MANZINI, Giovanni
Nacque da Paoluccio intorno al 1362 a Motta, piccolo borgo della Lunigiana poco distante da Fivizzano.
Una trentina di sue lettere (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 11507) consentono di ricostruire con buona approssimazione la sua biografia fino al 1388, anno al quale è riconducibile, con poche eccezioni, la totalità del suo epistolario. Assai più rarefatta è invece la documentazione per gli anni successivi.
Ancora fanciullo, lasciò Motta per trasferirsi a Sarzana, dove compì i primi studi. Alle arti del trivio lo introdusse il grammatico Ippolito da Parma, del quale, ancora nel 1388, in un'epistola a lui indirizzata da Pavia, il M. si dichiara discepolo devoto (ibid., c. 81v). Alla scuola di Ippolito, presumibilmente, nacque in lui l'interesse per la figura e l'opera di Francesco Petrarca, interesse destinato ad assumere le forme di un vero e proprio culto. Proseguì la sua formazione a Bologna, dove il padre, incoraggiato dai lusinghieri giudizi di Ippolito, lo mandò a studiare diritto, con la speranza di farne un facoltoso legista. Ma decisamente altri erano i desideri del M., che insieme con l'amore per Petrarca e altri grandi autori veniva scoprendo la vocazione per gli studi letterari. A Bologna egli rimase per sette anni, dal 1379 al 1386, durante i quali si dedicò controvoglia, e senza i successi sperati dal padre, allo studio del codice e del digesto, con la penosa sensazione, confessata al parmense Giovanni Bellardi in una lettera dell'aprile 1388, di fare qualcosa di profondamente contrario alla sua natura, nonché di dannoso per il suo ingegno (ibid., c. 50r). E in una lettera del medesimo anno, indirizzata "nobili Francisco de Dallo Bonon. studenti fratri carissimo", egli scrive di aver imparato più cose in un anno di avventure e vagabondaggi, lontano da Bologna, che nel settennio passato sui libri ad apprendere il diritto (ibid., c. 21r).
Benché riducibile, nelle forme esteriori, alla tradizionale polemica dei letterati contro le professioni lucrative, l'insofferenza ostentata dal M. verso la cultura giuridica era espressione di un autentico disagio, al punto che nel 1386 decise di interrompere gli studi e di lasciare Bologna. Come e perché, invece di assecondare il suo amore per le lettere, egli sia finito a impugnare le armi per Gian Galeazzo Visconti è difficile dire, se non invocando ragioni di ordine economico. Fatto sta che nel 1387 era a fianco del marchese Spinetta Malaspina di Fosdinovo, suo compaesano e protettore antico della sua casa, nella spedizione che Gian Galeazzo, alleato di Francesco da Carrara il Vecchio signore di Padova, aveva organizzato contro Antonio Della Scala. Spogliatosi della toga del dotto, come scrisse al maestro Ippolito da Parma (ibid., c. 32v), egli prese parte ad aspri combattimenti, tra cui la battaglia di Castelbaldo (11 marzo 1387), che segnò la rovina di Antonio Della Scala.
Delle violente impressioni che quell'evento suscitò in lui resta un documento intenso e drammatico, malgrado l'artificiosità della prosa, nella lettera che il M. scrisse a Ippolito il 15 nov. 1388, nella quale sono rievocate le vicende della guerra e dove risuona la celebrazione di Gian Galeazzo, "magnificentissimus princeps lombardorum", signore forte e virtuoso, esempio mirabile di maestà e di prudenza (ibid., c. 34v).
La subitanea caduta del "tyrannus Veronensis" Antonio Della Scala gli ispirò inoltre una tragedia, iniziata durante la campagna militare.
Così perlomeno egli riferisce all'amico e protettore Benedetto Gambacorta, il patrizio pisano dedicatario della tragedia, in un'epistola del 13 febbr. 1388 (ibid., c. 20). Dell'opera, che non sappiamo se il M. abbia mai portato a termine, la lettera riproduce un coro, che, con una metrica arcaizzante (il modello è Boezio) e in forme piuttosto convenzionali, espone il motivo della volubilità della fortuna e delle alterne vicende degli uomini.
Ma nei panni dell'uomo d'arme il M. sentiva di dissipare il proprio tempo e il proprio ingegno. L'exemplum dell'amato Petrarca lo ammoniva a riprendere il sentiero, brutalmente interrotto, delle muse. L'occasione gli fu offerta da Spinetta Malaspina, il quale sul finire del 1387 lo presentò al cancelliere di Gian Galeazzo, il cremonese Pasquino de' Cappelli, che lo prese con sé a Pavia quale segretario e maestro del figlio Melchiorre (ibid., c. 57r).
