CARACCIOLO, Giovanni
Nacque nell'anno 1487 da Troiano, duca poi principe di Melfi, e da Ippolita Paola di Sanseverino, figlia di Guglielmo conte di Capaccio. Conosciamo poco della sua infanzia e della sua adolescenza; si sa tuttavia che fece parte dell'Accademia Pontaniana: nel 1526 il duca d'Atri gli dedicherà la sua traduzione di Plutarco De virtute morali. Libellus graecus cum latina versione et commentariis Andreae Matthei Acquaviva Hadrianorum ducis, Neapoli 1526.
La maggior parte della sua vita fu tuttavia occupata dalla guerra. Nel 1512 egli combatté a Ravenna dalla parte dei Francesi, mentre suo padre nell'occasione rimase fedele alla casa d'Aragona: non si trattava tuttavia di un antagonismo familiare, ma di un modo di conservare il patrimonio qualunque fosse stato l'esito della guerra. D'altronde il C. abbandonò ben presto la causa francese e successe senza difficoltà al padre nel 1523 diventando principe di Melfi, duca di Venosa, d'Ascoli di Soria, marchese d'Atella, conte d'Avellino e gran siniscalco del Regno di Napoli. Il solo territorio di Melfi gli fruttava una rendita annua di circa 2.500 ducati ed 8.000 l'insieme dei suoi possedimenti. Il suo nome e la sua fortuna lo rendevano uno dei principali personaggi del Regno ed egli del resto sapeva vivere da gran signore.
Le mire di Francesco I sul Regno di Napoli ebbero un tragico peso sulla sua vita. Già nel 1525 fu incaricato dal viceré di apprestare la difesa di Barletta per timore di uno sbarco veneziano e tre anni più tardi riprese le armi per resistere all'invasione condotta da Odet de Foix signore di Lautrec. Partendo dall'Aquila, dove si trovava in gennaio, il C. raggiunse il mese seguente a Lucera Philibert de Chilon principe d'Orange; i due condottieri si separarono a Troia il 21 marzo, Philibert per recarsi a Napoli, il C. per stabilirsi a Melfi con sei compagnie di fanti e una nutrita schiera di cavalieri. Di fronte a questa minaccia che pesava sul vettovagliamento del suo campo il Lautrec mandò in tutta fretta davanti a Melfi Pietro Navarro, parte dell'artiglieria, le "bande nere" e un certo numero di fanti francesi. Un primo assalto fu respinto dopo due giorni di bombardamento, ma un secondo permise all'assediante di impadronirsi della città che fu saccheggiata, mentre il C., ferito, fu preso prigioniero nel castello insieme con la moglie Eleonora Sanseverino e con i suoi figli. La mancanza di denaro e, sembra, la cattiva volontà trattennero Philibert de Orange dal riscattarlo; il C. finì per venir meno al giuramento prestato a Carlo V ed iniziò ad arruolare truppe per conto del re di Francia. Così nel maggio 1528 si trovò davanti a San Germano, poi davanti a Gaeta con più di 7.000 uomini, mentre le galere veneziane completavano l'assedio: l'arrivo di Andrea Doria tuttavia costrinse a sospendere l'azione. Il C. ripiegò verso Capua, ma la morte del Lautrec e la disfatta dell'esercito lo fecero desistere ed il 1º settembre, insieme con l'abate di Farfa e con Renzo da Ceri, prese la strada di Aversa. Venuti a conoscenza ben presto della caduta della città, si diressero allora verso gli Abruzzi e minacciarono la Puglia dove Philibert de Chálon inviò per contrastarli il marchese del Vasto con parte dell'artiglieria e 6.000 fanti.
Il 18 ott. 1528 scrisse ad Anne de Montmorency per assicurare che: "...tant que seray vivant ne fauldray a faire le service du Roy ou verray estre necessaire, comme par cy-devant mes predecesseurs ont faict." Si trovava allora a Senigallia da dove ripartì con delle galere veneziane alla volta di Bari. Nella città pugliese ritrovò Federico Carafa e si accampò insieme con lui sotto le mura di Molfetta, che sarebbe dovuta appartenere a suo figlio Troiano, in forza del matrimonio con Isabella di Capua. Il Carafa venne ucciso durante l'assedio, il C. invece riuscì ad impadronirsi della città, che venne saccheggiata, e nello stesso mese (febbraio 1529) entrò a Barletta. Da lì scrisse in Francia per chiedere i fondi necessari all'arruolamento di 4.000 uomini e alla controffensiva. Grazie all'apoggio finanziario di Firenze (il che ha fatto supporre al D'Ayala che il C. fosse passato al servizio di questa Repubblica) difese insieme con Renzo da Ceri le città di Monopoli e di Barletta così vigorosamente da costringere il marchese del Vasto a togliere l'assedio da quest'ultima nel marzo 1529.
