CAPPELLO, Giovanni
Nato a Venezia il 19 ott. 1573, terzogenito di Andrea (1537-1581) di Alvise e di Loredana di Marco Loredan di Alvise, sposò, il 22 apr. 1596, Chiara di Antonio Morosini di Piero, vedova di Dario Contarini di Girolamo, dalla quale ebbe due figli, Andrea (1597-1660) e Girolamo (1610-1666); e due figlie, Loredana, sposa a Marco Querini di Lauro, ed Elisabetta, sposa a Gabriele Emo di Pietro.
Le cariche pubbliche scandiscono totalmente l'esistenza del Cappello. Dopo essere stato sopracomito di galera, è eletto il 3 giugno 1601 camerlengo di Comun, ma rifiuta; il 19 luglio 1606 patron dell'Arsenale (non va quindi confuso con quel Giovanni Cappello [1565-1640] di Paolo investito della stessa carica l'8 ott. 1595, bandito dalla Quarantia criminale il 28 nov. 1598, per il cui salvacondotto si adoperò il cardinale de Joyeuse nel 1607); il 17 maggio 1609 è dei Dieci savi sopra Rialto; il 3 ag. 1617 commissario dell'armi in campo, ma ne è dispensato; il 15 sett. 1622 provveditore sopra i Boschi.
In tale veste si reca, col patron dell'Arsenale Girolamo Morosini, a ispezionare il bosco del Cansiglio: nella relazione, presentata assieme al collega, il 30 ott. 1622, al Collegio, si lamenta la difficoltà d'individuare i "dannadori" e si suggerisce che i Comuni, "nella giurisdittione de' quali vien fatto il danno", siano tenuti a consegnare il colpevole entro otto giorni, oppure al risarcimento. E consigliano altresì un più razionale sfruttamento del bosco sì da non depauperarlo: lo si suddivida in "40 o più prese con ordine che ogni anno fossero in una di esse... tagliati tutti li arbori buoni per remi", a partire da "quelli che corrono pericolo di guastarsi" e dai più vecchi, ed evitando, comunque, il taglio dei pini che non possano fornire almeno sei remi.
Si succedono, fitte, altre nomine: nel 1624 savio alla Mercanzia, "signore di notte al criminal", uno dei quarantuno elettori del doge Giovanni Corner; il 5 settembre del 1627 dei sessanta dei Pregadi; il 20 marzo del 1628 divenne consigliere pel sestiere di Cannaregio e il giorno dopo provveditore al Sal; il 20 sett. 1629 provveditore straordinario a Crema e nel Cremasco. Giunge alla "custodia" della "piazza", posta "tra le fauci et d'ogn'intorno circondata dal stato regio" il 21 ott. 1629 e vi rimane sino alla fine del 1630.
Fu un periodo veramente angoscioso: avvilita dal cronico ritardo dei pagamenti, la milizia è troppo scarsa per presidiare i fortilizi "posti al di fuori del recinto della fortezza", ridotta ulteriormente, specie nell'autunno del 1630, dal diffondersi della peste; sempre precaria, di conseguenza, la sicurezza di Crema, soprattutto all'inizio del giugno 1630, quando si verificarono la "perdita de' quartieri di Valezo et Villafranca et l'avvanzamento de' imperiali sin sotto Peschiera"; compromessi i lavori "alle nuove fortificazioni" dalle continue "esclamazioni di questi del territorio", ad essi tenuti senza compenso e per di più non rimborsati del fieno dato alla "cavalleria". Tanto che il C. avvisa il Senato, l'11 febbr. 1630, d'averli interrotti, "non osando io necessitare, col rigore, questi poveri di venire all'opera, che, niente pagati, non possono... sostentarsi".
Il C., che, nel 1631, è uno degli elettori del doge, Francesco Erizzo, viene quindi eletto il 13 febbr. 1632 inquisitor in armata, ma l'elezione è "tagliata et annullata" dagli avogadori di Comun; il 27 ag. 1634 del Pregadi; il 4 sett. 1634 provveditore all'Arsenale; il 17 dic. 1634 podestà di Brescia, dove risiede dall'agosto del 1635 sino al dicembre 1636, essendovi come capitano sino al 10 febbr. 1636 Francesco Corner e quindi Andrea Corner.
