CODAGNELLO, Giovanni
Un notaio piacentino di questo cognome, talvolta latinizzato in "Caputagni", e di questo nome compare come rogatario o come teste in un manipolo di documenti conservati a Piacenza e a Cremona, datati fra il 1199 e il 1230; alcuni di tali documenti lo presentano anche nelle vesti di notaio pro tempore del Comune di Piacenza. Ma nessuno studioso forse si sarebbe adoperato a ricercarli e a metterli in fila, se il nome di Giovanni Codagnello, puntualmente accompagnato dalla sua già citata traduzione in latino, non fosse stato contenuto in alcuni versi che si trovano quasi all'inizio della raccolta di scritti di carattere storico e storico-favolistico tramandata dal solo manoscritto Paris. lat. 4931. In questi versi, un Giovanni Codagnello dichiara infatti di essersi proposto di condensare "quasi tutti" gli avvenimenti occorsi nel mondo dal giorno del diluvio ai suoi propri, cioè a dire sino al 1235, che è l'anno fino al quale si spingono gli Annales Placentini, il pezzo, se non più consistente, certo di gran lunga più importante, come fonte storica, dell'intera raccolta, e comunque - data la sua natura - il più sicuramente databile e localizzabile.
Chi si è dato la pena di ripercorrere i documenti piacentini fra la fine del sec. XII e le prime decadi del successivo - l'arco di tempo in cui visse l'annalista - alla ricerca di un Giovanni Codagnello, ha, dunque, cercato nella direzione giusta, e trovato quello che cercava. Epoca e luogo coincidono. Non c'è nessuna ragione di dubitare che il compilatore della raccolta parigina non sia l'omonimo notaio piacentino attivo fra il 1199 e il 1230; si può anche ritenere, con lo Holder-Egger, che, nei cinque anni di intervallo fra 1230 e 1235, il C., "iam senescentem studiis historicis - ut abutamur hac voce - potissimum vacasse, quorum fructum habemus collectionem codicis Parisini". La sua morte dovette avvenire, verosimilmente, non molto dopo il 1235.
Il manoscritto Lat. 4931 della Bibliothèque nationale di Parigi, di provenienza italiana, della metà del sec. XIII, pergamenaceo, scritto su due colonne, pieno di mende com'è, si presenta a prima vista come una copia, non si può nemmeno dire se esemplata direttamente sull'originale. Esso contiene: a) una cronaca favolosa, che ha inizio con un brano sulle età del mondo (f. 1a) e si chiude con il racconto leggendario della spedizione di Carlo Magno in Spagna (f. 55b), edita in gran parte da O. Holder-Egger, in Neues Arch., XVI (1890), pp. 312-346, 475-505 (un altro passo è stato edito da K. Hampe, sempre in Neues Arch., XXIII [1898], pp. 400-402); b) la Istoria qualiter translatum est Imperium Romanum in Francia apud Teothonicos (ff. 55b-56a), edita prima da A. Anschütz, in Archiv der Gesellsch. für ältere deutsche Gesch., XI (1850), pp. 232-236 e poi da G. Waitz, in Mon. Germ. Histor., Script. rer. Lang., Hannoverae 1878, pp. 592-596; c) la Istoria Longobardorum (ff. 56a-57a), edita anche dal Waitz, ibid., pp. 196-197; d) un brano sulla conversione di Costantino e il trasferimento della sua residenza a Bisanzio (f. 57a-c), edito in parte dallo Holder-Egger (in Neues Archiv, XVI, p. 507), in parte dallo Hampe (ibid., XXIII, pp. 402-403); f) il racconto (ff. 57c-58b) di una "sedicio magna... inter populum et milites", avvenuta a Piacenza nel rogo (sic), edito da G.H. Pertz, in Mon. Germ. Histor., Scriptores, XVIII, Berolini 1861 pp. 411-412, in mezzo alle notizie relative agli anni 1088 e 1091 degli Annales Piacentini, e poi dallo Holder-Egger, ibid., Script. rer. Germ. in usum schol. …, XXIII, Hannoverae