GROSOLI PIRONI, Giovanni
Nacque a Carpi il 31 ag. 1859 da Giuseppe Grosoni e da Livia Pironi.
Il padre, avvocato di origine ebraica, si era convertito al cristianesimo, abbracciando con fervore la religione cattolica. La madre, che apparteneva a una nobile e ricca casata, educò il figlio a profondi sentimenti religiosi.
Il giovane G., trasferitosi a Ferrara con la famiglia, venne avviato agli studi presso il "collegio dei giovani secolari" annesso al seminario arcivescovile. Dopo aver frequentato le scuole ginnasiali, dovette ritirarsi per le cagionevoli condizioni di salute, continuando a studiare con istruttori a domicilio che gli diedero una severa educazione religiosa e una preparazione umanistica, con particolare riguardo alla filosofia, alla storia, alla letteratura, alla musica e all'arte.
Notevole influenza nella sua formazione ebbero G. Maffei, presidente della Società operaia cattolica di mutua carità, il gesuita G.M. Cornoldi, punto di riferimento della ripresa del pensiero filosofico tomista, e l'arcivescovo card. L. Giordani. Il G. operò, inoltre, in seno alla Conferenza di S. Vincenzo, di cui doveva assumere la presidenza nel 1880, alla morte di Maffei.
Questa specifica formazione favorì nel G. la vocazione verso un'intensa attività caritativa, sociale e organizzativa d'ispirazione cristiana; tale vocazione aveva avuto un non trascurabile stimolo nel corso di un viaggio compiuto, all'età di ventitré anni, a Roma. Qui, il 20 dic. 1882, aveva incontrato per la prima volta Leone XIII, mettendosi sotto la guida spirituale del vicario di Roma, il card. L.M. Parocchi, che lo convinse a scegliere la strada del celibato e a consacrarsi, come laico, a un forte impegno nell'apostolato.
Tra le molte iniziative avviate e sostenute dal G. a Ferrara, vanno ricordate: la piccola biblioteca circolante (1877), l'opera del patronato (1882), l'opera di S. Giovanni per l'assistenza ai poveri giacenti ammalati negli ospedali (1883), l'adorazione notturna al Ss. Sacramento (1883), il segretariato dei poveri (1885), la Società della gioventù cattolica - il cui circolo, intitolato a S. Giorgio, venne da lui fondato nel 1885 -, l'Accademia scientifico-religiosa (1888), il comitato antischiavista (1889). Istituì, inoltre, un'opera per l'assistenza ai giovani spazzacamini e fondò due istituti per l'assistenza a fanciulli e fanciulle abbandonati. Questo impegno gli meritò l'attenzione e la stima del pontefice che, nel corso degli anni, lo gratificò con importanti attestati d'onore: la nomina a cameriere di cappa e spada (1886); a commendatore di S. Gregorio Magno (1888); la croce pro Ecclesia et pontifice (1888); la nomina a conte romano (1896).
Intensa fu l'attività del G. anche in seno al movimento cattolico; fu infatti presidente del comitato regionale romagnolo dell'Opera dei congressi e dei comitati cattolici dal marzo 1891 al marzo 1892 e dal marzo 1896 all'ottobre 1902. In questo ambito emersero con evidenza le sue indubbie capacità e qualità sia nel settore giornalistico, sia in quello delle attività creditizie. A Ferrara, nel gennaio 1895, aveva promosso la pubblicazione di un periodico dal titolo La Domenica dell'operaio; ma, soprattutto, alla sua collaborazione con G.B. Acquaderni, il card. E. Mauri e il card. D. Svampa si deve la nascita, nel 1896, del quotidiano bolognese L'Avvenire, che nel 1902 mutò testata in L'Avvenire d'Italia, del cui consiglio d'amministrazione il G. fu presidente.
