MALATACCA, Giovanni
Originario di una famiglia popolare emiliana, attestata e accreditata a Bologna sin dalla metà del secolo XIII, nacque a Reggio nell'Emilia in una data imprecisata che si può porre, considerate le prime notizie che lo riguardano, tra il 1315 e il 1325, da genitori di cui si ignora il nome. Molti autori antichi lo hanno fatto nativo di Reggio Calabria, ma sulla infondatezza di tale notizia gettò luce già il Volpi.
Seguì il mestiere delle armi, percorso comune a gran parte della buona gioventù cittadina di quegli anni, segnati dal coagularsi dei poteri signorili su più vasti territori e distinti da un costante stato di guerra. Non fu difficile perciò per il giovane M. aggregarsi a una delle compagnie di ventura, soprattutto straniere, che percorrevano la penisola. Nel 1345 era già strutturato come condottiero autonomo ai servizi di Obizzo d'Este, nel fronte scaligero-estense che, in opposizione a quello visconteo-gonzaghesco, tentava di insignorirsi delle maggiori città emiliane. Aveva forse già militato per il signore di Ferrara e per Firenze nella guerra contro Pisa a partire dal 1341, dal momento che gran parte delle truppe impiegate nel nuovo conflitto furono richiamate dalla Toscana. Partecipò all'attacco che nell'agosto 1345 l'Estense sferrò al territorio e alla città di Reggio: operò il guasto del contado, per porsi con il grosso dell'esercito all'assedio della città.
Nel settembre fu protagonista di un furioso assalto alle mura della città, primo segnale di uno stile guerresco impetuoso che, peculiare di tutta la sua carriera, egli aveva forse assimilato dalle milizie mercenarie tedesche, presso le quali, a dar fede ad alcune testimonianze, avrebbe compiuto il proprio apprendistato negli anni giovanili. L'ardita azione, alla quale mancò il necessario appoggio, fallì. Il M. fu catturato dal presidio cittadino sul muro che aveva scalato, ma riuscì a fuggire.
È ignoto il percorso che, dopo quell'episodio, lo condusse nel Regno di Napoli, dove trascorse, con alcune pause di militanza in Toscana, il resto della vita e dove riuscì a imporsi professionalmente, assurgendo ai vertici della milizia e cingendo il cingolo cavalleresco, come informa, con rapido scarto diacronico, il cronista reggiano Pietro Della Gazata: "et postmodum ipse Joannes venit ad statum magnum in Regno Apuliae, et factus est eques cum magno honore".
Probabilmente giunse a Napoli attirato dalla corsa agli armamenti che, all'indomani dell'assassinio di Andrea d'Ungheria (19 sett. 1345), primo consorte della regina Giovanna I d'Angiò, i diversi rami della dinastia angioina di Napoli si affrettarono ad attuare per disputarsi il controllo della giovane vedova: un'onda di preparativi che attrasse alcune tra le maggiori compagnie mercenarie.
Il M. si dispose con una condotta autonoma ai servizi di Luigi d'Angiò principe di Taranto, che di lì a poco avrebbe prevalso nella contesa sposando Giovanna (22 ag. 1347), ed entrò in stretti rapporti con il principale amministratore e consigliere di Luigi, il banchiere fiorentino Niccolò Acciaiuoli.
Furono convulsi anni di guerra, segnati dall'occupazione del Regno da parte di Luigi d'Ungheria, giunto a vendicare il fratello, e dalla successiva riscossa, alla partenza del conquistatore (primavera del 1348), di Giovanna I e Luigi, già fuggiti in Provenza.
Alla vigilia della seconda discesa di Luigi nel Regno, il M. partecipò alla battaglia di Melito (6 giugno 1349). Ai Napoletani toccò una grave sconfitta e il M., penetrato con il consueto slancio nel folto dei nemici, si trovò prigioniero. Fu rilasciato con l'impegno di abbandonare il Regno nel termine di pochi giorni, ma non risulta che se ne allontanasse.
Nel decennio successivo alla crisi ungherese la sua posizione a Napoli si rafforzò sensibilmente, grazie soprattutto alla sempre più stretta collaborazione con l'Acciaiuoli, nominato intanto siniscalco del Regno, e quando quest'ultimo maturò l'ambizioso progetto di riconquistare la Sicilia ai sovrani angioini di Napoli, il M. fu designato come suo coadiutore nell'impresa.