et Lipsiae 1901, pp. 1-3, in testa agli Annales, ma separatamente da essi; g) i Gesta Federici imperatoris. De rebus gestis in Lombardia (ff. 58b-70c), editi prima dal Pertz, ibid., Scriptores, XVIII, pp. 359-378, e poi dallo Holder Egger, ibid., Script. rer. Germ. in usum scholarum..., XXVII, Hannoverae 1892, pp. 14-64; h) gli Annales Placentini dal 1012 (ma 1031) al 1235 (ff. 70c-105c), editi da A. Huillard-Bréholles, col titolo di Chronicon Placentinum, congiuntamente al Chronicon de rebus in Italia gestis, Parisiis 1856, pp. 1-106, poi da B. Pallastrelli, in Mon. hist. ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, XI, Parmae 1859, pp. 1-108, una terza volta dal Pertz, in Mon. Germ. Histor., Scriptores, XVIII, pp. 411-457, che li battezzò come Annales Placentini Guelfi, per distinguerli dagli Annales Placentini Gibellini (ibid., pp. 457-579), ch'erano l'altra cronaca piacentina edita dallo Huillard-Bréholles (e riproposta anche da Pallastrelli: pp. 109-349), e, infine, nel 1901, dallo Holder-Egger in Scriptores rerum Germanic. in usum scholarum, XIII, pp. 3-116; 1) i Gesta Federici imperatoris [in expeditione sacra] (ff. 105d-107c), editi dal Pertz, di seguito ai Gesta Federici ... in Lombardia,ibid., Scriptores, XVIII, pp.378-381, e dallo Holder-Egger, anche diseguito agli altri Gesta,ibid., Script. rer Germ. in usum schol., XXVII, pp. 78-94; 1) i Gesta obsidionis Damiate (ff. 1070-115c), editi da R. Röhricht, in Publ. Soc. Or. lat., II, Genevae 1879, pp. 73-115, e poi dallo Holder-Egger, in Mon. Germ. Histor., Scriptores, XXXI, Berolini 1901 pp. 463-503; m) una breve trattazione sulla venuta, il nome e le leggi dei Longobardi (inc.: "Incipiunt summe legum Longobardorum") (ff. 115c-116b), edita anch'essa dal Waitz, XXX, ibid., Scriptores rerum Langob. et Ital., pp. 597 s.
Che il C. sia l'autore della cronaca favolosa risulta con certezza dai versi che vi si trovano quasi all'inizio (f. 1c). L'ipotesi ch'egli fosse anche l'autore degli Annales Placentini fu formulata per la prima volta, con prudenza, dallo Huillard-Bréholles (1856), che aveva trovato citato un Giovanni Codagnello come teste in un documento rogato a Fiorenzuola d'Arda (Piacenza) nel 1222. La riprese poi il Pallastrelli (1859), che addusse molti altri documenti, in cui intervengono membri della famiglia piacentina del Codagnelli (nobili, ma non di primo piano), e, in particolare, un notaio di nome Giovanni, il C. che, fra l'altro, in data 31 marzo 1202, rogò una carta di conferma dell'accordo di pace stipulato nell'agosto dell'anno precedente fra Milanesi e Piacentini, da una parte, e Pavesi, dall'altra, nella quale ricorre un'espressione tipica che si ritrova usata allo stesso riguardo anche negli Annali (si veda l'edizione di Holder-Egger, pp. 30, 8 e 38). Ma fu sbrigativamente respinta da Pertz (1863), che, avendo (a torto, come si vedrà) privilegiato nella sua edizione il testo dei Gesta Federici in Lombardia tramandato dal Paris. lat. 4931, come quello che avrebbe meglio rispecchiato il dettato genuino del racconto dell'anonimo cittadino di Milano sulla distruzione della sua città, si rifiutava di ammettere che il C. potesse essere stato autore di qualcuno degli altri "pezzi" che, nel medesimo manoscritto, si accompagnano ai Gesta, salvo, beninteso, la cronaca iniziale, la cui attribuzione al C. restava anche per lui fuori discussione, ma che intitolava arbitrariamente Chronicon de sex aetatibus mundi, laddove proprio all'inizio di esso si precisa che "quatuor sunt etates: aurea, argentea, enea et ferrea". A