GIOVANNI PIETRO da Cemmo
Scarsissime le notizie documentate su questo pittore originario di Cemmo di Capo di Ponte, in Valcamonica, attivo a partire dall'ottavo decennio del XV secolo, di cui s'ignora la data di nascita.
L'origine camuna, certificata dallo stesso artista nelle firme apposte sugli affreschi di Borno e Bagolino, lo colloca nell'orbita della koiné artistica delle valli subalpine, non semplici vie di transito ma luoghi di elaborazione culturale autonoma, dove i ricordi gotici e gli arcaismi della tradizione bizantina si univano, insieme con le influenze tedesche, alle forme dotte rinascimentali.
L'improvvisa apparizione di G. sulla scena pittorica risale al 1474, quando firmò e datò le Storie della Vergine nel coro dell'Annunciata di Borno, un convento fondato nel 1469 dal riformatore francescano Amedeo Méndez da Silva.
La decorazione del coro, dove avevano accesso soltanto i monaci, rivela un pittore dai tratti subito ben definiti: su una struttura spaziale impostata sulle novità di Vincenzo Foppa e Antonio Vivarini, visibile soprattutto nelle incorniciature architettoniche e nei tagli prospettici, si muove un mondo popolato da figurine allungate, dalla tipologia anatomica nervosa e dai tratti raffinati che hanno fatto parlare di stile "neogotico" (Ferrari).
L'ampio orizzonte cui il pittore sembra ispirarsi - Padova e Ferrara, Mantova e Milano - è confermato dal secondo intervento nella pieve di Borno: gli affreschi del tramezzo con le Storie di Cristo, datati 1479, ripropongono uno stile in sintonia con la tradizione lombarda, giungendo a risultati paralleli a quelli di Bernardino Butinone.
Se però gli affreschi del coro offrivano un insolito linguaggio aulico ed elegante, qui si notano più evidenti le concessioni alla sintassi popolare, solo parzialmente vivificata da qualche reminiscenza belliniana, come nel riquadro con la Trasfigurazione. Nelle prime due campagne decorative di Borno G. adottò un codice figurativo iconograficamente compatto e omogeneo che, nel raffigurare i Misteri della Redenzione, offriva un'esposizione chiara e ordinata, quasi catechetica, della storia evenemenziale, basata sulla comprensione filologicamente corretta dei testi sacri e sulla continuità tra pensiero ebraico e dogmatismo cristiano, possibile solo nella felice ma breve stagione del francescanesimo amadeita, presto soppiantato dalla violenza dei toni e dalla facile suggestione cui facevano ricorso i frati osservanti.
Tra il 1475 e il 1480 si può collocare una serie di affreschi con ex voto mariani, non di sicura attribuzione, in S. Lorenzo a Berzo Inferiore, in S. Pietro a Bienno e in S. Siro a Cemmo.
Intorno al 1480 va ipotizzato un soggiorno padovano di G. che, seppur non documentato, risulta più che probabile per il bagaglio di riferimenti umanistico-antiquari, sostanzialmente mantegneschi, presente nelle opere del nono decennio. Su questa supposizione si basa la recente attribuzione a G. degli affreschi della cappella Lavagnoli in S. Anastasia a Verona (Marinelli), proposta suggestiva ma da verificare su basi più solide per il fatto che G. fino ad allora aveva operato solo nella valle camuna o presso i laghi alpini, da Iseo a Idro, e perciò a quella data non poteva essere molto conosciuto in una città veneta.
I freschi ricordi del probabile viaggio padano si riscontrano comunque nella decorazione della cappella del Ss. Sacramento ancora all'Annunciata di Borno (1480-85): gli Evangelisti coi Padri della Chiesa occidentale e orientale, negli spicchi della volta, sono inseriti in un repertorio di rovine antiche, archi di trionfo e busti di imperatori inconcepibili senza una diretta conoscenza delle opere padovane di Andrea Mantegna.
Firmati semplicemente "cemigena", ovvero "nativo di Cemmo", sono gli affreschi in S. Rocco a Bagolino (1483-86).
Il vasto ciclo presbiteriale - in cui spiccano l'Annunciazione sull'arcone, la Crocifissione sulla parete di fondo e le Storie dei ss. Rocco e Sebastiano in quelle laterali - è un prodotto perfettamente bilanciato tra la favola cortese, il gusto antiquario e un linguaggio semplificato che si avvale di un'accentuata ricchezza cromatica.
Databile alla seconda metà degli anni Ottanta per la presenza di elementi mantegneschi, che lo accomuna agli affreschi di Bagolino, è il ciclo decorativo di S. Maria in Sylvis a Pisogne, anche se Mulazzani lo posticipa ai lavori di Esine finiti nel 1493.