È noto quanto Francesco I abbia dimenticato i suoi alleati italiani durante i negoziati del trattato di Cambrai (5 ag. 1529), ed è comprensibile perciò l'ostinazione mostrata da Renzo da Ceri e dal C. nel rifiutare di abbandonare agli Imperiali, in conseguenza di questo trattato, delle città che essi presidiavano senza alcuna difficoltà. Ancora nell'ottobre 1529, per facilitare la restituzione di Barletta, l'ammiraglio di Francia cercava di ottenere il perdono del C. da parte degli ambasciatori di Carlo V, ma questi tentativi risultarono vani ed il principe di Melfi finì per recarsi in Francia. Nel 1530 fu al seguito del re durante il viaggio verso la frontiera spagnola figurando come capo degli esuli napoletani, le cui tristi condizioni trasparivano dalle lettere che scrisse in quel periodo al Montmorency. Non abbandonò l'entourage del re: assistette, per esempio, con due dei suoi figli a Saint-Denis il 5 marzo 1531 alla consacrazione della regina Eleonora. Fin dal 1528 l'imperatore aveva requisito i suoi beni ed aveva creato principe di Melfi Andrea Doria e principe d'Ascoli Antonio de Leyya (20 dic. 1531). In compenso Francesco I gli aveva accordato una pensione annua di 10.000 lire tornesi (portata poi a 15.000 da Enrico II), l'aveva nominato cavaliere dell'Ordine di S. Michele, concedendogli successivamente le terre di Châteauneuf-sur-Loire, Vitry-aux-Loges, Romorantin, Brie-Comte-Robert, il viscontado di Martigues, la baronia di Berre. I suoi figli ricevettero una pensione di 600 lire tornesi ciascuno ed il genero Antonio d'Aquino una di 1.200. Le sue entrate in Francia finironocosì per essere superiori a quelle di cui aveva beneficiato nel Regno di Napoli, il che rappresentò per molto tempo la garanzia della fedeltà che il C. avrebbe conservato alla causa del re. In realtà il sovrano aveva piena fiducia in lui ed alla ripresa della guerra nell'anno 1536 lo incaricò, assieme a Stefano Colonna, di scegliere un luogo adatto per riunire la sua gendarmeria; lo consultò anche sui preparativi da effettuare per la difesa della Provenza e dietro suo consiglio abbandonò la città di Aix.
Il 1º agosto il C. entrò in Arles e condivise con lo stesso Stefano Colonna la carica di luogotenente del re nella città, dove l'intesa tra soldati francesi e italiani era tanto difficile da esplodere in lotta aperta durante una sua assenza. Tornato immediatamente, il C. dimostrò una grande autorità ed un forte ascendente sulle truppe, qualità che si aggiungono alla previdenza con cui seppe allestire le fortificazioni della città. Da tutta la sua condotta durante la campagna del 1536 traspare una assoluta fedeltà al re di Francia e ciò permette di considerare calunniosa l'affermazione del Rosso secondo la quale il C. avrebbe promesso a Carlo V di consegnargli Marsiglia in cambio della restituzione dei suoi beni. Tuttavia si potrebbe pensare, seguendo l'opinione del Brantôme, che il C. abbia agito per astuzia al fine di distogliere Antonio de Leyva dai suoi progetti contro Torino e incitarlo ad attaccare la Provenza. Dopo la ritirata dell'imperatore il C. raggiunse il re ed assistette a Lione all'esecuzione di Montecuccoli, accusato d'aver avvelenato il delfino.