Il nuovo quotidiano cattolico si distinse per una linea che, abbandonando il vecchio intransigentismo, cercava di svolgere un'opera di mediazione e di incontro tra le varie istanze presenti in campo cattolico, assumendo un tono più moderato e disponibile al confronto e alla collaborazione con le istituzioni liberali.
Il G. fu inoltre il principale artefice della costituzione, a Ferrara, di casse rurali e opere di assistenza ai contadini e ai piccoli proprietari, che trovarono un importante strumento finanziario nel Piccolo Credito romagnolo, un istituto bancario promosso dal G. per sostenere le iniziative creditizie nell'ambito del mondo rurale. In tal modo, il G. riusciva a rompere il monopolio delle banche popolari, mettendo a disposizione dei cattolici un organismo destinato ad affermarsi e rafforzarsi.
Nell'ambito della vita amministrativa locale l'attività del G. fu fondamentale per portare i cattolici ferraresi alla guida dell'amministrazione cittadina. Entrato per la prima volta in Consiglio comunale nel 1895 con due consiglieri cattolici, nel 1899 fu eletto insieme con altri cinque cattolici, divenuti nove nel 1902. Questi successi trovarono conferma nelle elezioni che si susseguirono fino al 1920, portando infine alla guida del Comune una coalizione clerico-moderata, nella quale appariva determinante il ruolo della componente cattolica.
Sul piano nazionale, intorno alla fine del secolo il G. cominciò ad assumere, in seno all'Opera dei congressi, una posizione critica nei confronti della linea ostinatamente intransigente perseguita dal presidente, il conte G.B. Paganuzzi. Manifestò, invece, attenzione ai fermenti sociali che animavano i gruppi giovanili legati al movimento della democrazia cristiana guidato da R. Murri. In particolare, il G. venne a collocarsi accanto a S. Medolago Albani e G. Toniolo nell'opera di mediazione tesa a costruire un ponte che favorisse il superamento di contrasti giudicati perniciosi per l'unità e la saldezza del movimento cattolico. Questa sua posizione e il prestigio crescente che si era guadagnato in seno alle organizzazioni cattoliche convinsero Leone XIII a nominarlo presidente dell'Opera dei congressi in sostituzione di Paganuzzi.
In realtà, le attese e il compiacimento dei democratici cristiani per questa scelta erano il frutto di un equivoco e soprattutto della convinzione che il G. fosse l'uomo in grado di far proprie e assecondare le aspirazioni dei giovani, mentre nella sua condotta prevaleva il momento della mediazione e del compromesso, non quello delle scelte di campo.
Del resto egli, nel più recente passato, non aveva mancato di manifestare alcune perplessità sullo spirito autonomistico dei circoli democristiani, a suo avviso privi di "disciplina gerarchica e affiatamento vicendevole" (lettera a Toniolo del 5 sett. 1901, in Biblioteca apost. Vaticana, Carteggio Toniolo, doc. 3909). Quanto a Murri, il G., pur non nascondendo il peso che questi avrebbe potuto esercitare nel rinnovamento dell'Opera, riteneva necessario che venisse "guidato e insieme incoraggiato" (lettera a Toniolo, 26 ag. 1901, ibid., doc. 3877).
Il vero elemento di novità che il G. introdusse negli indirizzi dell'Opera dei congressi va ricercato, piuttosto, nell'accettazione dei cosiddetti "fatti compiuti", vale a dire nel leale riconoscimento dell'Unità nazionale e della monarchia sabauda: tale atteggiamento veniva a ribaltare la tradizionale linea dell'intransigentismo cattolico, mantenuta ben ferma nell'arco di un trentennio. Egli, in realtà, prefigurava un orientamento che esprimeva non tanto le aspirazioni delle correnti democratico-cristiane, quanto gli indirizzi che di lì a poco avrebbero trovato spazio e successo attraverso la formula del clerico-moderatismo.
