SERVANDONI, Giovanni Niccolo Girolamo
SERVANDONI (Servandon), Giovanni Niccolò Girolamo (Jean-Nicolas-Jérôme). – Nacque a Firenze il 2 maggio 1695 dal lionese Jean-Louis ‘Servandon’, vetturale sulla rotta franco-italiana, e dalla fiorentina Maria di Giovanni Battista Ottaviani, abitanti nella parrocchia di S. Stefano.
Fu battezzato in S. Giovanni Battista; il 31 maggio 1699 nacque il fratello Giuseppe Luigi.
Agli esordi come pittore, è documentato nella bassa Francia già verso il compimento della maggiore età, al tempo della diaspora artistica fiorentina seguita alla morte del principe Ferdinando de’ Medici nel 1713. Il 20 giugno 1715 ‘Jean-Nicolas’ fu alle nozze di un laboreur presso Nîmes; il 4 novembre 1718 il peintre (detto Girolamy) era absent dal battesimo del primogenito Jean-Nicolas, avuto dalla moglie Marie-Josèphe Gravier a Grenoble, dove fioriva il parentado dei Servandon (Guidoboni, 2014a, pp. 8 s.).
Partito per Roma, dopo una prima sistemazione con il collega parigino Jacques Dumont, il «pittore di Lione» si allogò a piazza di Spagna presso il palazzo del filofrancese principe Guido Vaini: registratovi dagli Stati delle anime di S. Andrea delle Fratte nella Pasqua del 1719, risultò «partito» nello stesso censimento del 31 marzo 1720 (ibid., pp. 11 s.).
Lo studio della pittura prospettica con Giovanni Paolo Panini (Mercure de France, octobre 1726, p. 2345) è stato collegato alla scuola del fiorentino Benedetto Luti a palazzo Firenze, allora frequentata dal maestro piacentino e da stranieri come William Kent (Guidoboni, 2014a, pp. 15-18). Con il quasi coetaneo pittore fiorentino Giuseppe Ignazio Rossi, ritenuto dalle fonti suo maestro in architettura (Dezailler d’Argenville, 1787, p. 448), Servandoni deve aver rilevato monumenti antichi e moderni. Portatosi a Londra, fra il 1721 e il 1723 offrì agli amatori di vedute romane un brillante rovinismo, ispirato alla maniera lorrainiana di Giovanni Ghisolfi più di quanto non vi aderisse Panini, che pure si era formato sulla lezione dell’artista milanese. Nel 1722 ornò di simili tele lo scalone del palazzo di Lord Arundell, improntato da Colen Campbell al palladianesimo del circolo di Lord Burlington, che influì sui suoi futuri progetti quanto l’accademico berninismo di un Carlo Fontana.
Le prospettive per le opere italiane del King’s Theatre a Haymarket, diretto da Georg Friedrich Händel, furono ottime credenziali quando nel 1724 Servandoni si stabilì a Parigi. Consacrò la «réputation» dell’«élève du celebre Jean-Paul Panini», avviato a un’impareggiabile carriera di scenografo e di regista di fêtes, l’«effet le plus surprenant» delle «décorations» di Pyrame et Thisbé, «tragédie en musique» di François Francoeur e François Rebel data all’Opéra il 17 ottobre 1726: «la richesse de la composition et l’excellent goût de l’architecture» cooperarono a un’illusione di grandiosità del «Palais de Ninus», amplificata ben oltre il visibile (Mercure de France, ottobre 1726, pp. 2344 s.). Nuovi successi valsero al «dessinateur de l’Opéra» la nomina il 9 giugno 1728 a «premier peintre décorateur de l’Académie royale de musique» (de Chennevières, 1880-1881, p. 124). Lo sfolgorante «Palais du Soleil» del 1730 per il Phaëton di Jean-Baptiste Lully e Philippe Quinault incantò talmente che Luigi XV favorì l’ingresso di Servandoni, il 26 maggio 1731, all’Académie royale de peinture et de sculpture, cui il «peintre d’architecture et de perspective» donò il quadro di «un temple et des ruines» (Parigi, Académie des beaux-arts). All’epoca disegnava «une eglise» per essere ammesso nell’Académie royale d’architecture: aspirazione insoddisfatta (Mercure de France, juin 1731, I, p. 1342).
