LANFRANCO, Giovanni
Figlio minore di Stefano e Cornelia (della quale non si conosce la famiglia di appartenenza), nacque a Parma il 26 genn. 1582. Secondo Passeri il ragazzo "fu incamminato allo studio delle lettere" e fu collocato come paggio al servizio del conte Orazio Scotti di Montalbo a Piacenza. Questi, scoperto il talento del giovane nel disegno, lo affidò come alunno al servizio di Agostino Carracci a Parma, dove quest'ultimo lavorò per il duca Ranuccio Farnese fino al 1597 e dal luglio 1599 fino alla morte avvenuta il 23 febbr. 1602. Secondo Posner (1965), nel 1598, quando Agostino era a Roma, il L. e Sisto Badalocchio potrebbero essersi recati a Bologna da Ludovico Carracci. È possibile che alla seconda parte dell'alunnato presso Agostino risalga l'esecuzione di una pala d'altare, non pervenuta, per una cappella in S. Agostino a Piacenza, menzionata da Bellori.
Secondo Bellori il L., dopo la morte di Agostino, all'età di vent'anni "si condusse a Roma nella scuola di Annibale Carracci". Per Mancini fu il duca Ranuccio che mandò il L. e il suo compagno di studi Badalocchio, parmigiano anch'egli, alla scuola di Annibale Carracci "facendogli dar parte e stanza nel palazzo dell'ill.mo Farnese suo fratello" (cardinal Odoardo).
Alla luce delle ricerche archivistiche più recenti risulta che il giovane L. e anche Badalocchio ebbero una posizione nettamente inferiore a quella del Domenichino (D. Zampieri) e di F. Albani, il quale negli anni 1605-06, durante la malattia di Annibale, diresse la bottega.
Nel primo periodo trascorso a Roma (dall'inizio del 1602 all'estate del 1610), il L. eseguì solo poche opere: nei primi anni (fra 1604 e 1606-07 circa) sotto la guida prima del maestro e poi di Albani, e negli ultimi anni sotto la direzione di Guido Reni (lavori per il cardinale Scipione Borghese e papa Paolo V). La prima impresa realizzata dalla bottega di Annibale a cui il L. collaborò, insieme con Domenichino, Badalocchio e Antonio Carracci, furono gli otto riquadri rettangolari sulle pareti della galleria nel palazzo Farnese, con scene mitologiche affrescate nel 1604-05, su disegno del maestro. Al L. viene generalmente ascritto l'Arione sul delfino e forse Mercurio e Apollo (Schleier, 2002, pp. 29 s.; Lollobrigida, 2002, pp. 55-57). Degli affreschi già nella cappella Herrera in S. Giacomo degli Spagnoli, eseguiti negli anni 1604-07 sotto la guida di Albani, che realizzò anche gran parte degli affreschi, il L. dipinse forse la lunetta con L'apparizione di s. Diego ai pellegrini (Schleier, 2002, p. 30). Invece la decorazione del camerino degli Eremiti nel palazzetto Farnese, che secondo Passeri fu il suo primo lavoro indipendente compiuto quando aveva vent'anni, fu eseguita solo nel 1616-17 (ibid., p. 172; Mosca, in Bernardini, 2002, pp. 51-53). Rimane aperta la questione se l'attività del L. per i Sannesi, il marchese Clemente e il cardinal Jacopo, si situi nel 1606-07, come risulterebbe dal racconto di Passeri, oppure verso il 1616. Poiché infatti gli affreschi nel palazzetto Sannesi nel borgo di S. Spirito distrutto nel primo Ottocento non esistono più, la sola testimonianza dell'attività per i Sannesi è la Notte (Adorazione dei pastori), ora a Anwick Castle (collezione del duca di Northumberland), descritta da Passeri e da Bellori (Schleier, 2002, pp. 94-97, n. 1).
Tra il 1605 e il 1607, il L. e Badalocchio eseguirono la serie di acqueforti dalle scene delle logge di Raffaello, che i due giovani dedicarono al loro maestro (ibid., p. 422). Ultimo intervento minore del L. in un'impresa di Albani e sotto la sua guida furono alcune figure a chiaroscuro sulla volta di una stanza del palazzo di Asdrubale Mattei (intorno all'affresco centrale di Albani) per cui il L. ("Giovanni parmigiano") riscosse tre pagamenti nell'aprile 1607 (ibid., pp. 31, 422).
Negli ultimi anni del decennio, quando il Domenichino e Albani ebbero importanti commissioni, il L. lavorò in funzione subordinata sotto la guida di Reni, per progetti promossi dal cardinale Scipione Borghese. Nel celebre oratorio di S. Andrea presso S. Gregorio Magno dipinse la decorazione a chiaroscuro della controfacciata: le due figure di S. Gregorio e S. Silvia nelle nicchie finte che affiancano la porta, in uno stile reniano, e, sopra l'iscrizione dedicatoria del 1608, lo stemma del cardinale sollevato da due angeli, in uno stile più annibalesco (ibid., pp. 31 s.; Pedrocchi, in Bernardini, 2002, pp. 71-74: non è accettabile la proposta di attribuire al L. anche le figure monocrome dei ss. Pietro e Paolo accanto all'altare di questo oratorio e l'affresco del catino nell'oratorio adiacente di S. Silvia). L'altro lavoro eseguito sotto la direzione di Reni fu l'affresco raffigurante i corpi senza vita dei ss. Pietro e Paolo con un angelo in volo in una nicchia del corridoio dietro l'abside di S. Sebastiano fuori le Mura, la chiesa che in quegli anni fu ricostruita e ridecorata a spese del cardinale Borghese (Schleier, 2002, pp. 311-332; Savina, in Bernardini, 2002, pp. 75 s.). Per ambedue i lavori il L. riscosse pagamenti nell'ottobre e novembre 1609. L'ultimo documento che attesti la presenza del L. a Roma, prima del ritorno in patria per un anno, è il pagamento che gli fece Reni il 10 giugno 1610 "per un quadro fatto a Monte Cavallo nella Capella". È probabile che ci si riferisca all'affresco della lunetta con la Presentazione della Vergine (Schleier, 2002, pp. 32 s.; Bernardini, 2002, pp. 13-15).
Il suo maestro Annibale Carracci era morto a Roma il 15 luglio 1609. Nel settembre Badalocchio e Antonio Carracci erano tornati in Emilia; e il L. li seguì nell'estate dell'anno successivo. Secondo Bellori (p. 368) "si trattenne circa un anno nella patria, & in Piacenza, dove egli dimorò in casa del conte Scotti suo benefattore". Il conte Scotti ebbe un ruolo influente alla corte ducale (maestro di camera onorario) e certamente per merito suo il L. ebbe un numero considerevole di commissioni per chiese a Piacenza e fuori.
Del 1610 è l'Arcangelo Raffaello che abbatte il demone, pala realizzata per una cappella in Ss. Nazaro e Celso (ora Napoli, Capodimonte: Schleier, 2002, p. 100). Dello stesso momento è probabilmente la Crocifissione con i ss. Pietro e Paolo, la Maddalena e la Vergine, pala firmata dell'altar maggiore della chiesa parrocchiale di S. Pietro a Porcigatone presso Borgo Val di Taro, nella diocesi di Piacenza (in situ: M. Giusto; Schleier, 2002, p. 98). Anche il S. Carlo Borromeo in preghiera (Berlino), dipinto per il cardinale Benedetto Giustiniani, allora legato papale a Bologna (fino all'agosto del 1611), si situa in questo momento (termine post quem, 3 nov. 1610, giorno della canonizzazione del santo: ibid., p. 106). Del 1611 era anche la perduta decorazione della cappella di S. Luca eseguita per il Collegio dei notai in S. Maria delle Grazie (Madonna di Piazza) a Piacenza, di cui rimane solo la pala, firmata e datata 1611, raffigurante S. Luca (Piacenza, Collegio dei notai: ibid., p. 104). Poco prima si situa la pala dell'altare di S. Rustico in S. Andrea, la Madonna di Reggio con i ss. Rustico e Francesco (Napoli, Capodimonte: ibid., p. 102). Perduti sono i quadri dipinti per il "Conte Scotti", menzionati da Bellori (p. 368).
