VARASI, Giovanni
VARASI, Giovanni (Gianni). – Nacque a Milano il 4 agosto 1942 da Leopoldo e da Giuseppina Annoni.
Il padre (1907-1990) lavorò come capo-magazziniere presso il Colorificio italiano Mayer di Milano, un’impresa fondata nel 1895 dall’imprenditore svizzero Max Mayer. Questi sposò una zia di Leopoldo e volle rafforzare i legami familiari donando il 10% delle azioni della società a quello che era diventato nel frattempo suo nipote. Leopoldo fece carriera in azienda: nel 1932 divenne direttore generale e nel 1935 consigliere delegato. Dopo la fine della seconda guerra mondiale acquisì l’intero capitale sociale. L’impresa crebbe molto negli anni Cinquanta-Sessanta, conquistandosi una certa notorietà soprattutto nel settore automobilistico. La Max Meyer fu infatti una delle prime aziende in grado di fabbricare delle vernici speciali, contenenti resina nitrocellulosa, particolarmente adatte per la scocca delle autovetture. È di quegli anni anche una prima presenza su mercati internazionali.
Gianni svolse tutti i suoi studi a Milano, dove ottenne il diploma di ragioniere. Anche su indicazione del padre fece l’università in Svizzera e in Germania, svolgendo poi un periodo di studio e formazione professionale negli Stati Uniti. Questo background divenne, negli anni successivi, una fonte costante di contrasti con il padre che, da autentico self made man, poco apprezzava le idee che il figlio aveva importato da quel Paese.
Tornato in Italia, nel 1969 sposò Donatella Brandoli, dalla quale ebbe Leopoldo (nel 1970), Giorgia (nel 1972) e Giammaria (nel 1977). I rapporti non sempre facili con il padre in campo professionale spiegano perché la sua prima esperienza lavorativa fu fuori dall’azienda familiare, dato che nel 1972 lo si ritrova tra i consiglieri d’amministrazione della SAVER (Società Applicazioni VERnici). Nonostante la giovane età, aveva già importanti amicizie, come quella con Giorgio Bocca che, nel 1976, scrisse la prefazione a un suo libro, Padroni di cambiare, una sorta di manifesto di ciò cha aveva in animo di fare, prima o poi, «singolare e curioso documento di rivolta generazionale-imprenditoriale» (Turani, 1985). In alcuni passaggi costruiva interessanti paralleli tra il mondo imprenditoriale e quello politico, sottolineando la comune necessità di imparare a gestire l’imprevedibile (Padroni di cambiare, cit., p. 35); in altri, pur criticando la burocrazia e la sua degenerazione in comportamenti corrotti, dimostrava un grande realismo, anche a futura memoria, affermando che «la corruzione» aveva finito per diventare quasi indispensabile per la sopravvivenza delle aziende: «sfido chiunque a trovare una sola azienda che non abbia mai distribuito bustarelle» (p. 39).
Nonostante le frizioni con il padre, la sua ascesa nell’azienda familiare era in un certo senso obbligata. Nel 1978 divenne direttore generale della Max Meyer. Era ormai pronto per l’entrata ‘ufficiale’ nella Milano che contava allora. Grande amico di Enzo Jannacci, aveva tutte le qualità per emergere. La stampa ne ha sempre fatto un ritratto molto glamour: «un bel giovanotto, grande e ben piantato, che piace molto alle ragazze» (Turani, 1985). «È alto, magro, di un’eleganza eccessivamente leccata, tipicamente milanese», ma forse – aggiungeva lo stesso giornalista – «si prende un po’ troppo sul serio» (Turani - Rattazzi, 1990, p. 82).
Di certo aveva le idee chiare sul settore in cui operava la Max Meyer. In un articolo che scrisse per Mondo economico nel 1978 affermò che il modesto sviluppo della chimica secondaria in Italia non era attribuibile solo a una politica industriale di incentivazione della chimica di base, ma anche al generale ritardo del mercato italiano, in cui facevano fatica a essere adottate le tecnologie più avanzate. Il rilancio passava attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, accompagnati, però, da «meccanismi di controllo oggettivi, basati cioè sui risultati e non solo sulle ‘speranze’ delle quali, ovviamente, ogni progetto di ricerca è come al solito ricco» (I ritardi della chimica secondaria, 1978, p. 46).