Trasferitosi a Reggio Calabria nell'autunno 1353 a seguito del siniscalco, all'inizio di gennaio 1354 fu inviato nell'isola a svolgere il compito forse più delicato ai fini della riuscita dell'iniziativa: prendere contatti con la "parzialità latina", capeggiata dai Chiaramonte, sulla collaborazione della quale si fondava per intero il progetto dell'Acciaiuoli.
Le forze militari riunite per la conquista erano infatti esigue perché l'esercito napoletano era impegnato a contenere la minaccia portata dalle grandi compagnie mercenarie ai confini settentrionali del Regno e l'Acciaiuoli pensava di prevalere con il consenso, fornendo il necessario contributo all'incerto equilibrio delle forze baronali contrapposte, vere detentrici, in quella fase, del potere in Sicilia. Incarico dunque da oratore, quello del M., rivelatore della sua piena personalità e della radice complessa del suo rapporto con l'Acciaiuoli, agli occhi del quale, evidentemente, il condottiero non manifestava solo doti di fattivo uomo di guerra.
La missione fu svolta con successo dal M. in poco più di un mese, nel corso del quale prese contatto con i Chiaramonte e con i maggiori rappresentanti della parzialità da questi capeggiata, i Ventimiglia e i Peralta, spostandosi da Palermo ad Agrigento e infine a Siracusa, dove si imbarcò sulle galee che lo attendevano per riportarlo in Calabria a relazionare sull'esito dell'ambasciata all'Acciaiuoli.
Grazie al lavoro diplomatico svolto dal M., il siniscalco poté dunque trasferirsi in Sicilia con un manipolo di uomini d'arme e alcune centinaia di fanti e, soprattutto, con un ingente carico di grano che, fatto rastrellare in Calabria e in Terra di Lavoro, servì ad alleviare le popolazioni dell'isola affamate dalla peste e dalla guerra, rendendole docili all'occupazione, così come concordato tra il M. e i Chiaramonte. A esclusione di Catania, dove risiedeva la corte di Ludovico d'Aragona, e di Messina, nell'estate 1354 la Sicilia risultava così ricondotta all'obbedienza angioina, grazie alla febbrile attività profusa dall'Acciaiuoli che, lasciato il M. a Palermo in qualità di capitano generale dei contingenti occupanti, si spostava continuamente tra l'isola e il continente in cerca di soldati da destinare alla conquista di Messina.
Nuovi problemi interni al Regno distolsero tuttavia l'Acciaiuoli e, di conseguenza, il M., sempre più riconoscibile come il suo primario collaboratore, dagli affari di Sicilia. Nel quadro della rivolta di Ludovico d'Angiò Durazzo che induceva nel febbraio 1355 la "grande compagnia" di Corrado di Landau a entrare nel Regno, il M. ottenne mandato da Luigi di Taranto e dal siniscalco di intavolare trattative con i ribelli. Ancora una volta un incarico diplomatico e, nuovamente, un successo del M., che agiva ora con il ruolo definito di ciambellano, mentre il re, nella sua corrispondenza, si riferiva al M. con gli appellativi riservati tradizionalmente ai più fedeli collaboratori della Corona: "Johannem Malataccham, de Regio, consiliarium et fidelem nostrum dilectum" (Léonard, p. 178). Fu suo merito in quell'occasione distogliere il Landau dai sediziosi, privandoli in tal modo del loro principale strumento di pressione verso la corte: facendo la spola tra Pozzuoli, dove risiedeva il re Luigi, e la Puglia, dov'era il siniscalco con l'esercito e lo stesso Landau con la sua compagnia, riuscì, tra il dicembre 1355 e il febbraio dell'anno successivo, a portare il condottiero agli stipendi della Corona, inducendolo altresì a firmare un accordo favorevole per le casse dello Stato.
I meriti acquisiti in tante funzioni non tardarono a procurargli onori e ricompense: nell'inverno 1356 fu affidata al M. la castellania di Trani e Barletta e in giugno fu fatto maresciallo del Regno e vicecapitano generale delle genti d'arme, con ampio appannaggio e una guardia personale di 100 lance e 100 fanti.