Il L. tornò a Roma probabilmente durante il 1612. Portava con sé commissioni per alcune altre pale destinate alle chiese piacentine, che non era stato in grado di realizzare durante il soggiorno in quella città. La sua presenza a Roma è attestata da due pagamenti del novembre 1612 per un affresco (perduto) nella cimasa del portone (lato interno) del cortile della Dataria nel palazzo apostolico del Quirinale.
Il 23 ag. 1613 prese in affitto, per un anno, insieme con Antonio Carracci, una casa in via Paolina. Il 27 ottobre e il 2 dic. 1613 sono documentate le prime sue presenze all'Accademia di S. Luca.
Di questo periodo (1612-14), immediatamente successivo al suo ritorno a Roma, è la pala della Salvazione di un'anima per una cappella in S. Lorenzo a Piacenza (ora Napoli, Capodimonte), l'unica opera in cui si può notare un temporaneo lieve accostamento agli effetti luministici e coloristici di B. Schedoni, ma in cui si notano anche elementi paracaravaggeschi (Schleier, 2002, p. 108 n. 7). Questi sono ancora più forti nella S. Agata visitata e curata da s. Pietro, un "quadro da stanza" (1613-14 circa: Parma, Galleria nazionale) dipinto per Pier Maria Dalla Rosa (Bertini, pp. 118 s.; Schleier, 2002, p. 110 n. 8). A queste opere si possono aggiungere la pala raffigurante la Vergine in trono con i ss. Domenico e Antonio abate, commissionata dai fratelli Boselli per la loro cappella in S. Lorenzo a Piacenza (nel Palazzo reale di Napoli: ibid., p. 112). Del 2 e 16 maggio 1614 sono i pagamenti per la pala (da dipingere) di una delle due cappelle del coro (transetto destro) nella cattedrale di Piacenza, la Morte di s. Alessio, asportata dai Francesi sotto Napoleone e perduta a Parigi nel 1811, un'opera grande e complessa, a molte figure, conosciuta da una copia fedele (disegno, al Louvre) e da vari disegni preparatori (Schleier, 2002, pp. 355-357).
È una delle prime opere di una fase stilistica in cui il L. abbandona la più robusta plasticità talvolta ludovichiana e il luminismo schedoniano e acquista una nuova eleganza e una raffinatezza formale, desunta dalle prime opere romane "correggesche" di Annibale Carracci, combinata con un'atmosfera chiaroscurale avvolgente e una luce fosforescente (effetti di controluce), che ricordano le opere coeve di Orazio Borgianni. Questa fase durò dal 1614 al 1618 circa ed è documentata da un grande numero di opere, spesso richieste da fuori Roma, che segnano il successo e la posizione prestigiosa che il L. aveva raggiunto.
Del 1614 è la grande Pietà, ora a Cesena, Cassa di risparmio (ibid., p. 116; Mazza, 2001, pp. 218-223) e il neoannibalesco quanto audace Addio di Rinaldo ad Armida (Schleier, G. L.: l'"Addio…, 2004), di cui esiste una variante più piccola, dipinta quasi in gara o emulazione, da Badalocchio, anch'egli appena tornato a Roma dall'Emilia (Bergamo, collezione privata: Id., 2002, pp. 118, 120). Il 21 dic. 1614 il L. firmò il contratto con il marchese Asdrubale Mattei per dipingere storie del Vecchio Testamento nelle volte di tre camere dell'ala settentrionale del palazzo appena costruita: Giuseppe e la moglie di Putifarre, Giuseppe nella prigione spiega i sogni dei prigionieri, Elia sul carro di fuoco (distrutto: ibid., p. 353; Lollobrigida, 2002, pp. 63-65). Accanto a lui lavorava Badalocchio. Del 1615 sono la pala dell'Incoronazione della Vergine con angeli musicanti, dipinta per la cappella Marescotti in S. Maria del Carmine a Orvieto (ora Museo del duomo: Schleier, 2002, p. 124) e il Miracolo di s. Verano per la cappella del santo eretta dai fratelli Costa nel duomo di Albenga (ibid., p. 126). Nel 1615 il L. ricevette due prestigiose commissioni, la prima dal cardinale Alessandro Peretti Montalto, vicecancelliere di S. Romana Chiesa, che gli ordinò di partecipare con due opere a un ciclo di undici (in origine dieci) quadri su tavola raffiguranti episodi della vita di Alessandro Magno e destinati a ornare le pareti del salone del "palazzo a Termini" nella sua villa sull'Esquilino. Il L. contribuì con due quadri raffiguranti Alessandro malato mostra la lettera calunniosa al suo medico Filippo (tavola) e Alessandro rifiuta l'acqua offertagli da un soldato (tela), ambedue a Reggio Emilia (Fondazione Cassa di risparmio Pietro Manodori: ibid., pp. 128-132). Quasi tutti gli allievi romani di Annibale Carracci parteciparono al progetto: Domenichino, Albani, Badalocchio, Antonio Carracci, ma anche G. Baglione, A. Grammatica e A. Tempesta. La seconda opera importante e la prima opera pubblica a Roma fu la decorazione della piccola cappella Bongiovanni in S. Agostino, dedicata alla Vergine e a S. Guglielmo.
La decorazione comprende l'affresco della piccola cupola ribassata con l'Assunzione della Vergine e quattro profeti, l'affresco della lunetta con gli apostoli intorno alla tomba vuota, sulla parete destra, opposta alla finestra, la pala d'altare e due grandi quadri laterali su tela con storie di s. Agostino e s. Guglielmo. Nella volta il L. realizzò la prima cupola barocca a Roma, trasformando elementi dell'illusionismo correggesco in chiave annibalesca. I quadri laterali invece sono dominati da un'atmosfera chiaroscurale paracaravaggesca (Bernardini, in Schleier, 2002, pp. 61-69, 150-154). Una prima versione della pala con solo Cristo che corona la Vergine (senza Dio Padre) e una diversa collocazione dei due santi adoranti in basso, che non piacque ai committenti e agli agostiniani, si trova al Louvre (Schleier, 2002, p. 148).
Stilisticamente molto vicine sono alcune altre pale coeve: quella di S. Maria del Ruscello a Vallerano (Assunzione della Vergine con i ss. Giovanni Evangelista e Barbara, alterata e finita solo nel 1629: ibid., p. 156), quella di S. Pietro a Leonessa (La Vergine con s. Carlo, s. Caterina d'Alessandria e s. Agostino: ibid., p. 158), quella già in Sismano (nella diocesi di Todi), Galleria nazionale d'arte antica, Palazzo Corsini (Incoronazione della Vergine con s. Carlo e un santo vescovo, in collezione privata: ibid., p. 160) e anche la seconda pala proveniente da S. Lorenzo a Piacenza (Madonna sulle nuvole con i ss. Carlo e Bartolomeo), ora a Napoli, Capodimonte (ibid., p. 164). La figura di s. Carlo nella pala già a Sismano riappare in un quadro devozionale (Roma, Galleria Colonna), probabilmente dipinto per uno dei Colonna, il più borgiannesco di tutti i quadri del L. in questo periodo (ibid.). L'altro quadro da stanza di sapore borgiannesco è il Davide che trascina la testa di Golia, dipinto per un membro della famiglia Gavotti a Roma (Firenze, Fondazione Longhi: ibid., p. 168). A questo quadro si accosta per formato e stile Agar e l'angelo (Versailles, castello, camera del re). La componente neoannibalesca è dominante in altri quadri da stanza con figure a grandezza naturale, nella S. Agnese in gloria sorretta da angeli (Larchmont, NY, Episcopal Church, nel tardo Seicento nella collezione del cardinale G.B. Costaguti: ibid., p. 176) e nelle diverse varianti della composizione come S. Maria Maddalena in gloria (tra cui Genova, collezione privata; Roma, Galleria Colonna) e come S. Prassede (ibid., pp. 178-180), ma anche in piccoli quadri, spesso su rame, fra cui quelli, definiti di raro stile da Bellori, dipinti per il cardinal Montalto (Annunciazione della Vergine, ora a San Pietroburgo, Ermitage: ibid., pp. 37, 354 s.), la Traslazione della Maddalena (ora Mosca, Museo Puškin), di cui esistono varie repliche e varianti (ibid., pp. 37 s.) e Giuda e Tamar (Roma, Galleria Corsini: ibid., p. 182). A questi si può aggiungere la Madonna del Passeggio (derivata da un prototipo di Raffaello, già a Roma nella collezione di N. Verdura e ora ad Andalusia, PA, nella collezione di N. Shanks: ibid., p. 142).