Nell'ambiente pavese il M. trovò finalmente il terreno adatto ai suoi studi. La ricca biblioteca del cancelliere, uomo liberale e di fine cultura, gli permise di dare soddisfazione alle sue curiosità letterarie e di alimentare con nuova materia la passione per Petrarca. Sua, probabilmente, è la mano che nell'inverno del 1388 postillò un importante codice delle Epistolae ad familiares, venuto d'Oltralpe (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 8568), apponendovi una duplice sottoscrizione e ricopiando, in fondo alla raccolta, la più celebre delle Metricae petrarchesche, il saluto all'Italia. Nello stesso periodo egli ebbe tra le mani e annotò il codice dei Rerum memorandarum libri anticamente appartenuto a Francesco da Carrara il Vecchio, e con la disfatta dei Carraresi entrato a far parte, insieme con altri codici petrarcheschi, della biblioteca del duca (ibid., 6069T).
Su ogni altra testimonianza tra quelle relative alla venerazione per Petrarca emerge però, a ragione del suo rilievo documentario, l'epistola al bibliofilo bresciano Andreolo degli Occhi (de Ochis) del luglio 1388, nella quale è riferita una versione della morte del poeta, ritratto chino sui suoi libri fino all'ultima ora, che si impose rapidamente sulle altre (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 11507, cc. 47r-48v). Nella lettera al fisico e astronomo padovano Giovanni Dondi dall'Orologio, contenente un'appassionata esaltazione della poesia, Petrarca è definito invece "fulgentissimus sol mundi" (ibid., c. 53r). È una scrittura più tarda, tuttavia, a consegnarci l'elogio più appassionato tra quelli rivolti dal M. al suo poeta. Nella brevissima cronaca dei fatti occorsi in Italia dal XIII al XIV secolo, che il M. stese nel 1401, durante un viaggio attraverso la Germania e la Svizzera, Petrarca è definito il "preclarissimus vates et poeta laureatus […], qui fuit unicum humani nectaris et divinae sapientiae condimentum" e all'elogio è fatto seguire un elenco delle opere del poeta eccezionalmente analitico per i tempi (Vat. lat., 14162, c. 141v). Grande ammirazione, oltre che per Petrarca, il M. ebbe per G. Boccaccio, di cui postillò le Genealogiae (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 7877), mentre tra i latini predilesse Virgilio, Terenzio, Orazio, Giovenale e Sallustio: ampi excerpta delle loro opere si trovano infatti trascritti nei due zibaldoni del M., i citati Vat. lat. 11507 e 14162. Né mancarono, tra le sue letture, opere di carattere devozionale e teologico, di cui sembra di cogliere un riflesso, per ciò che concerne la sua produzione, nel gusto per il genere delle orationes sacre, come, per esempio, la Oratio ad beatam Virginem (Vat. lat., 11507, c. 77r; edizione moderna a cura di L.J. Bononi, Castiglione del Terziere 1974).
Per il M. Pavia non fu soltanto il ritorno agli studi, ma anche il teatro di nuove e importanti relazioni. La cerchia dei suoi corrispondenti si ampliò notevolmente fino a comprendere personaggi di spicco della corte. Ne danno testimonianza le lettere che scrisse nel corso del 1388: tra i destinatari, accanto alle amicizie già consolidate - S. Malaspina, B. Gambacorta, Ippolito da Parma - compaiono personaggi come Bartolomeo di Jacopo, corrispondente di Petrarca e di Coluccio Salutati, il condottiero visconteo Iacopo Dal Verme, il giurista Rizzardo Villani, l'umanista vicentino Antonio Loschi. Fuori dell'ambiente pavese, egli intrecciò rapporti, tra gli altri, con il grammatico cremonese Giovanni de' Travesis, il medico e futuro archiatra pontificio Francesco da Siena, G. Dondi dall'Orologio, il dotto Corrado di Dovaria, Andreolo degli Occhi, l'umanista Moggio Moggi.
A Pavia il M. restò fino alla primavera del 1388. Verso l'estate, per l'incrudelirsi della pestilenza, egli seguì la corte a Belgioioso. E di qui, come attesta una lettera spedita a Corrado di Dovaria in ottobre (Vat. lat., 11507, cc. 81v-82v), accompagnò Melchiorre de' Cappelli a Cremona, dove si trattenne per diversi mesi.