Mentre nel presbiterio i riquadri disposti su tre ordini raccontano vivacemente le storie della Vita della Vergine, lungo la controfacciata e la parete nord corre un drammatico fregio col Trionfo della Morte, che, illustrando il tema di un'omelia antisemita del francescano Bernardino Busti, propone esplicitamente la condanna e la demonizzazione degli ebrei, in quegli stessi anni oggetto di una violenta campagna diffamatoria e repressiva da parte delle autorità locali: una dinamica propagandistica a cui risponde anche la proliferazione delle immagini del Martirio del beato Simonino, presente, oltre che a Pisogne, anche a Bienno, Niardo, Malegno, Paincamuno, Cerveno ed Esine (Ferri Piccaluga).
La data 1490, apocrifa ma accertabile con precisi riscontri documentari (Panazza, 1990, p. 51), si legge sulle pareti affrescate dell'ex libreria del convento agostiniano osservante di S. Barnaba a Brescia.
La grande scena del Magistero universale di s. Agostino sulla parete sud e le Scene bibliche a monocromo in terra verde sulle pareti lunghe parlano un linguaggio schiettamente foppesco, ormai mediato, soprattutto nella struttura compositiva delle scene, da elementi della pittura zenaliana e bramantesca. Per quanto la matrice rinascimentale di queste immagini abbia fatto supporre almeno per i tondi monocromi la presenza di un'altra mano, forse quella di Paolo Caylina il Vecchio, se non addirittura la supervisione di Foppa stesso (ibid., pp. 131-133), nei personaggi si avverte un processo di astrazione e di semplificazione fisionomica che è caratteristico della pittura di G. degli anni Novanta. Semmai si può credere a un'esecuzione in due fasi, per cui il Magistero universale, datato 1490, deve ritenersi concluso in quell'anno, mentre i quattro riquadri biblici e la rovinata Allegoria della nave, sulla parete opposta al Magistero, potrebbero essere spostati a una data prossima allo scadere del secolo. Questa cronologia sarebbe inoltre giustificata dal taglio stilistico già bramantiniano e dall'uso del monocromo, confrontabile con le più tarde decorazioni di G. a Cremona e a Crema (Marubbi, L'Osservanza, 1992).
Intorno al 1490 si può datare l'avvio della sua attività di miniatore, i cui primi saggi sono visibili in due fogli staccati della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, probabili frammenti dei cicli corali eseguiti per gli agostiniani di S. Barnaba (Id., G. da C., 1992).
La stagione del classicismo padano non durò però a lungo, come dimostra la vasta decorazione di S. Maria Assunta a Esine (1491-93), vivace polo produttivo e commerciale della Valcamonica, nonché importante centro del francescanesimo lombardo.
L'impresa, promossa e finanziata dal rettore Isacco de Favis da Gandino, ebbe poi il sostegno di due famiglie eminenti del luogo, i Federici e i Beccagutti, come dimostra la presenza dei relativi stemmi sulle pareti laterali del presbiterio. I primi lavori, in particolare l'Annunciazione sull'arco trionfale, il Cristo Pantocrator tra i santi del paradiso e la Crocifissione, rispettivamente sulla volta e sulla parete di fondo del coro, manifestano una svolta decisiva dello stile di G. a vantaggio di una stesura libera e intensamente coloristica, con un notevole accrescimento timbrico e una preferenza per gli elementi ornamentali che sembrano essere la diretta conseguenza della sua attività miniatoria. Nei due anni successivi il pittore completò la decorazione con un fastoso e disarticolato labirinto di riquadri votivi e scene sacre, in cui, se si eccettuano i Profeti Daniele e Michea sul fronte della loggia (1493), si nota un progressivo scadere del livello qualitativo.
L'eclettismo che caratterizza lo stile di G. nell'ultimo decennio del Quattrocento è documentato dagli affreschi dell'Annunciata di Bienno, con una Danza macabra (1493-94), e da quelli della cappella di S. Rocco nella chiesa della Trinità a Esine (1495), con una Crocifissione sulla parete.
Degli stessi anni sono anche gli affreschi sulle pareti sottostanti il tramezzo dell'Annunciata di Borno, rappresentanti la Crocifissione con s. Francesco e l'Assunta, che conclusero la lunga serie di campagne decorative iniziata quasi vent'anni prima.