Il settore delle vernici era in grande espansione. Nel 1978 circa seicento imprese ne producevano oltre un milione di tonnellate. L’industria era suddivisa in nove aree e la produzione italiana si concentrava su quella a minore contenuto tecnologico. Le principali imprese, oltre alla Max Meyer, erano l’Industria vernici italiane (parte del gruppo FIAT), la Duco e la Veneziani Zonca, entrambe facenti capo al gruppo Montedison. Nel 1980, d’intesa con la grande società chimica milanese, costituì una holding, la Max Meyer Duco Mmd, di cui divenne consigliere, mentre il padre Leopoldo assunse la presidenza. Il 51% del capitale fu nelle mani dei Varasi e il 49% in quelle di Montedison. Le loro aziende, pur rimanendo autonome, ebbero una gestione centralizzata nella holding che consentì di contenere i costi e aumentare i ricavi, anche attraverso l’eliminazione di una serie di piccoli e piccolissimi concorrenti che offrivano prodotti a prezzi fino a cinque volte inferiori.
I rapporti con la Montedison si rafforzarono notevolmente in quel periodo, tanto che nel 1981 la Chemfin, la holding di famiglia Varasi, detenne l’1% delle azioni del colosso chimico italiano. Attraverso un’altra holding, la Maxfin, di cui Gianni era l’amministratore delegato, controllò la Max Meyer, l’azienda di famiglia, e tramite la holding, insieme alla Montedison, le altre due grandi imprese italiane del settore. Piuttosto solida fu la presenza all’estero, dove detenne il controllo della francese Sogemax e il 33% della iugoslava Unimax. La scelta di puntare anche sui mercati esteri fu un modo per combattere la concorrenza straniera che cercava di guadagnare quote di mercato in Italia.
Nei primi anni Ottanta entrò nel mondo della finanza. Esordì nella Brioschi, una società in grandi difficoltà, ma quotata in Borsa, a fianco di Giuseppe Cabassi. Nella Brioschi strinse alleanze con Carlo De Benedetti, con l’armatore genovese Sebastiano Cameli e con altri imprenditori che avevano permessi di costruzione in importanti città italiane, in particolare per il centro direzionale di Roma.
Tuttavia, la chimica restò casa sua, anzi, Varasi ne divenne in un certo senso il massimo rappresentante. Nel 1984 venne eletto primo presidente della neocostituita Federchimica, la nuova associazione di categoria che riuniva oltre 900 imprese con 250.000 addetti e 35.000 miliardi di fatturato. Nella sua nuova funzione ribadì la necessità di aumentare gli investimenti in R&S, che restavano circa la metà della media europea del settore.
In quegli anni, tuttavia, spesso associato agli ambienti del Partito socialista italiano, compì il salto definitivo ai vertici del settore, un’operazione molto complessa che alla lunga ebbe conseguenze negative. Nel 1985 Gemina, la finanziaria controllata tra gli altri dalla famiglia Agnelli e che deteneva una forte quota azionaria in Montedison, decise di mettere quest’ultima in vendita, dopo che una controllata della Montedison stessa, Meta, aveva scalato uno dei propri maggiori azionisti, la Bi-Invest della famiglia Bonomi. Stava per iniziare il sogno di Mario Schimberni, presidente della Montedison, di trasformare la sua società in una grande public company. La vendita delle azioni Gemina fu un’operazione che ebbe un’architettura molto articolata, perché erano state poste in un sindacato di blocco. Varasi venne allo scoperto con un paio di interviste al Correre della sera e al Sole 24 ore, sottolineando le tante opportunità che avrebbe comportato la sua entrata nell’azionariato della Montedison. Il giornale di via Solferino celebrò con molta enfasi l’evento come l’inizio di una nuova fase: il frazionamento della proprietà con l’entrata di Varasi apriva la strada per «la grande trasformazione del mercato finanziario italiano» (R. Cinafanelli, Varasi parla della Montedison: concluderemo da soli l’operazione, in Corriere della sera, 30 novembre 1985). Nel dicembre del 1985, aiutato dal finanziere Francesco Micheli, acquistò il 10% delle azioni Montedison, pagandole 260 miliardi di lire. I mezzi finanziari vennero forniti da un pool bancario. Nella sua nuova posizione, visti i rapporti che aveva in Confindustria, era convinto di avere le carte per una ricomposizione dei disaccordi tra Schimberni e gli altri azionisti. «Il peso specifico di Varasi – scrisse un giornale economico – non può essere nemmeno paragonato con quello dei vecchi soci e consente a Schimberni un’autonomia eccezionale» (A. Frassoni, Chi fa il gioco, in Espansione, 2 dicembre 1985, p. 86).