Sull'Avvenire del 12 nov. 1902 il G. auspicava un'Italia forte, prospera e ricca, pacificata con la Chiesa, e nella circolare che inviò ai comitati dell'Opera il 15 dello stesso mese manifestò apertura e collaborazione nei confronti delle istituzioni liberali e nazionali, ponendo la forza del cattolicesimo organizzato quasi a tutela dell'ordine costituito.
La linea del G., comunque, accentuò notevolmente l'opposizione delle correnti intransigenti che non gradivano, tra l'altro, l'appoggio che il presidente sembrava dare ai gruppi democratico-cristiani. Allo scontro si arrivò in occasione del congresso dell'Opera, svoltosi a Bologna dal 10 al 13 nov. 1903, ove prevalsero le istanze democratico-cristiane e uscì sconfitta la linea del vecchio intransigentismo. La reazione degli intransigenti, espressa in un ordine del giorno votato dal comitato generale permanente dell'Opera su proposta di L. Cerutti, non trovò il consenso del nuovo pontefice Pio X, che, attraverso una lettera del card. R. Merry del Val (6 luglio 1904), invitava i cattolici a una maggiore unità d'intenti, riconfermando la fiducia nella presidenza. Il G. si sentì, dunque, autorizzato a proseguire sulla sua linea.
In una circolare del 15 luglio 1904 (redatta in collab. con mons. G. Radini Tedeschi e F. Meda) affermava: "all'infuori di ciò che concerne i diritti imprescrittibili della Santa Sede, i cattolici considerano epoche ed avvenimenti storici, come pietre miliari di un cammino in avanti, gelosi che non venga intralciata l'opera dei viventi da questioni morte nella coscienza nazionale" (Sgarbanti, 1959, p. 354).
A censurare la circolare intervenne però, il 18 luglio 1904, L'Osservatore romano, con una nota nella quale se ne dichiarava inopportuna la pubblicazione. Si trattava di una sconfessione che costrinse il G. a rassegnare le dimissioni. Dieci giorni dopo, Pio X decideva di sciogliere definitivamente l'Opera dei congressi, lasciando in vita soltanto il II gruppo dedicato all'azione economico-sociale. In realtà, agli occhi del papa l'Opera aveva già concluso la sua esperienza con il congresso di Bologna, in cui erano emerse tendenze e posizioni che mal si conciliavano con i nuovi indirizzi del pontificato.
Il G. si trovò così a essere vittima di questa nuova situazione e l'episodio venne vissuto da lui con grande amarezza, tanto da fargli affermare di essere stato "licenziato come un servo ladro" (Albertazzi, 1982, p. 277). Decise, quindi, di abbandonare per il momento le organizzazioni ufficiali cattoliche, per dedicarsi ad altre significative attività.
Nel 1906, a Ferrara, utilizzando il palazzo di famiglia, vi riunì tutte le attività ricreative e sociali cattoliche cittadine (circoli, comitati, scuole ecc.), per costituire una Casa del popolo che divenne centro di attività e di presenza del laicato cattolico ferrarese.
Comunque, dopo lo scioglimento dell'Opera dei congressi, la più importante iniziativa del G. va individuata nella costituzione della Società editrice romana civile per azioni (SER), con il compito di coordinare amministrativamente e redazionalmente i giornali a essa aderenti (i quotidiani Il Corriere d'Italia di Roma, L'Avvenire d'Italia di Bologna, L'Italia di Milano, Il Momento di Torino, Il Messaggero toscano di Pisa, Il Corriere di Sicilia di Palermo); la presidenza venne affidata a F.S. Benucci, il G. fu vicepresidente. Accanto alla SER venne anche creata una Società pubblicità anonima nazionale.
Il trust organizzato dal G. ebbe il merito di svecchiare la fisionomia della stampa cattolica, cercando di adeguarla alle caratteristiche di un giornalismo più vivace e moderno; di fatto vennero migliorati i servizi dei giornali sia dall'interno, sia dall'estero, anche se la revisione delle corrispondenze, degli editoriali e degli articoli, affidata alla sede romana, intralciò notevolmente la vita redazionale dei singoli quotidiani.
