LAMOLA, Giovanni
Nacque a Bologna o nel contado bolognese presumibilmente intorno al 1405. Fantuzzi ipotizza che fosse figlio di un Bernardo, lettore di decretali nello Studio bolognese, membro di un ramo di una famiglia originaria di Amola (in antico Lamola), inurbatosi nella seconda metà del Trecento.
Le prime notizie certe sul L. riguardano gli studi compiuti sotto la guida di Guarino Guarini, già a Verona nel 1419, anche se solo per circa un mese poiché questa prima scuola guariniana presto si sciolse al diffondersi di una pestilenza. In una lettera di compianto per la morte del L., pubblicata da Sabbadini nel commento all'Epistolario di Guarino (III, p. 436), Francesco Filelfo scrive che il L. ebbe come maestri Gasperino Barzizza, Vittorino da Feltre, lo stesso Filelfo e il Guarini. Sulla scorta della ricostruzione di Sabbadini (ibid., p. 437) si può proporre la seguente cronologia: Guarino a Verona fino al 1424 e poi ancora nel 1425; Vittorino a Mantova nel 1425-26; il Barzizza a Milano nel 1427-28; il Filelfo a Firenze nel 1429-30; di nuovo Guarino a Ferrara nel 1430-32 e di nuovo il Filelfo a Firenze nel 1433-34. Una simile cronologia copre un ampio corso di anni, fino alla piena maturità del L. e, forse, meglio che una carriera puramente scolastica configura l'ambizione di tenersi aggiornato, di coltivare una serie di relazioni che aspirano a divenire amicizie, e a ottenere protezioni, con i maggiori umanisti impegnati nell'insegnamento e nella ricerca filologica, con i quali il L. intendeva instaurare rapporti collaborativi, anche se, tendenzialmente, da una posizione di riguardosa deferenza. Così è, in particolare, per i rapporti con Guarino, i meglio documentati. Nel 1419 probabilmente il L. seguì il maestro a Valpolicella (in una più tarda lettera Guarino dice che il L. conosceva la villa Castelrotto in Valpolicella: ibid., I, p. 547) e quindi tornò alla sua scuola, forse dopo un intervallo bolognese. Quando, nel 1424, Guarino lasciò Verona per fuggire una nuova pestilenza, il L. si rifugiò a Bologna, dove si trattenne per qualche mese, per tornare a Verona nel 1425, richiamato anche dall'affettuoso invito di Guarino, come testimonia la lettera che Sabbadini data al gennaio 1425: "si tuis opem atque operam dare me vis studiis litterarum, pro quibus nullum laborem recuso, ad me advola. Eris mecum unis in aedibus, una utrique mensa, communia utrique studia" (ibid., I, p. 453). A Verona, dove fu anche precettore in casa Rizzoni, rimase soltanto pochi mesi, fino a ottobre, quando tornò a Bologna ("ille enim Lamolensis […] Bononiam abiit" scrive Guarino il 21 ott. 1425 [ibid., p. 495]), dove conobbe Tommaso Parentucelli (il futuro papa Niccolò V) e Antonio Beccadelli detto il Panormita, che gli dedicò la lunga elegia di apertura del suo Poematum et prosarum liber, testimonianza di cordiale e salda amicizia.
Al rapporto con il Panormita risale l'episodio forse più noto della vita del L., il suo impegno nella divulgazione dell'Hermaphroditus. Per sua iniziativa, e all'insaputa dell'autore stesso ("Iohanni vero Lamole viro docto et emendato et vere ex Guarini ludo litterario profecto discipulo gratias et ingentis habeo, propterea quod insciente me quidem Hermaphroditon ad te dimiserit meum" scrive il Panormita a Guarino [ibid., p. 508]), il libello fu recapitato a Guarino, provocando la lettera del 3 febbr. 1426 con la quale Guarino, ringraziando il L., espresse il famoso giudizio estremamente favorevole, grazie al quale la lettera fu frequentemente allegata ai manoscritti dell'opera del Panormita come autorevole lasciapassare. Non sono note le ragioni del viaggio del L. a Roma nel marzo dello stesso anno ma, nell'occasione, egli recapitò una copia dell'Hermaphroditus ad Antonio Loschi, il quale, a sua volta, lo fece conoscere a Poggio Bracciolini, che infatti scriveva il 3 apr. 1426 al Panormita: "Iohannes Lamola […] attulit ad nos libellum epigrammatum tuorum […]. Hunc cum legisset primo vir clarissimus Antonius Luscus multisque verbis laudasset et ingenium et facultatem dicendi tuam […] misit deinde illum ad me legendum".