Nel gennaio 1616 il L. si sposò con la romana Cassandra Barli. Nel 1615 aveva abitato in via de' Greci, e dal 1617 al 1619 risiedette in via Gregoriana, insieme con la madre Cornelia e la suocera Giulia Nicolini. Il 28 marzo 1617 nacque la prima figlia Flavia; il 14 febbr. 1618 la secondogenita Angela, che ebbe tra i suoi padrini il cardinale Sannesi.
Il successo delle pitture della cappella Bongiovanni attirò l'attenzione di Paolo V, del cardinale Scipione Borghese e nuovamente del cardinale Odoardo Farnese.
Del 12 ag. 1616 è il primo pagamento a buon conto "delli fregi che si ha da fare alla Sala [regia] avanta la Capella [Paolina]" nel palazzo del Quirinale. Alla fine di settembre il L. era già al lavoro. Insieme con Carlo Saraceni era alla testa di un'équipe di pittori che dipinse il fregio sulla parete lunga esterna e sulle due pareti corte, mentre l'équipe di Agostino Tassi era responsabile del fregio sulla parete lunga interna. Ma sia il L. sia Tassi sembra avessero altre speranze. In un primo tempo il L. aveva progettato una decorazione che copriva l'intera parete esterna, non solo il fregio in alto, come attesta il suo disegno del Louvre, mentre Tassi aveva fatto un disegno anche per la parete corta. Il fregio della sala regia era di gran lunga la commissione più importante e prestigiosa che il L. avesse finora ottenuto e segnò anche l'inizio di una collaborazione con il quadraturista Tassi, che continuò negli anni Venti. Dai pagamenti risulta che il L. e Saraceni lavorarono almeno fino al 23 dic. 1616. Dal pagamento del 10 marzo 1617 risulta che i lavori erano finiti.
Contemporaneamente e dopo la sala regia il L. lavorò per il cardinal Farnese come attestano i pagamenti del 28 gennaio e del 18 ag. 1616, quest'ultimo "per un quadro", forse identificabile con Angelica che cura Medoro ferito (New York, collezione privata, già ad Anzio, palazzo Borghese: ibid., p. 37). I pagamenti del 9 novembre e 31 dic. 1617 si riferiscono ovviamente alle pitture del camerino degli Eremiti già nel palazzetto Farnese in via Giulia adiacente alla vecchia chiesa dell'Orazione e Morte e all'oratorio. L'ultimo pagamento per il camerino è del 25 genn. 1618. Dei nove dipinti del soffitto sono pervenuti Cristo servito dagli angeli, già al centro del soffitto, e Assunzione della Maddalena (ambedue a Napoli, Capodimonte: ibid., pp. 170-174); degli affreschi già sulle pareti ne sono pervenuti tre (ora S. Maria dell'Orazione e Morte: ibid., pp. 36 s.; Mosca, in Bernardini, 2002, pp. 51-53).
Nello stesso tempo il L. eseguì la grande pala dell'altare maggiore della chiesa di S. Spirito (S. Filippo) dei padri oratoriani a Fermo (Pentecoste, ora nella Pinacoteca civica: Schleier, 2002, pp. 184-187) e la pala già in S. Giuseppe a Capo le Case raffigurante la S. Teresa che riceve una collana dalla Vergine e la veste di monaca da s. Giuseppe (donata alla chiesa dallo spagnolo Baldassar de Cuelar: ibid., pp. 190 s.). Secondo Passeri fu "la prima tavola che espose al pubblico" (a Roma); ma è probabile che essa si situi poco dopo la cappella Buongiovanni. Dello stesso periodo sono altre tre pale: il S. Corrado Confalonieri, dipinto per la cappella del santo nel duomo di Piacenza, asportato sotto Napoleone (ora Lione, Musée des beaux-arts: ibid., p. 188); l'Annunciazione della Vergine (Parigi, Notre-Dame-de-Bonne-Nouvelle, di ignota provenienza, la prima versione della più nota pala della cappella Costaguti in S. Carlo ai Catinari: ibid., p. 192); e, leggermente anteriore, la pala, già in una cappella al pianterreno dell'ala sud del palazzo del Quirinale, raffigurante La Vergine con s. Lorenzo (pagamenti del 6 ag. 1616, del 31 luglio e del 6 sett. 1617: Nocco, p. 205). Dello stesso tempo è anche il quadro raffigurante Ruggero e Angelica in un paesaggio (Urbino, Galleria nazionale delle Marche), probabilmente da mettere in relazione con un dipinto di destinazione medicea, pagato il 22 apr. 1618 (registri dell'ambasciatore granducale a Roma, Piero Guicciardini: Fumagalli, 2003, pp. 33 s.).
Il successo del fregio della sala regia gli guadagnò la commissione ufficiale più importante che la corte papale potesse offrire allora, la decorazione pittorica della volta della loggia delle Benedizioni della basilica di S. Pietro.
Sia il L. (26 apr. 1619) sia Orazio Gentileschi (24 luglio 1619) avevano richiesto l'incarico; Paolo V decise in favore del Lanfranco. Nella seconda metà del 1619 e nel 1620 il L. fece elaborati disegni di varie scene delle vite di s. Pietro e di s. Paolo e dell'apoteosi dei due principi degli apostoli, entro ricche cornici di finte architetture. Nessuno dei disegni originali è stato conservato; ma una parte finì nelle mani del figlio Giuseppe, che nel 1665 li fece incidere da Pietro Santi Bartoli e dedicò le stampe al principe Giovanni Battista Borghese.
Durante l'elaborazione del progetto, lo stile del L. maturò, acquisendo una nuova plasticità e una tensione quasi metallica, insieme con un maggiore dinamismo dei movimenti. Le prime testimonianze di questo nuovo stile sono la pala della cappella Dralli (1620), già in S. Vittore a Varese, ora in S. Antonio, raffigurante la Madonna con s. Giuseppe e s. Carlo (Schleier, 2002, p. 202); la Madonna con i ss. Giovanni Battista e Francesco nel duomo di Ripatransone (cappella eretta da don Francesco Marcelli: ibid., p. 194); e soprattutto le scene della Passione dipinte a olio su muro nel catino della cappella Paganini o del Crocifisso in S. Maria in Vallicella (pagamenti dell'aprile 1621: Mosca, in Bernardini, 2002, pp. 31 s.); il quadro laterale raffigurante Abramo e i tre angeli nella cappella Gavotti nel duomo di Savona (1621 circa: Schleier, 2002, p. 210); la Maddalena penitente in un paesaggio (Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen: ibid., p. 214; Fumagalli, 2003, p. 33); Rebecca ed Eliezer al pozzo (Torino, Galleria Sabauda: un'altra versione autografa, del 1624-25 circa, in collezione privata, in Schleier, 2000, p. 197, fig. 5) e il Martirio di s. Bartolomeo (Roma, Galleria Corsini: ibid., p. 50). Queste tendenze stilistiche si mantennero invariate per quasi tutto il lustro 1620-25.
Con l'improvvisa morte del papa il 28 genn. 1621 il progetto non ebbe seguito e la loggia non fu mai dipinta.
La morte di Paolo V fu un colpo durissimo per il L., che alla fine del secondo decennio era diventato il suo pittore prediletto. Il breve pontificato di Gregorio XV portò a Roma il Guercino (G.F. Barbieri) e il Domenichino che, tornato dall'Emilia, divenne architetto di palazzo. Ma i pittori di papa Ludovisi non dominarono completamente la scena; soprattutto il cardinale Scipione Borghese rimase fedele al Lanfranco. Già al tempo dei progetti per la loggia delle Benedizioni, prima del febbraio 1620, il cardinale gli aveva ordinato un grande quadro di soggetto ariostesco Orco, Norandino e Lucina, destinato a ornare una delle pareti corte della galleria (terminata nel 1619) nella sua villa Mondragone a Frascati (ora a Roma, Galleria Borghese: ibid., pp. 198-200; Ehrlich, 2002, pp. 359 s.; Fumagalli, 2003, pp. 35 s.). Il cardinale, il cui segretario Ferrante Carli, di origini parmensi, era amico del L., gli ordinò anche di affrescare la volta della loggia del primo piano del casino della villa Pinciana (1624-25).
