GIOVANNI I, papa, santo
Della nascita di G. - che si può ragionevolmente collocare nella seconda metà del secolo V - e dei suoi primi anni di vita non si hanno notizie, se si escludono le semplici indicazioni offerte dal Liber pontificalis riguardo alle sue origini toscane e al nome di suo padre, Costanzo.
Nel quasi totale silenzio delle fonti, è forse possibile cogliere indirettamente qualche informazione sulla sua carriera ecclesiastica e sulla sua posizione nell'ambiente culturale e religioso durante gli anni che precedettero la chiamata al soglio pontificio, analizzando taluni degli importanti Opuscoli teologici dovuti all'amico statista e filosofo Boezio.
Alcuni di tali scritti vengono infatti indirizzati a un Giovanni diacono che, sia pure con le dovute cautele, si è ormai generalmente concordi nell'identificare con G., ancorché la presenza a Roma di altri diaconi omonimi non dia assoluta sicurezza in merito. Non si ha alcuna certezza infatti che G. e il "diac. Iohan.", autore della Epistula ad Senarium databile forse al 496, siano la stessa persona, come pure non è certo se G. sia da identificare con il diacono Giovanni che con altri ecclesiastici assistette papa Simmaco in un suo pronunciamento in data imprecisata, ma certo successiva al novembre 498, se non al 506, quando ebbero termine i disordini causati dallo scisma laurenziano.
Nel 512 Boezio dedica dunque probabilmente proprio a G. il suo Liber contra Eutychen et Nestorium e tra il 519 e il 520 gli indirizza diversi altri trattatelli teologici: l'Utrum Patrem, il De Trinitate e il Quomodo substantiae. Nel Liber G. è, nelle prime righe, l'interlocutore cui si rivolge con amichevole devozione Boezio, oltre a essere il destinatario dell'opera, non solo per vincoli di amicizia quanto, soprattutto, affinché verificasse la rigorosa ortodossia delle riflessioni teologiche espresse dal filosofo, suggerendo eventuali correzioni in previsione di un invio dell'opera a papa Simmaco. Sappiamo così che G., forse diacono nel 496, e certamente tale nel 506 sotto papa Simmaco, era presente all'assemblea romana di illustri personaggi ecclesiastici e laici riunita nel 512 da Simmaco per commentare e valutare la Epistula orientalium episcoporum ad Symmachum che, nei desideri dei vescovi orientali, doveva servire da piattaforma programmatica nelle discussioni cristologiche allora frequenti.
Circa sette anni dopo, con il suo Quomodo substantiae, Boezio è chiamato a rispondere a una richiesta di chiarimenti teosofici posta da G., richiesta che purtroppo non ci è pervenuta e che tuttavia risulta implicita proprio dall'impostazione dello scritto boeziano. Taluni studiosi hanno inoltre avanzato l'ipotesi che il De fide catholica, opera da sempre ascritta a Boezio, sia invece da attribuire a Giovanni.
Nel 523 G. venne chiamato a succedere a papa Ormisda (morto il 6 agosto); fu consacrato il 13 agosto dello stesso anno, in uno scenario politico e religioso segnato da anni di forti e crescenti tensioni.
Si era al termine di un non breve periodo di buon governo teodoriciano fondato, tra l'altro, su una politica religiosa che era riuscita a far convivere cristiani cattolici e ostrogoti ariani, e a evitare i pericolosi riflessi socio-politici degli scismi acaciano (484-519) e laurenziano (498-505/6), addirittura favorendo a suo tempo il predecessore di papa Ormisda, Simmaco, ponendosi contro l'antipapa Lorenzo. Teodorico aveva saputo districarsi anche dalle complesse ripercussioni seguite all'applicazione dell'editto noto come Henotikon, emanato dall'imperatore d'Oriente Zenone nel 482, in un riuscito tentativo di ricomposizione dei dissensi che nella penisola erano sorti tra sostenitori delle diverse tendenze dottrinali cristologiche. Tuttavia, l'equilibrio che caratterizzò i rapporti del re con papa Simmaco e con il suo successore Ormisda, si incrinò con l'avvento di Giustino I al trono orientale nel 518 e di G. al pontificato. Il mutare della politica religiosa imperiale e successivamente papale in senso antiariano vide anzitutto la revoca dell'Henotikon (28 marzo 519) cui seguì, nella penisola, un non immediato ma progressivo irrigidimento del sovrano ariano nei confronti dei cattolici. Nell'agosto 523 la situazione precipitò: Teodorico venne informato dal referendario Cipriano di una congiura ordita ai suoi danni da alcuni senatori, nella quale Boezio venne ingiustamente coinvolto. Giustino, forse già dal 523, adottò una serie di provvedimenti contro gli ariani: dalla sistematica chiusura delle loro chiese, alla loro esclusione da ogni pubblico incarico. Dall'agosto di quell'anno G., in totale sintonia con Giustino, provvide a far chiudere i templi ariani e cercò di imporre la conversione al cattolicesimo di Goti ed ebrei, non sappiamo però precisamente dove, quando e con quali esiti. Inoltre, proprio da quell'anno lo scenario politico internazionale si fece man mano più ostile a Teodorico, che vide in pochi mesi sgretolarsi la rete di alleanze politico-matrimoniali con diverse stirpi sovrane.
