PICCHI, Giovanni Matteo
PICCHI, Giovanni Matteo. – Nacque a Venezia nella contrada di S. Tomà nel novembre 1572 da Girolamo Picchi di Giovanni e da Paulina di Iseppo di Giovan Battista vicentino, «sonador».
Terzo o quartogenito di una nutrita figliolanza concepita tra il 1566 (anno delle nozze dei genitori) e il 1590, comprendente, senza contare le nascite non documentabili risalenti a prima del 1570, altri due maschi (Francesco Ludovico e Giacomo Lazzaro, nati nel 1574 e nel 1584) e cinque femmine (Isabella, Caterina Andriana, Anzola Pierina, Chiara Menega, ed Elena, nate nel 1570, 1577, 1579, 1581 e 1590), Picchi visse e operò in prevalenza nella parrocchia di S. Tomà, un’ampia contrada del sestiere di S. Polo, strategica per la presenza di due importanti istituzioni: la «Ca’ Granda», ossia la basilica minorita di S. Maria Gloriosa dei Frari, la chiesa più grande della città, e la Scuola Grande di S. Rocco, la più influente delle sei confraternite devozionali abilitate a fregiarsi dell’epiteto di «Grandi».
Benché al momento la professione di Girolamo Picchi sia ignota, si suppone ch’egli fosse implicato nella lavorazione o nel piccolo commercio di prodotti tessili. Pur appartenendo alla classe dei popolari, la famiglia godette di un certo benessere, essendo proprietaria di alcune casette ubicate sul campo, parte tenute per uso proprio e parte date in affitto.
Organista e compositore, specializzato nella pratica degli strumenti da tasto e da penna (manacordo, arpicordo e clavicembalo), Picchi compì almeno una parte della sua formazione musicale nell’ambito familiare. Dovette infatti essere il nonno materno, Joseph di Battista vicentino «sonator clavicembani», residente fin dagli anni Sessanta nella casa di fronte a quella di Girolamo Picchi, ad avviare il nipote alla tecnica del clavicembalo, orientandolo verso una prassi tastieristica strettamente connessa alla musica da ballo, che a Venezia godeva di una notevole tradizione e diffusione. Mentre è plausibile che un altro parente, Battista Picchi (forse uno zio paterno), residente in S. Tomà e organista della parrocchiale di S. Barnaba tra il 1581 e il 1590, abbia provveduto alla sua formazione organistico-ecclesiastica, prassi che costituì poi l’altro fondamentale versante della sua carriera musicale. Vi sono inoltre indizi per credere che a curarsi della sua formazione musicale sia stato un musico di prima grandezza: Giovanni Croce, vicemaestro e poi, dal 1603, maestro della cappella di S. Marco, con il quale, dal 1597, Picchi era in relazione di comparatico: un vincolo rinsaldato nel 1603, che nella logica relazionale coeva implicava un rapporto prestabilito e confidenziale, non senza connotazioni (nel caso i due compari non fossero dello stesso rango sociale) di carattere patriarcale.
La prima traccia dell’attività musicale di Picchi risale al 1591: in quest’anno il suo nome figura in una nota battesimale con la qualifica di «organista di san Thomaso» (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Parrocchia di S. Barnaba, Battesimi, reg. 1, c. 116, 28 agosto 1591). Tra il 1594 e il 1596, in data non precisabile, fu nominato organista della cappella dei Frari, realtà musicale che, dopo quella marciana, era forse la più importante della città: l’incarico, fino al 1593-95, era stato ricoperto da Giovan Antonio Colombo, organista in S. Pantalon; Picchi lo tenne fino alla morte.