Il capolavoro dei primi anni Venti fu comunque la decorazione della cappella Sacchetti o del Crocifisso in S. Giovanni dei Fiorentini (1622-23) con gli affreschi della cupoletta ovale (Ascensione di Cristo), dei pennacchi (Profeti), delle due lunette (Cattura di Cristo e Cristo deriso) e con i due grandi quadri laterali dipinti su tavola (Cristo Portacroce e Cristo nell'orto).
Nell'affresco della cupoletta il L. si rifà ad Antonio Allegri detto il Correggio (cupola di S. Giovanni Evangelista a Parma); mentre nelle due tavole laterali si riscontrano - prima e unica volta - accostamenti a invenzioni di F. Barocci. Si veda, per esempio, la pala dell'altare maggiore di S. Maria Nuova a Cortona (Cristo appare alla beata Margherita da Cortona del 1622, ora Firenze, Galleria Palatina), derivata dalla Beata Michelina di Barocci (Schleier, 2002, p. 228). Altre opere coeve, dal modellato di estrema plasticità scultorea, sono le due pale per le cappelle Simonelli, già in S. Marta al Vaticano, La Vergine appare ai ss. Antonio abatee Giacomo Maggiore (Vienna, Kunsthistorisches Museum: ibid., p. 222) e S. Orsola con le sue compagne, ora a Roma, Galleria nazionale d'arte antica, Palazzo Barberini (ibid., p. 224), ambedue del 1622-23, e le tre pale mandate a Parma: la Madonna appare a s. Ottavio trascinato al martirio (posteriore al gennaio del 1619, intorno agli anni 1620-22) per il battistero del duomo, molto rovinata (ibid., pp. 366-368: il cosiddetto bozzetto nella Galleria Stuard di Parma non è autografo), e la pala del Paradiso, già sull'altare maggiore della chiesa di Ognissanti (ibid., p. 226), tutt'e due conservate nella Galleria nazionale di Parma, e una pala per S. Cecilia, La Vergine con s. Maria Egiziaca e s. Margherita (Napoli, Capodimonte: ibid., p. 220).
Fra i ricchi committenti romani di quell'epoca si ricorda Natale Rondini, che ordinò e possedette una S. Cecilia alla spinetta con due angeli cantanti (ora a Greenville, SC, Bob Jones University Gallery: ibid., pp. 218, 404), in cui il L. forse ritrasse le fattezze della moglie Cassandra, e un'altra mezza figura di S. Cecilia all'organo con due angeli, cominciata e lasciata incompiuta da O. Gentileschi intorno al 1619 e finita dal L. (Washington, National Gallery of art: De Grazia - Schleier, pp. 73-78; De Grazia - Garberson, pp. 103-112). Altre famiglie nobili romane, per cui il L. eseguì affreschi nei loro palazzi negli ultimi anni del lustro 1620-25, furono i Lancellotti e i Costaguti. In entrambi i casi il L. lavorò con A. Tassi, il quadraturista suo amico sin dal tempo della sala regia.
Nel 1621, dopo la morte del cardinale Orazio Lancellotti, che aveva chiamato Tassi, il marchese Tiberio Lancellotti chiamò il Guercino a dipingere figure nelle quadrature di Tassi nelle volte di due stanze dell'"appartamento terreno per l'estate". Verso il 1625, quando il Guercino era già da due anni tornato in Emilia, il L. dipinse la Generosità inserita in un finto colonnato con vasi e la costellazione della famiglia (Cavazzini, 2002, pp. 33-35).
Il 21 sett. 1624 i marchesi Prospero e Ascanio Costaguti comprarono il palazzo Patrizi in piazza Mattei, dopo la morte di monsignor Costanzo Patrizi il 26 genn. 1624. Nel palazzo Patrizi Tassi aveva affrescato quadrature in due volte con le figure del Guercino e del Domenichino (1621-22). Tra il 21 sett. 1624 e il 3 sett. 1625 (data di morte di monsignor Giovanni Battista Costaguti) il L. dipinse la volta con la Giustizia e la Pace che volano nel cielo, su una balaustra (ideata da Tassi) con putti che giocano e tengono tralci di vite e lo stemma di monsignor Costaguti (Bernardini, 2002, pp. 67 s.).
L'ultimo omaggio al quadraturismo di Tassi nell'opera del L. è la finta architettura nell'affresco della volta della loggia nel primo piano del casino della villa Pinciana del cardinale Scipione Borghese, il più grande affresco fino allora realizzato del Lanfranco. La loggia fu chiusa successivamente e nel tardo Settecento gli affreschi furono in gran parte ridipinti da D. Corvi. Nel Concilio degli dei, con le figure liberamente distribuite sulle nuvole, il L. realizzò la prima grande scena celeste nel linguaggio pienamente barocco.
Il 3 ag. 1624 nacque l'unico figlio maschio del L., Giuseppe, del quale furono padrini il cardinale Borghese e Ferrante Carli.
L'altra grande commissione alla fine del primo quarto del Seicento è costituita dai dipinti per la cappella del Ss. Sacramento in S. Paolo fuori le Mura (eretta o finita da C. Maderno dopo la morte di O. Longhi nel 1619).
Inizialmente l'intera cappella doveva essere decorata da A. Fontebuoni. Questi affrescò la volta, ma dopo un litigio con i benedettini tornò a Firenze e il L. subentrò nella commissione, probabilmente su indicazione dell'abate Paolo Scotti, fratello del conte Orazio di Piacenza. Secondo Baglione la decorazione doveva essere pronta per l'anno santo 1625. Dal resoconto della visita apostolica di Urbano VIII del 10 nov. 1624 risulta che a quella data l'opera era già in avanzato stato di realizzazione. In due disegni preparatori (Napoli, Capodimonte) si intrecciano studi per quadri della cappella con quelli per gli affreschi del casino Borghese. La decorazione comprendeva otto quadri grandi (al di sopra degli stalli dei monaci), tre su ogni parete lunga e due ai lati della porta d'ingresso, più due lunette (ad affresco), una piccola pala d'altare (perduta) e una lunetta con la Carità sopra la porta d'ingresso (distrutta). I soggetti erano tratti dal Vecchio Testamento (vite di Mosè e di Elia) e dal Nuovo (Moltiplicazione dei pani e Ultima Cena) con allusione all'eucaristia. Già prima del 1683 le tele originali erano state sostituite da copie. Nel primo Ottocento esse appartenevano al cardinale J. Fesch, zio di Napoleone, e dopo la sua morte furono vendute negli anni 1843 e 1845: l'Ultima Cena e la Moltiplicazione dei pani si trovano a Dublino, National Gallery of Ireland; Elia chiede pane alla vedova di Zarepta, a Poitiers, Musée des beaux-arts; Elia nutrito dal corvo, a Marsiglia, Musée des beaux-arts; Elia e l'angelo, ad Amsterdam, Rijksmuseum; la Pioggia delle coturnici, a Cesena, Cassa di risparmio; Mosè e gli esploratori del paese di Canaan con il grappolo d'uva e Elia riceve pane dalla vedova, a Los Angeles, J. Paul Getty Museum. Gli affreschi staccati delle due lunette Mosè e il serpente di bronzo e la Caduta della manna sono ora nel Museo del monastero di S. Paolo (Schleier, 2002, pp. 234-248, 406-409; Sferrazza, pp. 48 s.).
Il 14 maggio 1625 il L. comprò una vigna fuori porta S. Pancrazio ai Monti di Bravetta, probabilmente come ampliamento di una vigna che la suocera aveva dato a sua moglie Cassandra l'11 sett. 1623. Più tardi, verso gli anni 1628-30, il L. vi eresse un casino che decorò.
