ORGERA, Giovanni
ORGERA, Giovanni (Giovan Battista Ugo Arnaldo). – Nacque a Napoli il 14 dicembre 1894 da Giulio Cesare e da Clorinda Ruotolo, originari di Spigno Saturnia (prov. di Latina) e appartenenti all’agiata borghesia napoletana.
Il padre, dopo la licenza liceale e un biennio alla facoltà di medicina e chirurgia, entrò nel 1878 nell’amministrazione archivistica percorrendo tutte le tappe della carriera sino a diventare nel 1920 direttore all’Archivio di Stato di Napoli; la madre, pur non svolgendo attività concertistica, era una pianista.
Unico maschio di quattro figli, studiò al liceo Vittorio Emanuele di Napoli iscrivendosi poi alla facoltà di giurisprudenza. Sospesi gli studi allo scoppio della Grande guerra, fu al fronte come ufficiale di fanteria; ferito due volte, meritò una medaglia d’argento e una di bronzo e la promozione a capitano. Congedato, riprese gli studi interrotti e, all’indomani della laurea (16 aprile 1919), iniziò a esercitare la professione di avvocato nel ramo civile e commerciale. Nel 1921 sposò la cugina Clara Orgera; nel 1924 nacque la loro unica figlia, Gabriella.
Secondo quanto ebbe a scrivere dopo la Liberazione nel suo memoriale, coerentemente con le proprie convinzioni patriottiche simpatizzò fin dall’ottobre 1920 con il movimento fascista – visto come argine al «sovversivismo dilagante che irrideva alla Patria e ingiuriava quanti l’avevano nobilmente servita in armi» (Roma, Archivio storico della Banca d’Italia [ASBI], Carte Orgera, n. 1, f. 12) – e, nel gennaio 1921, si iscrisse al Partito nazionale fascista.
A Napoli, in occasione della cosiddetta campagna del porto, si guadagnò la qualifica di ‘squadrista’ mettendo a disposizione delle prime cooperative fasciste, contro i portuali in sciopero, le sue conoscenze giuridiche. Nel 1922 fece parte del Comitato segreto delle camicie nere incaricato di coordinare i fascisti che affluivano in città per la marcia su Roma. Sostenitore di Aurelio Padovani, leader del turbolento movimento fascista napoletano avverso al ‘partito di governo’, nel 1924 non rinnovò la tessera; l’anno dopo però, rientrò nel partito, normalizzato da Vincenzo Tecchio. L’ingresso nei ranghi tecchiani segnò l’avvio della sua carriera pubblica, politica e amministrativa, legata al territorio e lontana dal palcoscenico nazionale almeno fino gli inizi del 1944, anche se le informative della polizia politica ipotizzano, nell’ottobre 1932, una sua candidatura a segretario federale di Napoli e, nel maggio 1943, il conferimento di un incarico di carattere organizzativo da parte della Segreteria nazionale del partito (Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari riservati, Polizia politica, categ. 1, b. 921).
Il primo mandato pubblico s’inquadra nella difficile congiuntura politica seguita all’omicidio di Giacomo Matteotti: dall’aprile 1925 al febbraio 1927 resse la sezione napoletana dell’Associazione nazionale combattenti, come commissario straordinario; il commissariamento – secondo Renzo De Felice (Mussolini il fascista, Torino 1966, p. 86) – coincise con il primo atto di forza di Mussolini poco prima del varo delle cosiddette ‘leggi fascistissime’. Da allora Orgera ebbe cariche nel Direttorio del fascio e nella Federazione provinciale, nelle associazioni di categoria degli ambienti legali e giudiziari e nell’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali. Dal gennaio 1926 al febbraio 1929 fu nella Giunta ordinaria dell’Amministrazione provinciale e, dal 1931, nel Rettorato della Provincia; fino al 1934, inoltre, fu nella Commissione reale per l’Ordine dei procuratori e, dall’aprile, nel Direttorio del Sindacato avvocati e procuratori; nei primi anni Trenta fu altresì consigliere della società Manifatture cotoniere meridionali.