Non superando il limite del 1388, la documentazione offerta dal Vat. lat. 11507 non vale a stabilire per quanto tempo ancora egli sia rimasto al servizio di P. de' Cappelli, né a far luce sui motivi che lo indussero, a un certo punto, a lasciare la corte viscontea. È certo però che all'inizio degli anni Novanta egli non era più a Pavia: insieme con un altro umanista e corrispondente di Salutati, Pietro Turchi, era infatti al servizio di Biordo Michelotti, un condottiero perugino che nel 1393 era riuscito a impossessarsi di Perugia, cacciandone i Baglioni.
Di questa esperienza, conclusasi nel 1398 con la morte di Michelotti, caduto sotto i colpi di una congiura, il M. offrì uno scarno ma significativo bilancio in un passo dei suoi citati ricordi storici: al fianco di Michelotti, "atleta vir magnanimus" e "ad omnia magnifica strenuus et armorum fortitudine pervalidus", la sua vita scorreva tranquilla e sicura, e i suoi studi fiorivano "lucidiora et alacriora" (Vat. lat., 14162, c. 144).
Tanto più significativo, a riscontro con tali parole, appare perciò il silenzio delle fonti per gli anni perugini: nulla è noto sul conto del M. fino al 1398, l'anno che segnò probabilmente il punto più basso delle sue fortune. Michelotti assassinato, P. de' Cappelli caduto in disgrazia presso Gian Galeazzo e tradotto in carcere, dove morì in data imprecisata, il M. si risolse a chiedere la protezione di Salutati, conosciuto forse attraverso de' Cappelli. Non è pervenuta la lettera del M., ma è nota la responsiva a lui spedita dal cancelliere fiorentino in data 3 dic. 1398.
Nello schema dell'epistola consolatoria, Salutati, dopo aver menzionato l'amicizia del M. con Tedaldo Della Casa, si sofferma sulla vanità delle cose del mondo, si dice affranto per l'improvvisa morte di Michelotti, compiange la misera fine di P. de' Cesari, vittima, come tanti grandi, dei capricci della fortuna. La lettera si chiude con la vaga promessa al M. di adoperarsi per trovargli un impiego a Firenze.
Non risulta che Salutati abbia tenuto fede al suo impegno. Il 23 febbr. 1401 il M. era infatti a Berna (ibid., c. 114v), prima tappa di un viaggio che, attraverso la Svizzera, una parte della Germania, le Fiandre e forse l'Austria, lo avrebbe tenuto lontano dall'Italia fino all'autunno dell'anno successivo, se non oltre. Si ignorano i motivi e le circostanze di questo viaggio, e tutto ciò che se ne può sapere è deducibile dalla documentazione raccolta nel Vat. lat. 14162, in gran parte di sua mano, che contiene trascrizioni di testi scovati nelle città visitate lungo il suo itinerario.
I testi presenti nello zibaldone sono soprattutto di carattere teologico e devozionale: Agostino, Ambrogio, Cipriano (del quale il M. ricopia per intero il De claustro animae, cc. 99r-114v), Giovanni Crisostomo ecc., ma vi figurano anche testi medici, raccolte di exempla, cronologie, ricordi storici. Alle cc. 119r-123r è trascritta una tavola cronologica, assai elementare, che il M. dice "extracta de quodam libro librariae vetustae in Berna". A questa segue quella, ben più analitica, tolta dal De immagine mundi di Onorio di Autun (cc. 123r-136r). L'interesse per questo genere di produzione lo indusse a tentare lui stesso una cronaca delle cose occorse nei suoi tempi. I ricordi storici del M. occupano le cc. 141r-144v del manoscritto: molto schematici, essi non offrono che notizie di poco rilievo per la ricostruzione della sue vicende biografiche. Di questa cronaca, non è noto quando, fu tratta una copia, conservata nell'Archivio di Stato di Lucca (Fondo Orsucci, 40) e non è escluso che a Lucca, teatro forse degli ultimi anni di vita del M., si trovasse originariamente il codice approdato alla Biblioteca apost. Vaticana.
Le sottoscrizioni apposte in fondo ad alcuni dei testi ricopiati consentono di seguire con discreta approssimazione le tappe dell'itinerario seguito dal Manzini. Oltre che a Berna, egli fu a Ulma (dove il 14 apr. 1401 finiva di trascrivere i suoi ricordi storici), a Stendal nel Brandeburgo (7 luglio 1401), a Luneberg presso Amburgo (24 ott. 1401) e a Sundgau in Alsazia, dove si trovava nel luglio del 1402. Da una lettera da lui spedita al signore di Lucca Paolo Guinigi, databile tra il 1402 e il 1404, si apprende che fu anche nelle Fiandre, a Bruges.