G., probabilmente tra i suoi provvedimenti databili al tardo 525 e in parallelo con la sua attività antiariana, dispose che Bonifacio, primicerio dei notai della Curia, persuadesse Dionigi il Piccolo a calcolare e fissare la data della Pasqua.
Il Liber pontificalis ricorda G. anche per la sua attenzione alla conservazione dei monumenti della Roma paleocristiana - e segnatamente per i restauri da lui avviati degli ipogei detti di Domitilla, di Commodilla e di Priscilla - e per la sua cura nel dotare di ricchi possedimenti le basiliche romane. G. si impegnò anche sul delicato fronte dell'ordinamento liturgico, emanando direttive sull'impiego del canto durante le funzioni religiose. Un laconico accenno a tali disposizioni ci è pervenuto in una più tarda compilazione carolingia, dell'ultimo quarto del secolo VIII (Andrieu, III, p. 223). Sappiamo inoltre che in data imprecisata provvide a consacrare la chiesa romana di S. Maria in Portico. Non sono del tutto certi suoi rapporti con Cassiodoro, che nel 523 era succeduto a Boezio quale magisterofficiorum. Nel 524, l'amico Boezio venne tratto in arresto e incriminato per alto tradimento e successivamente, ma la data è incerta, venne giustiziato a Pavia. Oltre all'azione ritorsiva nei confronti di parte dei senatori e del clero cattolico, la nuova linea politica adottata da Teodorico prevedeva ora, se non una chiara riconciliazione con l'Impero, almeno la cessazione dell'aperta ostilità reciproca. Per raggiungere l'obiettivo Teodorico convocò G. a Ravenna imponendogli di partire per Costantinopoli; G., benché malato, si dispose al viaggio. Lasciata l'Italia nell'autunno del 525 e raggiunta la corte orientale, via Corinto, in tempo per celebrare il Natale, avrebbe dovuto trattare con Giustino non solo della revoca immediata delle sanzioni antiariane, ma anche del consenso imperiale all'abiura del cattolicesimo per quegli ariani a cui si riteneva fosse stata imposta la conversione. Della sua legazione facevano sicuramente parte illustri laici e alcuni vescovi, cinque secondo diverse fonti, tra i quali Ecclesio di Ravenna (Agnellus, pp. 304, 318, e Anonymus Valesianus, c. 90), Eusebio di Fano e Sabino di Canosa (dei quali riferisce solo l'Anonymus Valesianus, c. 90), con i senatori Teodoro, Importuno, Agapito e altro Agapito (Anonymus Valesianus e Liber pontificalis, p. 276). L'accoglienza riservata a G. e al suo seguito nella capitale orientale fu eccezionale: il sovrano si prostrò davanti al papa e in quegli stessi giorni solennemente e significativamente la cerimonia di incoronazione imperiale fu ripetuta davanti a G., che celebrò a Costantinopoli la Pasqua del 525.
L'esito dell'ambasceria, durata circa cinque mesi, è ancora oggi argomento di discussione non solo per la dubbia interpretazione delle fonti al proposito - fonti in nessun caso esenti da sentimenti di parte -, ma anche per l'atteggiamento di G. che a gran parte della storiografia attuale è parso ambiguo, a partire dalla sibillina promessa di parziale collaborazione fatta a Teodorico poco prima di partire. Il papa, che appare diplomaticamente sottomesso al volere del re, accettando di recarsi presso Giustino I per cercare di mitigare gli effetti della legislazione antiariana, sembra tuttavia cosciente della scarsa fiducia di Teodorico nei suoi confronti e delle possibili ritorsioni contro i cattolici se l'ambasceria fosse fallita. In Oriente fu accolto trionfalmente e le sue suppliche all'imperatore per la cessazione delle persecuzioni antiariane, benché accolte, portarono gli anonimi autori delle fonti ad accennare, però, a un non meglio precisato intervento imperiale contro l'"eretico" Teodorico. Quest'ultimo trovò nel comportamento di G. sufficienti elementi per considerare più che mai sospetta la sua azione a Costantinopoli.
Al ritorno dalla corte d'Oriente, da dove era ripartito immediatamente dopo la Pasqua del 526, G. fu arrestato con i vescovi e i senatori che l'avevano seguito nell'ambasceria. Rinchiuso in carcere a Ravenna, morì il 18 maggio, non è chiaro se per le fatiche del lungo viaggio o per la detenzione patita.
Solo il Migne (LXII, coll. 533 s.), data la dipartita di G. al 27 maggio 526, unificando l'anno di morte al mese e al giorno della deposizione dei suoi resti mortali nell'atrio della basilica romana di S. Pietro. Quanto all'anno dell'inumazione, mentre l'anonima biografia del Liber pontificalis (che segnala anche l'esistenza dell'epigrafe tombale, cfr. Inscriptiones christianae) la pone al tempo del console Olibrio, quindi ancora nel 526, dopo soli dieci giorni dalla morte; gli Acta sanctorum (p. 708) la collocano invece al 27 maggio 530, al tempo dei consoli Lampadio e Oreste. Santo, è tuttora venerato dalla Chiesa quale victima Christi il 18 maggio. Gli successe Felice IV.
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