Nel febbraio 1936 partì volontario per la guerra d’Abissinia, prossima alla conclusione, salpando dal porto di Napoli con altri gerarchi. Nell’estate, mentre era in Africa, si crearono le condizioni per il nuovo incarico: con r.d. 9 luglio 1936 fu nominato podestà di Napoli, affiancato da Ercole Corbi e Salvatore Tranchida. In queste vesti si trovò a gestire una situazione difficile. Ereditava infatti un bilancio comunale dissestato e una serie di iniziative – un piano di riqualificazione urbanistica, un progetto di potenziamento del porto, un concorso finanziario alla realizzazione della Mostra delle Terre italiane d’Oltremare come area espositiva permanente – in larga parte da completare.
Nel 1937 fu approvato il piano regolatore generale con conseguente bonifica delle aree di Fuorigrotta, S. Pasquale a Chiaia e Capodichino, messa in opera degli impianti di illuminazione al Vomero-Arenella, a S. Giovanni a Teduccio e in altre zone, sistemazione del piazzale della ferrovia Circumvesuviana e inaugurazione della prima linea di filobus. Nel maggio 1938 la visita di Hitler, Mussolini e Vittorio Emanuele diede risonanza internazionale a Napoli che accolse gli ospiti con grandi manifestazioni. Nel 1939, riportato il bilancio in pareggio, ampliò i lavori al rione Carità.
Nel 1940, da poco riconfermato alla guida della città, fu richiamato in servizio con il grado di tenente colonnello e destinato al fronte francese. La caduta del regime lo colse di sorpresa. Il 5 agosto 1943 presentò le dimissioni e fu sostituito dal commissario straordinario badogliano Giuseppe Solimena. Secondo il memoriale, si allontanò da Napoli il 10 agosto con la famiglia riparando a Scanno, in Abruzzo. Da qui, per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi, il 5 dicembre 1943 si spostò nella capitale. Un mese dopo, il 5 gennaio 1944, il governo della Repubblica sociale di Salò lo nominò governatore di Roma e dal 15 subentrò al commissario straordinario Riccardo Motta.
Orgera racconta di avere appreso dell’incarico dalla radio e di avere accettato per evitare rappresaglie e tutelare la famiglia. In un contesto politico e istituzionale condizionato dalla sottomissione alle autorità germaniche, la sua attività si limitò alla gestione dell’ordinario: trattamento economico e previdenziale dei dipendenti con il riconoscimento d’indennità speciali, erogazione dei fondi per ricoveri antiaerei e per l’assistenza sanitaria agli sfollati, lavori stradali e fognari nelle borgate periferiche, ratifica di delibere delle aziende comunali partecipate, acquisti di opere d’arte e, non ultimo, di animali per lo zoo. Privo di qualunque autonomia denunciò vanamente le requisizioni di automezzi destinati al servizio pubblico e al rifornimento di generi alimentari, l’occupazione indebita di ricoveri antiaerei e di alloggi riservati agli sfollati, l’arbitrario stato di fermo dei suoi dipendenti. Isolato dal governo centrale, trasferito al Nord, dovette subire in quei mesi le imposizioni dei tedeschi e fronteggiare le incursioni aeree degli anglo-americani, bloccati a pochi chilometri da Roma. Le già difficili condizioni di vita della popolazione, accresciuta a dismisura dalle migliaia di profughi affluiti dalle zone di guerra, furono aggravate con ricadute pesanti sui servizi di prima necessità, sugli approvvigionamenti dei viveri e sui razionamenti, sull’aumento dei prezzi al mercato nero. Per agevolare i rifornimenti dal Nord, chiese al governo di intervenire presso il Comando germanico, ottenne un aiuto dal Vaticano e, nel febbraio, istituì – senza successo – un Ufficio speciale trasporti fluviali per la navigazione del Tevere per organizzare il flusso delle derrate tra Orte e Roma.
Tuttavia la fedeltà al governo neofascista non si incrinò: il 24 marzo, inviò un messaggio di solidarietà al generale Kurt Maeltzer per salutare «romanamente le salme dei valorosi soldati del Reich» caduti nell’attentato di via Rasella (Roma, Archivio storico Capitolino, Gabinetto del Sindaco, titolo I, classe 9, b. 2274, prot. 3269/1944); a fine aprile chiese al partito i nomi degli «antinazionali» per escluderli da incarichi. Con gli anglo-americani alle porte, l’11 maggio fissò il calendario per il giuramento alla Repubblica sociale al quale aderì solo l’8% dei dipendenti.