Subito dopo aver terminato i lavori per S. Paolo e gli affreschi del casino Borghese, il L. cominciò la sua più grande commissione romana, l'affresco della cupola della chiesa dei teatini di S. Andrea della Valle (primo pagamento del 12 ag. 1625 e successivi fino al 20 luglio 1627).
L'avviso del 30 giugno 1627 attesta che Urbano VIII aveva visitato l'affresco compiuto. Seguirono un pagamento dell'8 febbr. 1628 e un altro "per resto e saldo alla Pittura che ha fatto" del 25 sett. 1628 (Costamagna, 2003, p. 226 n. 9). L'ultimo pagamento è del giugno 1629. Committente era l'abate Francesco Peretti, nipote del cardinale Alessandro Montalto (morto il 3 giugno 1623), erede e successore di quest'ultimo quale protettore della fabbrica di S. Andrea. L'opera è la prima grande cupola barocca realizzata in chiave correggesca, con molti richiami soprattutto a singole figure del Correggio nella cupola di S. Giovanni Evangelista e, in misura minore, anche in quella del duomo a Parma. La composizione è a due o tre cerchi concentrici sovrastanti, un sistema che il L. avrebbe abbandonato nella cupola della cappella del Tesoro. Secondo Bellori il L. fece un modello dipinto sferico, non pervenuto; il "modello" parziale dipinto, pubblicato come lavoro del L. e della sua bottega da Costamagna (2003, tav. a p. 199), non è autografo.
Il 13 ag. 1625 il L., che ne aveva fatto richiesta a Urbano VIII e alla congregazione della Fabbrica di S. Pietro, ottenne l'incarico di dipingere la Navicella in uno dei grandi altari alle pareti esterne dei pilastri della cupola, per sostituire la pala rovinata di Bernardo Castello (1604-05).
Il 5 sett. 1625 ricevette un primo pagamento. Era la prima commissione per un dipinto per S. Pietro. Castello fece vari tentativi per salvare la sua opera; ma il 14 maggio 1627 la congregazione della Fabbrica assegnò definitivamente l'incarico al Lanfranco. I vari disegni preparatori furono fatti negli ultimi mesi del 1627; mentre l'esecuzione del grande affresco risale ai mesi gennaio-agosto 1628. Il 17 sett. 1628 l'affresco venne scoperto (Schleier, 1983, p. 129). La scena drammatica rappresenta l'apice dello stile maturo, pienamente barocco del L. e gli aprì la strada a una serie di lavori per Urbano VIII e i nipoti Francesco e Antonio Barberini.
Il 10 sett. 1626 nacque la figlia Maria, battezzata il 14 settembre in S. Pietro: padrino fu il cardinale Desiderio Scaglia, che possedeva varie opere del pittore e che l'11 ott. 1628 gli consegnò l'abito dell'Ordine di Cristo, del quale era stato insignito da Urbano VIII.
Il 28 febbr. 1627 morì la madre Cornelia, che il L. aveva raffigurato nel ritratto della sua famiglia del 1626 (Novara, Banca popolare: Schleier, 2002, pp. 250-252; versione parziale a Barcellona, collezione privata), probabilmente un regalo del L. a Ferrante Carli, che lo vendette poi a Fabrizio Valguarnera. Più tardi il quadro passò nella collezione del cardinale Decio Azzolini.
Contemporaneamente alla Navicella il L. dipinse una pala con S. Silvestro che lega il drago per la chiesa di S. Teresa del convento dei carmelitani scalzi a Caprarola, grazie a un legato del cardinale Odoardo Farnese (morto il 21 febbr. 1626). Il primo pagamento, precedente l'inizio dei lavori, è dell'8 dic. 1627; l'ultimo risale al 19 sett. 1628 (ibid., p. 262). Sempre nel 1627 (e comunque prima del 30 apr. 1628) dipinse la pala con la Morte della Vergine per la cappella della Vergine (eretta da Flaminio Razzanti, tesoriere generale delle Marche) nella chiesa dei gesuiti a Macerata, Ss. Giovanni Evangelista e Battista (ibid., p. 260). Soprattutto nella pala di Caprarola si nota l'uso di una cromia più accesa e di una pennellata più fluida, che dimostrano l'adesione del L. alla corrente neoveneziana, diffusa a Roma in quegli anni.
Il primo quadro da stanza eseguito per il cardinale Francesco Barberini è la Trasfigurazione di Cristo (Roma, Galleria nazionale d'arte antica, Palazzo Barberini), "entrata in guardarobba" il 19 nov. 1627 (Mochi Onori, in Schleier, 2002, p. 258). L'anno successivo il L. eseguì la piccola Crocifissione che secondo Bellori donò al papa, il quale la diede a sua volta al cardinal Francesco: si tratta del prototipo, che il L. usò in seguito più volte (Crocifissione Monterrey, pala nella chiesa romana dei Ss. Domenico e Sisto: ibid., pp. 264 s.).
Il 30 maggio 1628 il L. ricevette il primo pagamento per la pala dell'altare maggiore (Immacolata con angeli musicanti) in S. Maria della Concezione, su commissione del papa. L'ultimo pagamento è del 15 luglio 1630; e il papa vi celebrò la prima messa l'8 sett. 1630. La pala, un prototipo molto diffuso nel Settecento in tutta Italia, fu distrutta nell'incendio del 1813. Si salvarono solo due frammenti con angeli musicanti, oggi conservati nell'anticamera della sacrestia (Schleier, 2002, pp. 377 s.; Mochi Onori, ibid., p. 78, figg. 1-2). Per la stessa chiesa il L. dipinse per il cardinale Antonio Barberini una Natività, in origine commissionata al Domenichino, che era partito per Napoli.
Il 13 genn. 1629 cominciarono le prime trattative del cardinale Francesco Barberini con il L. per la decorazione della cappella del Crocifisso in S. Pietro. Il 7 settembre si decise di affrescare la volta (Gloria della Croce), i due sottarchi laterali e le due lunette (Scene della Passione). I pagamenti si protrassero fino al 7 luglio 1632 (Schleier, 1983, pp. 141-144; Savina, in Bernardini, 2002, pp. 21-23).
Del 1628 è la grande pala con la Morte del beato Andrea Avellino nel transetto destro di S. Andrea della Valle (Grilli, 2003, p. 130).
Per S. Pietro il L. eseguì poi i cartoni per le figure dei Dottori della Chiesa destinati a essere messi in mosaico da G.B. Calandra in due pennacchi della cappella della Madonna della Colonna (i pagamenti per il S. Bonaventura sono del 12 novembre e del 9 dic. 1630; quelli per il S. Cirillo, del 1632; il cartone del S. Bonaventura si trova nella Galleria nazionale d'arte antica di Roma).
Nei primi anni Trenta gli furono commissionate varie pale per chiese in Umbria (Spoleto, Perugia), in Dalmazia (Lagosta), in Svizzera (Lucerna) e in Germania (Augusta).
Il sacerdote don Anton Bogdanovi Diodati, arciprete di S. Girolamo degli Schiavoni a Roma dal 1626, ordinò nel 1632 sei dipinti per un nuovo altare maggiore della chiesa parrocchiale dei Ss. Cosma e Damiano a Lagosta (Lastovo), in Dalmazia, la sua isola e città natale, su ordine della Comunità. Si tratta di un trittico a due registri: il quadro centrale, raffigurante i due santi patroni, e due laterali furono commissionati al L., altri due a un pittore minore (Tomić, 2003, pp. 68-77). Solo la tela centrale è interamente autografa; mentre le altre parti (laterali e cimasa) sembrano essere state eseguite dalla bottega.
La prestigiosa commissione della pala (Cristo nell'orto) per l'altare maggiore della collegiata di S. Leodegar a Lucerna, a seguito dell'incendio del 27 marzo 1633, venne mediata dal nunzio papale in Svizzera, Ranuzio Scotti, figlio del conte Orazio di Piacenza. Si tratta dell'ultimo grande lavoro eseguito dal L. prima del trasferimento a Napoli (marzo 1634).
L'enorme pala dell'Assunta (7 metri di altezza) gli fu ordinata per la chiesa domenicana di Augusta dai conti Fugger durante un loro soggiorno a Roma nel 1631 (Sandrart) ed eseguita nel 1632 (Schleier, 1983, pp. 155-157).