Varasi non riuscì nel suo intento. Fallì come azionista di riferimento e anche come punto di equilibrio in Montedison, ma ebbe un enorme successo come finanziere. Un anno e mezzo dopo aver acquistato il 10% delle azioni della società le rivendette al gruppo Ferruzzi con una plusvalenza tra i 200 e i 320 miliardi. Sembrava che il suo obiettivo – «togliersi di dosso l’abito del medio imprenditore» (Frassoni, 1988, p. 64) – fosse ormai a portata di mano.
Negli anni successivi Varasi, che aveva già diversificato le sue attività industriali anche nel comparto vetrario, rafforzò la sua società, Fidenza vetraria, divenuta la capofila del settore. In Francia acquisì dal gruppo CGE la Sediver, la più grande impresa al mondo nel campo degli isolatori, presente anche negli Stati Uniti, in Cina e in Brasile. Un’altra parte della plusvalenza la impiegò acquisendo nel 1987 il 20% dell’Editoriale, il gruppo controllato da Attilio Monti, che pubblicava il Resto del Carlino, La Nazione, Il Piccolo e Il Tempo. L’anno successivo creò un’altra holding, la Santavaleria (detenuta per il 53% dalla Chemfin), per gestire le nuove partecipazioni, e nella quale ebbe un grosso partner, il Crédit agricole. I due soci entrarono insieme nella Compagnia finanziaria, una banca d’investimento milanese. Nel 1989 scambiò il 13% della Fidenza vetraria con il 5% della Società italiana vetri, controllata dall’EFIM; inoltre, insieme a Raul Gardini e Giuseppe Cabassi fondò la Finisvim, che aveva partecipazioni immobiliari e finanziare (tra cui il 3,5% di Gemina), acquisì il 50% della Ipsoa e il 50% della casa editrice Iniziative editoriali, che pubblicava Investire e Management. Nel 1990 la Chemfin venne quotata in Borsa con il nuovo nome di Leopoldo Varasi, per ricordare il padre scomparso in quello stesso anno, mentre veniva acquistata la francese Holophane, leader europeo nei fari per auto.
Nei primi anni Novanta il clima cominciò a cambiare per Varasi. Nel 1991 si sciolse il sodalizio con Cabassi e Gardini in Finisvim. Soprattutto, però, dovette fare i conti con un finanziere non meno agguerrito di lui, Paolo Mario Leati, che controllava il 31% della Partecipazioni finanziarie (Paf), un’altra holding che Varasi controllava al 50% con sua sorella Maddalena attraverso la Santavaleria. La vicenda terminò male per Leati, arrestato e condannato per bancarotta fraudolenta.
