RAJBERTI, Giovanni
RAJBERTI, Giovanni. – Primo di cinque fratelli, nacque il 18 aprile 1805, a Milano, in via Fiori Chiari 26 e fu battezzato nella chiesa di S. Simpliciano. Il papà Bernardo e la madre, Caterina Oltrocchi, erano espressione di quel ceto medio cui Rajberti aderì senza entusiasmo: la sua famiglia aveva origini nizzarde, nobili, ma era progressivamente decaduta, e si era trasferita prima a Cantù e poi a Milano.
Rajberti ricevette la sua educazione in seminario, a Castello sopra Lecco (1815-18), a Seveso (1818-22) e a Monza (1822-23), dove seguì il corso di logica. Lasciata la talare, si iscrisse nel 1823 alla facoltà di medicina e chirurgia a Pavia, tentando inutilmente di entrare nel collegio Borromeo. Si laureò il 2 giugno 1830 con una tesi in latino sugli effetti della valeriana e iniziò l’attività di medico presso l’ospedale Maggiore. Era emersa intanto la sua passione per la letteratura sia in dialetto sia in lingua, con il primo componimento datato 1827.
Nel 1834 sposò Rosa Prina, da cui ebbe cinque figli. In momenti economicamente difficili ricorse anche all’attività privata. Introdotto nei salotti culturali del tempo, coltivò numerose amicizie: Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Massimo D’Azeglio, Angelo Brofferio, Carlo Tenca, Andrea Maffei, Cesare Correnti, Carlo Cattaneo, Cletto Arrighi. Non ebbe simpatia per Honoré de Balzac, di cui mise in ridicolo i tentativi di ipnotismo. Tra i musicisti, all’avversione per Franz Listz si contrappose l’ammirazione per Gioachino Rossini. Celebre fu il Brindisi a Rossini letto in casa Porcia il 22 febbraio 1838 con alcuni versi che presentavano l’Italia come «serva strasciada che la perd i tocch» (Tutte le opere, a cura di C. Cossali, 1964, p. 585).
Di minor rilievo le sestine El dì de San Carla a Cerian e Gesa noueva e fraa noeuv. In occasione dell’epidemia a Milano del 1836 Rajberti compose El Cholera e i Medegh de Milan (Giovanni Rajberti, in Fontana, 1915, II, pp. 25-30) in cui denunciò l’oscurantismo di chi credeva a una congiura contro il ‘popolino’. Intanto approfondì il valore del dialetto e tradusse (‘espose’) Orazio, in particolare l’Arte poetica seguendo l’ordinamento testuale proposto da Antonio Petrini. Anche nella ‘esposizione’ di altre satire oraziane, Rajberti rivendicò libertà inventiva nell’aggiornare il mondo classico all’età contemporanea.
Contro i simpatizzanti dell’omeopatia, Rajberti difese la medicina tradizionale in opere impegnative quali Il Volgo e la Medicina (1838) e l’Appendice all’opuscolo Il Volgo e la Medicina (1840). Celebrazione dell’efficacia espressiva del dialetto risultò La prefazione delle mie opere future. Scherzo in prosa del medico-poeta (Milano 1838), con la considerazione autoconsolatoria che poteva fallire il suo intento moralizzatore, là dove già era fallita l’opera riformatrice di Parini e Porta.
Il 17 agosto 1840 le autorità inaugurarono la ferrovia Milano-Monza. Il giorno seguente fu invitato anche Rajberti, ma per inconvenienti tecnici il treno dovette tornare alla stazione di partenza. Scherzando, Rajberti addossò il fallimento anche alla propria pinguedine. Solo un successivo viaggio con l’amico Angelo Brofferio lo riconciliò con il treno. L’esperienza del viaggio gli dettò Le strade ferrate, sestine milanesi del Medico-Poeta (Milano 1840), composte nell’agosto del 1840, a Grumello, ospite di Giuditta Pasta, interprete di Rossini. Il tema del progresso, già qui emblematizzato nel treno, conglobava anche risvolti sociali e umanitari.