Sempre del 1632 è la grande pala col Martirio di s. Lucia in S. Lucia in Selci a Roma (Id., 2002, p. 270).
Degli anni 1632-34 sono la pala già in S. Domenico a Spoleto (transetto destro), commissionata dalla famiglia Sansi con La Vergine con s. Anna in gloria, adorata dalle ss. Caterina da Siena, Caterina d'Alessandria ed Elena (ibid., p. 274) e la pala della Madonna del Rosario (1632 circa) per la cappella del Rosario in S. Domenico a Perugia.
Nello stesso periodo affrescò i soffitti di vari palazzi a Roma e a Frascati. Per Prospero e Ascanio Costaguti, nell'omonimo palazzo, dipinse "quadri riportati" entro ricche cornici di stucco sulle volte di due stanze: Ercole, Nesso e Deianira e Galatea, ora distrutta (ibid., p. 45; Bernardini, 2002, p. 68). Nella villa Varesi a Frascati (già Arrigoni, poi Muti) il L. dipinse per monsignor Diomede Varesi, nipote del cardinal Arrigoni, quadri riportati con storie del Vecchio Testamento nelle volte di tre camere. Di essi solo uno, tuttavia, sembra essere autografo (Il fanciullo Giuseppe gettato nella cisterna dai fratelli), mentre gli altri due si direbbero opera di bottega (Susanna, Giuda e Tamar).
Impressionato sia dall'affresco della Navicella sia da quelli della cappella del Crocifisso in S. Pietro, il cardinale Domenico Ginnasi, decano del Sacro Collegio e influente membro della congregazione della Fabbrica di S. Pietro, incaricò il L. di dipingere, a olio su muro, la Pentecoste in un quadro riportato: una composizione orizzontale entro una ricca cornice in stucco dorato sulla volta di una galleria nel suo palazzo (via delle Botteghe Oscure). A causa della demolizione del palazzo nel 1936, la pittura fu riportata su tela e messa sul soffitto di una stanza nel nuovo palazzo (Savina, in Bernardini, 2002, pp. 69 s.). Nello stesso periodo, intorno al 1629-30, il cardinale incaricò il L. di insegnare pittura alla nipote Caterina Ginnasi. Sotto la sua direzione questa dipinse la pala dell'altare maggiore (Il martirio di S. Lucia) nella chiesa di S. Lucia dei Ginnasi. La pala, firmata dalla pittrice, fu tuttavia concepita ed eseguita quasi per intero dal Lanfranco.
Un pagamento della contabilità del cardinale Carlo de' Medici del 17 ag. 1633 per 150 scudi al "cavaliere Giovanni Lanfranco" è stato riferito da E. Fumagalli (2001, p. 83, e 2003, p. 37) alla replica del quadro di Brunswick nelle Gallerie fiorentine (inv. 3842). Il quadro, firmato "Lanfrancus", è una secca, meccanica replica, però con alcune varianti, eseguita dalla bottega, lievemente ritoccata dal maestro, del quadro ora a Brunswick, la cui datazione va riportata al 1632-33: probabilmente già nella collezione del cardinale Decio Azzolini (Schleier, 2002, p. 306: per un'altra versione già a Genova, si veda P. Boccardo, pp. 136 s.).
Dei primi anni Trenta sono anche tre quadri venduti (o donati) dal L. al musicista Marco Marazzoli (Parma 1602 circa - Roma 1662), che era attivo alla corte dei Barberini.
Secondo Passeri, una delle figlie del L. cantava e suonava l'arpa, uno strumento di cui Marazzoli era un virtuoso. Nel testamento del 1662 Marazzoli lasciava al cardinale Carlo Barberini una Erminia tra i pastori del L. (ora a Roma, Galleria nazionale d'arte antica, Palazzo Barberini: Schleier, 2002, p. 282), variante non interamente autografa del noto quadro della Pinacoteca capitolina. Lasciava inoltre una Cleopatra a mezza figura al principe Maffeo Barberini (ora a Perugia presso gli eredi Ginocchietti: Mochi Onori, 2002, p. 410) e al cardinale Antonio Barberini la Venere che suona l'arpa (ora a Roma, Galleria nazionale d'arte antica, Palazzo Barberini: ibid., p. 266).
Altri quadri del L. dei primi anni Trenta, ordinati o comprati da vari membri della famiglia Barberini sono: la Venere dormiente con due puttini in un paesaggio (Austin, TX, Jack S. Blanton Museum of art); La Madonna col Bambino e s. Giovannino (Los Angeles, J. Paul Getty Museum), appartenuta a Taddeo Barberini, principe di Palestrina, ed ereditata da Carlo Barberini (Schleier, 2002, p. 280); l'importante Gloria di s. Sebastiano (Londra, galleria Matthiesen), che nel 1644 fu menzionata in un inventario del cardinale Antonio Barberini il Giovane (palazzo alle Quattro Fontane: ibid., p. 276); e il grande quadro di Angelica e Medoro, che fu pagato dal cardinale Antonio Barberini il 16 ag. 1634 (insieme con un altro quadro del L.) e donato al duca di Créquy, ambasciatore francese a Roma (giugno 1633 - luglio 1634: ora a Rio de Janeiro, Museu nacional de belas artes: ibid., p. 278).
Il L. fu eletto principe dell'Accademia di S. Luca nel gennaio 1631, successore di Bernini, e fu rieletto per un altro anno nel 1632. Decorò e fece decorare le facciate del suo casino ai Monti di Bravetta e fece intagliare due vedute del casino dal suo allievo Antonio Ricchieri (Schleier, 1983, fig. 232). Era all'apice della sua carriera romana, ciononostante temeva di essere sorpassato dai nuovi artisti della corte barberiniana, Pietro Berrettini da Cortona e A. Sacchi. Di questo periodo è il suo Autoriratto (Columbus, OH, Museum of art: Id., 2002, p. 268).
A Roma, già il 7 dic. 1630 il generale della Compagnia di Gesù, Muzio Vitelleschi, si era proposto in una lettera al preposito di Napoli, V. Carafa, di "provedere con persona eminente", per il compito di affrescare la cupola del Gesù Nuovo a Napoli, costruita tra il 1629 e il 1633. Dell'8 genn. 1633 è la sua lettera d'accompagnamento con cui il L. fece il primo viaggio a Napoli per presentarsi: nel febbraio il L. tornò "sodisfattissimo".
Il 29 ott. 1633 il L. informava G. Sangro, provinciale di Napoli, che aveva "fatto l'abozzo con bellissimi scompartimenti" (perché la cupola era suddivisa da costole in otto spicchi e aveva un lanternino). Alcuni disegni per gli spicchi si sono conservati (Capodimonte: R. Muzii, in Schleier, 2002, D 35 e 36; Uffizi: Id., 1983, XXXVa: uno, venduto da Christie's, New York, il 22 genn. 2004, è a Monaco, galleria K. Bellinger). Del 25 febbr. 1634 è finalmente la lettera d'accompagnamento, con la quale il L. si recò a Napoli per affrescare gli otto spicchi della cupola e i quattro pennacchi. Nel marzo 1634 scriveva a Ferrante Carli che era arrivato con "quella parte di famiglia che V.S. sa". Sembra che fosse arrivato solo con il figlio di dieci anni, di cui Ferrante Carli era padrino e che poteva servire come garzone. La moglie e le figlie arrivarono definitivamente soltanto nel 1636.
Il lavoro era sostanzialmente finito nell'estate 1635; ma al L. fu chiesto di nascondere la "soverchia nudità" degli angeli. Ci furono anche discussioni sul prezzo di 10.000 scudi (invece dei 16.200 chiesti). L'affresco della cupola fu inaugurato il 31 luglio 1636, ma fu distrutto con il crollo della cupola nel 1688. Si salvarono solo i quattro enormi pennacchi con gli Evangelisti.
Tra l'estate del 1635 e il 3 apr. 1637, data della convenzione stipulata con i certosini per il lavoro a S. Martino, ricevette altre commissioni: per esempio, tre pale per città toscane.