riproporre quell'ipotesi con decisione, corredandola di argomenti nuovi a favore e, soprattutto, sviluppandola nel senso di attribuire al C. il merito di avere messo insieme l'intera raccolta, intervenendo, in una misura che veniva stabilita volta per volta, ma che nell'insieme risultava, a conti fatti, molto notevole, nella rielaborazione dei singoli testi che la compongono, in più di quelli di cui poteva essere considerato legittimamente l'autore fu, nel 1890, lo Holder-Egger, in un contributo che resta a tutt'oggi il necessario ed essenziale punto di riferimento per una ricerca sul C., ponendosi - se così si può dire - come il vero atto di nascita di questa singolare figura di notaio-cronista piacentino della prima metà del sec. XIII, nonostante che l'erudizione storica italiana del tempo esitasse a prendere nota dell'evento (lo Holder-Egger lamenterà, nel 1902, il silenzio dei redattori dell'Arch. stor. ital. e dell'Arch. stor. lombardo). Se si aggiunga che, come si è già avuto modo di mostrare in dettaglio, lo stesso Holder-Egger, oltre che a pubblicare per la prima volta, nell'ambito di quel medesimo saggio, gran parte della cronaca favolosa, avrebbe provveduto, negli anni seguenti, a rieditare in modo più soddisfacente gli Annales Placentini (1901), i Gesta Federici in Lombardia e in expeditione sacra (1892), e i Gesta obsidionis Damiate (1903), si dovrà concedere che il nome del C. e quello dell'erudito tedesco non sono facilmente disgiungibili in un'indagine critico-biografica che abbia per oggetto il primo dei due.
Benché contenga anche excerpta di varia natura e provenienza (Historia Romana e Historia Langobardorum di Paolo Diacono; prologo della Lex Baiuwariorum, ecc.), la cronaca favolosa - cui va annesso il frammento sulla conversione di Costantino - è da ritenersi, sia per quanto riguarda i diversi racconti che la compongono sia nel suo insieme, opera originale del C., che ha rielaborato a modo suo, in assoluta libertà, senza nessun riguardo per luoghi, nomi e date, eterogenei materiali storico-leggendari preesistenti, di origine piuttosto dotta che popolare, anche se l'autore, da parte sua, sembra rivolgersi a un pubblico di ascoltatori ("quia putamus utile fore et ad audiendum delectabile": ediz. Holder-Egger, p. 475) più che di lettori.
Dei tre principali centri di interesse cui, secondo lo Holder-Egger, possono essere ricondotti i singoli racconti (fondazione di Piacenza e Milano; gesta di Giulio Cesare e dei suoi immediati successori; lotte delle città lombarde fra di loro e dei Lombardi tutti insieme contro nemici esterni), che avrebbero incontrato una certa fortuna (ibid., p. 311), il terzo è quello che merita la maggiore attenzione dal nostro punto di vista. In questa sezione della sua cronaca, il C. ambienta infatti nei lontani secoli V e VI accese rivalità fra città lombarde (soprattutto fra Milano e Pavia) per l'egemonia e meritevoli sforzi di unire insieme in un "collegium" tutte le "civitates, castra et loca" dei Galli Cisalpini, "qui Lonbardi dicuntur", per poter fare più validamente fronte alle minacce esterne: di Galli Transalpini, di efferati Tedeschi, di perfidi Ungari e, anche, di crudeli Longobardi - che, appunto, i "Lombardi", scesi in campo sotto la guida del loro re Massimiano, nobile sepriese, riescono a sconfiggere in battaglia presso Imola, mentre dal Veneto (Pannonia, secondo il C.), dove già si trovavano, e donde Massimiano aveva cercato di sloggiarli, si apprestavano a dilagare in Lombardia (ediz. Holder-Egger, pp. 479-480; ma vedi anche pp. 475-478).
