CHIONIO, Giovanni Domenico
Nato a Monastero di Lanzo, presso Torino, nel 1703, era figlio primogenito del notaio Giovanni Battista e di Anna Torreno. Frequentò a Torino la facoltà di teologia, seguendo i corsi del tolosano Pierre Sévérac e di Giuseppe Pasini, due dei più prestigiosi teologi dell'ateneo torinese, e si laureò il 18 luglio 1726. Poco dopo entrò a far parte del collegio della facoltà. Con regia patente del 27 ag. 1731 venne designato professore sostituto di retorica nella facoltà delle arti e qualche anno dopo (r. pat. 29 ott. 1735). Ottenne, come ordinario, la cattedra di eloquenza latina, che avrebbe conservato fino alla morte. Nel 1737, allorché venne istituito il collegio della facoltà delle arti, ne entrò a far parte. Poco dopo riceveva gli ordini sacri.
Il C. fu il primo piemontese chiamato a occupare la cattedra di eloquenza latina dopo la riforma universitaria degli anni Venti. Succedeva a Bernardo Andrea Lama e a Girolamo Regolotti che, insieme ai molti professori stranieri delle facoltà torinesi, seppero dare al primo decennio di vita dell'ateneo riformato una straordinaria vivacità ed un carattere internazionale.
La nomina del C. alla cattedra di eloquenza latina coincise con un periodo di generale riflusso nelle iniziative culturali del decennio precedente. Per la facoltà delle arti questi anni corrisposero però ad un'importante fase di sperimentazione didattica e di potenziamento delle strutture. Con l'istituzione voluta da Vittorio Amedeo II di una rete di scuole statali di grammatica, umanità e retorica in tutto il paese (il cui regolamento disciplinare e didattico era stato composto, con spirito illuminato, dal Lama), che fácevano capo all'ateneo torinese per la formazione dei maestri, gli insegnanienti umanistico-retorici della facoltà vennero infátti coinvolti in un'operazione politico-culturale di grande interesse. La facoltà fu così indotta a intervenire sulle strutture inadeguate e ad adottare, seppur con molta cautela, formule didattiche, più moderne. Non fu in realtà molto più che un adekuamento ad orientamenti culturali affermatisi in Italia da alcuni decenni. L'insegnamento dell'eIoquenza latina continuò a fondarsi sull'imitazione dei grandi retori del passato e sull'adesione a regole ricavate soprattutto da Quintiliano. La rivalutazione dei classici dell'età dell'oro evitò tuttavia almeno gli eccessi del gusto barocco.
Mediocre latinista, fedele imitatore dello stile ciceroniano, il C. svolse onestamente il suo lavoro di insegnante per oltre trentacinque anni. Istintivamente ostile alla sovrabbondanza dello stile barocco ed influenzato dalla semplicità graviniana, di cui erano stati fautori il Lama e il Regolotti, egli non seppe però riempire di contenuti nuovi, di profonda cultura le sue Orazioni. Rimase infatti sostanzialmente estraneo alle novità che si dibattevano intomo a lui e soprattutto fuori del Piemonte, sull'importanza ed il ruolo dell'imitazione nello studio della retorica e della lingua latina, sulla necessità di introdurre l'italiano nelle scuole come lingua preminente, sull'importanza di uno studio storico della latinità e sull'introduzione di discipline ausiliarie.
Un saggio del tipo di insegnamento impartito dal C. nelle aule universitarie lo ricaviamo dalla raccolta di exercitationes pubblicate nel 1735, che dovevano servirgli come testo base nella sua attività didattica. Il De Romanis antiquitatibus exerct . tationes acadeinicae Victorio Amedeo Augustissimo, Sabaudiae Duci nuncupatae, di poco più di duecento pagine in 80 (Augustac Taurinorum 1735) è diviso in tre parti corrispondenti a tre distinti esercizi letterari. In una nota finale l'autore spiega che queste exercitationes furono tenute nell'ateneo ticinese, rispettivamente nell'agosto 1732, 1733 e 1734, da gruppi di studenti della classe di retorica della facoltà delle arti.
Ciascuna esercitazione è distinta in tre o quattro dialoghi tra studenti su argomenti relativi all'antico mondo romano, preceduti da brevi prefazioni esplicative del professore. La prima exercitatio è sulle origini e sulle fasi politiche della civiltà romana; la seconda è sulla romanorum religio;la terza tratta di altri problemi riguardanti romanae antiquitates ("de magistratibus, an monarchia praestet aristocratiae et democratiae, de interitu romanae reipublicae eiusque causis, de imperatore, maiestate"). Nei dialoghi uno studente fimge in genere da narratore e gli altri pongono quesiti e forniscono chiarimenti, mostrando una buona conoscenza degli storici e poeti latini ma scarso spirito critico.