Nel 1727 lavorò alla Proserpine di Quinault e Lully e decorò l’Opéra per i pubblici balli. Nel 1728, oltre alle scene della Pénélope moderne, opéra-comique musicata da Jean-Claude Gillier, sortì «grands effects» l’angolazione bibienesca di quelle egizie della nuova tragedia Orion musicata da Louis de La Coste (Mercure de France, mars 1728, pp. 568 s.). Nel 1729 lavorò per il Tancrède del compositore André Campra; curò in settembre i festeggiamenti nel castello del duca di Noailles a Saint-Germain-en Laye per la nascita del Delfino e i fuochi artificiali a Sceaux per la consorte del duca del Maine. Nel Thésée di Lully, rappresentato il 29 novembre 1729, apparve un tempio di Minerva d’«élévation extraordinaire», di cui il Mercure de France (janvier 1730, pp. 146-151) sottolineò il pregio sin nei dettagli, essendo l’architettura il «principal talent» dell’autore. Nel 1730 Servandoni si occupò della festa sulla Senna per il Delfino data dagli ambasciatori di Spagna (oltre al berninesco biglietto d’invito al correlato ballo all’Hôtel de Bouillon) e delle tragedie Alcione di Marin Marais, Pyrrhus di Joseph-Nicolas-Pancrace Royer e Phaëton di Lully. Nel 1733 lavorò per il balletto l’Empire de l’Amour musicato da Renè de Galard Brassac, allestì un teatro provvisorio al Petit Luxembourg per la festa della duchessa Caroline-Charlotte de Bourbon data dal conte di Clérmont, e un rustico «Salon de Thémis» presso il palazzo del consigliere di Stato Samuel Bernard per le nozze della figlia con il presidente del Parlamento Mathieu François Molé. Del 1734 sono le decorazioni della tragedia biblica Jephté musicata da Michel Pignolet de Montéclair, di quella di Philomèle di La Coste e dell’opéra-ballet Les élémens, dei musicisti André Cardinal Destouches e Michel-Richard de Lalande. Nel 1735 Servandoni curò le scene per Les Indes galantes, nuova opéra-ballet di Jean-Philippe Rameau, e per la tragedia Scanderberg, musicata da Francoeur. Irrealizzati restarono i progetti di una festa per la regina sulla Senna (1735) e di una mascarade (1736).
Fornite nel febbraio del 1737 le scenografie del Persée di Quinault, Servandoni chiese di essere sostituito all’Opéra dal collaboratore figurista e collega accademico François Boucher (benché non alla stessa altezza come scenografo, il celebre artista fu ufficialmente di ruolo nel 1746), tornando a dirigervi nel 1741 le scene della Pastorale d’Issé di Destouches. Partecipò, per lo più con quadri «d’architecture et ruine», alle annuali expositions estive nel «grand Salon du Louvre», regolarmente dal 1737 al 1743 e ancora negli anni 1750, 1753 e 1765. Nel settembre del 1737 ebbe in concessione da Luigi XV la Salle des machines alle Tuileries, dove allestì singolari «spectacles de simple décoration» ([Palissot de Montenoy], 1767, p. 99): alquanto dispendiosi diorami ante litteram accompagnati da pantomime e musiche. Vi rappresentò in dicembre e nel marzo 1738 l’interno del S. Pietro a Roma, poi l’oraziana Pandore (marzo-aprile 1739), la discesa d’Enea agli Inferi (febbraio 1740), le avventure di Ulisse (marzo 1741), Héro et Léandre (marzo 1742). Dopo una lunga eclissi del suo astro, caduto in disgrazia per un dissesto finanziario da cui egli non riuscì più a risorgere, furono allestiti La forêt enchantée dalla Gerusalemme liberata (1754), Le triomphe de l’amour conjugal (marzo 1755) e, con il contributo del suo disegnatore architetto Charles de Wailly, La chute des anges rebelles dal Paradiso perduto di John Milton (marzo 1758).
Fra gli sparsi saggi grafici d’incerta attribuzione dell’arte scenica servandoniana è stato individuato nel Musée des arts décoratifs di Lione un disegno acquerellato e annotato ritenuto autografo: la cruciale scena dell’opéra-ballet del 1737 Le triomphe de l’harmonie, musicata da François-Lupien Grenet su versi di Jean-Jacques Lefranc de Pompignan, in cui appariva la prodigiosa ricostruzione delle mura di Tebe da parte di Anfione «par le charme de sa voix» (De La Gorce, 2009).