Il 1842 rappresentò la svolta decisiva nella vita di Rajberti. Con uno spostamento vissuto come punizione, fu assegnato all’ospedale di Monza. Nel 1844 ne divenne direttore facente funzione. L’anno successivo partecipò al congresso degli scienziati italiani di Napoli, dove ebbe occasione di ribadire la sua ostilità all’omeopatia. Ma constatò anche l’inefficacia della polemica diretta e personale: si avviò quindi verso una produzione umoristica, centrata non più su un bersaglio singolo ma collettivo, non più sull’uomo ma sull’animale. Nacque da tale nuova atmosfera il libriccino filosofico-umoristico Sul gatto. Cenni fisiologici-morali (Milano 1845), considerato uno dei suoi capolavori in lingua. Osservato scientificamente, senza cedimenti crepuscolari, il gatto parla dell’uomo e gli insegna a vivere.
Anche le giornate del marzo 1848 furono vissute da Rajberti quasi con un senso di colpa per la lontananza dalla città. Si documentò poi con scrupolo anche sulle cause storiche della rivolta. Ne nacque il poemetto Il Marzo 1848 che, prima di stampare, Rajberti lesse con successo due volte al teatro Re, poi al Casino dei Nobili, al seminario di Monza, al teatro di Lecco e di Como.
Il ritorno dell’Austria provocò un ripiegamento anche nella scrittura di Rajberti, che comunque continuò a compiere il suo dovere all’ospedale denunciando anche sperperi e malversazioni. Tra l’altro, nel 1851, avversò il nuovo contratto di esternalizzazione del servizio farmaceutico con ingente danno per l’ospedale.
Sono di questo periodo opere diversamente valutate dalla critica. In milanese due poemetti: El pover Pill e I Fest de Natal, basato il primo sullo scherzo del cane dato fintamente per morto (non piacque al Tenca, che ne scrisse perplesso sul Crepuscolo del 2 gennaio 1853), non privo di lungaggini il secondo, nella rievocazione nostalgica di un mondo al tramonto. Per Bernardino Biondelli tradusse in milanese la parabola del Figliuol Prodigo.
In italiano scrisse poi L’arte di convitare, in due volumi (1851 e 1852), in cui aderì momentaneamente al programma di riforma lessicale e ortografica proposto da Giovanni Gherardini in Lessigrafia italiana (Milano 1843). Anche se Cattaneo era favorevole alla proposta di Gherardini, Rajberti se ne allontanò presto, così come non condivise le teorie linguistiche di Niccolò Tommaseo.
Nel 1852, alla morte del dirigente dell’ospedale, concorse al posto vacante con l’appoggio dei responsabili della sanità lombarda. Ma la sua candidatura fu bocciata in modo brutale e violento. Dopo di allora ci furono pochi eventi significativi. Nel 1853, rimasto vedovo, si risposò con la diciottenne monzese Giuseppina Bolgeri: ebbero una bimba che morì presto. Nel 1855 visitò Parigi in occasione dell’Esposizione Universale: ne nacque il Viaggio di un ignorante ossia ricetta per gli ipocondriaci (Milano 1857), uno dei suoi capolavori dall’umorismo inimitabile. Agli inizi del 1859 restò cinque mesi a Como come direttore dell’ospedale, per poi tornare a Monza, dove il clima, soprattutto politico, gli era più favorevole. Negli ultimi anni della sua vita attiva intensificò la collaborazione con riviste quali La Gazzetta privilegiata di Milano, il Crepuscolo, L’uomo di pietra, proseguendo su una linea di ‘sliricizzazione’ della poesia, per cui contestò sia la poesia rarefatta di Petrarca sia quella mistica e metafisica del Caino di Byron, tradotto da Andrea Maffei: poesia senza agganci alla concretezza del vivere.
Nel 1859 un ictus cerebrale lo paralizzò e lo lasciò senza la possibilità di parlare e di scrivere. Morì l’11 dicembre 1861: pare che ‘Garibaldi’ fosse l’ultima parola da lui pronunciata.