Come professore di retorica dell'ateneo il C. venne spesso incaricato di celebrare ufficialmente gli avvenimenti fasti e nefasti del regno. Così nel 1743 ebbe l'incarico di scrivere l'orazione funebre per l'arcivescovo di Torino Francesco Arboreo Gattinara (In funere viri praeclarissimi Francisci Arborei Gattinarae Archiepiscopi Taurinensis ... ) e nel 1745 tenne le orazioni nel corso dei solenni funerali che furono celebrati nell'università per la morte del marchese d'Ormea e per le esequie del marchese Zoppi (orazioni mai date alle stampe). Sono invece pubblicate le orazioni lette nell'ateneo per il compleanno del sovrano e le prelezioni inaugurali dell'anno accademico. Esse furono raccolte dai nipoti Giacomo Francesco Domenico e Placido Ignazio e date alle stampe nella. tipografia regia dopo la morte dello zio (Ioannis Dominici Chiomilatinae eloquentiae professoris... Orationesde laudibus Caroli Emanuelis et de rationestudiorum habitae in R. Taurinensi Atheneo, I-II, Taurini 1775). Il primo volume, di oltre 400 pagine, in 8°, contiene diciotto orazioni scritte in die natali di Carlo Emanuele III tra il 1734 ed il 1768, di stile ciceroniano e di carattere puramente encomiastico. Il secondo tomo, di quasi 400 pagine in 8°, contiene diciassette orazioni, scritte tra il 1735 ed il 1768, che risultano complessivamente più interessanti.
Si tratta infatti di una raccolta di prolusioni ai corsi universitari di retorica. Accanto ai motivi tradizionali di formale difesa dell'eloquenza e della sua utilità civile troviamo espressi i propositi culturali e gli indirizzi didattici del professore. Egli sottolinea l'importanza degli esempi, che si ricavano dalla lettura dei grandi retori del passato - prima di tutto di Demostene e Cicerone -, dei poeti dell'età aurea e degli storici più affini al genere oratorio (Livio, Sallustio, Nepote, Cesare). Sostiene un insegnamento fondato sull'imitazione, in cui la pratica prevalga sullo studio delle regole della retorica. Affronta, ma in modo assai rozzo e superficiale, i temi filosofici del nosce Deum, nosce te ipsum e nosce alios, considerati in funzione di un miglior apprendimento e di un'ottimale utilizzazione dell'arte retorica.
L'ultima orazione (De ratione studiorum Oratio ... ), che ha per tema le promozioni di toga concesse dal re in quell'anno ad illustri piemontesi, era già stata pubblicata a Milano nel 1769 per volontà dell'abate Domenico Soresi, che ritenne lo stile terso ed elegante dell'orazione degno delle stampe.
Il C. mori a Torino il 28 aprile del 1770.
Il collega Goffredo Antonio Franzini, che gli succederà alla cattedra di eloquenza latina, ne scrisse l'orazione funebre, letta dinanzi a tutto il corpo accademico e poi data alle stampe a Torino (In funere clarissimi viri I. D. Chiomi... oratio habita in D. Mariae IV ...).
Fonti e Bibl.: Sulle vicende personali e farniliari del C. cfr. il testamento in Arch. di Stato di Torino, Sez. riunite, Insinuazione, 1770, lib. 5, c. 1010; Torino, Bibl. naz., A. Manno, Ilpatriziato subalpino, VII(datt.), ad vocem, e le inform. che si ricavano dall'elogio funebre del Franzini. Sull'insegnamento universitario del professore cfr. Torino, Bibl. reale, Storia patria 616: I. Della Chiesa. Storia dell'università di Torino (ms. della fine del Settecento). Cfr. inoltre T. Vallauri, Storia delle univers. degli studi del Piemonte, III, Torino 1816, p. 126. Sulla posiz. culturale del C. nella facoltà torinese cfr. G. Quazza, Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento, II, Modena 1957, pp. 426 s. Sul C. latinista e uomo di cultura cfr. infine C. Calcaterra, Le adunanze della Patria Società letteraria, Torino 1943, II, pp. 170 5.; III, pp. 245262; Il giansenismo in Italia, a cura di P. Stella, I, 3, Il Piemonte, Zürich 1974, p. 617 Cfr. infine S. Fusari, Per la storia dell'università degli studi di Torino: la facoltà delle arti nel Settecento, tesi di laurea, univ. di Torino, fac. di lettere, anno acc. 1973-74. pp. 216 ss.