La nomea di decoratore si tradusse presto per Servandoni in progetti architettonici. Dopo l’ornamentazione richiestagli nel 1729 e compiuta in tono berniniano nel 1732 per la cappella della Vergine in St-Sulpice, in luogo di un progetto rococò di Juste-Aurèle Meissonier, nel 1730 un’idea di papale romanità per la facciata a due campanili della nuova grande chiesa parrocchiale parigina fece accantonare dal curato committente Jean-Baptiste Joseph Languet de Gergy i fastosi progetti di Meissonier e di Gilles-Marie Oppenord.
Servandoni rimodulò nel 1732 la prima idea sulla solenne sintassi del progetto sangallesco per il S. Pietro di Roma, ma optò sul finire del 1739 per la formula palladiana di un pronao, monumentalmente autonomo, a due ordini trabeati di colonne libere, coronato da un colossale frontone grecizzante (nel 1750 pubblicò a Londra l’incisione di una variante del progetto della facciata). Compiuta nel 1745, l’opera impresse un’epocale svolta estetica «mâle et noble» ([Palissot de Montenoy], 1767, p. 96). Nel 1752 l’Accademia di architettura, temendone l’enorme peso, impose di sostituire l’erigendo frontone con un ridotto terzo ordine rientrante a edicola. Abbattuto quest’ultimo dopo i danni subiti da un fulmine nel 1770, la facciata recuperò la severa terminazione retta già proposta e pubblicata nel 1752 da Jacques-François Blondel.
Lo «chevalier» disegnò la parrocchiale di St-Christophe a Coulanges-la-Vineuse (1737-38, consacrata nel 1742) con sintetismo d’astratta ascendenza gesuitica e moderni accenti inglesi, algido quanto l’irrigidito berninismo del suo altar maggiore per la cattedrale di Sens (1742-43), commessogli dall’arcivescovo Jean-Joseph Languet de Gergy, fratello del curato di St-Sulpice. Tale prezioso nitore fu calibrato su dimensioni auliche, pur fra vincoli spaziali, nella riforma dell’hôtel parigino del cardinale d’Auvergne (1737-39; demolito nel 1880), il cui scalone fu «un des plus magnifiques» di Parigi (Blondel, 1752, p. 261). Definita nel 1744 per i duchi di Bouillon, la ristrutturazione dello Château de Navarre (demolito nel 1836) accordò al secco graficismo mansartiano plastici inserti romani.
Sposata in seconde nozze durante il primo soggiorno londinese, l’inglese Anne Henriette Roots gli diede otto figli (Guidoboni, 2014a, pp. 7, 33, 35, 350 s., 390, Appendice, p. XII): nel gennaio 1727 Jean- Felix-Raphaël-Victor, futuro scenografo e paesaggista (allievo di Blondel intorno al 1755, nel 1757 il padre pretese invano che fosse mantenuto senza titolo a Roma fra i pensionnaires dell’Académie); Anne nel luglio 1729; Jacques-Ferdinand nel maggio 1731; Anne-Louise nel luglio 1732; l’anno seguente Claude-Hiérôme, morto a tredici mesi nell’ottobre 1734; François-Anne il 12 dicembre 1734. Nato il 26 aprile 1736, Jean-Adrien Claude fu scenografo a Bruxelles (eseguì tre scene per il teatro del Quai de la Batte a Liegi, inaugurato nel 1767; nel 1801 andarono all’asta suoi «dessins d’obscénité»), ma condusse «une existence précaire» e morì nell’indigenza nel 1814 (De Zuttere, 1985). Nel febbraio del 1740 nacque Georges.