Firmata e datata 1635 è la pala con il Martirio di s. Lorenzo per la cappella di S. Lorenzo (eretta dalla famiglia di Lorenzo Sardi) in S. Pier Cigoli a Lucca, la chiesa dei carmelitani, menzionata da Bellori (Schleier, 2002, pp. 290 s.). Dello stesso tempo sono le due pale per chiese di Pistoia, non menzionate da Passeri e da Bellori: La Resurrezione di Cristo, dipinta per la cappella eretta dal padre Vincenzo Arfaruoli nell'oratorio della Congregazione dello Spirito Santo o di S. Leone (ibid., p. 292), e la Flagellazione di Cristo per la chiesa S. Prospero, governata dalla Congregazione del Chiodo, ordinata dalla famiglia de' Rossi imparentata con gli Arfaruoli (ibid., p. 294).
A parte le grandi corporazioni religiose, il più importante committente e protettore del L. a Napoli fu Manuel de Zúñiga y Fonseca conte di Monterrey, viceré dal 1631 al 1637 (e prima ambasciatore spagnolo a Roma), il quale fece partecipare il L. con sette opere a un ciclo di grandi quadri raffiguranti episodi dell'antica storia romana.
Il ciclo era destinato al castello di Filippo IV a Madrid, il Buen Retiro. Gli altri pittori romani coinvolti, che il conte di Monterrey aveva conosciuto a Roma, ottennero l'incarico per una sola opera (Domenichino, Gianfrancesco Romanelli) oppure due (Andrea Camassei). La maggior parte dei dipinti fu eseguita negli anni 1634-36. Al primo gruppo appartengono le Esequie di un imperatore romano con lottatori (il quadro più grande), la coppia degli Auspici e della Naumachia (tutti a Madrid, Prado) e il Trionfo di un imperatore romano con due re prigionieri (Aranjuez, Museo de Traje: Schleier, 2002, nn. 91 s.), che aveva un pendant andato perduto (ibid., n. 91; Ubeda de los Cobos, in Schleier, 2002, n. 92). Il Trionfo fu eseguito con l'aiuto della bottega; gli altri dipinti sono completamente autografi. Da una lettera del L. a Ferrante Carli del 10 dic. 1637 risulta che il conte di Monterrey, poco prima di partire per Madrid (agosto 1638), gli aveva ordinato due altri quadri per la serie: il Banchetto con gladiatori e l'Allocuzione di un generale (Madrid, Prado). Quest'ultimo si può datare al 1638 anche sulla base di un disegno preparatorio a Napoli (Schleier, 2002, D 43). Del Trionfo e dell'Allocuzione il L. realizzò anche delle acqueforti.
L'altra importantissima commissione del conte di Monterrey degli anni 1635-36 fu l'enorme pala (più di 5 m di altezza) dell'Annunciazione per la chiesa delle agostiniane scalze a Salamanca, da lui eretta per il proprio sepolcro. Per il conte il L. dipinse anche un'altra grande Crocifissione (1637-38 circa) che è elencata nell'inventario post mortem del 1653. Dopo la morte della contessa nel 1655 il dipinto passò al convento delle agostiniane, dove rimase fino al 1967 circa. Nella recente asta di Porro & C. di Milano del 15 nov. 2003 l'opera fu acquistata dalla Banca popolare dell'Emilia Romagna a Modena.
Il 3 apr. 1637 fu sottoscritto l'accordo tra il padre procuratore dei certosini di S. Martino, a Napoli, Isidoro de Alegria, e il L., che doveva dipingere la volta della navata della chiesa, le mezze lunette accanto alle sei finestre con i dodici apostoli, le due mezze lunette della controfacciata con la vocazione degli apostoli Pietro e Andrea (Matteo, 4, 18-20) e la prima apparizione di Cristo ai discepoli sul lago di Tiberiade (ibid., 14, 22-32), la lunetta della parete di fondo nel coro con la crocifissione e le mezze lunette accanto alle finestre nelle due campate del coro con figure di santi certosini.
I lavori furono terminati entro diciotto mesi. Esistono due disegni preparatori per la volta (Haarlem, Teylers Museum) e uno per la controfacciata (Londra, British Museum): due di essi portano le firme del padre Alegria e del L.; i disegni sono menzionati nel contratto (Schleier, 2002, pp. 385-387). L'esecuzione della volta differisce alquanto dai disegni, che prevedevano un unico punto di vista, poi abbandonato. Il L. dovette decorare le vele delle volte a crociera della chiesa del Trecento, trasformata alla fine del Cinquecento sotto l'architetto G.A. Dosio (le costole erano state stuccate e dorate). Il L. finse due sfondati ovali, in cui raffigurò l'ascensione di Cristo seguito da una gloria di angeli.
In un secondo contratto del 9 febbr. 1638 il L. si impegnò "a far di novo rifare e ritoccare tutto quello che il […] Priore vorrà […] et più fare un quadro ad oglio per la Cappella di S. Ugo". Questa pala della Madonna del Rosario e due certosini (s. Anselmo e s. Ugo o s. Bruno) non fu accettata dai certosini e fu ceduta, secondo Bellori, a S. Anna dei Lombardi (ora a Capodimonte, in prestito dalla chiesa di Afragola). Nel 1677 Luca Giordano trasformò i santi certosini in s. Domenico e s. Gennaro (ibid., p. 310).
Nello stesso tempo il L. dipinse vari quadri per clienti di Roma, dove sperava di tornare: il S. Andrea davanti alla Croce (Berlino, Gemäldegalerie), quadro votivo dipinto per Andrea Giustiniani, figlio adottivo del defunto marchese Vincenzo Giustiniani (1638); un Cristo Portacroce (Roma, collezione privata), di cui una variante di formato orizzontale era conservata nella collezione del cardinale G.B. Costaguti iunior (ibid., p. 302); il Sansone squarta il leone, dipinto probabilmente per il cardinale Francesco Maria Brancacci, poi da lui donato al cardinale Flavio Chigi (Bologna, Pinacoteca nazionale: ibid., p. 304); e i due laterali della cappella di S. Agostino, in S. Agostino a Roma (1637-38: S. Agostino che lava i piedi al Redentore, a sinistra, e S. Agostino che abbatte le eresie, a destra: ibid., p. 390).
A questi anni risale anche parte dell'attività per il vescovo di Pozzuoli, don Martino de León y Cárdenas, che fece ristrutturare il duomo. Il L. affrescò la volta del coro e la cupola della cappella del Sacramento (ambedue degli anni 1636-40: distrutte), nonché tre tele già nel coro, che appartenevano a un ciclo di undici realizzate da vari pittori, fra cui A. Gentileschi, C. Fracanzano e altri (dopo l'incendio del 1964, presso la Soprintendenza). Firmata e interamente autografa è quella di migliore fattura, raffigurante lo Sbarco di s. Paolo a Pozzuoli (ibid., p. 312). Le altre due furono eseguite con la partecipazione della bottega, ma sulla base di disegni del maestro. Nella chiesa si trovava anche un'Annunciazione firmata (già nella seconda cappella a destra, ora nella Soprintendenza), una versione più debole (e più piccola) della pala di Salamanca, menzionata da Bellori.
Nel 1639, e forse anche nel 1638, il L. si recò a Roma. Il 14 luglio 1640 scrisse una supplica al cardinale Francesco Barberini a Roma, preside della congregazione della Fabbrica di S. Pietro, per ottenere il prestigioso incarico di dipingere la pala per l'altare della cappella di S. Leone in S. Pietro, già commissionata a G. Cesari, morto in quello stesso anno. Il L. fece vari disegni a penna dell'"incontro tra Leone e Attila" e spiegò al cardinale come la scena doveva essere raffigurata, ma non ottenne l'incarico (Schleier, 1983, pp. 194-196).
Il 3 maggio 1638 si celebrò a Napoli il matrimonio della figlia primogenita Flavia con lo scultore Giuliano Finelli.
Al 3 e all'8 apr. 1638, quando stava ancora lavorando a S. Martino, risalgono i primi pagamenti per le pitture nella chiesa dei Ss. Apostoli, la più vasta commissione che il L. ebbe a Napoli.
