VERRAZANO, Giovanni (da preferirsi alle forme Verazzano, o Verrazzano, poiché esiste una firma autografa, l'unica, Janus Verrazanus, e nel planisfero disegnato nel 1529 dal fratello Girolamo ricorre pure la forma Verrazano, mentre anche la terra scoperta è detta Verrazana)
Navigatore fiorentino al servizio del re di Francia Francesco I, compié due viaggi nell'America Settentrionale (1523-24, 1528), nel primo dei quali scoprì ed esplorò le coste atlantiche degli attuali Stati Uniti e di parte del Canada.
Come per il suo grande concittadino Amerigo Vespucci, l'opera del V. rimase a lungo discussa e misconosciuta; anzi sino a pochi anni or sono le prevenzioni e i sospetti sul valore della sua impresa e sulla sua stessa figura morale avevano finito con indurre ormai la critica a un atteggiamento quasi generalmente e nettamente ostile. Alcuni negarono persino fede alla relazione del primo e più noto suo viaggio, e non pochi erano giunti a identificarlo con la persona insignificante di un pirata francese, Jean Florin, fatto impiccare da Carlo V il 13 settembre del 1527: goffa, più ancora che iniqua, conclusione d'una critica presuntuosa.
Era bastato che uno storico straniero, Henry Murphy, vedesse in Jean Florin la forma abbreviata di Jean Florentin - d'onde Florentin sinonimo di Verrazano - perché col contorno di circostanze facilmente rintracciate e fatte intervenire a sostegno di così geniale trovata, riuscisse provata e accettata ormai, anche da qualche storico italiano, la poco lusinghiera identificazione; che una lettura un po' più attenta degli stessi documenti addotti in appoggio della tesi sarebbe stata sufficiente a dimostrare stupida e assurda. Risulta poi oggi dai documenti francesi, e in modo indiscutibile, che proprio quando il pirata Florin veniva catturato dagli Spagnoli, il V. attendeva all'organizzazione della seconda spedizione, che partì ai primi del 1528; e fra altro esiste una lettera del 24 dicembre 1527 di Giov. Silveira, ambasciatore del re di Portogallo presso la corte di Francia, nella quale si accenna in termini espliciti all'allestimento di codesta spedizione di Giovanni Verrazano.
Una delle ragioni che spiegano presso i contemporanei lo scarso interesse e il mancato riconoscimento dei meriti del navigatore fiorentino sta certamente nel fatto che la Francia era stata costretta, quasi subito dopo quel primo tentativo, a trascurare e ad abbandonare la zona esplorata dal Verrazano per evitare conflitti con la Spagna, mentre la sua attenzione doveva poco dopo esser attratta dalle terre più settentrionali nel Canada (nella carta di P. Descelliers del 1546 i nomi dati dal navigatore fiorentino erano già sostituiti da toponimi spagnoli); ma la ragione principale, soprattutto nei riguardi della critica moderna, sta, al solito, nello stato incompleto e confuso delle fonti ch'erano giunte a noi. Il primo e più importante viaggio del V. - l'unico che ci fosse noto sino a qualche tempo fa - era conosciuto per una copia della sua lettera-relazione a Francesco I (Magliabechiano, XlII, 89) - dovuta ad un amanuense ignorante e affrettato che, oltre ad aver omesso intere frasi, cosparse il racconto di errori grossolani e stranissimi; nonché per la relazione del Ramusio (Navig. e viaggi, III, 1556), meno scorretta, sì, ma piena di trasposizioni, perifrasi e aggiunte arbitrarie che alterano pure gravemente non di rado il contenuto originario. Per merito di uno studìoso italiano, il prof. Alessandro Bacchiani, è ora fortunatamente venuta in luce una copia ben più completa e corretta della lettera al re di Francia, che il V. stesso aveva mandata, il 7 luglio 1524, al fiorentino Bonaccorso Rucellai, banchiere a Roma, legato da relazioni d'affari a Bernardo Verrazano parente del navigatore; relazione trasmessa poi a Paolo Giovio, amico della famiglia V., e dal Museo del Giovio passata in seguito ai conti Macchi di Cellere a Roma. Questa copia, oltre ad esser stata scritta da un amanuense più diligente e accurato, contiene aggiunte e varianti di notevole importanza scritte da altra mano, che tutto induce a ritenere opera dello stesso navigatore. Con la scorta sicura di questo documento, e col sussidio di qualche nuovo documento tratto dagli archivi francesi, si può oggi ricostruire su basi ben più consistenti, almeno nelle linee generali, l'impresa gloriosa del navigatore fiorentino.
