GIOVANNI di Bartolo di Bittino, detto Giovanni da Fano
Non è nota la data di nascita - comunque collocabile nella prima metà del XV secolo - di G., che discendeva da una famiglia fiorentina trasferitasi a Fano, al servizio dei Malatesta, al principio del XV secolo.
La prima notizia documentaria che lo riguarda, è costituita da una testimonianza da lui resa a Fano il 13 giugno 1456. Lo ritroviamo ancora residente nella cittadina marchigiana attraverso due documenti datati rispettivamente 2 giugno 1460 e 18 febbr. 1462 (Delucca, p. 157). Poco tempo dopo fu messo a bando e costretto a lasciare Fano. Un atto del 4 sett. 1462, nel quale è citato come teste, lo dice figlio di Bartolo "Bittine", e abitante a Rimini "in domo haereditatis domini Antonij Francisci de Actis", ossia nella casa del defunto Antonio degli Atti, fratello di Isotta, la terza moglie di Sigismondo Pandolfo Malatesta (ibid., p. 158). Tale informazione ci consente di ancorare cronologicamente la sua permanenza alla corte malatestiana, dove rimase per tre anni. La più antica fonte letteraria che fa riferimento a G. in quanto pittore e miniatore operante presso la corte di Rimini, è costituita da un epigramma di tenore spiccatamente elogiativo per opera del poeta Roberto Orsi. Lo stesso letterato compose un secondo distico dedicato all'artista quando quest'ultimo rientrò a Fano a seguito della rimozione del bando (Ricci, 1928, pp. 26 s.), ottenuta grazie all'intercessione di Angelo Geraldini vescovo di Sessa e governatore di Romagna, come risulta da una lettera inviata da questo a Francesco Sforza nel giugno del 1465. In quella medesima missiva, G. era indicato come l'autore delle miniature del De re militari di Roberto Valturio, una copia del quale veniva inviata in dono al duca di Milano (Delucca, p. 158).
Il trattato del Valturio era un testo di natura eminentemente filologica, volto a illuminare l'arte bellica degli antichi, nel quale Sigismondo figurava come unico condottiero moderno le cui virtù equivalessero a quelle dei più illustri predecessori. Fra le copie rimaste del manoscritto (che ebbe poi una notevole fortuna a stampa, e di cui Leonardo da Vinci possedeva un esemplare), il codice conservato nella Biblioteca Estense di Modena, Lat. 447, costituisce il volume che nel 1465 Sigismondo Pandolfo Malatesta (dedicatario dell'opera) inviò con un messo a Buda, come dono per il re d'Ungheria, Mattia Corvino. Lo scritto del Valturio dovette essere ritenuto da Sigismondo perfettamente riuscito sotto il profilo celebrativo, se egli lo inviò in dono, oltre che a Francesco Sforza e a Mattia Corvino, a Maometto II. Le miniature dipinte da G. per il De re militari presentano un carattere essenzialmente descrittivo, spiccando per la chiarezza del disegno e per la loro asciutta efficacia didascalica, alla quale viene sacrificata ogni componente decorativa: il colore, lo sfondo, e perfino la cornice.
Ma l'impresa che garantisce a G. un posto preciso, e un ruolo idiomatico, nella storia della miniatura italiana del XV secolo, è certamente l'illustrazione dell'ambizioso poema epico Hesperis, composto da Basinio da Parma in versi latini negli anni immediatamente precedenti la sua morte, avvenuta nel 1457.