In parziale contrasto con questo disinvolto tentativo di rimuovere la dominazione longobarda dalla storia della Padania almeno occidentale, stanno i tre "pezzi" della raccolta che trattano in modo più o meno esplicito di storia longobarda e si presentano, rispettivamente, come un'epitome della Historia Langobardorum di Paolo Diacono, redatta dal C., che qui però lascia cadere il controsenso secondo cui i Lombardi avrebbero preceduto nel tempo i Longobardi, per prospettare invece la tesi che furono questi a chiamarsi Lombardi dal giorno in cui si risolsero a farsi tagliare "barbam longam et capillos more feminarum" (ediz. Waitz, p. 196, 11-13); e come due diverse redazioni del breve prologo di carattere storico-leggendario - il Waitz le pubblica insieme con altri testi analoghi in una sezione intitolata Historiae Langobardorum fabulosae -, che precedeva il commento di Ariprando alla Lombarda e, in genere, le più tarde redazioni dell'Editto: la prima delle quali, la Istoria qualiter translatum est..., ampiamente rimaneggiata dal C., in perfetta rispondenza a un passo della prima parte della cronaca favolosa (ediz. Holder-Egger, pp. 315-30), parla di una Lombardia invasa da conquistatori venuti dalla lontana Scandinavia, di cui però pour cause si tace il nome, che si impadronirono del regno d'Italia (o di Lombardia) - e a un "Guisilberto Lombardie regi", oltre che a "Carulo Francorum regi", si rivolgerà per aiuto il papa, "cum ... nimiam a Longobardis, a Sciculis, a Grecis, a Transmarinis gentibus persecutionem pateretur" (ediz. Waitz, p. 595, 34-45); la seconda, la breve trattazione su nome, leggi e venuta dei Longobardi, così indenne, a giudizio dello Holder-Egger, da interventi di marca codagnelliana, da far pensare che sia stata aggiunta in un secondo momento alla raccolta, tanto più che occupa in essa l'ultimo posto.
Benché l'origine piacentina dell'autore della silloge sia confermata da mille indizi sparsi in tutti i "pezzi" che la compongono, è evidente che il C. guarda a Milano come alla stella fissa del suo orizzonte politico-morale, rispetto alla quale il polo del male è rappresentato stabilmente da Pavia. Ciò risulta in primo luogo, dal racconto della lotta fra Teodorico, re di Pavia in Liguria, e Alboino, re di Verona in Pannonia (ediz. Holder-Egger, pp. 480-491), che, nella cronaca favolosa, segue immediatamente la "Istoria Lombardorum, qualiter fecerunt collegium et primo arma contra inimicos sumpserunt". Tradito dai Pavesi, Teodorico, "cum omnibus regalibus indumentis et cum regni corona et signis omnibus, que ad regni coronam pertinebant", si rifugia a Milano; temendo di essere, a sua volta, tradito dai Pavesi, Alboino, da Pavia dove era subentrato a Teodorico, ritorna a Verona, lasciando libero il campo alla vendetta di Teodorico e dei Milanesi che erano con lui, i quali infatti distrussero il palazzo regio e resero Pavia tributaria di Milano; dopodiché Teodorico, sempre da Milano, regnò per quindici anni sul regno di Liguria, chiamato in seguito regno d'Italia, "cuius corona est ferrea a viris ferocibus dicta, quam basilice sancti Iohannis site in loco Moice legavit [sc. Theodoricus]" (è la prima menzione conosciuta della corona ferrea di Monza; vedi R. Elze, in Mon. Germ. Histor., Schriften, XIII, 2, Stuttgart 1955, pp. 467 s.); morto Teodorico e ucciso Alboino, dopo che il nuovo re d'Italia ebbe lasciata Milano per diventare imperatore a Roma, Elotario, re degli Ungari, incarica un suo uomo di fiducia della conquista d'Italia; mentre, rimasti senza re, i Lombardi aprivano le porte all'invasore e i Pavesi, in particolare, si mettevano a sua completa disposizione, la resistenza viene organizzata dai "feroces et bellicosi" Milanesi e dal loro duca Parideo, che affrontano Ungari e Pavesi, sconfiggendoli, come sconfiggeranno, dopo avere subito un duro assedio, lo sterminato esercito condotto successivamente in Italia dallo stesso Elotario e, ancora, un terzo esercito venuto dall'Ungheria in soccorso di questo; eletto re d'Italia, Perideo, "volens regnum Lombardorum universum defendere et ab eorum manibus deliberare", approfittò dell'occasione per estendere il suo potere anche sulla Pannonia (Veneto).