In quanto auspicavano una pacificazione del contrasto tra Stato e Chiesa i giornali della SER, definiti "modernizzanti", vennero giudicati antipapali dagli ambienti cattolici intransigenti, che condussero contro di loro un'aspra battaglia, culminata allorquando Pio X, in una lettera all'episcopato lombardo del 1° luglio 1911, ne stigmatizzò il comportamento per il "guasto di giudizio e di disciplina" che provocavano presso i cattolici. Un ulteriore intervento si ebbe con la pubblicazione, il 1° dic. 1912 negli Acta Apostolicae Sedis, di una Avvertenza in cui si affermava che la S. Sede non riconosceva i giornali della SER come "conformi alle direttive pontificie ed alle norme della lettera di Sua Santità all'episcopato lombardo" (2 dic. 1912, p. 695). Il gruppo SER venne riabilitato solo dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, la morte di Pio X e l'ascesa di Benedetto XV al soglio pontificio. In una lettera del 6 nov. 1914, il segretario di Stato, card. P. Gasparri, precisava che l'Avvertenza non aveva "carattere di proibizione": di fatto, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, il Vaticano non voleva apparire troppo vicino alle posizioni filotripliciste sostenute dal giornalismo cattolico intransigente.
Di fronte alle difficoltà che aveva conosciuto la SER, il 16 nov. 1916 il G. decise di liquidarla e di costituire una nuova società, l'Unione editoriale italiana, la quale, comunque, il 30 sett. 1918 fu costretta a sospendere l'attività. Le attività collegate alle imprese editoriali ebbero, per il G., pesanti conseguenze finanziarie, che lo costrinsero a ricorrere anche al proprio patrimonio familiare.
La morte di Pio X segnò anche il ritorno del G. in seno alle organizzazioni ufficiali del movimento cattolico: nel 1915 entrò a far parte del comitato centrale dell'Unione elettorale, divenendone anche vicepresidente; nel 1917 venne nominato consigliere onorario dell'Unione popolare. Inoltre, quale rappresentante della Federazione bancaria italiana fece parte del consiglio dell'Unione economico sociale.
La nascita del Partito popolare italiano (PPI), il 18 genn. 1919, trovò il G. tra i membri della commissione provvisoria che sottoscrisse il programma e l'appello al paese, pur non avendo egli partecipato alle riunioni preparatorie che avevano portato alla decisione di fondare il partito; di fatto egli non si trovò mai in sintonia con le linee del gruppo dirigente popolare guidato da L. Sturzo. Anzi, in più di una occasione il G. non mancò di manifestare il suo dissenso nei confronti degli indirizzi politici del segretario del partito. Tra l'altro, mostrò subito simpatia e attenzione per il nascente movimento fascista. Destò soprattutto scalpore un'intervista da lui concessa ad A. Pozzi nel marzo 1921, nella quale giustificava l'azione squadristica fascista nelle campagne ferraresi come "una crociata per la libertà" (Sgarbanti, 1959, p. 174). Nel 1920 venne nominato senatore del Regno.
La sua attività in Senato fu, tuttavia, limitata e di scarso rilievo. Il 22 nov. 1922 venne chiamato a far parte della commissione incaricata dello studio del disegno di legge per i pieni poteri in materia finanziaria al governo Mussolini e, il 27 giugno 1924, della commissione permanente che doveva istituire l'Alta Corte di giustizia dopo il delitto Matteotti.
Il suo dissenso nei confronti della linea antifascista di Sturzo e di una possibile alleanza tra popolari e socialisti lo portò progressivamente al distacco dal PPI.
In una lettera indirizzata a Sturzo il 18 sett. 1922, il G., insieme con altri senatori popolari, condannava l'atteggiamento assunto dal partito e ammoniva la direzione a evitare "connubi ripugnanti ai principi sacri e necessari della vita politica e sociale" (Jacini, pp. 303-307).
