GIOVANNI da Arezzo
Nacque ad Arezzo, presumibilmente entro il penultimo decennio del sec. XIV; fu notaio e amanuense.
La personalità di G. ha acquisito tratti meglio definiti soltanto in anni recenti, grazie agli studi che hanno riportato alla luce documenti di archivio, hanno ampliato il catalogo dei codici da lui vergati e hanno corretto tradizionali confusioni come quella con il conterraneo Giovanni Tortelli. Prima di questi recenti contributi, di G. era nota l'attività di scriba grazie alle sottoscrizioni di numerosi codici, senza che del personaggio fossero però conosciuti altri tratti biografici.
Un documento segnalato dalla Nicolaj Petronio ha permesso di identificare il copista con il personaggio sorteggiato il 29 ott. 1410 alla carica di notaio e scriba dei Priori della città di Arezzo, oltre che di cancelliere del Comune per il successivo quadrimestre novembre 1410 - febbraio 1411, e di identificarne il padre in Cenni di Nome, che aveva svolto una qualche attività pubblica in Arezzo tra il XIV e il XV secolo, recandosi anche spesso nunzio a Firenze. Forse lo stesso G., presumibilmente avviato a un'analoga carriera pubblica, poté intrecciare rapporti con i circoli umanistici fiorentini (dove spiccava la figura di Leonardo Bruni, anche lui aretino), dimostrati dalla sua attività di copista, già al seguito del padre. Forse a Firenze compì studi giuridici.
La sua sottoscrizione nella matricola dei notai di Arezzo, del 23 nov. 1410, e sue testimonianze autografe in altri documenti aretini manifestano peculiarità di scrittura particolarmente evidenti al confronto con le altre scrizioni notarili (genericamente definibili come semigotiche), che permettono la certa identificazione con la mano del già noto copista. G. introdusse infatti, anche nelle sue scritture notarili, novità grafiche fino ad allora quasi esclusivamente circoscritte nell'ambito dei più riservati circoli umanistici: elementi caratteristici della antiqua e, insieme, la nuova sensibilità umanistica per l'armonia complessiva dei tratti, per l'equilibrio delle lettere e delle parole.
Il periodo del cancellierato aretino dovette rappresentare una breve parentesi entro un lungo soggiorno fiorentino. Già da prima, infatti (da Firenze, il 5 giugno 1410, è datato l'explicit del ms. conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Pal. lat. 1496, contenente le Epistolae familiares di Cicerone), aveva preso avvio il più intenso periodo della sua attività di copista, che definisce, secondo Ullman, un importante momento di trapasso e di diffusione della scrittura umanistica, quando di essa cioè si appropriarono scribi di professione che produssero serie di esemplari, e non più soltanto copisti occasionali, spesso anonimi e rappresentati da singoli codici. G. può essere considerato il primo scriba di professione nella nuova scrittura umanistica, capace di allestire un alto numero di codici di buona e uniforme qualità, in grado di competere con quelli contemporanei di Poggio Bracciolini: Ullman giudica la qualità dei codici di G. migliore di quella dell'Eusebio di Poggio (Firenze, Bibl. Laurenziana, LXVII 15, scritto tra il dicembre 1408 e il gennaio 1409).
Manoscritti datati e sottoscritti documentano la presenza di G. a Firenze dal 1410 al 1417. Durante questo periodo si possono supporre suoi rapporti di dimestichezza con gli umanisti fiorentini, quali appaiono per esempio dalla composizione a più mani del ms. N. III 7 della Real Biblioteca de San Lorenzo di El Escorial, copia di dedica della traduzione del Gorgia di Platone a opera di Leonardo Bruni: secondo la ricostruzione di A.C. de la Mare, G. vergò le prime carte (2-8v), Niccolò Niccoli il resto del testo, mentre Poggio vi aggiunse la prefazione e i titoli.
A Firenze G. pare aver lavorato quasi esclusivamente su commissione dei Medici, e taluni suoi manoscritti sono identificabili con quelli annoverati nel marzo 1418 nell'inventario della loro biblioteca privata. Tra i codici approntati da G. su commissione di Cosimo de' Medici, e quindi entrati a formare il primo nucleo di quella che divenne una delle più prestigiose biblioteche signorili, possono essere ricordati quelli contenenti le tre deche di Livio (attualmente Firenze, Bibl. Laurenziana, LXIII 4, 5, 6), trascritti tra il 1412 e il gennaio 1413, un codice delle orazioni di Cicerone (ora Laurenziano 48 10), un altro con l'epitome di Giustino delle Storie di Pompeo Trogo (Laurenziano LXVI 12), finito di trascrivere il 15 maggio 1417.
In una lettera autografa indirizzata il 13 genn. 1418 ancora da Firenze a Giuliano di Averardo de' Medici, che allora si trovava a Venezia, segnalata e riprodotta dalla Miglio (G. Aretino…) ed edita da M.C. Davies, G. rivolge iperbolici elogi alle virtù del destinatario e dei suoi familiari, sottintendendo, neppur troppo velatamente, richieste di protezione.
La lettera indirizzata a Giuliano de' Medici, l'unico documento originale noto di G., permette di riconoscere i limiti della sua cultura, rivelati da improprietà e goffaggini nell'uso del latino, anche se gli va riconosciuto almeno quel tanto di conoscenza del greco che gli consente di copiarlo lui stesso e non lasciare gli spazi perché altri lo inseriscano, come invece fanno anche Poggio e il Niccoli.
Fu presumibilmente grazie ai rapporti, prevalentemente di affari, dei Medici con Venezia che G. poté recarsi in quella città, intorno al 1421. Codici prodotti a Venezia e sottoscritti da "Giovanni Aretino", in passato (ancora dall'Ullman) attribuiti a Giovanni Tortelli, vanno infatti restituiti, con M. Regoliosi, a Giovanni da Arezzo. Il primo è datato 15 dic. 1421 e contiene il De oratore e l'Orator di Cicerone (attualmente Bibl. apostolica Vaticana, ms. Vat. lat. 3237), con annotazioni marginali di Francesco Barbaro; del 13 giugno 1422 è quindi il compimento dell'altro codice ciceroniano, commissionato da Francesco ed Ermolao Barbaro e attualmente conservato, senza segnatura, presso il monastero francescano di Makarska (Imotski), in Croazia. Un altro manoscritto terminato a Venezia il 15 maggio 1423 (Londra, British Library, ms. Harl. 5248), contenente il De musica di s. Agostino, reca marginalia di Leonardo Giustinian: c'è da credere che proprio i due Barbaro e il Giustinian siano stati, a Venezia, i suoi maggiori protettori e committenti.
Qualche ulteriore tratto più personale è possibile attribuire a G., se in lui si riconosce, come hanno indipendentemente accertato R. Ribuoli e M.C. Davies, il destinatario di due lettere di Leonardo Bruni indirizzate rispettivamente a un "Johanninus" e a un "Johannes" in passato identificato con Giovanni Tortelli. Dalla prima di queste si apprende che il destinatario, legato al mittente dalla patriae caritas e definito "natura mollissimus", è da poco giunto in una "opulentissima urbs" dove può fruire dell'amicizia di "praestantes viri". Si è sempre ritenuto che la città a cui Bruni alludeva fosse Venezia, e la data della lettera, come riferiscono numerosi manoscritti, il 31 genn. 1422, è in perfetta concordanza cronologica con la prima attività di G. come copista in quella città.
La lettera ci dà anche qualche, seppur vaga, informazione sulle ragioni dell'abbandono di Firenze: qui G. avrebbe lasciato una situazione familiare quanto meno difficile e Leonardo Bruni lo invita alla fermezza e a vincere la sua debolezza di carattere: "cogita igitur non tam domesticos quam impias tuorum molestias domi reliquisse. Urbem autem nunc incolere opulentissimam, ornatissimam et in qua nichil molestiarum insit, nisi forte quas tu ipse stulta mollicie tibi ultro suggesseris […] michi una salus videtur, ut fortem nunc te constantemque praestes, etsi scio quam difficile sit non flecti animo, praesertim tibi, qui es natura mollissimus" (Bruni, p. 132). In maniera non dissimile Ambrogio Traversari, in una lettera al Niccoli del 29 ag. 1424, accenna a quello che appare il tratto dominante del carattere di G.: "hodie mecum diutius fuit Ioannes Arretinus librarius […]. Levis est ut solet".
Dalla seconda lettera, databile, per ragioni interne, a dopo il 1425 si apprende che G. era legato da stretta familiarità con Giacomo Languschi; in essa il Bruni lamenta come il destinatario non abbia saputo difenderlo adeguatamente, in una controversia letteraria altrimenti ignota, contro Andrea Crisoberga (il Costantinopolitano), in particolare rimproverandolo di aver omesso di far valere la sua competenza aristotelica: "quamquam est quidem abs te non satis acute causa mea defensa adversus Constantinopolitanum. Quid enim opus fuit ad Ciceronem allegare hanc quaecumque est in nobis rerum moralium notitiam? Quasi vero Aristoteles ipse abs studio nostro fuerit alienus" (ibid, p. 135). Eppure G. aveva già a quella data trascritto per due volte almeno la traduzione del Bruni dell'Etica a Nicomaco (Firenze, Bibl. Laurenziana LXXIX 7, probabilmente post 1418, e LXXIX 11, probabilmente da far risalire al 1421-23). Ancora, insomma, una conferma dei limiti culturali di un personaggio la cui rilevanza resta tutta entro l'ambito della storia e del progresso della tecnica scrittoria.
Non si conoscono luogo e data della sua morte.
Gli studi più recenti hanno via via ampliato il periodo di operosità di G.: se l'Ullman riteneva che la sua attività di scriba si fosse conclusa (forse a causa della morte) poco oltre la data dell'ultimo manoscritto fiorentino, l'attribuzione dei manoscritti veneziani e la seconda lettera del Bruni ne hanno prolungato l'attività almeno fino ai pieni anni Venti. A.C. de la Mare ha poi proposto (1985), seppur dubitativamente, di attribuirgli codici privi di sottoscrizione databili addirittura agli anni 1440-60: si tratta di un codice di Eusebio (Barcellona, Bibl. universitaria y provincial, ms. 582), di uno dei Trionfi di Petrarca (Firenze, Bibl. Riccardiana, 1129), e di un terzo della prima decade di Livio (New York, Pierpont Morgan Library, M 476). La questione attende ulteriori accertamenti, che permettano di spiegare e colmare il vuoto ventennale rispetto all'ultima attività veneziana documentata, rimanendo tuttora incerto se sia proprio G. il mittente della lettera a Iacopo Cocchi Donati del 26 marzo 1457, segnalata da L. Miglio (L'avventura grafica…); per il momento neppure M.C. Davies ha ritenuto di dover inserire nel catalogo dei manoscritti di G., che correda il suo contributo, i nuovi codici segnalati dalla de la Mare.
Fonti e Bibl.: L. Bruni, Epistolarum libri VIII, a cura di L. Mehus, I, Florentiae 1741, pp. 131 s., 134 s.; A. Traversari, Latinae epistolae, II, Florentiae 1759, col. 388; G. Nicolaj Petronio, Per la soluzione di un enigma: G. Aretino copista, notaio e cancelliere, in Humanistica Lovaniensia, XXX (1981), pp. 1-12; L. Miglio, G. Aretino tra realtà e immaginazione, in Atti e mem. dell'Acc. Petrarca di Arezzo, XLV (1982), pp. 372-378; M.C. Davies, An enigma and a phantom: G. Aretino and Giacomo Languschi, in Humanistica Lovaniensia, XXXVII (1988), pp. 1-29; G. Billanovich - M. Ferraris, Per la fortuna di Tito Livio nel Rinascimento italiano, I, Le "Emendationes in T. Livium" del Valla e il Codex Regius di Livio, in Italia medioevale e umanistica, I (1958), pp. 253-256; F. Pintor, Per la storia della Libreria Medicea nel Rinascimento. Appunti d'archivio, ibid., III (1960), pp. 192 s.; B.L. Ullman, The origin and development of humanistic script, Rome 1960, pp. 92-96; L. Martines, The social world of the Florentine humanists. 1390 - 1460, Princeton 1963, pp. 325 s.; M. Regoliosi, Nuove ricerche intorno a Giovanni Tortelli, in Italia medioevale e umanistica, XII (1969), pp. 130-133; A.C. de la Mare, The handwriting of Italian humanists, I, 1, Oxford 1973, pp. 53 s.; Id., Humanistic script: the first ten years, in Das Verhältnis der Humanisten zum Buch, a cura di F. Kraft - D. Wuttke, Boppard 1977, p. 102; T. Maslowski - R.H. Rouse, Twelfth-century extracts from Cicero's "Pro Archia" and "Pro Cluentio" in Paris B. N. ms Lat. 18104, in Italia medioevale e umanistica, XXII (1979), p. 108; L. Miglio, L'avventura grafica di Iacopo Cocchi Donati, in Scrittura e civiltà, VI (1982), pp. 221 s.; A.C. de la Mare, New research on humanistic scribes in Florence, in Miniatura fiorentina del Rinascimento, 1440-1525…, a cura di A. Garzelli, I, Firenze 1985, pp. 425 n. 17, 541, 594; R. Ribuoli, Francesco Filelfo e Giovanni Tortelli, in Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte. Atti del XVII Convegno di studi maceratesi,Tolentino… 1981, Padova 1986, pp. 160 s.