L'opera intendeva celebrare la gloria, l'eroismo e le virtù di Sigismondo, che viene rappresentato come una sorta di novello Odisseo. Ne esistono tre copie manoscritte e miniate, tutte riemerse nel corso del XX secolo: sono conservate nella Bodleian Library di Oxford, nella Bibliothèque de l'Arsénal di Parigi, e nella Biblioteca apostolica Vaticana. L'esemplare parigino e quello vaticano recano la firma dell'artista sull'ultima miniatura del volume, raffigurante l'edificazione del Tempio malatestiano. Tutte e tre le copie vantano lo stesso ciclo di illustrazioni, sebbene nessuna si presenti oggi completa; nelle raffigurazioni di ciascuno dei volumi, pur chiaramente omologhe, G. si sforza, peraltro, di introdurre delle lievi ma non insignificanti variazioni compositive o luministiche. La datazione di queste miniature deve situarsi tra il 1457, anno di morte di Basinio, e il 1468, anno in cui muore Sigismondo (Ricci, 1924). Recentemente è stata avanzata l'ipotesi che l'esemplare di Oxford, le cui miniature sono stimate di qualità superiore, non sia da ricondurre alla mano di G., presentando un andamento più libero e pittorico (Pasini). Otto Pächt rilevò in queste immagini l'influenza di Piero della Francesca e Paolo Uccello, declinata però in una chiave lontana dall'eroismo, dalla monumentalità e dal rigore prospettico che caratterizza l'arte di quei maestri, e con una speciale attenzione al paesaggio, sommario ma perspicuamente stilizzato. Le finte cornici in marmo rosa di Verona, e i colori tenui e luminosi, conferiscono a queste immagini un tenore figurativo di classicismo leggiadro e favoloso. La predilezione per la prospettiva a volo d'uccello, per una linea dell'orizzonte molto alta, per l'affollamento della scena di figure riprese con un'inquadratura lontana e panoramica, donano alle illustrazioni di G. una peculiare unitarietà. L'attenzione descrittiva, il gusto realistico, l'accuratezza della resa luministica (che ci regala, nella miniatura dell'esemplare parigino intitolata Pictura castri nocturni, uno dei primi veri notturni dell'arte italiana), trovano il loro più prossimo corrispettivo nella contemporanea pittura nordeuropea, e in particolare nella produzione di Jean Fouquet (Pächt).
Tra il 1465 e il 1466, subito dopo il ritorno a Fano di G., sono datati pochi altri documenti legati alla sua attività, relativi a imprese decorative di assai modesto rilievo realizzate nella città natale ("tre arme depincte a porta san Lunardo cioè ne li merli de fuora"; "l'arme de la Santità del nostro Signore in su la porta de Corte"). Il documento più tardo che lo riguarda è un pagamento, "per aver depinto in lo muro de corte sopra la scala de li signori priori l'arme del gubernatore", datato 20 nov. 1491 (Delucca, p. 159).
Non si conosce la data della morte di G., che dal testamento della moglie Angelella risulta già defunto il 5 giugno 1494.
Fonti e Bibl.: G. Castellani, Un miniatore del secolo XV, in La Bibliofilia, I (1899), pp. 169 s.; Id., Notizie di artisti fanesi o che lavorarono a Fano nel secolo XV, in Rassegna bibliografica dell'arte italiana, XIII (1910), 10-12, p. 129; C. Ricci, Il Tempio malatestiano, Milano-Roma 1924, pp. 51-53; Id., Di un codice malatestiano delle "Esperidi" di Basinio, in Accademie e biblioteche d'Italia, 1928, nn. 5-6, pp. 20-48; A. Campana, Un miniatore malatestiano, in Ariminum, I (1928), pp. 137 s.; E. Rodakiewicz, The editio princeps of Roberto Valturio's "De re militari" in relation to the Dresden and Munich manuscripts, in Maso Finiguerra, V (1940), 19-20, pp. 15-82; O. Pächt, G. da Fano's illustrations for Basinio's epos Hesperis, with two Appendixes by A. Campana, in Studi romagnoli, II (1951), pp. 91-111; A. Zanoli, Un messaggio di buon augurio dal Tempio malatestiano, in Paragone, XX (1969), 229, pp. 49-52; P.G. Pasini, I Malatesta e l'arte, Milano 1983, pp. 149-153; O. Delucca, Artisti a Rimini fra Gotico e Rinascimento. Rassegna di fonti archivistiche, Rimini 1997, pp. 156-159; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, IV, p. 74.