Mentre il giudice del Maleficio, alle dipendenze del C., è costantemente impegnato nell'istruzione di processi dato l'ambiente saturo di odi privati e violenza, il C. si adopera, col capitano, ad "affittare, con ogni maggior vantaggio, i publici e ordinarii datii di questa città", e, a proposito dell'"importante negotio della navigatione del fiume Oglio", a garantire la "sicurezza dei publici interessi"; cioè ad esigere che tutte le merci che giungessero "alle rive di Pontevigo" provenissero realmente da Venezia e non "da' luochi esterni", e quelle invece "con bollette" per la Dominante vi andassero veramente e non venissero esitate "in aliena dittione, senza pagar gl'altri dovuti diritti".
Di nuovo a Venezia, dopo essere stato nominato dei tre preposti alla "francation della Cecca", savio alla Mercanzia, provveditore sopra il Lido, è scelto, alla fine del 1645, con Nicolò Dolfin, come consigliere in armata presso il doge Erizzo, cui è stato affidato il comando della flotta. Ma, morto di lì a poco il doge, il C. gli subentra, all'inizio del 1646, nella carica più impegnativa che allora, essendo in corso la guerra col Turco, si potesse conferire: quella di capitano generale da mar. Il C., insignito anche della procuratia di S. Marco, dopo aver indugiato più che non dovesse, secondo lo storiografo Valier un po' "per la sua tarda natura", un po' per portare a termine "qualche piccolo affare privato", salpa dal Lido, con una numerosa flotta carica di milizie e provvigioni e con molto denaro, il 25 marzo e giunge alla Suda il 21 giugno.
Il C. attribuiva la lentezza del viaggio alla "contrarietà del vento" e al fatto che le galere erano "deboli per la qualità delle genti nuove, ma tanto più fiacche per la qualità degl'infermi" dovuta al crescente diffondersi dell'epidemia a bordo; ma lo storico Nani ravviserà la principale causa del ritardo nelle "inutili preoccupationi" del C. "di riveder dove passava le piazze, e rassegnar i presidii".
Ancor più deludente il suo comportamento successivo: attestati i Turchi alla Canca e i Veneti alla Suda, non cercò, pur disponendo di una flotta, a detta del Brusoni, "la più bella e la più forte che avesse da gran tempo solcato il Mediterraneo" di giungere ad uno scontro di una certa entità. Poco convinte le sporadiche uscite dal porto, e, più che volute, subite per le insistenze del provveditor d'armata Lorenzo Marcello, e del provveditor generale da mar Giovanni Battista Grimani.
Per di più senza risultati apprezzabili; colpa del vento, lamenta il C., che ora cessava di soffiare e faceva perdere alle navi il contatto colle galee e ora era troppo furioso e impediva l'uscita dal porto. Ma colpa anche del suo attendismo e delle sue incertezze, se, a conclusione di una "consulta" il 28 luglio 1646, affermava di persistere nel "parere... di tener quest'armata tutt'unita per difesa del porto... o d'uscir con tutta, lasciate solo 8 o 10 galere", come non fosse spettato proprio a lui, massimo responsabile delle operazioni in mare, scegliere appunto una conseguente linea di condotta; come se non fosse stato suo preciso dovere adottare una decisione, non limitandosi a costatare i termini dell'alternativa. L'età avanzata, una naturale costante incertezza, una titubanza persin patetica paralizzavano il C., al quale, d'altronde, poco poteva giovare la limitata e lontana, esperienza marittima fatta in gioventù. Ma non vanno neppure dimenticati altri fattori, da lui indipendenti, validi, semmai, ad attenuare le sue responsabilità: il persistente dissidio dei capi "da mar" (tra loro, poi, tutt'altro che concordi) col provveditore generale del regno di Candia Andrea Corner; le contraddittorie o troppo generiche direttive del Senato; la scarsità degli equipaggi, decimati, per di più, dall'epidemia; lo scontento delle "militie", tutte "inquietissime" - addirittura "tumultuanti... le genti de' vasselli" - specie per i ritardi nella corresponsione delle paghe.