Sin dalla fine dell'inverno 1536-1537 fu tra coloro che dirigevano il trinceramento delle mura di Hesdin e nel maggio la sua compagnia fu tra le prime a mettersi in viaggio alla volta del Piemonte. Tuttavia il C. non partecipò a questa campagna poiché verso la metà di luglio il re aveva deciso di affidargli il comando di una spedizione navale contro Napoli condotta da una dozzina di galere. Imbarcatosi a Marsiglia il 7 settembre tentò di raggiungere la squadra del barone di Saint-Blancard allo scopo di effettuare insieme con quest'ultimo e di concerto col Barbarossa uno sbarco nel Regno di Napoli: l'operazione doveva sostituirne una di carattere più generale in Italia che era stata ritardata e ridimensionata dalla spedizione di primavera nel Nord della Francia. Il C. ed il Saint-Blancard si incontrarono poco dopo il 25 settembre nelle acque di Patrasso, ma il barone aveva già preso congedo dal Barbarossa e la stagione era troppo inoltrata perché i Napoletani potessero tentare con successo una battaglia sul loro territorio; in seguito l'occasione non si presentò mai più.
Scarse sono le notizie che riguardano gli anni dal 1538 al 1541: il C. era a Fréjus nel maggio 1538 e nel giugno 1539 assistette a Parigi alle onoranze fimebri per l'imperatrice. La compagnia di cinquanta lance rimase in quel periodo inattiva, ma dall'agosto 1541 il C. con duemila fanti e duecento lance fu inviato ad Arles dove partecipò alla grande operazione di difesa della Francia meridionale.
Nel 1542 la guerra si riaccese ed egli allora prese parte alla conquista d'Ivoix, di Damvilliers e di Montrnédy. Nel marzo dell'anno seguente l'operazione che avrebbe dovuto, portarlo insieme con il duca di Vendóme ad accrescere la flotta del Turco di venticinque galere e trenta vascelli nelle acque del Mediterraneo fu rimandata ed egli combatté allora nell'Est della Francia: nell'agosto 1543 riuscì a prevenire un'offensiva del conte di Roeux contro Landrecies e munì la città di potenti fortificazioni. Alla fine del mese si attestò in Guisa con diecimila tedeschi, un certo numero di legionari e di cavalieri. In ottobre riuscì nella difficile impresa di rifornire Lussemburgo ed organizzò la difese di Arlon; al ritorno andò a rinforzare l'armata reale davanti a Landrecies. Dopo la ritirata degli Imperiali, Francesco I gli rilasciò le credenziali di luogotenente generale per l'esercito di Lussemburgo (4 dicembre 1543). Con l'aiuto di Brissac doveva costringere Gugliemo di Fürstenberg a togliere, l'assedio alla città, impresa questa ben riuscita anche se condotta in pieno mese di gennaio, con un freddo tale che il vino gelava ed era trasportato in ceste dopo esser stato tagliato con l'accetta.
Francesco I lo chiamò nuovamente ad un incarico di alta responsabilità nominandolo il 10 giugno 1544 luogotenente della città di Troyes, nel momento in cui Carlo V si dirigeva verso la Champagne minacciando ormai Parigi: la guarnigione contava cinquemila uomini, ed il C. fece appello a tutta la sua esperienza per allestire le fortificazioni. Il 14 dic. 1544 venne ricompensato per i suoi brillanti servizi col bastone di maresciallo di Francia e la sua compagnia allora passò da cinquanta a cento lance. L'anno seguente dovette riportare l'ordine nel Périgueux, dove la rivolta detta della gabella era sfociata in gravi disordini, comportandosi con altrettanta autorità e clemenza, secondo il suo carattere. Lo ritroviamo a Le Havre nel giugno dello stesso anno, dove riorganizzò la fanteria; a metà settembre poi fu inviato davanti a Boulogne per ispezionare lo stato delle fortificazioni, riguardo al quale inviò un rapporto determinante per l'azione del re. Il 4 ott. 1545 fu nominato governatore e luogotenente in Piemonte ("pour la longue experience qu'il a au faict de la guerre et des armes, accompagnée de grans sens, vertu, vaillance, prudence et bonne conduicte qui sont en luy") da Francesco I, che si stava preparando alla continuazione della guerra. La sua partenza per Torino fu però ritardata da una malattia, provocata, sembra, dal dolore per la diffidenza che alcuni consiglieri del re nutrivano sulla sua lealtà. Alla fine, nella seconda metà del febbraio 1546 raggiunse la sua nuova sede; nel dicembre 1547 Enrico II lo riconfermò luogotenente.