All’alba del 4 giugno 1944, abbandonò Roma con altri dirigenti del partito, riparando a Desenzano. Iniziava allora una nuova fase della sua vita pubblica. Con d.m. 28 giugno 1944 n. 400 fu nominato commissario straordinario della Banca d’Italia – con giurisdizione limitata alla Repubblica di Salò dal momento che al Sud liberato era stato nominato commissario Niccolò Introna – contestualmente allo scioglimento degli organi deliberativi di questa. L’incarico ricostituiva il vertice della Banca al nord, decapitato dopo il mancato rientro da Roma del governatore Vincenzo Azzolini.
Il retroscena della nomina è ricostruito nel rapporto di un dirigente dell’istituto (ASBI, Banca d’Italia, Direttorio Introna, cart. 20, fasc. 5, sf. 1), secondo il quale la direzione della Banca – allorché emersero l’incapacità del direttore generale Antonio Cimino e il rischio di commissariamento dell’istituto – agì d’anticipo suggerendo alle autorità il suo nome. Benché fosse una figura marginale del regime fascista, in Banca era noto per la sua onestà amministrativa e per la stima dell’ex governatore Azzolini e – grazie anche alla favorevole opinione del ministro delle Finanze, Domenico Pellegrini Giampietro, già segretario federale a Napoli – la proposta fu accolta.
Trasferitosi a Moltrasio (Como), dove si era insediata la Banca, si trovò anche qui a operare tra forti condizionamenti. Al di là degli aspetti di carattere amministrativo (creazione ed emissione dei biglietti, trattamento economico e normativo del personale, nomine e dimissioni di consiglieri e sindaci, conferimento di deleghe, risposte alle emergenze originate dalla guerra con la messa in sicurezza di dipendenti e valori da incursioni aeree e rapine, ripiegamento delle filiali verso sedi più sicure) dovette affrontare due questioni spinose: l’erogazione all’esercito germanico di un contributo di guerra mensile, sempre più esoso, e l’esecuzione del trattato di Fasano (5 febbraio 1944) in base al quale il governo di Salò, dipendente politicamente e militarmente dai tedeschi, si era impegnato a devolvere alla Germania l’intera riserva aurea della Banca per contribuire allo sforzo bellico.
Una prima tranche dell’oro – governatore Azzolini – era già stata inviata a Berlino il 29 febbraio; rimaneva da consegnare la seconda, collocata a Fortezza, presso Bolzano. Orgera si convinse della necessità di difendere gli interessi dell’istituto e, con la collaborazione di alcuni dirigenti, nonostante le pressioni dei tedeschi e di Pellegrini Giampietro, riuscì a dilazionare il trasferimento dell’oro al 21 ottobre. A fine guerra risultò che la circolazione dei biglietti era inferiore al Nord rispetto al resto d’Italia e che quasi la metà della parte restante della riserva era rimasta a Fortezza perché la dilazione ne aveva ritardato il trasporto a Berlino.
Nel dicembre 1944 fu deferito dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati e procuratori di Napoli alla I Commissione dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo con l’accusa di collaborazionismo con i tedeschi. Fu sospeso dall’esercizio della professione forense e il suo appartamento a Napoli venne sottoposto a sequestro cautelativo. Il 2 gennaio 1947, il Consiglio dell’Ordine revocò la sospensione per mancanza di procedimenti a suo carico e lo reintegrò nell’Albo.
La sua fama di onesto amministratore sopravvisse agli eventi. Nel 1946 Roberto Bencivenga, comandante civile e militare di Roma dopo la Liberazione, e l’ex commissario Motta rilasciarono dichiarazioni in suo favore. Anche il governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi gli riconobbe di aver agito con «particolare sollecitudine per le sorti dell’Istituto» e di essersi «ispirato a principi di specchiata onestà personale […] e […] di acuto senso del dovere» (ASBI, Carte Orgera, n. 1, fasc. 5).
Riavviò l’attività professionale a Roma, dove aveva stabilito la sua residenza.
Dopo un difficile intervento chirurgico morì il 12 dicembre 1967 e fu sepolto a Napoli secondo le sue volontà.