Il primo dicembre 1597, in casa di Giovanni Boraggia, setaiolo di S. Simeon Grando, alla presenza di Giovanni Croce, compare dell’anello, e del cappellano del patriarca Matteo Zane, Picchi contrasse matrimonio con Girolama Brunetti, figlia di Giovanni, pasticciere nella contrada di S. Angelo. Da questa unione, sancita nel gennaio 1598 con gli «sponsali» celebrati al Redentore, nacquero quattordici figli: nove maschi (Iseppo Domenico, Girolamo Zuanne, Bartolomeo Vincenzo, Francesco Stefano, Francesco Domenico, Iseppo Lauro, Piero, Giacomo e Alessandro Martino, nati nel 1599, 1600, 1602, 1603, 1605, 1610, 1613, 1617 e 1619) e cinque femmine (Chiara Zuanna, Isabetta Lucia, Laura Agnesina, Agnesina Tomasina e Paulina Marcolina, nate nel 1606, 1608, 1612, 1616 e 1621). Le note di battesimo di questa nutrita prole, recanti per obbligo conciliare i nominativi dei rispettivi padrini-compari, documentano la fitta rete di protezioni e relazioni mecenatesche strette dal compositore nel corso della carriera.
Dai documenti battesimali del 1599 e del 1600 emergono per esempio rapporti stretti con alcuni membri influenti della famiglia Donà di S. Stin e di S. Trovaso: Iseppo Domenico fu «tenuto alla fonte» da Antonio Donà, figlio del senatore Nicolò e nipote del doge Leonardo. Costui, per il quale è plausibile credere che il compositore svolgesse servigi musicali di vario genere – dall’insegnamento del clavicembalo all’esecuzione di musica strumentale da ballo –, ebbe una brillante carriera diplomatica, come ambasciatore in Savoia e successivamente in Inghilterra: quest’ultimo dato offre una sensata spiegazione della presenza di una toccata di Picchi nel cosiddetto Fitzwilliam Virginal Book. La fama del compositore come esecutore di musica da ballo e il suo indice di gradimento presso la committenza veneziana sono avvalorati dalla comparsa, nel 1600, di una sua immagine nel frontespizio della Nobiltà di dame (seconda edizione del Ballarino) di Fabrizio Caroso, il massimo trattato di danza dell’epoca.
Nel 1602 Picchi strinse una relazione di comparatico con il collega clavicembalista Camillo Ogliati e con l’organista di scuola gabrieliana Francesco Usper, padrino del secondogenito Bartolomeo. Nel 1603, per il battesimo di Francesco Stefano, consolidò i legami con Croce allacciando un nuovo vincolo di parentela spirituale.
Nel 1606 Picchi concorse senza successo al posto di organista nella Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, ruolo che era stato di Usper e che, con uno scarto di due soli voti, venne attribuito a Giacomo Rondenin, allievo di Gabrieli. Se in questi anni Picchi non riuscì a integrare il ruolo ai Frari con altre nomine presso chiese e confraternite, la sua attività nei ridotti e nei privati palazzi dovette invece essere intensa. La dovette favorire la particolare abilità nell’esecuzione tastieristica di musiche da camera su calchi da ballo che, tra il 1605 e il 1613, lo portò a stabilizzare una formidabile rete di patroni di rango patrizio, come Andrea Pasqualigo di Carlo, Lazzaro Mocenigo di Nicolò, Stefano Bolani di Andrea (già patrono del liutista bolognese Ettore Tanara) e Girolamo Zen di Simon (patrono della seconda Accademia veneziana), o di ceto cittadinesco, come il mercante della Scuola Grande di S. Rocco Giovanni Fiandra e il segretario del Consiglio dei Dieci Pietro Darduin. Il 28 agosto 1612 Picchi concorse al posto di organista nella Scuola Grande di S. Rocco, rimasto vacuo dopo la morte di Giovanni Gabrieli. Le prove, alle quali si erano presentati anche Giovan Battista Riccio e Giovan Battista Grillo, furono vinte da quest’ultimo, ma Picchi ne contestò il risultato rilevando la scarsa trasparenza con cui si erano svolte e fece ricorso ai Dieci. Se è verosimile che il successo di Grillo fu dovuto, almeno in parte, alle sue aderenze con Milan e Antonio Milani (influenti membri della Scuola), è altrettanto probabile che nella solerzia con cui il 13 settembre i Dieci accolsero il ricorso di Picchi, costringendo la Scuola ad annullare l’esito delle prove e a ripeterle, ci sia stata la mano di Pietro Darduin, suo patrono, segretario del potente organismo di controllo. Nel marzo 1613 i confratelli bandirono un nuovo concorso, ma il compositore, dichiarando che il suo ricorso era strettamente finalizzato a punire la Scuola, non si presentò, e le prove furono di nuovo vinte da Grillo. La vicenda non finì lì: l’11 marzo 1614, a seguito del suo tentativo di farsi eleggere, corrompendo un ufficiale della Scuola, Picchi venne bandito da qualsiasi eventuale futuro incarico presso la confraternita: risoluzione che tuttavia, in quanto contraria allo statuto della Scuola, il 21 marzo venne abolita. Il 5 marzo 1623, a seguito della morte di Grillo, ottenne finalmente l’agognato posto in S. Rocco, e il primo maggio tentò anche la scalata al primo organo di S. Marco, posto che vene però dato a Carlo Fillago. Il 16 settembre 1624 concorse di nuovo, senza successo, all’audizione per il secondo organo della basilica marciana, della quale risultò vincitore Giovan Pietro Berti.