Nella prima metà degli anni Novanta G. risulta dunque essere attivo contemporaneamente in almeno quattro centri distinti. La conduzione parallela dei diversi cantieri - geograficamente non vicinissimi, ma le cui opere palesano intrecci di iconografie, stili e formule compositive - richiedeva, oltre all'uso di una numerosa manovalanza, un'applicazione discontinua e conseguentemente dei lunghi tempi realizzativi. D'altro canto il fenomeno della bottega itinerante se dimostra il sorprendente successo del pittore camuno, quasi un omologo di Giovanni Marinoni nelle valli bresciane, è anche lo specchio del tradizionalismo nelle scelte artistiche e tematiche della committenza locale.
Nel 1498 G. iniziò ad affrescare la cappella del Ss. Sacramento in S. Agostino a Cremona, lavoro protrattosi fino al 1504 e unica testimonianza di un'ampia ornamentazione che comprendeva anche gli edifici conventuali, andati perduti.
Nella parte alta delle pareti sono raffigurate le Storie di s. Agostino, nella volta i Quattro dottori della Chiesa, gli Evangelisti e un'Allegoria degli elementi, dove, permanendo il paradigma foppesco, G. raggiunse un alto livello di maturazione formale e una potenza scultorea che trova corrispondenza nei rilievi certosini di Giovanni Antonio Amadeo e nella plastica del cremasco Agostino Fonduli.
Nello stesso arco di tempo G. realizzò uno splendido Antifonario in sette volumi ora nel Museo civico di Cremona, pieno di ornamentazioni con fregi e scene istoriate, spesso ricalcanti iconografie già sperimentate nelle opere maggiori.
Di attribuzione controversa sono invece gli affreschi del salone dell'atrio di palazzo Fodri a Cremona (A. Puerari), assegnati anche, e forse con maggiore verosimiglianza, ad Antonio Della Corna (Ferrari).
In linea con il suo consueto modo di procedere, nel primo lustro del Cinquecento, pur facendo capo al convento di S. Agostino di Cremona, G. si spostò per brevi periodi in altri centri lombardi: probabilmente a Brescia, per concludere gli affreschi della libreria, a Berzo Inferiore e a Crema.
Gli affreschi della cappella dei Ss. Rocco, Fabiano e Sebastiano nel santuario di S. Lorenzo a Berzo Inferiore sono databili intorno al 1505.
Introdotta sull'arcone d'entrata dall'Annunciazione, la cappella ha la volta a crociera costolonata decorata con fregi bianchi su fondo blu e girali d'acanto; all'interno campeggiano, entro bordure di candelabre, sfingi, animali e dischi di finto marmo, le Storie dei tre santi titolari, dove ritorna il motivo "neogotico" delle figure allungate, entro un narrare didascalico e prosaico, in alcuni casi soggetto a inedite cadute qualitative che lasciano supporre la presenza degli aiuti.
Forse già al termine dei lavori cremonesi G. si era trasferito nel convento agostiniano di Crema, centro della Congregazione dell'Osservanza lombarda, dove affrontò la decorazione del refettorio.
Vi affrescò l'Ultima Cena e la Crocifissione sulle pareti brevi, Storie bibliche alla base della volta ornata a grottesche, più ventidue Beati agostiniani sulle pareti lunghe, inseriti uno a uno in un'apertura illusionistica abilmente scorciata dal basso (1504-07). La stretta derivazione iconografica dal refettorio milanese di S. Maria delle Grazie non deve far dimenticare che questo schema iconografico era tipico delle decorazioni delle sale dei conventi agostiniani, dove le lunette coi Magistri sacrae paginae - santi, beati e dottori dell'Ordine - comparivano regolarmente a spiegare gli intenti didascalici e celebrativi delle immagini narrative. La dipendenza culturale da Milano è comunque confermata dal carattere bramantesco delle monumentali figure dell'Ultima Cena, desunta sia pur con notevoli varianti dal modello vinciano. Gli affreschi della volta del refettorio e del fregio sottostante le lunette sono eseguiti prevalentemente a monocromo, con un repertorio decorativo che sembra essere desunto dall'ars alluminandi; nei tondi con Storie del Vecchio Testamento G. adotta uno stile ancora più sciolto, dal tratto fluido e veloce che molto si discosta dal segno graffiante delle lunette e delle scene maggiori. La tecnica si impreziosisce di ombreggiature delicate, a tratti sottili e paralleli, con tocchi di biacca posti a ravvivare la forma dei panneggi. L'impresa cremasca comprendeva anche la libreria, dove purtroppo non rimangono che sbiadite tracce del partito bianco e verde descritto nel XVI secolo da Marcantonio Michiel (p. 55).
Altra importante testimonianza dell'attività miniatoria di G. è l'Ordo manualis della Biblioteca civica di Bergamo, realizzato durante il soggiorno a Crema.