Il 6 agosto 1732, alla posa della prima pietra della facciata di St-Sulpice (dopo quella del capoaltare nel 1731), Servandoni aveva ricevuto dal nunzio apostolico la croce del cavalierato di S. Giovanni in Laterano, conferitagli il 6 marzo dal papa Clemente XII (Mercure de France, juin 1733, I, p. 1194). Undici anni più tardi, nel 1743, venne insignito da Benedetto XIV dell’Ordine di Cristo, per mano dell’arcivescovo di Sens (ibid., decembre 1743, I, pp. 2605-2608). Ma la morsa dei debiti lo spinse lontano: a Bordeaux e ad Avignone (1744-45), a Madrid (1745), consultato per lo scalone del nuovo palazzo reale ([Palissot de Montenoy], 1767, p. 98), e quindi a Lisbona (1745-47). Per il re Giovanni V progettò il complesso oratoriano della Vergine das Necessidades (ricostruito da Caetano Tomás de Sousa dopo il terremoto del 1755), ma causò anche un incidente diplomatico: fu infatti spogliato nel 1746 dell’abito di cavaliere di Cristo poiché il re pretendeva di conferirlo in esclusiva, ma il papa ratificò il diritto (Guidoboni, 2014a, pp. 168-174). A Londra (1747-51) operò per il Covent Garden e nel 1749 iniziò a studiare l’allestimento della galleria d’antichità di Lord George Dodington a Hammersmith. Nel 1750 fornì progetti per la residenza a Kew del principe di Galles, irrealizzati per la morte di questi nel 1751, anno del rientro in maggio a Parigi.
Già per il parco del castello di Gennevilliers, del maresciallo duca di Richelieu, aveva disegnato fra il 1749 e il 1750 il padiglione dell’Aurora, tempietto circolare monoptero sopra la grotta di una ghiacciaia (ibid., pp. 258-267). Nel 1751 propose un’idea anfiteatrale per la piazza dedicata a Louis XV, ma fu escluso dal concorso del 1753 per non essere architetto accademico. Per quella di St-Sulpice elaborò quattro progetti fra il 1752 e il 1754, e solennizzò la posa della prima pietra nell’ottobre 1754 con un arco effimero in onore del re. Nel 1752-53 lavorò alla riforma della Maison de repos des prêtres de Saint-Sulpice a Vaugirard.
Fu quindi a Dresda dal 1754. Come primo pittore decoratore di Augusto III allestì nel teatro regio il dramma Ezio di Pietro Metastasio, musicato da Johann Adolf Hasse, con uno sbalorditivo numero di uomini e cavalli; rientrato dopo sei mesi a Parigi, tornò quindi a Dresda, dove per il carnevale del 1756 curò le scene dell’Olimpiade, dramma metastasiano sempre con musica di Hasse. Di nuovo a Parigi, riattivò i costosi spettacoli alle Tuileries, che riuscì a sostenere sino al 1758. Nel 1759, licenziato dai lavori della facciata di St-Sulpice per scelta del nuovo curato (ma nel 1762 vinse la causa intentatagli), raggiunse a Bruxelles il figlio di primo letto Jean-Nicolas, detto d’Hannetaire, attore e teorico teatrale, nominato nel 1751 direttore del Théâtre de la Monnaie. Questi, vivendo more nobilium, si fece garante dei debiti del padre e lo introdusse nell’alta società, ma ebbero limitata fortuna i progetti elaborati fra gli altri per l’Elettore di Baviera, per la parziale riforma del palazzo del duca d’Arenberg e per quello del duca d’Ursel (Guidoboni, 2014a, pp. 402 s.). Fra il 1763 e il 1764, a Stoccarda, Servandoni fu scenografo del teatro di corte del duca di Württemberg, coadiuvato dal figlio Jean-Raphaël. Confidò invano nei buoni uffici di Metastasio per un incarico alla corte di Vienna, né ebbe il ruolo di dessinateur du Cabinet du roi cui concorse al rientro nel 1764 a Parigi.
Morì il 19 gennaio 1766 nella casa che si era progettato dieci anni prima in Place St-Sulpice. Lasciò la fama di «seul architecte de génie» apparso in Francia dopo Jules Hardouin-Mansart (Palissot de Montenoy, 17772, p. 173), e di maestro il cui austero «goût du grand» annunciò il neoclassicismo con l’esemplare «nouveauté» d’«une façade d’église formée par des lignes droites», definita dal regolare e «véritable emploi» degli ordini (Quatremère de Quincy, 1825, p. 376).