Nel 1625 Picchi diede alle stampe un libro di Canzoni da sonar con ogni sorte d’istromenti: dedicata a Virginio Orsini, figlio dell’omonimo duca di Bracciano, all’epoca generale della fanteria della Serenissima, l’edizione è l’ultimo atto di un’attività musicale che sembra poi essersi protratta senza altri eventi significativi.
Morì a Venezia il 19 maggio 1643.
Le opere di Picchi comprendono due libri: Intavolatura di balli d’arpicordo (noto soltanto nella ristampa Venezia, Alessandro Vincenti, 1621) e le citate Canzoni da sonar con ogni sorte d’istromenti (Venezia, Alessandro Vincenti, 1625); si aggiungono un mottetto a «voce sola» (Salve Christe) nella collettanea Ghirlanda sacra… Libro I, op. II a cura del cantore marciano Leonardo Simonetti (Venezia, Bartolomeo Magni, 1625), una «toccata» (Cambridge, Fitzwilliam Museum, Mus. Ms. 168, n. 95), e tre passamezzi per tastiera (Torino, Biblioteca nazionale, Ms. Foà, VII). Nella Musica vaga et artificiosa di Romano Micheli (Venezia 1615) vi è un canone dedicato a Picchi, non già da lui composto, come talvolta erroneamente si legge.
I Balli d’arpicordo, comprendenti un Pass’e mezzo antico in sei parti con il suo «saltarello» e sei balli (il Pichi, il Stefanin, Polacha, Ongaro, Todesca e Padoana ditta la Ongara) muniti, tranne i primi due, ognuno del proprio saltarello, rivestono una notevole importanza storica: dopo quelli di Marco Facoli (1588), cui si ricollegano, sono infatti gli unici esempi pervenuti di una tradizione lagunare di prassi tastieristica legata alla musica da ballo. I balli hanno una struttura multipartita entro cui si snodano, con abbondanza di ritmi sincopati e puntati, variazioni su melodie di ostinato. Elementi peculiari, come i sonori accordi con ottave e quinte parallele, sono coniugati con una raffinata tecnica ornamentale, che nel progresso dei pezzi acquista accenti viepiù virtuosistici. Il mondo sonoro dei Balli è assai discosto da quello delle Canzoni da sonar, il che fa di Picchi un compositore perfettamente bilingue. Frutto della lunga militanza organistica nella cappella dei Frari, le diciannove Canzoni per complesso strumentale del libro del 1625 s’inquadrano nel filone della canzone-sonata veneziana del primo Seicento. Stese per un’ampia gamma di organici – dai moderni formati a 2 e 3 voci e basso continuo alle più tradizionali combinazioni a 4, 6 e 8 voci e continuo – le composizioni, tranne quelle a 8 (prive di prescrizioni), sono destinate agli strumenti allora in voga a Venezia: violino, cornetto, flauto, trombone, fagotto. La struttura dei brani è multisezionale, con almeno una sezione ternaria e, talvolta, dei refrains o delle riprese dell’incipit con funzione unificante. Non mancano gli assoli e le cadenze fiorite per due violini, né parti ben sviluppate di fagotto, ma l’elemento concertante e il contrasto tra le diverse sezioni, forse per l’eccessivo carico di episodi in stile imitativo, sono nell’insieme più contenuti che nelle coeve canzoni di Riccio (1620) e assai distanti da quelli delle sonate in «stil moderno» di Dario Castello (1629). L’elemento forse più progressivo delle Canzoni è costituito, oltre che da un uso accorto della dinamica, da un melodismo a tratti spigoloso, segnato da reiterati intervalli di quarta e quinta diminuita, secondo una procedura direttamente mutuata, anche con citazioni letterali, da Giovanni Gabrieli (Baroncini, 2015).