Dopo essersi mostrato soldato di gran valore, il C. si distinse anche come eccellente amministratore. Nelle istruzioni date al maresciallo di Brissac suo successore si legge: "Il semble que les choses concernans le faict de la justice et police ont esté très bien entendues par le prince de Melphe, avec une grande diligence, de sorte qu'il ne s'est point veu ne oy de son temps au Piedmont aucun bruit ne de praguerie ne sedition, mais tout y est allé doucement, vivant le soldat avec le peuple et le peuple avec le soldat au contentement des deux". La stessa impressione si ricava dalla relazione di viaggio di Andrea Minucci: "E certo è bel vedere tra tanti soldati forestieri essere la piazza [di Torino] così piena di cose venali, dove uomini e donne vendono e comprano secondo il loro bisogno senza uno strepito al mondo: anzi mi dicevano alcuni di quella città, che allora si viveva assai più quetamente che non facevano al tempo dello studio che vi stanziavano scolari e non soldati, e ciò essi attribuiscono alla prudenza e giustizia del signor Jano Caracciolo... il quale con destrezza e severità tiene i terrazzani ed i soldati in obbedienza e in ufficio, che mai non si sente una contesa fra loro...". D'altra parte la descrizione delle misure prese per rendere le mura più sicure mostra assai bene come il C. anche in tempo di pace non fosse uomo incline alla pigrizia.
Il principale evento verificatosi durante il suo governo fu la presa del castello di Revello e, il 23 febbr. 1548, l'arresto del marchese Gabriele di Saluzzo che morì poco dopo. Ciò dette adito ai suoi avversari di risvegliare i sospetti del re contro il C., riferendo che questi aveva chiesto perdono al marchese per quanto era costretto a fare nei suoi confronti. Fu ordinata un'inchiesta la cui direzione venne affidata ad Antonio Caracciolo, ma il C. non ebbe difficoltà a fornire le prove della sua lealtà verso Enrico II.
In Piemonte condusse una vita brillante da gran signore qual era, come testimoniano il ricevimento in onore di Enrico II, nell'agosto 1548, e l'accoglienza riservata ad Anna d'Este nell'ottobre 1549, all'epoca della sua venuta in Francia presso il marito Francesco di Lorena. Tuttavia fu sempre pronto a riprender le armi e poco mancò del resto che non lo facesse all'epoca del complotto contro Genova nel 1548, poiché i cardinali di Guisa e du Bellay preferivano che l'impresa fosse condotta da lui piuttosto che dal più violento Piero Strozzi, sostenuto dai fuorusciti.
La sua saggia amministrazione durò fino al 1550, anno in cui si ammalò gravemente, tanto che Diane de Poitiers gli inviò il figlio Antonio per pregarlo di rinunciare ad una carica divenuta troppo onerosa e di ritirarsi in Francia, dove il re lo avrebbe trattato conformemente ai servigi da lui prestati. Ma egli non doveva più tornare al suo palazzo parigino, presso l'abbazia di Saint-Victor: il 20 luglio Antonio Caracciolo fece sapere al re che il padre desiderava essere sostituito; la carica di luogotenente generale fu affidata, per intervento di Diane de Poitiers, al signore di Brissac, gran maestro dell'artiglieria, il quale partì senza indugio ed incontrò il C. a Susa il 9 agosto. Ma era troppo tardi per intrattenersi col principe ormai morente.
Fu, come scrisse il cronista: "un grand dommage pour la France a cause de la singuliere prudence, bonté et experience qui estoient en luy, ayant accompagné tous ses faicts et toutes ses actions, tant civiles que militaires, d'une très recommandable devotion et fidelité envers ceste couronne" (Boyvin du Villars).
Il suo corpo fu portato a Torino nella chiesa di S. Domenico ed inumato nella cappella della Beata Vergine del Rosario; le figlie vi posero una lapide in memoria del padre.
Il C. si era fatto stimare alla corte di Francia da coloro che erano più sensibili alle qualità intellettuali e morali, conquistando così l'amicizia della regina Margherita di Navarra.
I suoi tratti ci sono stati tramandati da A. Minnucci (1549), egli era un "...uomo di grata e venerabile presenza, di buona statura, di pelo tutte bianco", e così ci appare in due disegni della scuola di Clouet che ci sono rimasti, mentre sembra sia andato perduto il ritratto che Brantôme vide presso una discendente del principe.