Di ritorno a Bologna vi si trattenne solo pochi mesi, forse per l'incertezza della situazione politica, per trasferirsi, verso la fine dell'anno, a Milano, con l'appoggio dell'arcivescovo Bartolomeo della Capra e di Cambio Zambeccari. Qui fu in contatto con il Parentucelli e con Niccolò Albergati, sui quali forse contava quando ipotizzava un possibile impiego nella Curia romana (Guarino, Epistolario, I, p. 639). Durante il soggiorno a Milano, dove si trattenne fino a tutto il 1429, compì alcune importanti scoperte filologiche che tempestivamente comunicò a Guarino. Questa forma di collaborazione con il maestro veronese è già testimoniata da una lettera indirizzata al L. nel gennaio 1426, quando ancora si trovava a Bologna: Guarino aveva da lui ricevuto notizie intorno a possibili ritrovamenti di opere di Tacito e di Cornelio Celso e gli chiedeva nuovi particolari (ibid., p. 503). Così ancora il 1° maggio dello stesso anno Guarino attribuiva al L. lo stimolo a visitare l'abbazia di Nonantola, nella quale Tommaso Parentucelli aveva appena ritrovato l'Epitome di Lattanzio (ibid., p. 524). Il più importante rinvenimento milanese del L. fu il codice che conserva l'opera di Celso con altri minori trattati medici tra cui il De herbis dello Pseudo Apuleio, scoperto intorno alla metà del 1427 nella basilica di S. Ambrogio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 73, 1), oltre a un codice antico dei Saturnali di Macrobio, rinvenuto a Lodi. Per Guarino trascrisse il celebre codice di Lodi delle opere retoriche di Cicerone, scoperto qualche anno prima da Gerardo Landriani. I codici antichi di Macrobio e di Cicerone sono perduti, come le trascrizioni del L.; una copia, peraltro contaminata, dell'apografo del L. del codice ciceroniano è nel ms. B.2 della Cornell University Library di Ithaca, NY.
Nella lettera con la quale accompagnava l'invio a Guarino, il L. offriva importanti considerazioni di metodo, sulle quali ha richiamato l'attenzione G. Pasquali, che le considerava precoci anticipazioni di una sensibilità verso gli originali quale sarebbe stata affermata e praticata da Angelo Poliziano soltanto qualche decennio più tardi. A differenza di precedenti trascrittori che, data l'estrema difficoltà di lettura del codice, "multa non intellexerunt, multa abraserunt, multa mutarunt, multa addiderunt", egli afferma di aver posto la massima attenzione a trascrivere il codice con assoluta fedeltà: "ego tamen quantum diligentiae ac ingenii peritiaeque in me fuit et in nonnullo antiquitatis callentissimo viro mecum idem sentiente adhibui, ut omnia secundum priorem textum restituerem, notarem etiam marginibus ubique 〈ad> legationes istorum "logodaedalorum" et sane barbaricarum belluarum. Curavi etiam ut usque ad punctum minimum omnia ad veteris speciem exprimerem, etiam ubi essent nonnullae vetustatis delirationes; nam velim potius cum veteri illo delirare quam cum istis diligentibus sapere".