Ma, a questo punto, i Milanesi, che, "potentia et superbia elati atque inanis glorie cupidi", volevano soggiogare - oltre che la Pannonia - l'Emilia, l'Umbria, la Tuscia e l'Aurelia (sic), si trovarono di fronte i Romani (vedi il capitolo: "Istoria inter Romanos et Mediolanenses": edizione Holder-Egger, pp. 492-496), e con Roma e l'Impero furono costretti alla fine a venire a patti, dopo che avevano chiamato in proprio aiuto i loro alleati Franchi e avevano combattuto, con esito alterno, contro due eserciti romani, inviati nella Padania per ridurre alla ragione l'indomita città. Fra l'altro, i Milanesi chiesero, ed ottennero, che ogni tre anni l'imperatore spostasse per sette mesi a Milano la sede dell'Impero. "Quo ita ordinato et statuto Romani cum Mediolanensibus per Italie civitates et loca per gentes ipsas sub Romanorum iugo posuerunt et eas tributarias Romano fecerunt imperio": una conclusione a sorpresa, che induce a stemperare l'immagine un po' trita del rabbioso guelfismo ante litteram del C., proposta dallo Holder-Egger. In realtà, l'erudito tedesco dà l'impressione di avere percorso la cronaca favolosa non tanto per esaminarla in se stessa, cosa che, in fondo, resta ancora da fare, quanto perché la sicura paternità codagnelliana di questa la rendeva l'unico punto di riferimento sicuro, rispetto a cui saggiare l'appartenenza, o meno, al C. delle altre opere comprese nella silloge parigina, che era in definitiva il suo assunto.
Venendo ora agli Annales Placentini, che sono sicuramente del C., e anche ai Gesta Federici in Lombardia, che il C. ha ampiamente rimaneggiato, si può, per esempio, constatare come il tema dei Lombardi collegati contro i loro nemici d'oltre Alpe, che ricorre nel brano citato della cronaca favolosa, trovi scarsissimi sviluppi in queste due opere, dove mai si richiama l'attenzione sull'identità etnica dei Cisalpini contrapposta a quella del Barbarossa e dei suoi, mentre fortissimo, straripante, è il senso di detestazione per le città lombarde, come Pavia e Cremona, che, a differenza di Milano e Piacenza, erano abitualmente schierate dalla parte dell'imperatore. Ragion per cui si direbbe che la mirabile concordia a suo tempo dimostrata dai "Galli Cisalpini, qui Lombardi dicuntur" contro gli insidiatori esterni della loro pacifica operosità agro-pastorale (ediz. Holder-Egger, cronaca favolosa, pp. 375-376), venisse evocata dal C. con scarsa o nessuna convinzione che il miracolo potesse ripetersi in tempi moderni.
Secondo lo Holder-Egger, il C., che per la parte iniziale degli Annales avrebbe utilizzato annali piacentini - ora perduti - del sec. XII, collegati in modo che resta da definire con analoghi annali cremonesi, fa sentire la sua voce solo a partire dal 1167, mentre è dal 1189in avanti che gli Annales diventano cosa esclusivamente sua, nel senso che, non avendo forse più davanti a sé annali piacentini precedenti cui attingere, fu costretto a procedere per conto proprio, mettendo a frutto, volta per volta, ricordi personali (Annales Placentini, ediz. Holder-Egger, pp. 65, 29 e 67, 1-2), resoconti orali (ibid., p. 98, 26-27) e documenti scritti (ibid., p. 22, 5-6 e 37-38), e rimpastando poi il tutto a suo modo.
Non è detto che il C. abbia scritto gli Annales anno per anno, anzi è molto probabile il contrario: non mancano vistose rotture dell'impianto annalistico (ibid., pp. 32, 15-16, 33, 19 ss. e 84, 15 ss.), e abbiamo la prova che solo dopo il 1222 egli cominciò a trascriverli nel codice contenente l'intera raccolta, di cui il manoscritto parigino è l'apografo (ibid., p. XIII), di modo che, volendolo, ebbe anche questa possibilità di ritornare sul già scritto. A rendere più difficile il suo compito contribuì non poco l'andamento discontinuo dello sviluppo istituzionale del Comune di Piacenza, dove si registra più tardi che altrove la presenza di una serie omogenea di magistrati (consoli, podestà), che potesse fungere da supporto locale alla scansione annalistica.