Varasi si era trovato invece di nuovo a fianco di Gardini in occasione della scalata a Enimont, la finanziaria che doveva gestire in maniera paritetica una grande fetta delle attività chimiche della Montedison e dell’ENI. La Paf rastrellò l’1,2% delle azioni, contribuendo a fare scattare la maggioranza per Gardini (50,2% di Enimont). Come ricompensa Varasi venne eletto in consiglio d’amministrazione, una posizione che cercò inutilmente di utilizzare per fare da mediatore tra Gardini e Gabriele Cagliari, il numero uno di ENI. La lunga vicenda dello scontro economico-finanziario, ma insieme politico e giudiziario, terminò con la vittoria dell’ENI, cui Gardini cedette le sue azioni nel 1990; la stessa cosa fecero i suoi alleati, compreso Varasi. Questi fu coinvolto nelle indagini per la tangente Enimont e fu interrogato un paio di volte dal pubblico ministero Antonio Di Pietro. Accusato di aver ricevuto parte della liquidazione per la sua quota non dal cosiddetto tangentone, ma direttamente da fondi Montedison, fu prosciolto. Le disavventure giudiziarie proseguirono con l’inchiesta sui fondi neri dell’Assolombarda e l’accusa di avere offerto un finanziamento illecito (pagò le fatture per la stampa di volantini per Giorgio La Malfa, ma né Varasi né il segretario del Partito repubblicano italiano segnalarono la cosa come prescriveva la legge sui finanziamenti ai partiti), ma chiese e ottenne il patteggiamento.
I problemi in campo industriale lo obbligarono a cedere alla Rocco Bormioli le società del settore vetrario, la Colle e la Fidenza vetraria. Per ottenere un po’ di liquidità cedette il 2% della Santavaleria, ritrovandosi però con importanti soci internazionali. Poco dopo, nel 1992, anno in cui venne nominato cavaliere del lavoro, si sciolse definitivamente il legame con il gruppo Ferruzzi, che cedette le azioni Santavaleria, provocando un forte calo del prezzo. Nello stesso anno acquistò la società CCYD, che costruiva yatch, e la stampa fece notare che così facendo sfidava Gardini, in quel frangente impegnato nei preparativi della sfida in Coppa America con il Moro di Venezia. I tentativi di rientrare nel mondo industriale non furono positivi: la Buffetti, acquisita nel 1992, fu ceduta nel 1994, ma dovette passare attraverso una pesante ristrutturazione organizzata da Mediobanca. Nello stesso anno lasciò ogni incarico operativo in Santavaleria e si trasferì definitivamente a Parigi. Nel 1995 lasciò anche la presidenza della Leopoldo Varasi. La Max Meyer venne ceduta nel 1997 al colosso americano PPG. Nel 1999 venne prosciolto, per non aver commesso il fatto, in un’inchiesta per tangenti alla Guardia di finanza. Nel maggio del 2000 ricevette un nuovo rinvio a giudizio per falso in bilancio e false comunicazioni sociali legate alla fusione tra Santavaleria e Paf, avvenuta nel 1995. Patteggiò un anno e mezzo.
Tentò un rilancio nell’industria dolciaria. Nel 2005 rilevò la società Battistero, gestendola insieme ai figli Leopoldo e Giammaria. Provò, senza successo, a ottenere il controllo della Melegatti, con l’obiettivo di trasferire la produzione del famoso pandoro da Verona a Parma, sede della Battistero. Neanche quest’ultima avventura finì bene. La Battistero portò i libri in tribunale nel 2010.
Nel corso della sua vita Varasi fece parte della consulta del Fondo per l’ambiente italiano, del consiglio direttivo dell’Associazione amici del centro Dino Ferrari, del consiglio dell’Aspen Institute Italia, del comitato consultivo della Collezione Peggy Guggenheim, del comitato programmi della Fondazione Rosselli.
Morì a Milano il 1° giugno 2015 dopo breve malattia.
Opere. Padroni di cambiare, Milano 1976; I ritardi della chimica secondaria, in Mondo economico, 27 luglio 1978, p. 46; Secondaria e principale, ibid., 31 maggio 1984, p. 34.