Pacificato il Regno, partecipò agli ultimi atti dell'effimera riconquista angioina della Sicilia, con la presa di Messina, la visita dei regnanti napoletani alla città (24 dic. 1356) e la rotta di Acireale (29 maggio 1357), che determinò la definitiva caduta delle aspirazioni angioine al dominio dell'isola.
Sposò forse in questo periodo, ma la notizia non è supportata da adeguati riscontri, una parente dell'Acciaiuoli di cui è ignota l'identità. Al di là dell'attendibilità di questa notizia, è certo che i rapporti del M. con il siniscalco si facevano sempre più stretti e radicati.
Ne è prova il testamento nuncupativo dell'Acciaiuoli, dettato il 30 sett. 1359, dove, nel definire i lasciti destinati al secondogenito Benedetto, indicava, tra gli altri beni, il castello di Canosa con la clausola che, fino alla morte del M., al quale egli l'aveva già concesso, al figlio fossero date in sostituzione 100 once d'oro l'anno.
I due agivano sempre in comunione d'intenti e se, quando si profilò una guerra tra Firenze e la grande compagnia del Landau, che gravava sui territori della Repubblica, il M. fu inviato con 400 lance a sostenere l'alleato toscano, poco dopo risultava nuovamente riunito al siniscalco.
Spedito ad Avignone a ripristinare i rapporti tra la corte pontificia e Napoli, guastati dall'avvicinamento di Luigi di Taranto a Bernabò Visconti, l'Acciaiuoli volle senz'altro con sé il M. e quando fu richiesto dal papa di trattare con il signore di Milano la difficile questione di Bologna (la città, restituita da Giovanni da Oleggio al legato pontificio, era rivendicata dal Visconti), l'Acciaiuoli, dopo una prima puntata a Milano nel giugno 1360, in cui definì i punti salienti di un possibile accordo, lasciò poi la pratica nelle mani del Malatacca.
Dati tali presupposti di solida collaborazione e pur non rintracciandone notizia certa nelle fonti, è dunque possibile ipotizzare che il M. fosse compagno dell'Acciaiuoli nella repressione che questi attuò alla fine del 1360, dell'ennesima congiura intestina ordita dai Durazzo ai danni della Corona e, per le medesime ragioni, che si allontanasse dal Regno, tramontato ormai l'astro del siniscalco dopo la morte di re Luigi (1362).
Nell'aprile 1364, infatti, lo si trova al fianco di Manno Donati tra i condottieri ingaggiati a provvigione dalla Repubblica di Firenze nella guerra contro Pisa, nel corso della quale si distinse nella difesa della porta S. Gallo, durante l'assedio posto nel maggio dai mercenari inglesi e tedeschi a Firenze e contribuì nel luglio alla disfatta di John Hawkwood nella battaglia di Cascina.
Il M. tuttavia non rimase a lungo lontano da Napoli. Dovette richiamarvelo, memore degli ottimi servigi da lui offerti al secondo marito Luigi, la stessa regina Giovanna, rimasta sola a governare il Regno dopo la breve parentesi del matrimonio con Giacomo d'Aragona - ma non va sottovalutato il richiamo dei benefici e dei patrimoni goduti nel Regno dal condottiero -, poiché nel 1367 egli figurava come stipendiario "ordinario", ossia stabile, della regina. Risale a quell'anno l'impresa forse più brillante compiuta dal M. nel corso di tutta la sua carriera di soldato: la rotta inferta nei pressi del Tronto, in Abruzzo Ulteriore, alla compagnia del bastardo del Visconti, Ambrogio, penetrata nel Regno su istanza di Francesco Del Balzo duca d'Andria, in lotta con il cognato Filippo d'Angiò principe di Taranto, fratello del defunto re Luigi.
Al comando di non ingenti forze composite, formate da cavalieri pontifici e napoletani e da alcuni baroni abruzzesi, il M. seppe sfruttare con determinazione un'avventata azione d'attacco portata dal Visconti alle sue milizie, a questo ispirata dalla sua schiacciante superiorità numerica: assecondata la spinta dinamica della cavalleria nemica, la circondò. Fu un trionfo: meno di 3000 soldati del Visconti riuscirono a sfuggire alla cattura e alla morte, mentre il loro capitano era condotto a Napoli.