Rientrato in Italia, il M. si diede alla ricerca di un impiego e di nuove protezioni. Con questo scopo scrisse da Motta a Guinigi, dicendosi disposto a passare al suo servizio, come già aveva fatto da tempo suo fratello Bertone. Ma la richiesta cadde, presumibilmente, nel vuoto. Della vita del M. si perde ogni traccia fino al 1406, anno in cui il silenzio della documentazione è fragorosamente rotto dalla notizia che lo vuole podestà e capitano del Popolo a Pisa, chiamatovi probabilmente dall'amico e protettore Giovanni Gambacorta, cui era stato affidato in quell'anno il governo della città. Fu anche questa, tuttavia, un'esperienza breve e tumultuosa. Alla fine del 1406 Gambacorta, dietro una grossa ricompensa in denaro, aprì infatti le porte della città alle milizie fiorentine, attirandosi l'odio del popolo pisano. Si ignora se il M. abbia giocato o meno un ruolo nella vicenda, ma è probabile che dei sospetti cadessero anche sul suo conto. Con il 1407 si interrompono le notizie relative alla sua vita. Che abbia trascorso gli ultimi anni nel territorio lucchese è ipotesi suggestiva ma tutt'altro che sicura. Certo è invece che egli morì prima del 1422, come risulta da un atto rogato a Fivizzano il 4 gennaio di quell'anno, edito da Katuskina.
Una scelta delle lettere del M., trasmesse autografe insieme con scritture di vario altro genere dal Vat. lat. 11507, è stata pubblicata da P. Lazzari, Miscellaneorum ex mss. libris Bibliothecae Collegii Romani Societatis Iesu, I, Romae 1754, pp. 115-138, 173-226. Delle epistole più significative esistono edizioni novecentesche, patrocinate dall'Accademia degli Imperfetti di Fivizzano e dal Centro Niccolò V di Castiglione del Terziere: Andriuolo de Ochis, Castiglione del Terziere 1973; Insigni ac claro viro Pasquino de Capellis honorando secretario domini Mediolani, Fivizzano 1978; Philippo de Valle Haste amico dilecto, Castiglione del Terziere s.d. [ma 1977]; Johannes frater tuus Antonio Manzini fratri meo, ibid. s.d. [ma 1978]. Anche le due epistole del M. al marchese Spinetta Malaspina hanno conosciuto un'edizione moderna, a cura di G. Soldi Rondinini: Due lettere di G. Manzini de Motta a Spinetta Malaspina, in Libri e documenti, III (1977), 2, pp. 31-38.
Dei citati ricordi del M. esiste un'edizione settecentesca, abbastanza scorretta, sul fondamento della menzionata copia dell'Archivio di Stato di Lucca: E. Baluze, Miscellanea novo ordine digesta… opera ac studio, a cura di G.D. Mansi, IV, Lucae 1764, pp. 126-128.
Fonti e Bibl.: R. Roncioni, Delle istorie pisane, a cura di F. Bonaini, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1844, t. 6, parte 1a, p. 971; Breve degli Anziani di Pisa, ibid., 1845, t. 6, parte 2a, pp. 788 s.; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, III, Roma 1896, pp. 327-330; L. Katuskina, Il libro dei contratti del notaio Antonio Bonizi… 1417-1425, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., VIII (1968), 1, pp. 109-176; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, V, Modena 1789, pp. 115, 638; A. Hortis, Marco Tullio Cicerone nelle opere del Petrarca e del Boccaccio, Trieste 1878, p. 95; A. Zardo, Il Petrarca e i Carraresi, Milano 1887, p. 224; W. Cloetta, Beiträge zur Litteraturgeschichte des Mittelalters und der Renaissance, Halle 1890, pp. 7, 81; F. Novati, Chi è il postillatore del codice Parigino?, in F. Petrarca e la Lombardia, Milano 1904, pp. 179-192; E. Bertana, La tragedia, Milano 1908, pp. 7 s.; G. Billanovich, Petrarca letterato, I, Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947, pp. 330-332; E. Garin, La cultura milanese nella prima metà del XV secolo, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 547-550; G. Franceschini, G. M. e Biordo Michelotti, in Storiografia e storia. Studi in onore di Eugenio Dupré Theseider, Roma 1974, I, pp. 269-281; L. Michelini Tocci, Quinto centenario della Biblioteca apostolica Vaticana. 1475-1975. Catalogo della mostra, Città del Vaticano 1975, p. 115; C. Vasoli, G. M. da Fivizzano: un umanista tra le lettere, la corte e le armi, Fivizzano 1980; Id., Un umanista tra le lettere e le armi: G. M., in Nuova Riv. storica, LXVI (1982), pp. 491-510; V. Rossi, Il Quattrocento, II, a cura di R. Bessi, Milano 1992, pp. 784, 822; Rep. font. hist. Medii Aevi, VII, pp. 441 s.