Sposò Giovanna d'Acquaviva figlia di Giovanni Francesco marchese di Bitonto, poi Eleonora Sanseverino. Furono suoi figli: Troiano marchese d'Atella, marito di Isabella di Capua, che doveva abbandonarlo per portare a Ferrante Gonzaga il principato di Molfetta; luogotenente in Francia nella compagnia del padre fu ucciso nel 1544 durante la battaglia di Cérisolles; Giulio, marchese d'Atella, luogotenente nella compagnia del padre dopo la morte di Troiano; Antonio, vescovo di Troyes; Isabella, morta nel 1555 (andò in sposa ad Antonio d'Aquino marchese di Corato, naturalizzata insieme con il marito nel dicembre 1550); Camilla (sposò il 26 maggio 1547 Claudio barone di Pestels, ricevendo una dote di 12.000 lire tornesi); Susanna (sposò nell'ottobre 1550 Francesco d'Acquaviva, duca di Atri, cavaliere dell'Ordine di S. Michele, a cui il re concesse il 14 giugno 1547 la signoria di Brie-Comte-Robert; a lei Enrico II assegnò in dote 30.000 lire tornesi); Cornelia, principessa di Melfi, cui il re assegnò la rendita della signoria di Châteauneuf-sur-Loire il 22 genn. 1563 (morì a Châteauneuf nel 1586).
Fonti e Bibl.: Carpentras, Bibl. mun., ms. 490, ff. 206v-208v; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo, filza 65, c. 272; Parigi, Arch. nat., J 965 n. 7a; J 965 n. 9a; J 967 n. 121; J 968 nn. 21, 235, 237; Ibid., Bibl. nat., Pièces originales 592, doss. 13816; Ibid., Dossiers bleus 152, doss. 3933, ff. 14-15; Ibid., Estampes, Ne 31 rés., f. 62; Ibid., Clairambault 335, f. 109; 341, f. 91; 342, f. 141; Ibid., Fr. 2095, f. 66; 2965, f. 38; 2982, f. 75; 2990, ff. 50-51; 3007, f. 84; 3015, ff. 30, 82; 3034, f. 43; 3038, f. 68; 3049, f. 48; 3051, f. 51; 3052, f. 64; 3090, ff. 32, 53, 55, 57; 3095, f. 66; 3115, f. 23; 3132, f. 32; 3138, f. 31; 3155, ff. 83-91; 3226, f. 34; 3921, ff. 48, 50; 5148, ff. 97, 108v; 5150, ff. 36-37, 62; 5151, f. 7; 6639, f. 441; 17889, f. 174; 17890, f. 308; 20452, ff. 105-106, 121; 20469, ff. 107-108; 20516, ff. 21, 51; 20531, ff. 38-39; 20542, ff. 45, 105; 20548, f. 142; 20549, ff. 88, 150; 20553, ff. 30, 101; 20555, f. 39; 21518, n. 1392; 21519, nn. 1443. 1447; 21520, n. 1469; Ibid., Dupuy 273, f. 189v; Parigi, Bibl. du Conservatoire des Arts et Métiers, Petitfolio ME 3 III, f. 29; Vienna, Staatsarchiv, Haus-Hof-u. Staatsarch., Frankreich,Berichte 11, ff. 112v (Saint-Maurris a Carlo V, 29 giugno 1545), 36v (lo stesso allo stesso: 14 dic. 1545); 12, ff. 47 e 50v (lo stesso allo stesso: 4 genn. 1546), 30 (lo stesso allo stesso: 14 febbr.); Archivo general de Simancas, K 1488, B7, n. 7. Vedi inoltre M. Hardy, Inventaire sommaire des archives communales de Périgueux, Périgueux 1897, p. 134; Catalogue des actes de François Ier, IX, Paris 1907, ad Indicem. Altre notizie in G. Ribier, Lettres et mém. d'Estat, Paris 1666, I, p. 613 s.; II, pp. 67-69; G. Molini, Docum. di storia italiana, II, Firenze 1837, pp. 180-181; Négociations diplom. entre la France et l'Autriche durant les trente premières années du XVIe siécle, a cura di A. Le Glay, II, Paris 1845, p. 727; Letters and Papers Foreign and Domestic of the Reign of Henry VIII, a cura di J. S. Brewer, IV, 2, London 1872, nn. 4352, 4833, 4905 iii; IV, 3, ibid. 1876, nn. 5157, 5207, 5525, 6290; Calendar of letters,despatches and State papers relating to the negociations between England and Stain, a cura di P. de Gayangos, III,2, London 1877, pp. 647, 650, 693, 698, 835; E. Coyecque, Recueil d'actes notariés, I, Paris 1905, nn. 2214s., 3249, 3316; Correspond. des nonces en