Venne sepolto nella tomba della famiglia Bolgeri. La vedova consegnò gli scritti del marito al Municipio di Monza: da lì passarono alla Biblioteca civica. Tuttavia le poesie circolarono manoscritte in più copie, per cui sono confluite anche in altri archivi.
Opere. Tutte le opere del medico-poeta, a cura di C. Cossali, con profilo biografico di C. Scano, Milano 1964. Scelte antologiche: G. R., in F. Fontana, Antologia meneghina, I-II, Milano 1915; G. Bucci, Le più belle pagine di G. R., Milano 1936; Sul gatto, L’arte del convitare, Il viaggio di un ignorante, a cura di E. Rossi Negro, Milano 1965. Ristampe significative di singole opere: Sul gatto, a cura di C. Linati, Milano 1943; Il gatto, a cura di A. Palazzeschi, Firenze 1946; Il viaggio di un ignorante, a cura di E. Ghidetti, Napoli, 1985; L’arte di convitare, a cura di G. Maffei, Roma 2001; Sul gatto, a cura di R. Martinoni, Balerna 2007. Prose giornalistiche: G. Scheiwiller, Il postiglione di Monza e altre prose di G. R., Milano 1970. Poemetti dialettali: I poemetti in milanese, a cura di S. Baijni, Milano 2013.
Necrologio di G. Rovani, in Id., Le tre arti, I-II, Milano 1874, I, pp. 245-256; M. Parenti, Bibliografia del medico-poeta, Firenze 1949; C. Dossi, Note azzurre, a cura di D. Isella, Milano 1964. Riferimenti a Rajberti nei Carteggi di C. Cattaneo, Serie I, Lettere di C. Cattaneo, I, a cura di M. Cancarini Petroboni - M. Fugazza, Firenze-Bellinzona 2005; serie II, Lettere a C. Cattaneo, II, a cura di C. Agliati, loc. cit., 2005. Giudizi dell’Aleardi in G. Carcano, Opere complete, X, Epistolario, Milano 1896. Studi critici: A. Pigatto, G. R. il medico-poeta (1805-1861), Firenze 1922; E. Liburdi, Pel poeta delle Cinque giornate di Milano. Contributo all’epistolario rajbertiano, Milano 1948, pp. 337-377. Dedicata a Rajberti: Storia in Lombardia, 2007, n. 1, con i saggi: S. Morgana, Ricordando G. R., pp. 5-14; G. Cosmacini, Il medico G. R. e la medicina, pp. 15-20; P. Bartesaghi, Tra ricette e bosinate: la musa ‘accidiosa’ di G. R., pp. 21-56; G. Maffei, Del valore satirico di G. R., pp. 57-96; A. Stella, ‘La vita l’è on disnà’. Appunti sulle ‘esposizioni oraziane’ di R., pp. 97-103; R. Colombi, G. R., il ‘medico-poeta’, in Ead., Ottocento stravagante. Umorismo, satira e parodia tra Risorgimento e Italia unita, Roma 2011, pp. 41-80.
Fonti e Bibl.: Lettere e poesie manoscritte sono conservate in: Milano, Biblioteca Ambrosiana, T 34 inf., T 35 inf., A 362 inf./99, cart. 6: F. Casati; Archivio di Stato di Milano, Studi, p. m., cart. 152; Milano, Archivio dell’Ospedale Maggiore, F. Arch. Rosso, fasc. ‘Rajb’; Milano, Archivio storico civico e biblioteca trivulziana, F. Belgioioso, cart. 172; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Vari 62.9 e 66.104; Monza, Biblioteca civica, Fondo Pigazzini, 67 (lettere di mittenti vari a Rajberti dal 1832 al 1860, non inventariate), Mss. extra II; Verona, Biblioteca civica, Carteggi, b. 270; b. 657; b. 660, album 67; BNBraidense, AE XV 5/45/1-3; AF XIII 14; Aut. B XXVI 5/1-12.