Il L. afferma dunque esplicitamente di aver conservato tutte le caratteristiche grafiche dell'originale e anche gli errori palesi, annotando nei margini gli interventi apportati al codice da mani recenti. Per l'allestimento del testo di Macrobio riuscì a procurarsi il codice in possesso di Giovanni Corvini, invano reiteratamente chiesto in prestito anni prima da Guarino, per confrontarlo con il codice laudense da lui stesso ritrovato. La diligenza del L., che non conosceva il greco, si spingeva fino a "disegnare" a parte quell'ombra di greco che ancora si intravedeva nei codici, delegando a Guarino il compito di decifrarlo: "in his non est Graecum proprium, quin potius Graecarum umbra litterarum. Itaque separatim pinxi et notavi Graecum totum et emendavi invicem, ut nulla deesset figura; tu postea in illo interpretando Oedipus eris" (Guarino, Epistolario, I, p. 641). Accusando ricevuta delle trascrizioni, Guarino elogiava l'accuratezza e la fedeltà del L.: "accepi postremo Macrobium et Oratorem Ciceronis, quos illis probe litteris depingebas. Bone deus, quantum abs te servatum diligentiae! ut cum sis mirifice antiquitatis amator, illam in transcribendo effingeres et exprimeres, ut vel minima omnia ab exemplari excerpseris" (ibid., p. 644). Quanto subito di seguito Guarino aggiunge sembra circoscrivere il ruolo del L. a quello di un accurato allestitore di materiali sulla base dei quali altri (Guarino stesso) potranno esercitare la propria perizia filologica: "Meos igitur emendare horum adiumento coepi, ut eos meliores faciam; quod ubi assecuti fuerint, non parvas tibi sunt gratias et habituri et acturi". Donde l'invito a insistere nelle perlustrazioni di biblioteche lombarde: "cunctas recense bibliothecas et sepultos in pulvere ac sordibus ad lucem munditiasque revoca et exsuscita". Se, agli occhi di Guarino, al L. sembrava preclusa la possibilità di farsi vero e proprio "editore" di testi, gli va riconosciuta l'intuizione della opportunità di una puntigliosa ricognizione e conservazione nella trascrizione degli originali, che contrasta con la disinvoltura emendatoria che era nella pratica filologica di tanti umanisti anche di maggior fama.
Tra il '29 e il '30 il L. trascorse qualche mese a Firenze, dove seguì le lezioni del Filelfo, ma nell'aprile del 1430 era di nuovo a Bologna, devastata dalla peste e dalle guerre, incerto sulle decisioni da prendere: "nunc tantis in malis unicum nobis videtur profugium, alienas videlicet terras et longa quaerere exilia" (Sabbadini, 1890, p. 420). Tra le possibilità che gli si offrivano scelse infine di tornare presso Guarino, nel frattempo passato a Ferrara. Qui infatti lo troviamo a partire almeno dall'ottobre 1430 e qui si trattenne fino ai primi mesi del 1433. Oltre che dalle lettere pubblicate da Sabbadini (ibid., pp. 422-430) il soggiorno ferrarese e la collaborazione con Guarino nell'attività filologica sono documentati dalla subscriptio di quest'ultimo nel codice di Cesare, ora Modena, Biblioteca Estense universitaria, V.C.2: "emendavit Guarinus Veronensis adiuvante Jo. Lamola cive Bononiensi anno Christi MCCCCXXXII, IIII nonas Iulias, Ferrariae", oltre che da quella dello stesso L. nella copia di sua mano delle Noctes Atticae di Gellio (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 3453), che Sabbadini ipotizza copia del Gellio allestita da Guarino (1896, p. 118). Sotto la guida di Guarino il L. si dedicò allo studio del greco, con ottimi risultati stando alla testimonianza di Eusebio da Fagnano: "si quaeritis quid ipse Lamola rerum agat, conversatur apud clarissimum Guarinum Veronensem, cuius opera et industria quotidie litteris Graecia intendit et ita quidem ut iam unus ex Graecia dici potest" (Sabbadini, 1890, p. 427).
Qualche luce sulla personalità del L. è gettata dal dialogo di Bartolomeo Facio De humanae vitae felicitate, ambientato a Ferrara, interlocutori Guarino, il Panormita e lo stesso Lamola. Quando Valla fa osservare a Facio che il L. è interlocutore troppo acquiescente alle opinioni di Guarino, questi replica: "cum scirem Lamolam natura facilem et non pertinacem esse, volui hominem secundum naturam et consuetudinem eius disputantem facere ne contra decorum viderer agere" (Invective).
Nell'aprile del 1433 il L. manifestò in una lettera a Raimondo Marliano l'intenzione di lasciare Ferrara, pur nell'incertezza del partito da prendere. Nello stesso anno era a Firenze, con un incarico di istitutore privato in casa Strozzi e quindi con la possibilità di frequentare il corso tenuto dal Filelfo. Ma neppure a Firenze riuscì a trovare una qualche stabilità: nel marzo chiese ad Ambrogio Traversari consigli e commendatizie per un trasferimento a Venezia, dove si recò all'inizio del nuovo anno scolastico come istitutore privato presso la famiglia Tegliacci. Il 1° ott. 1434 indirizzò a Paolo della Pergola una lunga epistola De laudibus philosophiae, importante perché prefigura l'istituto dell'orazione inaugurale quale si sarebbe più tardi instaurato nella Scuola di Rialto.
