle decretali tridentine, invano cercò di porre rimedio ai conflitti giurisdizionali con le Comunità valligiane e ad una situazione disciplinare assai carente. Parimente si recò a San Maurizio e Sion, e confermò, dopo aver visitato l'ospizio del passo del Gran San Bernardo, la sospensiva decretata dal vescovo di Sion Bartolomeo Supersaxo del prevosto Roland Viot, il quale, incurante della rovina dell'edificio, non aveva dato alcun conto annuale dell'amministrazione e disinvoltamente venduto beni per i.800 corone. Difese la difficile penetrazione dei cappuccini nella Bassa Engadina, invocando maggiori garanzie di culto soprattutto nello Splügen (Spluga), e rinserrò i legami con la Compagnia di Gesù estendendone l'organizzazione e l'influenza nell'ambito educativo e formativo. Lasciando nella sostanza tutti i problemi irrisolti al suo successore Lorenzo Gavotti, fece ritorno a Roma il 6 febbr. 1644 e, in considerazione dell'esperienza maturata, venne nominato segretario della congregazione dei Vescovi e dei Regolari.
Il 9 ott. 1650 la considerazione di cui ormai godeva soprattutto presso Innocenzo X si manifestò con l'assegnazione della carica di vicecamerlengo e di governatore di Roma.
In questa funzione dispiegò nei limiti del possibile le sue qualità di uomo d'ordine e di amministratore: severo contro gli abusi dei "facinorosi" promulgò bandi di divieto di portare impunemente armi nei luoghi adiacenti i teatri, disciplinò l'uso delle maschere nel carnevale, proibì alle prostitute di travestirsi e di lanciare "uova, zaganelle ed altro nel Corso durante i palii" e di giocare ai popolarissimi "biribis" e "lotto". Istituì le Maestre pie in molti luoghi di Roma con centri rionali gratuiti per accogliere fanciulle da educare all'economia domestica e talvolta per avviarle al lavoro in lanifici.
Quando il F. applicò il suo zelo al disvelamento dell'amministrazione disonesta di funzionari papali e notai rimase coinvolto nella vicenda di Francesco Canonici Mascambruni e, pur essendone stato uno dei principali accusatori, venne sacrificato dal desiderio pontificio di ricostituire una credibilità agli amministratori della città di Roma. Recuperato un certo credito con l'elezione di Alessando VII, ottenne nel 1656 il posto di maggiordomo del Sacro Palazzo e di governatore di Castelgandolfò. A lui venne affidato il compito di preparare i festeggiamenti per l'arrivo della regina Cristina di Svezia con cui rimase in rapporto costante e fiduciario.
Riservato in pectore nell'aprile 1657, Solo il 29 apr. 1658 ottenne la promozione pubblica alla porpora cardinalizia con il titolo di S. Agnese fuori le Mura: un ritardo dovuto alla ratifica dell'acquisizione da parte del F. di alcuni feudi del ducato di Castro che lo misero in contrasto con il fratello Pietro, duca di Latera, e con il pontefice. Dopo la vendita ai Chigi di porzioni consistenti del ducato di Latera e godendo con il fratello ormai di poche prerogative, probabilmente a titolo di risarcimento, gli venne affidata immediatamente la legazione di Bologna con una rendita di 5.000 scudi.