Il viaggio del V. è la prima spedizione, di data certa, con la quale la Francia partecipò ufficialmente ai grandi viaggi di scoperta del sec. XVI. In quel tempo, mentre erano già state esplorate quasi completamente le coste dell'America Centrale e Meridionale sull'Atlantico, dell'America Settentrionale si conoscevano, e anche vagamente, solo i due estremi: la Florida (che però anche dopo il secondo viaggio di Ponce de León del 1520 non si sapeva ancora se fosse congiunta con una terra a N.), e la Terra dei Baccalaos col Labrador, scoperte dai Caboto e dai Cortereal: solo in parte la costa era stata seguita, forse sino al C. Hatteras, da N. a S. da Sebastiano Caboto, ma così fuggevolmente che sulle carte non ne era rimasta traccia. E poiché dopo il ritorno della nave Victoria nel 1522 s'era rivelata l'immensa difficoltà di un viaggio alle Indie per la via dello Stretto di Magellano, così un tentativo di trovare un passaggio al Cataio direttamente per O. doveva apparire opportuno e logico alla Francia, tanto più che in un tempo di accanita rivalità fra questa nazione e la Spagna, la Francia avrebbe potuto tentare di assicurarsi un'attiva partecipazione allo sfruttamento dei nuovi paesi a occidente, sin qui in possesso quasi esclusivo della potenza rivale. La spedizione, posta sotto il comando del V. e formata in origine di 4 navi ridotte poi a 2z da una tempesta, fu diretta dapprima lungo le coste della Penisola iberica, sembra, come spedizione corsara (forse per nascondere il vero scopo del viaggio); ma s'ignora il perché sia rimasta poi solo la nave Delfina, di un centinaio di tonnellate, con 50 uomini di equipaggio e con provviste per otto mesi. La nave salpò da uno scoglio presso Madera il 17 gennaio 1524, e dopo una navigazione di 800 leghe a O. e 400 a NO. trovò terra il 7 marzo e si accinse a costeggiarla verso S.; ma poco dopo, per timore degli Spagnoli, ritornò verso N. al punto del primo approdo, circa a 34° di lat. N., nella Carolina Meridionale in una località presso il C. Fear, al quale fu posto il nome di "Selva dei Lauri", forse l'attuale Myrthe Beach o Spiaggia dei Mirti (33° 40′). Da questo punto s'inizia la parte più importante del viaggio, che il V. descrive nelle linee generali (il diario è andato perduto) come poteva fare in una lettera informativa, ma sempre in modo da lasciare emergere i lineamenti principali della regione esplorata, la natura e i prodotti del paese, e da presentarci vivaci descrizioni degli abitanti. I toponimi sono quasi sempre riferiti a regioni o personaggi francesi (terra Francesca, Lorena, Alençon, Vendôme, Angouleme), e non pochi sono italiani (Giovio, Armellini, Pallavicino, ecc.); ma i nomi delle personalità italiane e dei luoghi che ricordavano la patria dovettero essere assai più numerosi nel Diario e nella carta, oggi perduta, dalla quale furono tratte le due carte che ancora si conservano del Maggiolo (1527) e del fratello Girolamo V. (1529): vi abbondano soprattutto nomi fiorentini e toscani (Impruneta, Monte Morello, Annunziata, Livorno, Careggi, S. Gallo, Certosa, Orti Rucellai, Vallombrosa, ecc.). Riesce però difficile identificarli con i nomi moderni perché - tranne nelle due carte ricordate e nel Globo di Eufrasio della Volpaia del 1542 - nessuno di essi è giunto sino a noi, essendo stati ben presto sostituiti nell'uso comune, per breve tempo, dai nomi spagnoli derivati dal viaggio di poco posteriore di Esteban Gómez (1525) e in seguito, nella forma definitiva, da quelli inglesi.
Il 23 marzo si toccò terra in una località, che fu detta Annunziata e quivi fu trovato un istmo di un miglio di larghezza e 200 di lunghezza, al di là del quale si credette di vedere, estendentesi a NO., il mare orientale; l'istmo fu chiamato Verazanio. Questo mare intraveduto dal navigatore, non era altro che il Tampico Sound, la cui larghezza, da 30 a 40 km. aveva potuto impedirgli di distinguere la terra di fronte; il presunto istmo, che figura nella carta del fratello Girolamo, fu costeggiato nella speranza di trovare uno stretto, e quindi la nave proseguì dal C. Hatteras sino ad una terra a 50 leghe distante, che per la bellezza della sua vegetazione fu detta Arcadia (costa del Maryland?); donde avanzandosi a NE. al termine di 100 leghe entrò nell'estuario del fiume Vendôme (Hudson) e riconobbe la baia S. Margherita dove sorse poi New York. Proceduti a E. costeggiarono un'isola "di grandezza simile a Rodi", che dal nome della madre di Francesco I fu battezzata Aloysia, da identificarsi, meglio che con l'isola Block, con quella di Martha's Vinevare; e di qui raggiunsero un "bellissimo porto" che fu detto Refugio (Newport); il promontorio a destra dell'imboccatura (Point Judith) fu chiamato Joviense in onore di Paolo Giovio. Si trattennero in questo luogo (che il V., sbagliando di circa 1°, pone sul parallelo di Roma) quindici giorni; il V. rileva esattamente la direzione della costa e il contorno della baia. Si proseguì poi a E. lungo la costa del Massachusetts, e oltrepassato il Capo Cod furono scoperte parecchie isole, paragonate dal V. a quelle della Dalmazia, tre delle quali furono battezzate "le tre figlie di Navarra". Da questo tratto (attuale costa del Maine), i dati delle direzioni e delle distanze si fanno un po' vaghi e spicciativi: così non riesce chiaro come il V. dopo aver percorso 150 leghe "intra Subsolano e Aquilone" (E.-NE.) sia potuto giungere in vicinanza "della terra scoperta dai Britanni, la quale sta in gradi cinquanta" (nel riassunto anzi il V. dice d'aver navigato sino alla Terra di Baccalaos, a 54° di lat. N.). Qui ebbe termine la spedizione, e la Delfina, essendosi esaurite le vettovaglie, fece ritorno in Francia.