L'orazione celebra la filosofia come la più alta di tutte le discipline, ne definisce le partizioni in fisica, etica e logica ed esalta la fama di coloro che a essa in ogni epoca si sono dedicati: ultimo Paolo della Pergola, da annoverare tra i maggiori filosofi contemporanei, le cui lezioni hanno formato innumerevoli spiriti dotti.
Il 1° genn. 1435 Guarino gli indirizzò la lettera con la quale ritrattava l'originario giudizio sull'Hermaphroditus. Per correggere la troppo entusiastica adesione all'opera del Panormita, Guarino rimproverava al suo discepolo di aver falsato la propria opinione ("non possum […] non obiurgare te et pro iure amoris mutui reprehendere, quod in tollendis scriptis meis incautius agas" [Epistolario, II, p. 209]), facendola circolare tanto intensamente, certo per affetto verso il maestro, ma con presunte improvvide omissioni, che l'avrebbero completamente distorta. Al L. veniva allora chiesto di porre la stessa solerzia nel diffondere il testo integrale del vero giudizio di Guarino.
Nell'ottobre del 1435 il L. già manifestava l'intenzione di abbandonare Venezia per via della peste e decideva infine per il ritorno a Bologna, accettando una condotta come lettore di grammatica e poesia nello Studio, incarico che avrebbe conservato per una decina di anni.
Al periodo bolognese risalgono un gruppetto di scritti, tutti peraltro di modesta entità: una raccolta di Synonyma, locuzioni volgari di cui si offrono i corrispondenti latini, una lunga lettera de pudicitia indirizzata a Guidantonio Lambertini il 23 luglio 1440, sei brevi orazioni d'occasione (in rapporto con l'insegnamento o per circostanze politiche, come quella per l'insediamento dei gonfalonieri nel 1441, o quella per la podesteria del Lavagnola del 1446, o quella "ad Bononienses cives pro illorum libertate divino quodam miraculo parta"). Quest'ultima propone a modello delle fazioni bolognesi, che hanno concluso una precaria pace, l'ordinamento politico di Venezia e, insieme, indica nel ritorno alla pratica cristiana la via per una più duratura pacificazione interna.
Nel 1446 il L. rifiutò l'invito di passare a Firenze come "professor oratoriae poeticaeque facultatis", preferendo tornare a Venezia, "conductus […] ad legendum, habiturus ducatos centum", probabilmente alla Scuola della Cancelleria, di cui sarebbe così stato il primo maestro (Lepori, pp. 600 s.). Ma il prestigioso incarico veneziano dovette essere dopo pochi mesi interrotto a causa di una malattia. Nel marzo 1448 è di nuovo documentato a Bologna, da dove inviò una consolatoria a Gabriele Tegliacci per la morte del fratello. L'ultima notizia sul L. risale alla fine del 1449, quando si recò a Roma per rendere omaggio a Niccolò V, al quale indirizzò una breve orazione nella quale gli raccomandava l'unico figlio rimastogli, dopo la perdita del primogenito, di sette anni, nella peste del 1448.
La morte colse lo stesso L. poco più tardi, forse subito dopo il ritorno a Bologna. Nel gennaio 1450 Guarino ne compiangeva la scomparsa, rievocando la lunga dimestichezza con lui e ricordandone la schiva modestia: "cum aliis rerum suarum minime ostentator esset nec pro ipsius modestia aurae popularis aucupator" (Epistolario, II, p. 551). Al L. furono dedicati epitaffi da Guarino, Filelfo, Giovanni Sermoneta, Giovanni Ferreri, Nicolò Perotti.