Convinto ed entusiasta sostenitore del governo Mussolini, il G. si adoperò anche per avviare contatti tra il nuovo capo del governo e ambienti cattolici, promuovendo un incontro tra B. Mussolini e il card. Gasparri, in casa del conte C. Santucci, per affrontare i problemi della questione romana e la situazione critica del Banco di Roma. La sua uscita ufficiale dal partito avvenne all'indomani della votazione sulla legge Acerbo alla Camera (luglio 1923), allorché si dimise, insieme con altre significative personalità cattoliche quali F. Crispolti e Santucci, in segno di protesta per l'espulsione dal partito dei nove deputati popolari che avevano violato la disciplina di gruppo votando a favore del provvedimento, e per la dichiarazione del consiglio nazionale che affermava che Il Corriere d'Italia non poteva più essere considerato aderente al partito. Il successivo 1° ag. 1923 il G. ebbe un incontro con Mussolini.
Spiegando i motivi delle sue dimissioni in un'intervista concessa al Corriere italiano dell'11 ag. 1923, il G. precisava che le ragioni del suo dissenso erano "di antica data", e che si era ritirato quando gli era parso "definitivamente chiaro, alla luce degli ultimi avvenimenti parlamentari e interni del partito, che questo manteneva e accentuava il suo atteggiamento confuso e incerto, in luogo di quello che le condizioni del paese esigevano".
Alla vigilia delle elezioni del 1924, insieme con 150 personalità cattoliche, fu tra i firmatari di un manifesto, redatto da Crispolti, nel quale si dava completo appoggio alla lista nazionale, e si riaffermava il proposito di collaborare con il governo Mussolini. Questo documento fu la premessa alla costituzione a Bologna, il 12 ag. 1924, del Centro nazionale italiano, raggruppamento cattolico fiancheggiatore del fascismo, che si proponeva di contribuire alla pacificazione interna e alla difesa e valorizzazione sul terreno politico del principio religioso, e riassumeva il proprio programma nella formula "Dio e Patria, la Religione e la Patria, la Chiesa e lo Stato". Il G. fece parte sia della commissione provvisoria che diede vita al Centro, sia, successivamente, del comitato centrale.
Il Centro ebbe vita stentata e un peso politico irrilevante, non riuscendo mai ad assumere la fisionomia di partito organizzato; costituì soprattutto un gruppo di fiancheggiamento e avallo cattolico al regime fascista. La sua esperienza si concluse con lo scioglimento avvenuto formalmente ai primi di luglio 1930.
Negli anni del primo dopoguerra il G. aveva continuato a svolgere un'intensa attività nel settore creditizio. Presidente del Piccolo Credito romagnolo fino al 1916, divenne successivamente presidente del Piccolo Credito di Ferrara, sino al 1928. Insieme con G. Vicentini ebbe il controllo del Credito nazionale, l'organismo finanziario che faceva capo alla Federazione bancaria italiana, che raccoglieva le banche cattoliche. Fu anche consigliere del Banco di Roma dal 1919 al 1921, allorché venne sostituito dal ferrarese E. Bonfiglioli.
La crisi che investì gli istituti bancari cattolici alla fine degli anni Venti, travolgendo il Credito nazionale e provocando lo scioglimento della Federazione bancaria italiana, colpì duramente anche il Piccolo Credito ferrarese che, nel novembre 1928, fu messo in liquidazione insieme con le società di emanazione e con le società collegate. Questa crisi cancellava dall'area ferrarese tutto l'apparato economico di derivazione cattolica, che aveva avuto nel G. il suo realizzatore e la guida più significativa. Per onorare i suoi impegni egli fu costretto a spogliarsi di tutti i suoi averi, ritirandosi, nel gennaio 1929, ad Assisi presso l'orfanotrofio Ancajani-Mancurti. Compatibilmente con il suo stato di salute, continuò a partecipare ai lavori del Senato.
Il G. morì ad Assisi il 21 febbr. 1937.
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