Le notizie sparse qua e là sulle modifiche dell'assetto urbano, sulle emissioni della zecca locale, sui prezzi di cereali e vino in anni di abbondanza o di carestia non devono fuorviare od illudere: gli Annales del C. sono ossessivamente una cronaca di spedizioni militari, di assedi di castelli, di sortite vittoriose, di ritirate ingloriose, di incendi e devastazioni di raccolti, di distruzioni e riedificazioni di borghi e città, ecc., come se la vita italiana del tempo non consistesse in altro. E se la materia del racconto è questa e solo questa, il modo di scrivere del C. contribuisce da parte sua a stendere sull'intero quadro che ne risulta una patina di sconcertante uniformità: da buon notaio, abituato a procedere nel suo lavoro quotidiano sulla falsariga di formulari fissi, il C. dà l'impressione di essersi creato una serie di modelli, altrettanto rigidamente formalizzati, anche per il suo lavoro di cronista. Con la stessa automaticità con cui, dovendo rogare un atto di permuta o una compravendita, il C. si limitava a prendere nota della data del giorno, dei nomi dei contraenti e dell'oggetto del contratto, perché tutto il resto nella stesura del documento sarebbe andato da sé su binari prestabiliti e sicuri; così, dovendo raccontare una battaglia, una spedizione punitiva o un assedio, egli si limitava ad aggiungere data, nomi dei protagonisti, luogo dell'azione a uno schema già mentalmente predisposto, variando solo, a casaccio (ma, beninteso, tenendo conto delle proprie simpatie), le cifre dei combattenti sui due fronti e dei morti e prigionieri delle due parti, sempre inattendibili queste, a differenza delle date topica e cronica (non solo l'anno e il mese, ma anche il giorno del mese e della settimana, e talvolta persino il santo del giorno), che, quando è possibile controllarle, risultano di solito esatte e, quindi, preziose per lo storico moderno (ediz. Holder-Egger, pp. XII-XIII). E, proprio come nei documenti notarili, sia negli Annales Placentini sia nelle altre opere del C., troviamo delle serie sempre ritornanti di parole in fila, a cascata, allineate solo nell'astratta previsione di tutte le fattispecie teoricamente possibili, non perché la realtà si presentasse, caso per caso, così complessa e variegata: altrimenti non si spiegherebbe come, per esempio, i soldati in fuga dopo una sconfitta non cercassero mai rifugio o nei campi, o nelle paludi, o nei boschi, ma sempre, inesorabilmente, a dispetto delle diversità certo esistenti nella natura dei terreni, "in campos paludes nemora" ad un tempo.
Lo stile inconfondibile del C., su cui lo Holder-Egger insiste a più riprese, è, in sostanza, il frutto di uno sforzo di fare di più di quanto non gli fosse consentito dalla sua modesta preparazione retorica: "Cum igitur dicendo magna appeteret, sed parum valeret, adductus est, ut stilo insolenti ac monstruoso uteretur, quo oratio eius tantum a simplici, magis Italico quam Latino, sermone reliquorum annalium Italicorum scriptorum quantum ab eo eruditorum virorum illius aetatis differt" (Annales Placentini, ediz. Holder-Egger, p. XV). Si pensi, per contrasto, al curricolo di un altro notaio-cronista, press'a poco coevo, Rolandino, che, per colmare il divario esistente fra le sue scarse possibilità espressive e le sue ambizioni letterarie, dalla natia Padova, dove probabilmente aveva studiato da notaio alla scuola del padre (anche il C., del resto, ebbe forse un padre notaio, Alberto: vedi Annales Placentini, ediz. Holder-Egger, p. VII), si recò a studiare ars dictandi a Bologna, alla scuola del celebre Boncompagno, ottenendo un risultato che è sotto gli occhi di tutti i lettori dei suoi Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane.
La contrapposizione, fissata fin nel titolo dal Pertz, fra Annales Placentini Guelfi (che ora sappiamo opera del C.) e Annales... Gibellini, oltre che peccare, almeno per ciò che concerne i primi, di un certo anacronismo, rischia di mettere fuori strada l'interprete. Una cosa infatti è l'atteggiamento antisvevo, che indubbiamente il C. condivide in pieno, in forma retrospettiva per quanto riguarda il tempo di Federico I, attuale per quanto riguarda Federico II, gratificato fra l'altro di una pesante insinuazione di carattere personale, che il C. sarebbe stato il solo a raccogliere fra gli autori contemporanei (ibid., p. 87, 1 e 39-40); un'altra, la militanza a favore della "pars Ecclesiae", di cui non si ritrova ancora negli Annales né il nome né l'idea, ma che è come solo anticipata di fatto nella sottolineata e lodata costanza con cui Milano, Piacenza, Bologna e, in genere, le altre città della lega lombarda prendono partito a favore del papa ogni qualvolta ne sono richieste (ibid., pp. 67-68, 87-88, 89-90, ecc.). Perché si potesse parlare correttamente di "guelfismo", il C. avrebbe dovuto allargare i suoi orizzonti, assumere un'ottica peninsulare, ragionare non più in termini di Milano e Piacenza in lotta contro Pavia e Cremona, che sono ancora i suoi, ma di fazioni intercomunali che passano all'interno di ciascun Comune, dividendolo in due parti irrimediabilmente contrapposte e non piùcomponibili insieme.