A questo successo seguì per il M. un nuovo periodo di militanza sotto le insegne fiorentine in qualità di capitano a Guerra del Comune, nella lotta ingaggiata da Firenze contro i partigiani dell'imperatore Carlo di Boemia, segno tangibile del credito di cui godeva in Italia ("per certo era de' gagliardi uomini di sua persona che fosse in Italia", Marchionne di Coppo Stefani, p. 271). Con quella carica, nell'agosto 1369 il M. cinse d'assedio San Miniato, controllando al contempo la compagnia di John Hawkwood, spedita da Bernabò Visconti a sostegno dei ghibellini. Nel dicembre, tuttavia, costretto contro il suo parere dal gonfaloniere Giovanni de' Mozzi ad attaccar battaglia con il capitano inglese, subì una dura sconfitta a Cascina. Né rinunciò all'impresa originariamente affidatagli e, avendo provvidamente conservato forze sufficienti all'assedio di San Miniato, nel gennaio 1370, riscattato dalla prigionia, si impadronì della città. Fu la sua ultima impresa fuori del Regno. Nel 1370 tornò a Napoli, per essere impiegato, tra il 1371 e il 1372, nella capitania dell'Aquila, pervasa da lotte intestine.
Nel 1373, infine, l'ultimo grande cimento, che gli valse il dono della città di Consa, fattogli dalla regina Giovanna per i tanti servigi resi: alla testa di un folto esercito baronale domò una nuova ribellione agitata dal duca d'Andria, assediandolo nella sua terra di Teano per cinque mesi e costringendolo alla fuga, mentre la regina incamerava e ridistribuiva ai propri fedeli gli ingenti possedimenti del barone.
Da questo momento si diradano le notizie sul M., le cui fortune dovettero seguire la parabola discendente degli ultimi travagliati anni di regno di Giovanna I, e che una malattia forse invalidò, dal momento che, nel giugno del 1373, egli fece insistente richiesta presso la corte pontificia per ottenere un confessore privato.
Morì senza eredi nel 1387 e fu tumulato a Napoli, nella chiesa degli eremitani a S. Agostino alla Zecca, nella quale aveva eretto una cappella e dove fu sepolto, nel 1402, anche il fratello Corrado, suo compagno in guerra fin dagli anni Cinquanta e signore di Noia e Triviano.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Ricostruzione angioina: S. Sicola, Repertorium octavum regis Ladislai, c. 23; P. Della Gazata, Chronicon Regiense, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVIII, Mediolani 1731, p. 62; M. Palmieri, Vita Nicolai Acciaioli, a cura di G. Scaramella, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XIII, 2, p. 67; M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, pp. XV n. 5, 11; I diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, ibid., XXI, 5, pp. 12, 14; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, ibid., XXX, 1, pp. 270 s.; Cronicon Siculum incerti authoris ab anno 340 ad annum 1396, a cura di G. de Blasi, Napoli 1887, p. 26; É.G. Léonard, Histoire de Jeanne Ire reine de Naples comtesse de Provence (1343-1382), III, Le règne de Louis de Tarente, Monaco-Paris 1936, pp. 70, 178, 180, 185, 188-190, 199, 359, 373; ibid., Pièces justificatives, docc. VI, XI, XLI, XLIII-XLV, XLVII, LIV, LV, LIX, LXXXVIII, CI; Regesto delle pergamene di Castelcapuano (a. 1268-1789), a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1942, p. 7; Fonti aragonesi a cura degli archivisti napoletani, I, Il registro Privilegiorum Summariae XLIII (1421-1450), a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1957, p. 61; M. Villani, Cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1995, pp. 707-710; G. Volpi, Cronologia de' vescovi pestani ora detti di Capaccio, Napoli 1752, pp. 309 s.; A. Di Costanzo, Storia del Regno di Napoli, Napoli 1839, pp. 162-164; A. Bozza, La Lucania. Studi storico-archeologici, Rionero 1888, II, p. 306; V. Mezzatesta, G. M. capitano generale della regina Giovanna I di Napoli, in Studi meridionali, III (1978), pp. 1-13; F.P. Tocco, Niccolò Acciaiuoli. Vita e politica in Italia alla metà del XIV secolo, Roma 2001, pp. 144, 153, 195, 200, 229, 333 nota.