FANTUZZI, Giovanni
Nacque a Bologna intorno al 1340 da Pietro di Fantuzzo e da Miata Gozzadini. Ebbe un fratello, Fantuzzo, probabilmente di poco maggiore d'età ed almeno tre sorelle, Minocia, Orsolina e Margherita. Qualche anno dopo, nel 1348, nel primo infuriare della peste nera, il padre moriva, ma sull'esistenza degli orfani stese la sua protezione una complessa struttura familiare, formata dai fratelli, almeno cinque viventi al momento, del padre defunto. Nella vicenda del F., come d'altra parte per quella della grande maggioranza degli uomini di questo periodo, l'istituto familiare rivelava così la sua preminente importanza.
La famiglia aveva tratto origine e nome da un certo Fantuzzo di Guido. Dalla Ca' de' Fabbri, una località della pianura bolognese inserita allora nel Comune di San Marino, egli doveva essersi trasferito in città verso la metà del sec. XIII, fissando la propria residenza nella "cappella" di S. Maria della Mascarella. Il luogo non era stato scelto a caso. La cappella di S. Maria della Mascarella si trovava sulla direttrice che dal centro cittadino portava al territorio del Comune di San Marino. In questo territorio Fantuzzo e, dopo di lui, tutti i suoi discendenti, con una serie di investimenti immobiliari non disgiunti da accorte misure atte ad assicurare loro la benevolenza degli abitanti, acquisirono progressivamente estese proprietà terriere. L'ubicazione della cappella di residenza si rivelò quindi estremamente funzionale e per oltre un secolo i discendenti di Fantuzzo non vollero allontanarsene, occupando, con l'aumentare dei componenti, una serie di edifici più o meno contigui.
Da due figli di Fantuzzo, Guido e Riccardo, derivarono due distinti rami della famiglia. I discendenti di Riccardo e del figlio di questo, Giovanni, si suddivisero, a partire dalla terza generazione, in vari ceppi familiari. I loro membri, a causa soprattutto delle numerose ripartizioni del patrimonio ereditario, non raggiunsero subito posizioni di particolare rilievo. Molti di essi trovarono peraltro nell'esercizio della professione notarile uno strumento atto ad assicurare loro, nel corso dell'intero secolo XIV ed oltre, una progressiva e sicura ascesa.
Più rapidamente toccata dal successo, ma anche da una crisi estremamente grave fu invece la vicenda del ramo di Guido, il bisavolo del Fantuzzi. L'affermazione di Guido sul piano economico e politico era stata particolarmente brillante. Membro fin dal 1269 della più prestigiosa corporazione cittadina, quella dei notai, aveva raggiunto nel 1287 la dignità di anziano. Sembra inoltre che egli, più che all'esercizio della professione notarile, dedicasse la propria attenzione a quella, più remunerativa, di mercante. Alla sua morte, avvenuta nel 1299, i figli Pietro e Fantuzzo ereditavano una posizione di tutto prestigio ed una solida base economica che ne facilitarono l'ulteriore affermazione.
Nel 1307 Pietro moriva lasciando solo tre figlie ancora in tenera età. Nel testamento egli assicurava loro, con appositi legati, una dote dignitosa, ma istituiva eredi del suo patrimonio il cugino Giovanni, l'unico figlio di Riccardo, ed il fratello Fantuzzo. Quest'ultimo veniva così a riunificare quasi interamente il patrimonio paterno ed alla sua morte, avvenuta nel dicembre del 1328, egli lasciava una casa ricca non solo di una decina di figli maschi, ma anche di un complesso di beni, valutati all'estimo 5.000 lire. Tra i figli di Fantuzzo soltanto cinque si sposarono e di essi solo uno, Pietro, ebbe discendenti maschi: il F. e Fantuzzo.
I due fratelli, dal 1349 per mezzo dello zio Caccianemico, loro tutore, quindi, a partire dal 1356, con l'ausilio di vari curatori, provvidero alla gestione del patrimonio via via ereditato: una comunione di beni che durò a lungo, ben oltre il raggiungimento della loro maggiore età. Quale fosse la reale consistenza di tale patrimonio non è possibile indicare con sicurezza. Che tuttavia si trattasse di un insieme di beni di notevole estensione può dedursi dal contenuto di un atto notarile del 26 luglio 1362 con il quale il F. e Fantuzzo procedettero alla divisione dei beni che erano ancora in comunione con gli zii. A seguito di tale divisione essi ottennero la piena proprietà, oltre che di una casa di notevoli dimensioni e di pochi altri edifici e casupole nella cappella di S. Maria della Mascarella, di una ventina di appezzamenti di terra, alcuni dei quali provvisti anche di abitazioni ed edifici per i coloni, quasi tutti ubicati nella zona tra San Marino e Santa Maria in Duno.
Colla maggiore età le vicende dei due fratelli assunsero caratteristiche sempre più distinte, anche se, oltre alla comunione dei beni ereditari, sembra che essi abbiano mantenuto anche la comunanza dell'abitazione. Dal 1375 ambedue risultano infatti aver abbandonato la vecchia casa nella cappella di S. Maria della Mascarella per una nuova casa nella cappella di S. Michele dei Leprosetti, con un cambiamento anche del quartiere, da porta Piera a porta Ravegnana. Dalla cappella di S. Maria della Mascarella, certamente comoda per i collegamenti con le proprietà nel contado, ma con una forte componente di abitanti a basso reddito ed estremamente periferica, i due fratelli erano passati così ad una cappella molto più centrale, strettamente a ridosso del trivio di porta Ravegnana, in una zona che annoverava alcune delle famiglie di più antico blasone e di più forte influenza, come quella dei Gozzadini. Il trasferimento della residenza era quindi il riflesso di una modifica della posizione sociale.
Che tra i Fantuzzi vi fosse stato fin dall'origine un notevole interesse per gli studi giuridici è più che certo. Il bisavolo del F., Guido, aveva raccolto, e non a fini commerciali, un buon numero di libri di diritto. Approssimandosi la fine della vita si era fatto premura di trasmetterli a quello dei figli che mostrava maggior disposizione per la materia, Fantuzzo, il nonno del Fantuzzi. D'altra parte gli studi di notariato avevano attratto non solo i discendenti dell'altro ramo dei Fantuzzi, ma anche i più stretti parenti del Fantuzzi. Notai erano infatti almeno tre degli zii e lo stesso fratello, che portava il nome del nonno e che era diventato notaio nel 1367. Si deve inoltre ricordare che sia uno zio, Giacomo, sia il nonno Fantuzzo avevano acquistato una notevole preparazione giuridica, tanto che, pur senza giungere al titolo di dottore, essi avevano legittimamente fatto uso della qualifica di giurisperito. Con questi precedenti era quasi inevitabile che qualcuno della famiglia compisse il passo decisivo, e fu il F. a compierlo.
Verso l'anno 1370 - la data è soltanto induttiva - primo della sua famiglia, il F. ottenne il titolo di dottore in utroque iure e nell'aprile del 1372 venne aggregato al Collegio dei dottori. Questo organo formato da un ristretto numero di dottori cittadini deteneva il reale controllo delle concessioni delle licenze dello Studio. Farne parte significava essere ascritti non solo alla più elevata categoria sociale, ma anche ad un ristretto gruppo privilegiato, legato a filo doppio ai centri del potere politico ed economico. Da questo momento l'esistenza del F. si snodò attraverso le tappe di una progressiva e sicura ascesa. Alle affermazioni nell'ambito dello Studio si intrecciarono quelle della sua vicenda politica e della stessa vita privata.
Quali materie il F. abbia inizialmente insegnato non è dato ora conoscere. L'appartenenza al Collegio dei dottori presupponeva almeno un triennio di insegnamento, ma la norma veniva non poche volte disattesa. Scarsamente significativa è quindi la circostanza che le prime testimonianze a tale proposito risalgano solo all'anno 1376, quando risulta incaricato della lettura delle Decretali. Il suo campo d'applicazione era e rimase sempre il diritto canonico, alternando alla lettura delle Decretali quella del Libro sesto e delle Clementine, di cui venne incaricato durante gli anni 1383-1386. Il Diplovataccio afferma che il F. ebbe ampia e meritata fama di insegnante. Egli ne ricorda anche alcune opere, tra cui i commenti al Libro sesto ed alle Clementine; ma la sua fama è legata soprattutto al commento del Decreto, del quale restano tuttora alcuni testi manoscritti. Restano anche diversi consilia, stilati per lo più unitamente ad altri dottori dello Studio.
Accanto e forse più che l'attività di insegnante, al prestigio del F. dovette peraltro contribuire l'opera svolta quale componente del Collegio dei dottori. Nel periodo in cui egli ne fece parte il Collegio assunse infatti posizioni estremamente decise nella difesa della propria autonomia. Ciò lo portò, da un lato, ad inasprire i termini dell'annoso contrasto con l'autorità dell'arcidiacono della Chiesa bolognese, cui formalmente competeva la concessione dei gradi accademici e, dall'altro, ad accentuare la tendenza a trasformarsi in un corpo sempre più ristretto ed esclusivo. Risalgono a questi anni ed in particolare al 1380 ed al 1382 gli episodi di più smaccato favoritismo nei confronti di figli e congiunti di dottori collegiati, che vennero aggregati anch'essi al Collegio ed in un caso, addirittura, ancor prima di aver ottenuto il titolo di dottore. A cementare poi la unitarietà dei componenti del Collegio, la tutela dei loro interessi materiali venne a rivestire un peso preponderante nelle delibere assunte. Il F. non fu certamente l'unico né il principale responsabile di queste decisioni. È tuttavia indubbio che egli ne fu pienamente partecipe. La sua adesione alle posizioni del gruppo dominante nello Studio e nella città costituisce in fondo la nota più caratteristica della sua personalità e di essa si colgono tracce non solo nella sua attività pubblica, ma in certa misura anche nella stessa vicenda familiare.
Nel 1373, ad un anno dalla aggregazione al Collegio dei dottori, il F. prese in moglie Margherita Bianchetti, appartenente ad una famiglia di buona notorietà e di posizioni più che agiate. La dote che ella recava, 700 lire, non era disprezzabile; ma altrettanto importante dovette essere il fatto che con quella unione il F. diveniva cognato di un altro dottore del Collegio, più anziano e famoso, Antonio de' Presbiteri. Il matrimonio ebbe tuttavia breve durata. A poco più di un anno di distanza, Margherita morì, senza che dall'unione fossero nati figli. Nel dicembre del 1374 Giovanni si risposò con Nicolosa, figlia di Pietro Malapresi da Lucca, che gli recò la più che consistente dote di 1.000 fiorini d'oro. Ma anche questa seconda unione, che durò fino alla morte del F., fu sterile. La mancanza di figli, unitamente all'antica consuetudine di vita, rese così ancora più stretti i rapporti del F. con il fratello Fantuzzo ed i figli di questo.
Si compiva frattanto, nel 1376, un profondo mutamento nella situazione politica bolognese. Una rivolta, appoggiata da Firenze e che vide un'ampia partecipazione dei componenti delle corporazioni cittadine, cacciò il legato pontificio restaurando le forme dell'autonomia comunale. Si aprì così il periodo che venne detto della "Signoria del popolo e delle arti". Si rinnovarono gli antichi organi collegiali e il F. entrò nel Consiglio dei cinquecento per il quartiere di Porta Ravegnana. Non era una posizione di particolare rilievo. Bastava comunque a qualificarlo come sincero aderente al nuovo ordinamento. Più che gli avvenimenti politici sembra peraltro che in questo periodo gli interessi del F. si rivolgessero, oltre che all'insegnamento, ad attività professionali o di rappresentanza, preferibilmente in rapporto con autorità ecclesiastiche. Presenziò così nel 1378 alle cerimonie particolarmente solenni che accompagnarono la concessione dei primi dottorati a studenti del collegio fondato da Gregorio XI e poco dopo alla stesura dell'accordo tra il vescovo di Bologna e gli abitanti di Pieve di Cento circa la questione delle decime. Diversi atti notarili testimoniano in questi anni l'incremento del suo patrimonio ed il proseguimento della comunione di beni e di interessi con il fratello Fantuzzo.
Col 1380, quando gli aspetti più aspri del contrasto tra Bologna e la S. Sede si erano ormai appianati ed il più illustre dei dottori dello Studio, il canonista Giovanni da Legnano, era stato nominato già da alcuni anni vicario pontificio per la città, anche l'impegno pubblico del F. venne acquistando un più incisivo rilievo. Nel giugno di tale anno ricoprì la dignità di anziano ed in questa veste dette un contributo essenziale alla soluzione di una vertenza che opponeva il Comune di Bologna al conte Alberto di Magone per l'acquisto del castello di Bruscoli. Nel luglio successivo affrontò insieme con l'altro dottore Francesco Ramponi il suo primo incarico esterno. Fu inviato infatti a cercare un accordo con Astorre Manfredi, signore di Faenza, che aveva occupato alcuni centri del contado imolese, sui quali Bologna rivendicava la propria signoria. L'anno successivo fu nominato componente del Collegio dei riformatori dello Studio: un ufficio di emanazione degli Anziani, incaricato di sovrintendere a quella che era la più famosa attività cittadina.
Si intensificarono contemporaneamente le operazioni finanziarie del F., condotte quasi sempre insieme con il fratello Fantuzzo. Esse mostrano di obbedire ormai ad un disegno ben preciso e perseguito con coerenza: cedere le proprietà minori, sparse in città e nel contado, al fine di incrementare e collegare tra di loro le più complesse unità produttive già possedute nel territorio di San Marino e di Santa Maria in Duno. E questo piano trovò un aiuto non secondario, ancora una volta, negli apporti del gruppo familiare. Nel dicembre del 1384 lo zio Bernardo, seguendo l'esempio dei fratelli, designava unici eredi dei propri beni i nipoti Giovanni e Fantuzzo.
All'aprirsi del 1385 il F. ricoprì nuovamente la dignità di anziano. Nel luglio dello stesso anno fu mandato a Milano, unitamente ancora una volta a Francesco Ramponi, quale ambasciatore del Comune per definire i termini di un'alleanza con Gian Galeazzo Visconti, il conte di Virtù. L'incarico era indubbiamente prestigioso ed è una chiara testimonianza della stima di cui il F. godeva ormai presso gli organi cittadini. È naturale quindi che anche negli anni successivi egli sia stato chiamato ad assolvere impegni altrettanto prestigiosi. Così avvenne nel luglio del 1386. I Comuni di Firenze, Arezzo e Siena avevano designato il Comune di Bologna quale arbitro di una vertenza circa la giurisdizione su alcuni castelli del territorio di Lucignano. Il Consiglio dei quattrocento aveva attribuito il potere di esaminare la questione e di pronunciarsi ai Collegi degli anziani, dei gonfalonieri e dei massari delle arti. Questi, pressati da altre incombenze o, più facilmente, ritenendosi impari a tale compito, demandarono l'intera questione ad una commissione composta da quattro dottori dello Studio. Il F. fu uno di questi. Nel dicembre dell'anno successivo gli Anziani lo inclusero ancora in un'altra commissione, inviata, in questo caso, dal Comune bolognese a trattare col marchese d'Este la definizione dei rispettivi diritti.
In tutti questi incarichi un ruolo determinante lo avevano indubbiamente rivestito la sua qualifica di dottore dello Studio e la sua fama di esperto di diritto. Nell'assolvimento di essi egli doveva peraltro aver dato prova di unire alle conoscenze giuridiche anche una certa dose di sagacia politica. Ciò può spiegare il fatto che nel 1389, ancora insieme con Francesco Ramponi, egli venne nuovamente inviato a Milano, presso il conte di Virtù. Erano gli stessi dottori che quattro anni prima erano stati incaricati di definire i termini dell'alleanza ed anche questa circostanza doveva aver avuto un certo peso. Questa volta tuttavia l'incarico era molto più delicato e difficile. Al Comune di Bologna non sfuggiva che il conte di Virtù stava volutamente esasperando i toni di un contrasto di per sé irrilevante. I dirigenti bolognesi, cui premeva di non inimicarsi il signore di Milano, avevano dato ampio mandato ai propri rappresentanti al fine di giungere comunque ad un accordo; ma a Gian Galeazzo Visconti l'accordo non interessava. Le profferte di pace ed i discorsi sicuramente ben preparati e forbiti dei due dottori dello Studio non ottennero alcuna risposta. Con un evidente insuccesso Francesco Ramponi e il F. dovettero perciò fare ritorno a Bologna.
È questo l'ultimo incarico affidato al F. di cui si è trovata testimonianza. Più che la sfortunata conclusione della missione a Milano, a determinare il suo distacco dall'azione politica deve tuttavia essere stato il comportamento del fratello Fantuzzo. Nel dicembre del 1389 questi si trovò coinvolto in una oscura azione, volta a favorire proprio il conte di Virtù. Il complotto, che vedeva la partecipazione, tra gli altri, del celebre dottore Bartolomeo da Saliceto, venne presto scoperto ed i principali imputati furono condannati al confino. Tra questi, trattovi dal contenuto di alcune lettere, vi fu anche Fantuzzo. A suo favore si prodigarono, nota un cronista, "buoni amici" ed il loro intervento valse probabilmente ad attenuare la condanna. Il complotto, per la rinomanza dei partecipanti e per i legami col signore di Milano, doveva aver destato peraltro notevole scalpore ed è quindi probabile che, di riflesso, esso venisse ad influire anche sul F., i cui legami con il fratello erano sempre stati e continuarono ancora ad essere molto stretti.
Il F. proseguì comunque la sua attività di insegnante e di membro del Collegio dei dottori: quasi un ripiegare in un ambiente a lui ben congeniale e certamente meno complesso e difficile di quello dell'azione politica. Non è neppure da escludersi che cominciassero a manifestarsi già i primi sintomi di un precoce declino. La morte lo colse infatti poco tempo dopo, il 26 maggio 1391. Venne sepolto nell'arca che i Fantuzzi possedevano nella chiesa di S. Giacomo.
Della sua scomparsa, fatto non unico ma abbastanza eccezionale, reca notizia il Libro segreto delle adunanze del Collegio dei dottori: indice che il generale compianto ivi attestato non doveva essere di pura circostanza. Nel testamento, redatto il 4 maggio precedente, il F. aveva designato eredi dell'intero patrimonio i figli maschi del fratello Fantuzzo. La coesione familiare dei Fantuzzi si manifestava così, ancora una volta, in tutta la propria determinante coerenza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Archivio Fantuzzi-Ceretoli, bb. II, LL, MM; S. Trinità, b. 1/3612; S. Domenico, b. 17/7351; Comune, Governo, Provigioni in capreto, vol. I, c. 309; vol. III, cc. 40, 44v-45; Elezioni per i Consigli del Comune, Consiglio dei cinquecento, a. 1376, Ufficio dei Memoriali, vol. 96, c. 18; vol. III, c. 39; vol. 244, cc. 75v-76; vol. 254, c. 135v; vol. 256, cc. 210v-211; vol. 260, c. 38v; vol. 269, cc. 333v-334; vol. 270, cc. 75-77; vol. 276, c. 277; vol. 284, c. 23; vol. 304, c. 193; vol. 305, c. 27; vol. 312, c. 7; Ufficio dei provvisori serie pergam., b. 17, Reg. di Giovanni di Lorenzo, 18 luglio e 26 nov. 1349; seriecart., reg. 65, 23 genn. 1339; reg. 120, 23 ott. 1344; reg. 409, 28 febbr. 1373; reg. 428, 20 dic. 1374; reg. 486, 13 apr. 1380; reg. 488, 21 e 23 apr. 1380; reg. 491, 19 apr. 1380; reg. 493, 23 ott. 1380; reg. 495, 9 e 1:6 nov. 1380; reg. 580, 2 maggio 1391; Notarile, Testamenti, vol. A, c. 137; vol. B, c. 140; Notarile, Paolo Cospi, reg. 24, c. 57, e reg. 39, c. 94; Società dei notai, reg. 22, passim; Studio Alidosi, Vacchettini, 4, cc. 4 e 8; 16, cc. 22 e 23; 34, c. 13; 72, c. 16; 454, c. 21, 494, c. 4; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XVIII, 2, a cura di L. Frati-A. Sorbelli, p. 83; Corpus chronicorum Bononienaum, ibid., XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. 390, 398; I rotuli de lettori legisti e artisti dello Studio bolognese, a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, pp. 3-6; IV, ibid. 1924, pp. 4-15; Chartularium Studii Bononiensis, Bologna 1909, 11, IV, a cura di L. Nardi-E. Orioli, VI, a cura L. Frati, ad Indices; "Liber secretus iuris caesarei" dell'Univ. di Bologna, a cura di A. Sorbelli, I, Bologna 1938, ad Indicem; T. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis, II, a cura di F. Schulz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, Bologna 1968, p. 324; Chartularium Studii Bononiensis S. Francisci (secc. XIII-XVI), a cura di C. Piana, Firenze 1970, p. 133; C. Piana, Nuovi doc. sull'Univ. di Bologna e sul Collegio di Spagna, I-II, Bologna 1976, ad Indicem; Liber sive matricula notarioruni Comunis Bononie (1219-1299), a cura di R. Ferrara-V. Valentini, Roma 1980, pp. 274, 478, 518 (per la famiglia); G. N. Pasquali Alidosi, Li dottori bolognesi di legge canonica e civile..., Bologna 1620, p. 106; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, II, Bologna 1657, ad Indicem; P. S. Dolfi, Cronol. delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, pp. 299-300; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 292-296; A. Padovani, Studi stor. sulla dottrina delle sostituzioni, Milano 1983, p. 313; G. Roversi, Palazzi e case nobili del '500 a Bologna. La storia, le famiglie, le opere d'arte, Bologna 1986, p. 85; Nuovo Digesto Italiano, V, p. 900; Novissimo Digesto Italiano, VII, p. 80.