BOCCARDI, Giovanni e Francesco
Miniatori. Il Vasari nelle Vite accenna soltanto a Giovanni B. e lo dice Boccardino Vecchio per distinguerlo dal figlio Francesco che, come il padre, coltivò l'arte della miniatura. I documenti d'archivio offrirono in seguito alcune poche altre notizie. Da esse si rileva che Giovanni Boccardi nacque in Firenze nel 1460, e che apprese l'arte nella bottega di Zanobi di Lorenzo, cartolaio e miniatore. Nei suoi lavori più delle scene figurate è pregevole la parte ornamentale, che non manca anche di una certa originalità nella ricerca di alleggerire per quanto possibile, ricorrendo a motivi ispirati alla natura vegetale, quei fregi che Gherardo o Attavante, per far pompa di ricchezza, avevano finito per rendere pesanti. Le sue immagini invece si rassomigliano tutte, sono in genere mal costruite, ostentano gesti espressivi che rasentano il grottesco, appaiono meschine e ottuse nelle espressioni. Questi caratteri proprî di G. B., permettono di riconoscerlo in lavori suoi non particolarmente indicati dai documenti. Tra i primi da lui eseguiti, il Milanesi ricorda alcune storie apposte nel 1486 nel nuovo Salterio di Sant'Egidio. Negli anni che seguono, l'artista fu occupato a decorare varî codici della biblioteca Medicea, dei quali non pochi dovevano in origine essere stati commessi da re Mattia Corvino. Oggi quasi tutti questi volumi recano gli emblemi e lo stemma del cardinale de' Medici, non diversi gran fatto nella decorazione dagli altri volumi che il B. stesso eseguì più tardi per il medesimo cardinale, divenuto pontefice: Leone X. A partire dal 1509, e a più riprese fino al 1523, il B. lavorò per Montecassino in compagnia del figlio, di maestro Matteo da Terranova e di Loise da Napoli, né è difficile distinguere la sua mano negli antifonarî della biblioteca del monastero. Ma nello stesso periodo attese anche ad altri lavori per Firenze; tra il 1511 e il 1518 miniava per l'Opera del duomo, nel 1514 per San Lorenzo, e in anni non precisabili per la Badia fiorentina, per Santo Spirito, per Vallombrosa, e con ogni probabilità nel 1538 per Santa Maria dell'Impruneta. Venuto in fama, G. B. fu chiamato anche in altri centri d'Italia: nel 1518 lo troviamo a S. Pietro di Perugia; nel 1519 è occupato per l'Opera del duomo di Siena, mentre in un tempo forse anteriore possiamo stabilire una sua permanenza ad Aquila.
Una delle ultime opere sue, quella che più testimonia dell'estimazione in cui fu tenuto dai suoi concittadini, è lo splendido esemplare delle Pandette in tre volumi, a lui commesso nel 1526 dalla Signoria di Firenze: squisita opera decorativa, conservata oggi nella Biblioteca nazionale di Firenze.
Francesco B., collaborò col padre nei corali di Montecassino. Più tardi, nel 1528, lo troviamo occupato con Matteo da Terranova a Perugia, e sempre accanto a quella del padre Giovanni, è da riconoscere la sua mano in un prezioso officiolo della biblioteca Corsiniana di Roma. Per quanto muova da quello paterno, egli presenta pure caratteri schiettamente suoi: Giovanni, anche nelle opere eseguite nel sec. XVI inoltrato, rimane sempre un quattrocentista, egli invece cerca un'ampiezza che ravvicini in certo modo la miniatura alla grande arte pittorica del Cinquecento: donde la gonfiezza barocca delle figure, la contorsione degli atteggiamenti, le forti ricerche del chiaroscuro. L'operosità di F. B. dovette essere assai rilevante fino al 1547, anno della sua morte. (V. tav. XLIII).
Bibl.: P. D'Ancona, La miniatura fiorentina, Firenze 1914, I (con la bibl. prec.); U. Gnoli, Pittori e miniatori nell'Umbria, Spoleto 1923.