Mentre le ausiliarie ritornano in Italia - e l'abbandono coglie di sorpresa il C., che tuttavia, malgrado questo "torbido impensatissimo", continua a dichiarare sé e gli altri comandanti "animati dalla giustizia della causa, più dalla speranza del divino aiuto", egli inizia, il 7 sett. 1646, una navigazione per bloccare l'arrivo alla Canea di un convoglio turco proveniente da Nauplia con munizioni. Ma è bloccato a Milo da "una tramontana mista di grecale". Con rassegnazione, nella "consulta" del 22settembre, riconosceva l'inutilità della mossa: "non è piaciuto a Dio permettere che possiamo incontrar queste 32galere ad effetto di che ci siamo portati in queste acque, et, contrariato il nostro viaggio da' tempi strani, siamo stati necessitati a deviar il dritto camino per incontrarle". Ritorna così indietro, per difendere Retimo investita dai Turchi; ma non assecondò il Corner che da lui esigeva un'efficace azione diversiva "in golfo della Suda". Non senza sua grave responsabilità quindi Retimo e il suo castello cadono in mano turca, rispettivamente il 20 ottobre e il 13 nov. 1646. Di qui anche l'esautoramento di fatto subito dal C., il quale, il 13 dic. 1646, scriveva al Senato lamentando che, in sede di "consulta", fossero state deliberate la partenza del Grimani alla volta dell'arcipelago "colla maggior direttione" e la sua permanenza nel porto di Candia "col minor corpo di galere", che vi dovevano essere riparate; e a "specioso fondamento" s'era addotto il pretesto che, essendo morto il Corner, era opportuno "che il general stendardo dovesse restar all'assistenza del regno". Avvilito, il C. invocava pertanto d'essere sollevato dalla "pesantissima carica", ignaro che il Pregadi lo aveva esonerato da più di un mese elevando al suo posto il Grimani.
Quando lo apprende, sembra accettare di buon grado la pur umiliante rimozione: "ben comprendo - scriveva l'11 gennaio 1647 - ... quanto più fruttuosamente possa dirigersi la mossa di questo pesantissimo impiego da soggetto... dotato delle più prestanti... qualità com'è" il Grimani.
A questo, con "la rinontia della galea", il C. trasmetteva i poteri il 18febbr. 1647. Partiva quindi, il 2 marzo, alla volta di Corfù, dove attese, almeno sino a tutto maggio, una nave che lo riportasse a Venezia. Accusato di inettitudine, venne incarcerato; ma fu presto assolto e liberato grazie a Marco Contarini, inviato in Levante ad inquisire sulla sua condotta, in considerazione soprattutto dell'epidemia che aveva tanto nociuto all'efficienza dell'armata.
Il C. morì a Venezia il 21 dic. 1653.
Fonti e Bibl.:Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, 54 (Libro d'oro nascite, IV), cc. 81v, 90;(Libro d'oro matrimoni, III), c.62r; Ibid., Avogaria di Comun. Civil, busta 106, n. 13; Ibid., Giudici dipetizion. Inventari, busta 364, nn. 103 s.; la relazione del C. e del Morosini sul bosco del Cansiglio, Ibid., Senato. Relazioni, busta 58; le lettere inviate come podestà di Brescia e come provveditor a Crema e nel Cremasco, Ibid., Senato. Lettere Bressa e Bressan, filze 17 e 38, e Senato. Lettere rettori Crema, filze 16, 17, e Capi del Cons. dei Dieci. Lettere di rettori e altre cariche, buste 29, nn. 257-267, 270-281; 30, nn. 1-8, 11-13; 68, n. 229; lettere del C. capitano generale da mar, Ibid., Senato. Lettere provveditori da terra e da mar, filze 1083, 1900; lett. del C. a Venezia, Civ. Museo Correr, mss. P. D. C 1052/306; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, II, Milano 1974, p. 88; N. Crasso, Canzone all'Illustr.mo... G. C. …generalissimo dell'armata, Venetia 1646; G. Arthus, Mercurii gallo-belgici..., XV, 4, Francofurti 1646, p. 98; F. Sansovino, Venetia città nobiliss. et singolare [aggiunte di G. Martignioni, 1663], a cura di L. Moretti, Venezia 1968, pp. 701, 705, 715, 718 bis, 753; V.Siri, Il Mercurio…, VIII, Casale 1667, pp. 562-64, 621 s.; G. