COLONNA, Giovanni
Fu figlio di Stefano (Stefanello) signore di Palestrina, e di Sancia, figlia di Onorato Caetani conte di Fondi.
La prima notizia su di lui risale al 4 luglio 1387, quando lo troviamo a San Quirico d'Orcia al comando di truppe mercenarie al servizio di Firenze. Successivamente dovette rientrare nei suoi possedimenti e rimanere coinvolto nelle lotte baronali della regione. L'8 maggio 1391 firmò una tregua con Adinolfo e Ildebrando Conti, Niccolò, Bucciolo e Francesco Savelli e Tebaldo Annibaldi, tregua che era stata raggiunta in seguito alla mediazione del pontefice romano, Bonifacio IX, e del Comune di Roma. I firmatari si impegnavano a limitare le loro forze militari. Il 14 dicembre dello stesso anno il C. fornì garanzie per la prosecuzione della tregua.
Sin da questi anni la sua posizione nella lotta tra le due obbedienze - la romana e l'avignonese - risulta per più versi ambigua, nel senso che egli, pur mantenendosi formalmente legato al pontefice romano, conservò nei confronti di questo una decisa autonomia, cercando in primo luogo di conseguire obiettivi personali. Nell'aprile dell'anno 1392 egli inviò una propria ambasceria ad Avignone, ma il 4 gennaio dell'anno successivo scrisse a Bonifacio IX per smentire, come calunniose, le voci di un passaggio del fratello Niccolò al campo avignonese e per riconfermare la fedeltà sua e del fratello alla causa romana. Entrato successivamente al servizio di Bonifacio IX, attaccò, nel marzo-aprile 1394, la guarnigione di Malatesta Malatesta a Narni. Ma la sua fedeltà continuò ad essere dubbia, tanto che il pontefice lo accusò successivamente di aver preso parte il 24 luglio 1394, con Paolo Savelli, ad una azione ostile al Papato. Non si trattò, probabilmente, di un'aperta ribellione, dato che il 13 aprile dell'anno successivo il C. firmò una nuova condotta al servizio di Bonifacio IX dalla fine del mese di agosto fino a quando sarebbe stato di gradimento del papa. Appare, comunque, probabile che il C. obbedisse al pontefice soltanto quando gli conveniva. Il 10 maggio 1395 egli divenne, con suo fratello Niccolò, "raccomandato" del Comune di Firenze, ricevendo una provvisione personale di 200 fiorini mensili. Nella primavera dell'anno, successivo sfidò gli ordini del papa, catturando e imprigionando gli ambasciatori del Comune di Perugia, che erano avviati verso Roma per sottomettersi alla S. Sede. Egli fece pagare a questi perugini (Simone Ceccholi de' Guidalotti e suo figlio Giovanni) un riscatto di oltre 2.000 fiorini (aprile-luglio 1396).
Quando ebbe termine in Umbria la guerra papale, nella primavera del 1396, i Fiorentini, temendo lo scoppio di un conflitto con Milano, chiesero al C. di entrare al loro servizio (31 luglio). Egli accettò soltanto verso la fine del maggio 1397, quando ricevette 9.000 fiorini d'anticipo sulla sua paga. Il 12 giugno egli era con Paolo Orsini, sotto il comando di Bernard de la Serre, a Staggia in Val d'Elsa, contro le forze viscontee, che operavano in quella zona, guidate da Alberigo da Barbiano. Partecipò anche alla difesa di Montalpruno, contro Roberto da Battifolle. Nel luglio del medesimo anno, insieme con Paolo Orsini, devastò i dintorni di Pisa e il 10 agosto fu coinvolto in una scaramuccia con le forze di Alberigo da Barbiano a Santa Maria a Monte in Val d'Arno. Nell'ottobre la sua ferma con Firenze era sul punto di scadere, ma nel gennaio 1398 egli stava di nuovo arruolando truppe per il servizio dei Fiorentini. Nel maggio il C., alla testa di 400 lance, riconquistò per Firenze il castello ribelle di Civitella in Val d'Ambra e quindi marciò verso il Senese contro Marciano della Chiana. Ma anche la sua fedeltà a Firenze fu incerta come in precedenza quella a Bonifacio IX. Con ogni probabilità durante l'anno egli lasciò il servizio fiorentino per porsi al servizio del Visconti. Lo troviamo indicato fra i membri del Consiglio privato di Gian Galeazzo Visconti nel testamento di quest'ultimo (1398?).
Nonostante l'impegno assunto attraverso propri procuratori il 17 giugno 1397 - impegno che doveva durare tre anni e che lo obbligava alla obbedienza verso la Chiesa di Roma e gli vietava ogni aggressione contro la città -, il C. all'inizio del 1400 si ribellò apertamente contro Bonifacio IX. Lasciata Firenze l'11 gennaio, si diresse verso Roma e, insieme con il fratello Niccolò, la assalì. Si pensò che l'attacco avesse il segreto appoggio di Gian Galeazzo Visconti e che Onorato Caetani vi fosse implicato. L'azione, tuttavia, fallì: i ribelli non riuscirono a prendere il Campidoglio e successivamente il C. fu sconfitto dalle truppe pontificie nella Campagna romana. Il 30 dicembre ottenne un salvacondotto papale per portarsi a Roma a negoziare la sottomissione sua e quella del fratello Niccolò. L'atto di sottomissione alla Chiesa romana è datato 15 genn. 1401: due giorni più tardi il C. giurò di osservare i patti. Egli assunse su di sé la responsabilità della rivolta contro l'autorità papale. L'accordo, tuttavia, concesse ai Colonna tanti vantaggi che non appare davvero come una sottomissione. Al C. e al fratello Niccolò furono concessi Gallese, nella vallata del Tevere, e il vicino porto fluviale di Porto Azelio. Il papa si impegnò a pagare un'indennità di 5.000 fiorini d'oro perché le truppe del C. potessero essere licenziate. È evidente che il C. riuscì a raggiungere tali risultati grazie al sostegno del Visconti, il quale fu chiamato a garantire l'esecuzione del trattato. L'episodio deve inserirsi nell'azione viscontea nelle terre della Chiesa, culminata con l'attacco a Perugia e testimonia di quanto profonda fosse in questo momento l'influenza del duca milanese nello Stato pontificio.
Nel 1401 e nel 1402 troviamo il C., al servizio del Visconti, a Pisa (ove aveva il titolo di "ducalis, generalis mareschalcus, Pis. capitaneus") e a Perugia. Sembra che nell'estate del 1402 egli tramasse di attaccare Roma, ma poi non realizzò il suo progetto. È probabile che anche la sua fedeltà al Visconti non sia rimasta salda; pare, infatti, che egli durante il periodo in cui si trovava al servizio del duca di Milano abbia aperto trattative con Firenze e con Bonifacio IX. Rimase a Pisa dal settembre alla fine del 1402. L'anno successivo, insieme con un altro capitano del defunto Gian Galeazzo, Pandolfo Malatesta, entrò al servizio dei Fiorentini in Toscana.
Ancora una volta la sua fedeltà fu incerta. Nel settembre del 1404 egli rese Ripafratta ai Guinigi di Pisa e tentò di impadronirsi di Sarzana, che era in mano ai Fiorentini, sostenendo che la città gli spettava come corrispettivo dei suoi servizi precedenti per i quali non aveva ricevuto alcun pagamento. Il suo tentativo fallì; ma il C. venne subito dopo favorito dagli avvenimenti romani.
Alla morte di Bonifacio IX (1° ott. 1404), raggiunse le sue terre. Il 7 ottobre si accordò con suo fratello Niccolò, con Battista Savelli e con Adinolfa Conti, per assalire il Campidoglio: il terzo attacco di questo genere fatto dai Colonna in dieci anni. L'assalto fu respinto, ma questa volta la fazione Orsina non riuscì a ricacciare le truppe dei Colonna dalla città e si ripeté il caos dei primi anni del pontificato di Bonifacio IX. Dopo l'elezione di Cosimo de' Migliorati, che prese il nome di Innocenzo VII (17 ottobre), i Colonna e altri nobili romani fecero appello a Ladislao di Napoli, che entrò in Roma il 19 ottobre. Il C. si schierò subito a favore del re e ne divenne il maggiore alleato (Cutolo) e uno dei principali condottieri.
Il governo popolare affermatosi a Roma non sostenne all'inizio la fazione dei Colonna. Esso tuttavia utilizzò (15 apr. 1405) il C. in una spedizione militare contro Tebaldo Annibaldi della Molara. Successivamente una serie di errori politici commessi dal nipote del papa, Ludovico Migliorati, aprì al C. abbondanti spazi per intervenire negli affari cittadini. Il 6 ag. 1405 Ludovico Migliorati fece uccidere alcuni romani appartenenti alla fazione popolare. Il governo comunale, indignato dal delitto, chiamò il C. per vendicarli. L'8 agosto il C. prese d'assalto e saccheggiò il palazzo Vaticano, lo occupò per alcuni giorni e costrinse il papa a fuggire a Viterbo. Le sue truppe, inoltre, saccheggiarono anche le case dei cortigiani e dei mercanti - per lo più fiorentini - nei rioni di Ponte, Arenula e Parione. L'azione era stata probabilmente organizzata, con la connivenza di Ladislao e di un altro mercenario napoletano, il conte di Troia, che venne a Roma in appoggio al C., il 20 agosto. Ma il tentativo della fazione napoletana di mantenere il controllo della città non riuscì soprattutto per la resistenza di Paolo Orsini. Il 26 agosto quest'ultimo, insieme con Mostarda da Strata e Ceccolino da Viterbo, ingaggiò una battaglia con le forze del C. fuori porta Viridaria (davanti all'attuale porta Angelica). Il C. fu sconfitto e costretto a lasciare Roma. Il 14 giugno dell'anno successivo venne scomunicato da papa Innocenzo VII.
Rimasto al servizio di Ladislao, il C., che continuava a mantenere contatti con la Curia avignonese, tentò una nuova azione contro Roma nell'estate 1407. Corse voce allora che il tentativo colonnese contro la città fosse stato favorito dallo stesso nuovo pontefice romano Gregorio XII per sottrarsi all'obbligo di raggiungere Savona per incontrare il suo rivale Benedetto XIII. Mancano, peraltro, le prove di questa ipotesi. È certo soltanto che il C., entrato ancora una volta in Roma con suo fratello Niccolò il 18 giugno 1407, venne di nuovo sconfitto da Paolo Orsini, catturato e costretto a riscattarsi con una grossa somma. Come in molte occasioni precedenti, il partito colonnese a Roma si dimostrò troppo debole per prevalere; la Cronica volgare di anonimo fiorentino dice che "tutto il popolo di Roma fu contro a loro". Le principali forze di Ladislao non poterono o non vollero intervenire.
Intervennero, invece, l'anno successivo, quando il re, accompagnato dal C. e dal fratello Niccolò, assalì Roma. Il 20 aprile il re pose il proprio campo presso il monastero di S. Paolo fuori le Mura e l'occupazione napoletana della città procedette senza resistenza. Ladislao tuttavia garantì ai Romani che non avrebbe introdotto il C. e gli altri esiliati nella città senza il loro consenso. Secondo il Diario di Antonio dello Schiavo il re licenziò i fratelli Colonna fuori di porta S. Paolo e proibì loro di entrare in città senza il suo permesso; la proibizione fu rinnovata il 23 giugno.
Il C. venne allora inviato nel contado di Todi con altri mercenari (giugno 1408). L'anno successivo lo troviamo al seguito di Ladislao all'assedio di Arezzo: il 12 giugno 1409 il C. compare infatti come testimone di un atto del re. In questo stesso periodo egli rifiutò l'offerta di una condotta fiorentina. Il 29 settembre del medesimo anno egli fu inviato a Roma per difenderla dalla minaccia di un attacco della lega angioina. Il 1° novembre il C. lasciò la città per porre l'assedio a Marino, che sosteneva essergli stata concessa da Ladislao l'anno precedente e che era stata occupata dalle truppe angioine. Il tentativo fatto da Innocenzo VII per riaffermare la dipendenza di Marino dalla chiesa di S. Giovanni in Laterano era evidentemente fallito (Theiner, Codex, III, p. 137) e il C. stava cercando di coronare con successo la sua rivendicazione di territori della Chiesa. Il 14 novembre tornò a Roma con alcuni prigionieri, che egli accusava di ribellione contro re Ladislao. Già da allora però l'esercito della lega angioina occupava parzialmente Roma e i tentativi del C. e del conte di Troia di rafforzare le difese di porta S. Spirito contro le truppe nemiche furono vani. Roma cadde in mano degli Angioini il 1° genn. 1410.
Al C. non piaceva trovarsi nel campo del perdente e, quando Iacopo Orsini minacciò di porre l'assedio alla fortezza di Castelnuovo di Porto (10 giugno 1410), egli, per mezzo di Benedetto Caetani che fece da intermediario, offrì la sua sottomissione a Giovanni XXIII. Il 18 luglio il pontefice assolse il C. e suo fratello Niccolò e autorizzò l'abate di S. Martino al Cimino in Viterbo a dare in affitto ai due fratelli le terre di alcuni monasteri. Il medesimo giorno Giovanni XXIII concesse al C. e a Niccolò, per un periodo variante fra i tre e i dieci anni, Civita Lavinia, Passerano, Corcolle, San Vittorino, Frascati, Genzano e Ariccia. Così il prezzo della defezione del C. da Ladislao fu costituito da un grande blocco di proprietà della Chiesa: tutti i luoghi citati appartenevano infatti a varie chiese romane. La pace con i Colonnesi fu annunciata a Roma il 23 ag. 1410 e il 27 il C. rientrò nella città. Si fermò alla chiesa di S. Spirito in Sassia e accompagnò Paolo Orsini il 28 agosto a fare una visita ufficiale al legato papale, card. Pedro de Frias.
La pace di Ladislao con Giovanni XXIII (17 giugno 1412) portò le fazioni romane alla riconciliazione. Il 29 giugno ci fu una "callata" fuori porta S. Paolo nella piazza chiamata "La Navicella", a cui presero parte Paolo Orsini e la moglie Rita, il C., Fortebraccio; Tartaglia e tutti i principali mercenari napoletani. Questa festa di pubblica riconciliazione sembra essere stato l'ultimo atto importante del C., che morì a Frascati il 6 marzo 1413. Fu sepolto a Palestrina.
Il C. fu un personaggio tipico di un periodo di transizione delle guerre italiane, nel quale il signore feudale diveniva condottiero. Benché di minor successo, sia come politico, sia come soldato, di suo suocero Alberico da Barbiano, il C. appartenne al medesimo tipo. D'altra parte la preoccupazione vitale del C. fu quella tradizionale di rafforzare un nucleo di possedimenti e di zone fortificate nell'area in cui la famiglia aveva creato la sua storica zona di influenza.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano, Reg. Vat. 342, f. 100v; Diario attribuito a Gentile Delfino, in Rerum Ital. Script., 2 ediz., XXIV, 2, a cura di F. Isoldi, pp. 77 s.; Antonio di Pietro dello Schiavo, Diarium romanum, ibid., XXIV, 5, a cura di F. Isoldi, ad Indicem; Cronica volgare di anonimo fiorentino, ibid., XXVII, 2, a cura di E. Bellondi, pp. 184, 362, 395; A. Theiner, Codex diplom. Dominii temporalis S. Sedis, III, Romae 1862, pp. 105, 111, 154; I. Giorgi, Relazione di Saba Giaffri, in Arch. della R. Soc. rom. di st. patria, V (1882), pp. 208 s.; L. Osio, Docum. diplom. tratti dagli archivi milanesi, I, Milano 1864, p. 328; I Capitoli del Comune di Firenze, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1866, pp. 525 ss.; R. degli Albizzi, Commissioni per il Comune di Firenze…, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1867, pp. 3 s.; S.Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, in Fonti per la storia d'Italia, V, pp. 12 s., 16; Le croniche di Giovanni Sercambi, lucchese, a cura di S. Bonghi, Lucca 1892, I, pp. 412 s.; II, pp. 44 s., 53 s., 250 s.; III, pp. 76 s., 83 s., 97, 148; N. Ratti, Storia di Genzano..., Roma 1797, pp. 124 ss.;N. Valois, La France et le Grand Schisme d'Occident, III, Paris 1901, p. 523; IV, ibid. 1902, pp. 123, 135; A. Galieti, Il castello di Civita Lavinia, in Arch. della R. Soc. rom. di st. patria, XXXII (1909), p. 252; A. Cutolo, Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Milano 1936, I, pp. 295, 297, 304, 396; II, pp. 161, 175; D. M. Bueno de Mesquita, Giangaleazzo Visconti, Cambridge 1941, pp. 291 s.; P. Partner, The Papal State under Martin V, London 1958, pp. 16 ss.; A. Ilari, Frascati tra Medio Evo e Rinascimento, Roma 1965, pp. 37 s.; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad Indicem.