Fonti e Bibl.: Mercure de France, octobre 1726, pp. 2344 s.; mars 1728, pp. 568 s.; janvier 1730, pp. 146-151; juin 1731, I, p. 1342; juin 1733, I, pp. 1192-1194; Explication des peintures sculptures et autres ouvrages de messieurs de l’Académie Royale dont l’exposition a été ordonnée suivant l’intention de Sa Majesté..., Paris 1737, pp. 15, 18, 22, 30; Description des festes données par la ville de Paris, à l’occasion du mariage de madame Louise-Elisabeth de France et de Dom Philippe, Infant et grand amiral d’Espagne..., Paris 1740, pp. 4, 6, tav. 5 n.n.; Mercure de France, decembre 1743, I, pp. 2605-2608; J.-F. Blondel, Architecture françoise..., I, Paris 1752, pp. 261 s., tavv. XXI, 1-5; Mercure de France, juin 1755, I, 1755, pp. 201 s.; [Ch. Palissot de Montenoy], Éloge de monsieur S., in Le nécrologe des hommes célébres de France..., Paris 1767, pp. 93-95; Id., Liste des ouvrages de m. S., ibid., pp. 96-104; S., in Galerie françoise..., VI, 5, Paris 1771, pp. 1-5; Ch. Palissot de Montenoy, Hannetaire (Nicolas d’), in Id., Oeuvres de M. Palissot, IV, Liege 17772, pp. 173 s.; [A.-N. Dezailler d’Argenville], Jean-Nicolas Servandoni, in Id., Vies des fameux architectes depuis la Renaissance des arts..., I, Paris 1787, pp. 447-466; A.-Ch. Quatremère de Quincy, S., in Id., Encyclopédie méthodique. Architecture, III, Paris 1825, pp. 374-377; H. de Chennevières, Jean-Nicolas Servandoni, peintre, architecte, décorateur et machiniste, ordonnateur de fêtes publiques, in Revue des arts décoratifs, I (1880-1881), pp. 122-127, 170-176, 403-406, 429-435; J. Bouché, S. (1695-1766), in Gazette des beaux-arts, s. 4, 1910, n. 2, pp. 121-146; É. Malbois, Projets de Place devant Saint-Sulpice par S., ibid., s. 6, 1922, n. 2, pp. 283-292; H. Bodmer, S., G. N., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXX, Leipzig 1936, pp. 526 s.; L. Hautecoeur, Histoire de l’architecture classique en France, III, Paris 1950, pp. 266-270, 362-365; E. Povoledo, S., G. N., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961, coll. 1868-1870; P. De Zuttere, Un bohème français à Bruxelles: Jean-Adrien-Claude Servandoni (1736-1814), in Études sur le XVIIIe siècle, XII, Une famille noble de hauts fonctionnaires: les Neny, a cura di R. Mortier - H. Hasquin, Bruxelles 1985, pp. 113-118; J. De la Gorce, Un grand décorateur à l’Opéra au temps de Rameau, Jean-Nicolas Servandoni, in Jean-Philippe Rameau, Actes du colloque international, Dijon... 1983, a cura di J. De la Gorce, Paris-Genève 1987, pp. 579-594; C.E. Hornsby, The life and work of G.N. S. (1695-1766), phd diss., University of Bristol, 1989; B. Pons, Projects by N. S. for the house of Bouillon, in The Burlington Magazine, 1995, vol. 137, n. 1111, pp. 674-682; J. De la Gorce, Une initiative originale d’un artiste italien au XVIIIe siècle: les spectacles de S. dans la Salle des Machines des Tuileries, in Les artistes étrangers à Paris de la fin du moyen âge aux années 1920, Actes des journées d’etudes, Paris... 2005, a cura di M.-C. Chaudonneret, Bern 2007, pp. 121-135; Id., Une scénographie de S. conservée pour les spectacles de l’Opéra à Paris: le décor de la ville de Thèbes du Triomphe de l’harmonie (1737), in Journal for Eighteenth-Century Studies, XXXII (2009), 4, pp. 577-590; F. Guidoboni, G.N. S.(1695-1766) architetto, tesi di dottorato, Università di Roma La Sapienza - Université Paris I Panthéon-Sorbonne, 2014a; Id., G.N. S.: sa première formation entre Florence, Rome et Londres, in ArcHistoR, I (2014b), 2, pp. 29-65; Id., Jean-Nicolas Servandoni à Paris ou la légitimation de l’architecte par le dessin, in Le dessin d’architecture dans tous ses états, I, Le dessin instrument et témoin de l’invention architecturale, Neuvièmes rencontres internationales du salon du dessin ... 2014, a cura di C. Mignot, Paris 2015, pp. 111-130, 194-197; J. De la Gorce, Un artiste florentin dans l’Europe des Lumières: Jean-Nicolas Servandoni, in Les Européens. Ces architectes qui ont bâti l’Europe (1450-1950), Actes du colloque international, Paris... 2015, a cura di O. Medvedkova, Bern 2017, pp. 179-191.