Tre anni dopo, pur nelle poco liete vicissitudini politiche che allora attraversava la Francia, fu organizzata una seconda spedizione da un consorzio presieduto dall'ammiraglio Chabot; il che risulta in modo sicuro da documenti ufficiali del 1526 e dall'informazione sopra ricordata dell'ambasciatore portoghese Silveira. Una flotta di 5 navi, al comando del V., partì ai primi del 1528, sempre - si disse - alla ricerca d'un passaggio per l'Asia, ma questa volta attraverso l'America Centrale. Gli elementi per ricostruire le fasi e lo scopo stesso della spedizione sono però quanto mai scarsi e di dubbia attendibilità. Sembra intanto poco probabile che una flotta francese si azzardasse in una zona ch'era in pieno possesso della Spagna e battuta instancabilmente dalle navi spagnole al medesimo intento; lo stretto era stato la meta di continue ricerche tanto tra la Florida e il Messico, quanto fra il Messico e il Darien; anzi dopo la spedizione di Cortés nel 1523-24 risultava ormai che in quest'ultima zona non esisteva nessun passaggio (qualche carta lo segnava, è vero, ma in base ad informazioni o meglio ipotesi ormai prive di valore). Anche la notizia della morte del V., ucciso e divorato dagl'indigeni in un'isola del Darien, che risale a Paolo Giovio (Elogia illustrium virorum, 1551), ripetuta poi dal Ramusio e dal Thevet, è d'assai dubbia fede, e neppure da un nuovo documento messo recentemente in luce, un poema di Giulio Giovio nipote dello storico, emergono dati sicuri. Secondo questo autore, alla fine miseranda del V. avrebbe assistito, impotente, dalla barca il fratello Girolamo, il quale l'avrebbe raccontata egli stesso più tardi al Giovio; ma sappiamo che Giovanni l'11 maggio 1526, dopo che s'era costituito il consorzio per la seconda spedizione, aveva nominato suo procuratore ed erede il fratello: una procura, per solito, non si rilascia a chi deve poi accompagnare il mandante in una spedizione perigliosa; e Girolamo avrebbe almeno, nella carta, indicato l'isola dove Giovanni era perito. Probabilmente dobbiamo credere all'informazione del Silveira, secondo il quale meta della spedizione era il Brasile, che infatti attirò sempre, e sin d'allora, l'attenzione dei Francesi. Certo è che il V. non ritornò da questo suo secondo viaggio.
Non poco si deve attendere ancora per ricostruire in modo adeguato la figura del navigatore fiorentino; ma dagli elementi positivi di cui oggi disponiamo, si può sempre affermare che se i risultati della sua impresa non raggiungono certo l'importanza di quelli del suo grande concittadino, basterebbe già il fatto dell'esplorazione da lui compiuta delle coste degli Stati Uniti, e di aver così stabilita per primo una sutura fra il punto al quale era arrivato Ponce de León e quello ch'era stato toccato dalle spedizioni dei Caboto e dei Cortereal a N., per assicurargli un posto d'onore fra i più arditi e benemeriti scopritori di quel tempo.
Bibl.: Buckingham Smith, An inquiry into the authenticity of documents concerning a discovery in North America claimed to have been made by V., New York 1864; H. C. Murphy, The voyage of V., a chapter in the early maritime discovery in America, ivi 1875; C. Desimoni, Il viaggio di G. da V. all'America settentrionale nel 1524, in Arch. storico italiano, XXVI (1877); id., Intorno al fiorentino G. V., studio secondo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, 1882; L. Hugues, G. da V. Notizie sommarie, in Racc. colombiana, II, parte 5ª; A. Bacchiani, G. da V. e le sue scoperte nell'America Settentrionale (1524), secondo l'inedito codice sincrono Céllere di Roma, in Boll. d. Soc. geografia italiana, novembre 1909; id., I fratelli da V. e l'eccidio di una spedizione italo-francese in America (1528), ibid., luglio-settembre 1925.