Fonti e Bibl.: Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Parrocchia di S. Tomà, Matrimoni, reg. 1, c. 5 (17 febbraio 1566); c. 10 (3 novembre 1566) ibid.; Battesimi, reg. 1, c. 85 (16 novembre 1572); c. 48 (4 settembre 1574); c. 50 (10 ottobre 1577); c. 32 (12 agosto 1579); c. 111 (9 febbraio 1581); c. 112 (16 ottobre 1581); c. 133 (10 aprile 1584); c. 121 (11 marzo 1590); c. 259 (14 ottobre 1599); c. 207 (15 agosto 1602); c. 232 (24 novembre 1603); Parrocchia di S. Trovaso, Battesimi, reg. 3, lettera I, 2 ottobre 1600; Parrocchia di S. Michele Arcangelo, Matrimoni, reg. 2, c. 53 (1 dicembre 1597); Battesimi, reg. 4, lettera I (15 aprile 1608); Parrocchia di S. Pantalon, Battesimi, reg. 4, c. 58v (4 marzo 1605); Parrocchia di S. Stin, Battesimi, reg. 1, c. 20 (17 agosto 1606); Parrocchia di S. Margherita, Battesimi, reg. 3, c. 19 (27 febbraio 1610); c. 37v (28 gennaio 1612); Parrocchia di S. Barnaba, Matrimoni, reg. 2, c. 33v (12 settembre 1588); ibid., Battesimi, reg. 1, c. 116 (28 agosto 1591); Curia, Sezione antica, Legitimitatum, reg. 1, cc. 151-153 (13 dicembre 1588).
C. Sartori, Bibliografia della musica strumentale italiana, Firenze, I, 1952, pp. 279, 302; II, 1968, p. 78; D. Arnold, Music at the Scuola di San Rocco, in Music and letters, XL (1959), p. 239; W. Apel, Geschichte der Orgel- und Klaviermusik bis 1700, Kassel 1967, pp. 411 s. (ed. italiana: Storia della musica per organo e altri strumenti da tasto fino al 1700, Firenze 1985, pp. 394, 618-620, 729); Id., Studien über die frühe Violinmusik II, in Archiv für Musikwissenschaft, XXXI (1974), pp. 195 s. (ed. inglese: Italian violin music of the seventeenth century, a cura di Th. Binkley, Bloomington-Indianapolis 1990, pp. 45-47); E. Selfridge-Field, Venetian instrumental music from Gabrieli to Vivaldi, Oxford 19943, pp. 112-116; N.G. Wilkes, The Canzoni da sonar con ogni sorte d’istromenti (1625) of G. P., diss., University of British Columbia, Vancouver 1997; The new Grove dictionary of music and musicians, XIX, London-New York 2001, p. 706; G. Vio, Nuovi elementi biografici su alcuni musicisti del Seicento veneziano, in Recercare, XIV (2002), pp. 194, 197-199; J. Glixon, Honoring God and the city. Music at the Venetian confraternities, 1260-1807, Oxford 2003, ad ind.; R. Baroncini, Giovanni Gabrieli, Palermo 2012, pp. 52-56, 99, 236, 494, 511; Id., “Et per tale confirmato dall’auttorità del signor Giovanni Gabrieli”: the reception of Gabrieli as a model by Venetian and non-Venetian composers of the new generation (1600-1620), in Giovanni Gabrieli: transmission and reception of a Venetian musical tradition, a cura di R. Baroncini - D. Bryant - L. Collarile, Trento 2015.