Fonti e Bibl.: M. La Ferla, Brioschi: V. entra in pista. Il re delle vernici fa il suo debutto nell’alta finanza, in l’Espresso, 15 maggio 1983; C. Turchetti, Federchimica: cambia la formula a base Montedison, in Espansione, ottobre 1984, p. 27; A. Capitani, La Montedison formula V. Cresce il peso del management, in Corriere della sera, 1° dicembre 1985; G. Rivolta, Montedison cambia proprietà. V.: operazione soprattutto industriale, in Il Sole 24 ore, 30 novembre 1985; G. Turani, Chi è G. V., l’uomo delle vernici. La mano di Micheli nella scalata alla Montedison, in la Repubblica, 1° dicembre 1985; R. Gianola, Montedison, marcia infinita: colpo di scena in foro Bonaparte, V. vende e Gardini porta al 37% la sua partecipazione, in Il Sole 24 ore, 11 marzo 1987; G.G. Oliva, V. “Vi spiego perché sono entrato nell’editoria”, in Corriere della sera, 2 luglio 1987; A. Frassoni, L’altro Gianni, in Espansione, ottobre 1988, p. 64; R. Cotroneo, Gli amici della chimica: Paf schierata con i progetti di Foro Bonaparte, in Corriere della sera, 23 febbraio 1990; G. Rivolta, L’Enimont fa dodici in consiglio con la nomina di Vernès e V., in Il Sole 24 ore, 29 marzo 1990; N. Sunseri, Il raider ha fatto Paf. Paolo Mario Leati con la sua Lombardifin controlla un terzo della holding operativa di V. Ma non gli serve a nulla, in la Repubblica, 22 giugno 1990; G. Turani - R. Rattazzi, Raul Gardini, Milano 1990, p. 82; A. Zeni, V. fa vela verso l’élite, in la Repubblica, 26 gennaio 1990; E. Ragusin, Un 1990 al ribasso per le società del gruppo V., in Il Sole 24 ore, 1° gennaio 1991; A. Plateroti, La Bormioli acquista da V. le attività nei casalinghi in vetro, in Il Sole 24 ore, 22 novembre 1991; I. Bufalicchi, V. scommette sulla City e apre a nuovi partner esteri, in Il Sole 24 ore, 28 gennaio 1992; G. Ferrari, V., i perché di un aumento, in Corriere della sera, 14 febbraio 1992; A. Marchi - R. Marchionatti, Montedison, 1966-1989. Una grande impresa sul confine tra pubblico e privato, Milano 1992, ad ind.; V. Zaccagnino, Il polo nautico di V., una sfida anche a Montedison, in Corriere della sera, 27 settembre 1992; S. Bocconi, Enimont, interrogato V., in Corriere della sera, 18 marzo 1993; G. Buccini, Assolombarda, il giallo dei fondi neri: misterioso libro mastro in banca, in Il Sole 24 ore, 14 gennaio 1993; D. Di Vico, V.: sul caso Enimont di mazzette non so niente, in Corriere della sera, 11 maggio 1993; Id., E anche per V. è l’ora della dieta, in Corriere della sera, 16 giugno 1993; F. Orati, A piccoli passi Ferruzzi allenta i legami azionari con Santavaleria, in Il Sole 24 ore, 6 gennaio 1993; R. Cotroneo, V. lascia il timone: scatta il piano di risanamento messo a punto da Mediobanca, in Corriere della sera, 28 maggio 1994; R. Zagordi, Con la fusione Santavaleria-Paf si dimezza il controllo di V., in Il Sole 24 ore, 8 maggio 1995; Id., V. cede le chiavi della cassaforte: la presidenza della finanziaria di famiglia passa a Mancuso, in Il Sole 24 ore, 30 dicembre 1995; S. Bocconi, Il colorificio Max Meyer batterà bandiera americana, in Corriere della sera, 9 ottobre 1997; R. Zagordi, Per Santavaleria gli indagati salgono a 65, in Il Sole 24 ore, 28 marzo 1999; Prosciolti V. e Sciascia, in Corriere della sera, 30 marzo 1999; E. Livini, Un panettone per V., in la Repubblica, 5 marzo 2005; F. Massaro, Addio a G. V. Da Montedison a Enimont protagonista degli anni ’90, in Corriere della sera, 2 giugno 2015; G. Maifreda, Un capitalismo per tutti. La Montedison di Mario Schimberni e il sogno di una public company, Firenze 2018, ad nomen. L’elenco delle cariche e onorificenze è in https://www.quirinale.it/onorificenze/ insigniti/596.
Ringrazio il dottor Leopoldo Varasi per alcune importanti informazioni che mi ha messo gentilmente a disposizione.