Qui giunse il 23 giugno e il soggiorno bolognese ebbe caratteristiche principesche per il tenore di vita, per la partecipazione non formale ad attività mecenatesche, per la sensibilità alla vita economica della città. Si premurò di abbellire il palazzo legatizio: consigliatosi con Francesco Albani, poco prima della sua scomparsa, finì per affidare i lavori all'allievo di questo, Carlo Cignani, che con l'aiuto di Emilio Taruffi decorò e affrescò la sala del Consiglio, oggi conosciuta come sala Farnese, fra il 1659 e il 1660. La frequentazione del F. con il Cignani ebbe poi un seguito nell'invito dell'artista a Roma (1662) per affidargli la decorazione, mai effettuata, di una galleria del casino Farnese sul Gianicolo fuori porta S. Pancrazio (distrutto). In palazzo d'Accursio a Bologna, nella prima cinta muraria, commissionò all'architetto Paolo Canali la realizzazione della facciata sud con orologio, in simmetria con il cortile (nota come facciata della "munizione", terminata nel 1661). All'architetto Bartolomeo Provaglia diede il compito di erigere la porta di Galliera, effettivamente terminata nel 1661, in sostituzione dell'antica, completamente guastata da infiltrazioni alluvionali. Inoltre fece costruire la strada suburbana dal convento dell'Annunziata a S. Paolo in Monte e Ronzano, organizzò i lavori per ampliare e lastricare la strada Maggiore dalla porta della città a S. Maria Lacrimosa. Il suo impegno nella direzione dell'Annona della città e del contado ebbe un'impronta fortemente autarchica particolarmente efficace in un difficile momento di carestia. A Bologna manifestò una certa attenzione alle attività produttive delle corporazioni: si premurò di visitare i mulini e i setifici dell'Appennino toscomodenese e dispose divieti circa l'emigrazione di operai felsinei e l'esportazione di strumenti e di tecniche di lavorazione dell'arte della seta fuori dai confini del Bolognese. Così come si preoccupò di garantire la genuinità di prodotti alimentari tipici dalle continue sofisticazioni e frodi di produttori clandestini. Difese "l'isquisita perfettione" dei salumi, snaturata dalla sostituzione della carne suina con quella di manzo e di somaro con grave pregiudizio dell'immagine nei mercati tedeschi e francesi di esportazione; pose sotto strettissimo controllo l'arte dei lardaroli e salaroli, obbligò i fabbricatori ai sigilli di garanzia, alla supervisione dei massari dell'arte e agli assaggi periodici minacciando ai contravventori il sequestro dei prodotti e confermando la multa di 200 scudi d'oro nonché i famigerati tre tratti di corda. Si lamentò talvolta dell'assenteismo dei senatori bolognesi e della loro "poca applicatione al servitio e portare i pesi che gli toccano, et invitati dalle delitie della campagna non compariscono, benché chiamati ai reggimenti et alle cappelle" (Arch. segr. Vaticano, Segr. di St., Legazione Bologna, 36, c. 151); utilizzando un'invidiabile rete d'informatori e di spie riuscì a limitare sensibilmente l'opera dei falsari ma, specialmente nell'ultimo periodo della legazione, non a contenere gli eccessi e i delitti della nobiltà poiché "la fierezza di questa gente, la facilità della fuga et l'essere immune dal fisco la rende indomabile" (ibid., 40, c. 60).
Lasciò la "sì grossa, sì felice, sì oziosa e sì sensitiva" Bologna il 7 maggio 1662, con una stupita e ottima memoria di sé per i tesori personali "versati" e non "espillati" e la sensazione nella cittadinanza "che non si videro partir mai per Roma some più innocenti, né muli più scarichi e disinvolti" (cfr. Micheli, p. 6).
Tornato a Roma, il F. si trovò a mediare e a raffreddare i tesissimi rapporti tra la Curia e la Francia specie dopo l'incidente in cui "famigli" dell'ambasciatore di Francia erano stati vessati dalla guardia corsa. Un certo rilievo, per via del curriculum personale ormai denso di incarichi politici e amministrativi, ebbe durante il conclave che portò all'elezione di Clemente IX: il 2 giugno 1667 era anch'egli insieme a S. d'Elci e G. Rospigliosi tra i candidati aila tiara. Le sue speranze furono tuttavia ben presto stroncate dall'opposizione irriducibile dei dieci cardinali del cosiddetto "squadrone volante".
Morì il 18 febbr. 1668 a Roma.