France, a cura di J. Lestocquoy, I, 1535-1540, Paris 1961, pp. 185, 296, 298, 304, 306, 341, 375, 460; III, 1541-1546, ibid. 1963, pp. 7477, 124, 192, 248, 284, 286, 412, 423; VI, 1546-1551, ibid. 1966, pp. 54, 85, 90, 133, 227, 231; A. Ljublinskaja, Documents pour servir à l'histoire des guerres d'Italie(1547-1548), Leningrad 1963, passim. Inoltre si v. sull'attività del C.: Parigi, Bibl. nat., Rés. Lb30 49: J. de Goullefrac, La prise du prince et duc de / Melphe,faicte par monsieur de / Lautrect,avec plusieurs villes / et chasteaulx... (1528); La deffaicte des Bourguignons et Allemans faicte par les François, in Recueil de poèsies françaises, VI, a cura di A. de Montaigion, Paris 1857, pp. 209-217; Boyvin du Villars, Mémoires, Paris 1607, pp. 17-20; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napolet., II, Firenze 1651, pp. 129-131; B. Varchi, Storia fiorentina, Colonia 1721, p.140; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di L. Arbib, Firenze 1838-1841, II, pp. 360-363; Descriz. di un viaggio fatto nel1549 da Venezia a Parigi di A. Minucci,arcivescovo di Zara, a cura di J. Bernardi, in Misc. di storia italiana, I (1862), pp. 74-76; P. de Brantôme, Oeuvres complètes, a cura di L. Lalanne, Paris 1864-1882, I, pp. 158, 176-177; II, pp. 226-239; VI, pp. 389-390; VII, pp. 61, 233-234; G. B. Adriani, Sanctacrucii cardinalis Prosperi de vita atque rebus gestis ab anno MDXIV ad MDLXVII, in Misc. di storia italiana, V (1868), p. 641; B. de Monluc, Commentaires, a cura di P. Courteault, Paris 1911, I, pp. 320-322; III, p. 365; G. e M. du Bellay, Mémoires(1513-1547), a cura di V. L. Bourrilly-F. Vindry, I-IV, Paris 1908-1919, ad Indicem.
Si segnalano infine: A. Terminio, Apologia ditre saggi illustri di Napoli, Venezia 1581, pp. 133-136; T. Godefroy, Le cerémonial françois, Paris 1619, p. 216; M. Turpin, Histoire de Naples et deSicile, Paris 1630, pp. 549-593; G. Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l'imperio di Carlo Quinto (1526-1537), Napoli 1635, pp. 22, 43, 47-48, 50-54, 57, 82, 111, 140; J. B. L'Hermite de Soliers, Italie françoise, Rouen 1664, pp. 127-132 (il medesimo testo in Naples françoise, Paris 1663, pp. 127-132); P. Anselme, Histoire généalogique etchronologique de la Maison royal de France, VII, Paris 1733, pp. 191-192; D. Muletti, Mem. storico-diplom. appartenenti alla città ed ai marchesidi Saluzzo, VI, Saluzzo 1833, pp. 267-283; L. Santora da Caserta, Dei successi del sacco di Romae guerra di Napoli sotto Lautrech, Napoli 1858, pp. 41-43; M. D'Ayala, G. C.,principe di Melfi,ducadi Ascoli, in Arch. stor. ital., s.3, XV (1872), pp. 268-279; U. Robert, Philibert de Chalon,princed'Orange, Paris 1902, pp. 158, 174, 179-180, 199, 202, 228, 251, 259; Ch. de la Roncière, Histoirede la marine française, III, Paris 1906, p. 362; A. Rozet-J. F. Lembey, L'invasion de la Franceet le siège de Saint-Dizier par Charles-Quint en 1544, Paris 1910, pp. 35-37; L. Romier, Les institutions françaises en Piémont sous Henri II, in Revue historique, CVI (1911), pp. 1-26; Id., Lesorigines polit. des guerres de religion, I, Paris 1913, pp. 65-66, 69, 155, 170-171, 194, 533, 537-538, 543-544; E. Picot, Les Italiens en France au XVIe siècle, Bordeaux 1918, pp. 20-21; J. Roserot de Melin, Antonio Caracciolo,évêque de Troyes(1515) 1570, Troyes 1923, pp. 3-15, 23-24, 26, 39, 47, 52-53, 61-65, 362; P. Jourda, Marguerite d'Angoulême, II, Paris 1930, pp. 750, 1018; P. Litta, Le famiglie celebri italiane,s. v. Caracciolo, tav. XLI bis.