Il lavoro durò fino al 1646. Complessivamente il L. riscosse 10.000 ducati: 4000 per la prima parte, finita nel 1641. Si trattava della decorazione di quasi l'intera chiesa (al di sopra del cornicione), salvo la cupola non ancora costruita, che fu affrescata solo nel 1680 da G.B. Benaschi. Gli affreschi del coro sono firmati e datati 1641. Il 16 ag. 1640 il L. ottenne l'incarico di dipingere i quattro grandi riquadri nella volta con scene di martirio degli apostoli, un riquadro più piccolo con le glorie di sei apostoli, vicino alla cupola. I grandi riquadri sono accompagnati ai lati da profeti e patriarchi nei mezzi pennacchi accanto alle vele, da apostoli e profeti in piedi nelle semilunette accanto alle finestre, da Virtù (assise) nelle vele, che fiancheggiano medaglioni a chiaroscuro con scene del Vecchio Testamento: accanto al finestrone della controfacciata, due grandi mezze lunette con scene di martirio. I pagamenti vanno fino alla metà del 1644. Il 6 luglio 1644 si decise di dipingere la parte bassa della controfacciata con la grande scena della Piscina probatica. In più il L. avrebbe dovuto fare cinque quadri su tela nell'abside (restaurati nel 2001: Muzii, in Schleier 2002, pp. 314-317). I pagamenti interrotti dopo il 21 luglio 1644 furono ripresi nel 1646.
Mentre gli stuccatori lavoravano nella navata, il L. interruppe i lavori ai Ss. Apostoli per dipingere l'affresco della cupola nella cappella del Tesoro di S. Gennaro nel duomo, affidatogli dopo la morte del Domenichino (6 apr. 1641), che lo aveva lasciato incompiuto. I deputati del duomo che l'8 aprile avevano deciso di affidare al L. il compito di portare a termine l'opera del Domenichino il 13 giugno si risolsero a far eliminare il lavoro compiuto e ad affidare al L. l'incarico di eseguire una nuova decorazione. E il 26 seguente il L. ricevette un acconto di 1000 ducati sui 6000 promessi (poi aumentati a 7000).
Numerosi sono i pagamenti documentati per la cupola della cappella del Tesoro, a partire dall'11 sett. 1641, fino al pagamento conclusivo del 20 nov. 1643. Nell'affresco, essenzialmente eseguito nel 1643, il L. abbandonò la composizione a cerchi concentrici sovrastanti della cupola di S. Andrea della Valle, in favore di una soluzione unitaria della "gloria", avendo ottenuto anche la chiusura del lanternino "per far apparire migliore e più unita la sua opera" (Pagano, 1996, passim).
Del 18 giugno 1641 sono i pagamenti (in tutto 600 ducati) per "due Quatri delle due arcate" (semipennacchi ai lati dell'altare maggiore) nella chiesa della Ss. Annunziata, distrutti in un incendio del 1757. Menzionati sia da Passeri (p. 157) sia da Bellori, raffiguravano "L'Angelo Gabriele, che avvisa Maria Vergine che Iddio l'ha eletta Madre del suo Verbo umanato; e nell'altro Maria Vergine annunziata da quello" (disegni preparatori, a Haarlem, Teylers Museum).
Ascanio Filomarino, arcivescovo di Napoli e cardinale, dal 1643 in poi fece compiere lavori di ristrutturazione e decorazione nel palazzo arcivescovile. Nel 1645 il L. firmò la pala d'altare della cappella dei Forestieri, divenuta più tardi cappella privata del cardinale (iscrizione dedicatoria con la data sulla cornice marmorea), raffigurante S. Pietro e s. Gennaro presentano il cardinale Filomarino alla Vergine (Muzii, in Schleier, 2002, pp. 318, 441). Nello stesso tempo il L. eseguì fregi nel salone e in alcune camere raffiguranti paesaggi e puttini che fiancheggiano medaglioni e che reggono lo stemma del cardinale, figure femminili e giovani ignudi. Coperti e ridipinti nel 1812, gli affreschi furono riscoperti sotto lo scialbo nel 1963 (segnalati dal Causa, 1964, 1972 e pubblicati da Bernini, 1985, tavv. 129-133).
Gli ultimi affreschi pervenuti del L. a Napoli sono quelli, descritti da Bellori, nella volta dell'oratorio dei Nobili nella casa professa del Gesù, intorno all'affresco centrale di G.B. Caracciolo detto il Battistello (forse del 1629-30: Schleier, 2002, pp. 441 s.). Nella zona che incornicia la scena centrale sono raffigurate le Virtù cardinali e teologali più la Pace (figure femminili sdraiate); nei pennacchi sono raffigurati vari santi (in alcune di queste figure il L. riprende invenzioni giovanili del secondo decennio); e nelle undici vele sono raffigurati medaglioni con scene della Passione, fiancheggiati da Virtù. Nell'oratorio c'erano anche "due quadri ad olio non molto grandi, laterali d'altare" (Bellori), non pervenuti: l'Apparizione di Gesù a s. Ignazio (disegno preparatorio a Edinburgo, National Galleries of Scotland: Schleier, 2002, D 53) e un S. Francesco Saverio languente. Quest'ultimo fu eseguito dal L. a Roma negli ultimi mesi della sua vita (ibid., p. 442). Un terzo quadro raffigurante tre santi martiri crocifissi in Giappone, descritto da Bellori come esistente in un altro oratorio, è andato smarrito.
Del 1646 erano anche gli affreschi (menzionati da Passeri) nella tribuna della cappella del viceré Rodrigo Ponce de León nel palazzo reale, distrutti il 14 ag. 1943 durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale insieme con gli affreschi della volta di C. Mellin (ibid., p. 442).
Da un atto notarile del 22 giugno 1646 risulta che la figlia secondogenita, Angela, voleva farsi monaca nel monastero di S. Caterina da Siena a Magnanapoli a Roma; e per lei il L. pagò una dote di 1000 scudi. Forse per questo motivo (Bellori), o "per esser rimasto privo d'impiego" e "stimolato dalla moglie" (Passeri), alla fine del 1646 il L. tornò a Roma, dove visse con la moglie e il figlio Giuseppe presso il fratello Egidio nel vicolo del Cinque in Trastevere, cercando, invano, una casa adatta.
A Roma eseguì nel 1647 gli ultimi due lavori. Nella chiesa dei barnabiti dei Ss. Carlo e Biagio ai Catinari dipinse l'affresco del catino (Gloria di s. Carlo Borromeo) e dell'arco antistante (le tre Virtù teologali nel riquadro centrale e quattro Sibille nei riquadri delle zone adiacenti sopra le vele, in cui due coppie di putti portano la corona con la parola "Humilitas", motto simbolico di s. Carlo). Secondo Bellori l'affresco fu eseguito in sei mesi; e fu inaugurato nel giorno della festa del santo (5 nov. 1647), poche settimane prima della morte del L. (Schleier, 2002, p. 441).
Nell'affresco Bellori notò che "il componimento e le figure palesano la stanchezza del pennello", e comunque in esso il L. aveva riacquistato la disciplina formale, che aveva perduto negli ultimi affreschi napoletani, perché, come sottolinea ancora Bellori, "in Napoli si rilasciò alla pratica; alle volte si contentava di far meno di quello che sapeva".
L'altro lavoro romano è la pala piuttosto scialba della Crocifissione già nella cappella di Suor Anna Margherita Altemps nella chiesa dei Ss. Domenico e Sisto (ora nel convento), nel monastero delle suore domenicane, variante più debole della Crocifissione Monterrey del 1637-38.
Nell'ultimo anno romano, durante il pontificato di Innocenzo X, il L. cercò di ottenere l'incarico di affrescare il salone e la galleria nel nuovo palazzo Pamphilj in piazza Navona. Probabilmente venne preso in considerazione da Innocenzo X e donna Olimpia su raccomandazione di padre Virgilio Spada, soprintendente della fabbrica. Nelle carte di quest'ultimo si trovano infatti due schizzi a penna del L. che si riferiscono a questi lavori. Ma il L., prima di poter ottenere l'incarico, morì a Roma il 29 nov. 1647. Fu sepolto il giorno successivo in S. Maria in Trastevere (ibid., p. 442). La vedova Cassandra Barli morì il 1° genn. 1649; e il figlio Giuseppe rimase suo erede universale.
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