Fonti e Bibl.: A Roma, ASBI, è conservato materiale relativo all’attività svolta nel periodo 1944-45 nei fondi e sottofondi: Carte Orgera; Banca di Italia: Verbali del Consiglio superiore. Delib. del Commissario straordinario; Direttorio Azzolini; Direttorio Introna; Direttorio Moltrasio; Servizio Segreteria particolare; Segretariato; Vigilanza su le aziende di credito; Ufficio speciale di coordinamento. Sulla carriera si veda: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Dir. gen. amm. civile, Divisione affari generali e riservati, Podestà e consulte municipali, f. Napoli, b. 203; Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, Repubblica sociale Italiana (RSI), f. Roma. Situazione locale, b. 18; Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari riservati, Polizia politica, Categoria 1, b. 921; Presidenza del Consiglio dei ministri, RSI, Atti Consiglio dei ministri, Interno, f. 18; ibid., Finanze, f. 248; Presidenza del Consiglio dei ministri, Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo, Titolo III, Albo avvocati e procuratori, b. 163. Altra documentazione è a Roma, Arch. storico Capitolino, Gabinetto del sindaco, Ordinanze del Commissario straordinario e del sindaco, a. 1944, nn. 13 e 45 (lacuna dal 21 febbraio all’agosto 1944); Deliberazioni del Commissario straordinario e del governatore, a. 1944; Gabinetto del sindaco: a. 1944, rubriche e protocolli, nn. 85-88; a. 1944, b. 2222, prot. 392; b. 2225, prot. 4274; b. 2226, prot. 4647, prot. 4935, prot. 5696, prot. 5950; b. 2249, prot. 3542, prot. 5376; b. 2250, prot. 732, prot. 3954; b. 2256, prot. 1120, prot. 1602, prot. 1789; b. 2266, prot. 1695; b. 2274, prot. 3269; Atti della Direzione, a. 1944, prot. 75. Da vedere anche, presso l’Arch. di Stato di Napoli, Prefettura di Napoli, Gabinetto, categ. 1, fascio 312; categ. 2, fascio 423; categ. 5, fascio 984 e 1011; categ. 6, fascio 1179 e 1258. Informazioni diverse sono in: Napoli. Rivista municipale, Napoli 1936-42; Napoli e i napoletani: guida generale pratica illustrata, Napoli 1937-42; R. Perrone Capano, La resistenza in Roma, Napoli 1963, I, pp. 393-397; II, pp. 35, 349 s., 354 s.; E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Bari 1965, p. 151; F. D’Ascoli - M. D’Avino, I sindaci di Napoli, II, Napoli 1974, pp. 291-300; Napoli e i suoi avvocati, a cura di M. Pisani Massamormile, Napoli 1975, pp. 209, 274; P. Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Palermo 1990, pp. 17-19, 25, 29, 50, 61, 95 e ad ind.; E. Tuccimei, La Banca d’Italia durante il regime commissariale (1943-1945), Roma-Bari 1993, pp. 259 s.; R. Palmer Domenico, Processo ai fascisti, Milano 1996, p. 172; S. Cardarelli - R. Martano, I nazisti e l’oro della Banca d’Italia, Roma-Bari 2000, pp. 31, 41-45; F. Tacchi, Gli avvocati italiani dall’Unità alla Repubblica, Bologna 2002, pp. 558 s.; M. De Nicolò, Il Campidoglio liberale, il Governatorato, la Resistenza, in Roma capitale, a cura di V. Vidotto, Roma 2002, pp. 113-123; P. Salvatori, Il Governatorato di Roma: l’amministrazione della capitale durante il fascismo, Milano 2006, p. 149, 152; A. Gigliobianco, Via Nazionale. Banca d’Italia e classe dirigente. Cento anni di storia, Roma 2006, pp. 178-185 e ad ind.; L. Piccioni, I nove mesi di Roma occupata, in Antifascismo Resistenza Liberazione: Itinerari della memoria a Roma, a cura di L. Di Ruscio - L. Francescangeli, Roma 2007, pp. 86-94; Ministero dei Beni e delle attività culturali, Repertorio del personale degli Archivi di Stato, I, a cura di M. Cassetti, Roma 2008, pp. 370 s.; U. Zanotti Bianco, La mia Roma. Diario 1943-1944, Manduria-Bari-Roma 2011, pp. xxix, 200 s., 210, 237 s.