Venne sepolto nella chiesa del Gesù e con lui rimase estinta la linea maschile dei Farnese di Latera. Nel testamento, redatto il 16 febbraio, oltre ad affidare la villa di S. Pancrazio al cardinale Sforza, lasciò usufruttuari dei beni allodiali i nipoti Mario Albrizzi, Anna Maria Farnese e Guido Rangoni, oltre ad una cappellania nella chiesa del Gesù pagata con le rendite sulle miniere della Tolfa, nonché un legato di 600 scudi, mai rispettato, da destinare ad una collegiata.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Nunziatura Svizzera, 33, cc. 14v-111v; 34-35; Ibid., Legazione di Bologna, 32, cc. 185-478; 33, cc. 4, 39-43; 34, cc. 1-324; 35, cc. 1-261; 36, cc. 119-152; 37, cc. 1-274; 38, cc. 1-28v; 39, cc. 1-126; Bibl. apost. Vaticana, Barb lat., 7135, 7136, 7137; 8715, ff. 196-212v; 9820, ff. 19, 26rv, 28-29v, 39, 40, 64rv, 68-70v, 129; 9821, ff. 10rv, 14rv; Ibid., Vat. Lat., 14137, ff. 300-303v; Carmina in laudem ill.mi d. Hieronymi Farnesii Dialecticas theses in Parmensi Collegio nobilium publice propugnantis, Parmae 1617; Regesti di bandi editti notificazioni e provvedimenti diversi relativi alla città di Roma ed allo Stato pontificio, V, Roma 1934, pp. 173, 175, 185 s., 191 198, 200; VI, ibid. 1956, pp. 164, 215, 240; Correspondance du nonce en France Ranuccio Scotti (1639-1641), a cura di P. Blet, in Acta nuntiaturae Gallicae, Rome-Paris 1965, pp. 105, 183; A. Ciacconio-A. Oldoino, Vita et res gestae pontificum et S.R.E. cardinalium, IV, Romae 1677, coll. 735 ss.; P. Mandosio, Bibliotheca Romana..., II, Romae 1692, pp. 228 s.; G. Palazzi, Fasti cardinalium omnium..., IV, Venetiis 1703, coll. 309-312; F. M. Renazzi, Notizie storiche degli antichi vicedomini..., Roma 1784, p. 131; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali, VII, Roma 1793, pp. 131-135; F. M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese..., I, Montefiascone 1817, pp. 102- 111; S. Muzzi, Annali della città di Bologna, VIII, Bologna 1846, pp. 8-12, 14, 21 s., 24; G. B. Guidicini, I Riformatori dello Stato di libertà della città di Bologna..., III, Bologna 1877, p. 90; E. Rott, Histoire de la représentation diplomatique de la France auprès des Cantons suisses, IV, 1, Bumpliz 1909, p. 174; V, Berne 1913, pp. 242, 284, 328-331, 335 s., 343-347, 356, 359 ss., 369, 372-378, 386 ss., 395-404, 407 s., 416 ss., 421, 424 s., 428-437, 439 s., 444-449, 453 s., 460, 464 s., 467-474, 476; VI, ibid. 1917, pp. 14, 17-20, 25, 28, 45, 100; O. Eberle, Theatergeschichte der Inneren Schweiz. Das Theater in Luzern, Uri, Schwyz, Unterwalden und Zug im Mittelalter und zur Zeit des Barock, Königsberg 1929, pp. 30, 264; G. Micheli, Le provvidenze del card. F. per le mortadelle di Bologna (1661), Parma 1940, pp. 1-15; I. Müller, Die Abtei Disentis (1634-1655), Freiburg 1952, pp. 1-62 passim; E. Tscherrig, Bartholomaeus Supersaxo (1638-1640) und Adrian III. von Riedmatten (1640-1646). Reformtätigkeit des Nuntius F., in Blätter aus der Walliser Geschichte, XII (1954-55), pp. 51-128 passim; L. Quaglia, La maison du Grand Saint-Bernard, Aoste 1955, pp. 281, 398; P. M. Krieg, Die Schweizergarde in Rom, Luzern 1960, pp. 155 ss.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1961, pp. 791 ss.; XIV, 1, ibid. 1961, pp. 323, 543 s.; Helvetia sacra, I, 1, Bern 1972, pp. 46 s.; V, 2-VI, ibid. 1974, pp. 776, 992; VII, ibid. 1976, pp. 143, 380; II, 2, ibid. 1977, p. 197; V, 1, ibid. 1978, pp. 637, 641; III, 3, ibid. 1982, pp. 230, 368, 472 s., 613, 619, 624 s., 868, 886; III, 1, ibid. 1986, pp. 503, 868, 1961; J. Bignami Odier, Le casin Farnèse du mont Janicule (porte San Pancrazio) …, in Mélanges de l'Ecole française de Rome, XCI (1979), pp. 507-518, 526 ss.; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, pp. 33, 276; Dict. d'hist. et de géogr. eccl., XVI, coll. 618 s.; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-ecclesiastica, XXIII, pp. 214 s.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Farnesi, tav. IX; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 229, 244, 265; B. Katterbach, Referendarii utrius que signaturae…, Città del Vaticano 1931, pp. 269, 289, 317.