Il C. è alle soglie di tutto questo, ma non di più, e il suo maggiore interesse consiste proprio nell'essere il testimone, in parte volontario in parte involontario, di questa transizione. Da un lato, infatti, partecipa ancora del clima e delle passioni della seconda metà del sec. XII, tanto è vero che sente il bisogno di rimpolpare indirettamente i suoi Annales, alquanto scarni per gli anni delle spedizioni italiane del Barbarossa (si vedano, per esempio, le notizie sulla distruzione di Milano e la battaglia di Legnano: ediz. Holder-Egger, pp. 6 e 11), includendo nella sua raccolta una versione ampliata e rimaneggiata dei Gesta Federici I imperatoris in Lombardia, destinata anche a essere letta in pubblico (ediz. Holder-Egger, Gesta, pp. 16, 28, 51), depurata dai cenni autobiografici dell'anonimo autore coevo (ibid., pp. 48, 50), appesantita nell'enumerazione dei crimini perpetrati dall'imperatore (ibid.) pp. 49-50), fornita di un nuovo titolo, ricavato ad arte dal racconto, ben più eloquente di quello, così anodino, che l'opera aveva sortito in origine: Libellus tristitiae et doloris,angustiae et tribulationis,passionum et tormentorum (ibid., pp. 14, e 58-59 per lo spunto del nuovo titolo); dall'altro (Annales Placentini, edizione Holder-Egger, pp. 68 ss., 111 ss., ad ann. 1219 e 1232), mostra di avere un'esperienza diretta e sofferta delle presenti lotte intestine fra milites e populus, della alterna vicenda degli esili (gli extrinseci che diventano intrinseci, e viceversa), delle sospette solidarietà che ciascuna delle due parti in conflitto vanno a ricercare a preferenza presso le parti omologhe attive in città fino a ieri irriducibilmente estranee e nemiche (Cremona), e, schierato com'è decisamente a fianco della maggioranza dei milites piacentini contro il popolo e la minoranza dei milites, propone sì il raccontino edificante sulla "sedicio magna" fra milites e populus, che sarebbe avvenuta addirittura nel lontano 1090, e si sarebbe conclusa con una pacificazione generale, fra le lagrime di pentimento degli interessati (ibid., pp. 1-3 e X), ma con molto minore ingenuità non esita al tempo stesso a mettere in circolazione uno schema tattico di battaglia basato sull'intervento risolutivo dei milites (i "seniores, viri nobiles et prudentes"; i "viri feroces et fortissimi et docti in bello"), che rimangono nascosti, in una posizione defilata, fino al momento in cui i populares hanno la peggio e il nemico crede di avere partita vinta, schema che applica alla narrazione della battaglia di Carcano (Como), del 1160, fra Milanesi e Imperiali, in uno dei passi interpolati dei Gesta Federici in Lombardia (ediz. Holder-Egger, pp. 43-46), e riprospetta anche in riferimento a una delle battaglie fra Milanesi e Romani della cronaca favolosa (ediz. Holder-Egger, pp. 492-493; vedi anche ibid., p. 275).
Fonti e Bibl.: O. Holder-Egger, Über die histor. Werke des Johannes Codagnellus von Piacenza, in Neues Arch., XVI (1891), pp. 253-346, 475-509; C. Cipolla, Per la storia d'Italia e de' suoi conquistatori, Bologna 1895, pp. 595-99; B. Schmeidler, Italien. Geschichtsschreiber des XII. und XIII. Jahrhunderts. Ein Beitrag zur Kulturgeschichte, Leipzig 1909, pp. 38-41