Degli scritti del L. sono a stampa alcune lettere: una al Traversari in A. Traversari, Latinae epistolae…, Florentiae 1759, coll. 1038 s., alcune pubblicate da Sabbadini all'interno dell'Epistolario di Guarino Veronese, Venezia 1915-19, ad ind.; la breve orazione a Niccolò V è edita da Sabbadini, 1898, p. 245. Si forniscono inoltre alcune selettive indicazioni intorno a manoscritti che contengono altre opere: la lettera a Paolo della Pergola nel ms. di Milano, Biblioteca Ambrosiana, H.49 inf.; la lettera de pudicitia Ibid., J.33 inf.; i Synonima nei manoscritti di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Gadd., 129 (cfr. A.M. Bandini, Bibliotheca Leopoldina Laurentiana…, II, Firenze 1792, coll. 140 s.), nel ms. Vat. lat. 9207 della Biblioteca apostolica Vaticana e nel ms. 529 della Biblioteca capitolare di Lucca; l'orazione ad Bononienses cives nel ms. Chig. J.V.160 della Biblioteca apostolica Vaticana. Materiali didattici relativi all'insegnamento bolognese sono nei manoscritti di Cracovia, Biblioteka Jagiellońska, 478; Firenze, Biblioteca nazionale, Conventi soppressi, B.7.638 e Norimberga, Stadtbibliothek, PP.364 App. 1. Alcune lettere e orazioni sono raccolte nel ms. 2948 (Miscellanea Tioli), XV, della Biblioteca universitaria di Bologna e nel ms. Clm 504 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (su cui cfr. M. Herrmann, Albrecht von Eyb und die Frühzeit des deutschen Humanismus, Berlin 1893, pp. 78-81).
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 1619, cc. 287v (lettera del Filelfo nella trascrizione di Giovanni Garzoni), 289v-290r (epigrammi in morte del L. nella trascrizione di Giovanni Garzoni); B. Facio, Invective in Laurentium Vallam, a cura di E.I. Rao, Napoli 1978, p. 108; P. Bracciolini, Lettere, a cura di H. Hart, II, Firenze 1984, p. 59; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 14-17; R. Sabbadini, Notizie sulla vita e gli scritti di alcuni dotti umanisti del secolo XV raccolte da codici italiani, in Giorn. stor. della letteratura italiana, V (1885), pp. 175-177; U. Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio di Bologna, Bologna 1888, pp. 12 s., 15, 18, 21, 24, 27; R. Sabbadini, Cronologia documentata della vita di G. L., in Il Propugnatore, n.s., III (1890), 2, pp. 417-436; Id., La scuola e gli studi di Guarino Guarini Veronese, Catania 1896, pp. 28, 53, 56, 87, 101 s., 118-121, 196; Id., Briciole umanistiche, X, Nuove notizie su G. L., in Giorn. stor. della letteratura italiana, XXXI (1898), pp. 244 s.; Id., Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV, Firenze 1905-14, I, pp. 102 s., 117; II, p. 207; D. Fava, La Biblioteca Estense nel suo sviluppo storico con il catalogo della mostra permanente, Modena 1925, p. 13; G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1952, pp. 62 s., 74 s.; G. Resta, L'epistolario del Panormita, Messina 1954, pp. 15 s., 20, 44, 64, 79, 146, 203-205; R. Sabbadini, Storia e critica di testi latini, Padova 1971, pp. 102, 105-108, 133, 195 s., 200 s., 228, 232, 269, 322; F. Lepori, La Scuola di Rialto dalla fondazione alla metà del Cinquecento, in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, II, Vicenza 1980, pp. 544 s., 567 s., 600 s.; M. Regoliosi, Introduzione a L. Valla, Antidotum in Facium, Patavii 1981, pp. XXXII-XXXIV; S. Rizzo, Il lessico filologico degli umanisti, Roma 1984, pp. 176-181, 258; D. Coppini, Introduzione ad A. Panormita, Hermaphroditus, Roma 1990, pp. LXXIII s., LXXXII, CX-CXII; G. Resta, Un antico progetto editoriale dell'epistolario del Panormita, in Studi umanistici, I (1990), p. 20; A. Manfredi, Vicende umanistiche di codici vaticani con opere di s. Ambrogio, in Aevum, LXXII (1998), pp. 559-565; R.L. Guidi, Il dibattito sull'uomo nel Quattrocento, Roma 1999, pp. 88, 256, 430 s.; P.O. Kristeller, Iter Italicum, Cumulative index, ad indicem.