Provvisto di immagini più piccole rispetto all'antifonario cremonese, presenta notevoli capilettera miniati a motivi floreali, o con strumenti musicali, e fregi marginali con steli, viticci, fiori e frutti di eleganza e misura classica.
Il sistema compositivo sperimentato nel refettorio cremasco ritorna nell'episodio marginale degli affreschi di S. Pietro a Solato, databili intorno al 1507 (Bertolini - Panazza, 1990), dove però la volta monocroma con tondi istoriati, rappresentanti la Visitazione, la Natività, l'Adorazione dei magi e la Fuga in Egitto, presenta un ritmo più corsivo e una sintassi più slegata, determinata dal largo intervento della bottega.
G. era padre di due figli, Pasino e Giacomo. Un documento di investitura che coinvolgeva proprio i figli attesta che il pittore era già deceduto nel 1532 (Sina, p. 23).
Fonti e Bibl.: M.A. Michiel, Notizie d'opere di disegno… (sec. XVI), a cura di I. Morelli, Bassano 1800, pp. 35, 55; A. Sina, Intorno al pittore G. da C. e alla sua famiglia, in Memorie storiche della diocesi di Brescia, XIV (1947), pp. 23-25; G. Panazza, S. Rocco di Bagolino e il pittore G. da C., Bagolino 1952; A. Puerari, Gli affreschi cremonesi di G. da C., in Bollettino d'arte, XXXVII (1952), pp. 220-230; M.L. Ferrari, G. da C.: fatti di pittura bresciana del Quattrocento, Milano 1956 (con bibl.); G. Panazza, La pittura nella seconda metà del Quattrocento, in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 950-961; F. Mazzini, Affreschi lombardi del Quattrocento, Milano 1965, pp. 465-472; G. Mulazzani, L'antica pieve di Pisogne. Affreschi in Valcamonica tra Medio Evo e Rinascimento (G. da C.), Brescia 1972; M. Puerari, Museo civico "Ala Ponzone". Raccolte artistiche, Cremona 1976, pp. 85-88; A. Bertolini - G. Panazza, Arte in Valcamonica. Monumenti e opere, I, Brescia 1980, pp. 59-70; II, ibid. 1984, pp. 252 s., 464, 503; C.L. Joost-Gaugier, The history of visual theme as culture and the experience of an urban center: "Uomini famosi" in Brescia, in Antichità viva, XXII (1983), 4, pp. 12 s., 17; M. Chirico De Biasi, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1986, p. 647; F. Frangi, Pittura a Crema, in Pittura tra Adda e Serio. Lodi, Treviglio, Caravaggio, Crema, a cura di M. Gregori, Milano 1987, pp. 246, 249, 298 s.; G. Ferri Piccaluga, Il confine del Nord, Boario Terme 1989, pp. 260-269, 278-282, 288 s., 314-321, 332; F. Mazzini, La chiesa di S. Maria Assunta di Esine. Gli affreschi di G. da C., Bergamo 1989; S. Marinelli, Verona, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, II, Milano 1990, p. 633; A. Bertolini - G. Panazza, Arte in Valcamonica. Monumenti e opere, III, 1, Brescia 1990, pp. 398, 410, 493 s., 501 s.; F. Mazzini, Contributi e aggiornamenti per G. da C., in Quaderno di studi sull'arte lombarda dai Visconti agli Sforza…, a cura di M.T. Balboni Brizza, Milano 1990, pp. 68-71; G. Panazza, Il convento agostiniano di S. Barnaba a Brescia e gli affreschi della libreria, Brescia 1990, passim; M. Marubbi, G. da C. miniatore, in Arte lombarda, 1992, n. 101, pp. 7-31; Id., L'Osservanza agostiniana nella Lombardia orientale (1439-1507), Milano 1992, pp. 17, 21, 40-58; M. Visoli, Cremona, in La pittura in Lombardia. Il Quattrocento, Milano 1993, pp. 149, 153, 180, 183; V. Terraroli, Brescia, ibid., pp. 239, 241 s.; C. Basta, ibid., p. 459 (con bibl.); L. Azzolini, Palazzi del Quattrocento a Cremona, Cremona 1994, pp. 69, 72; A. Bertolini - G. Panazza, Arte in Valcamonica. Monumenti e opere, III, 2, Brescia 1994, pp. 209, 234, 245, 259-278, 300 s.; B. Casavecchia, in Ambrogio da Fossano detto il Bergognone. Un pittore per la certosa (catal., Pavia), a cura di G.C. Sciolla, Milano 1998, p. 362; S. Zuffi, Brescia, Bergamo… e Venezia, in Pittura in Lombardia. Il Medioevo e il Rinascimento, Milano 1998, pp. 178-181; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 139.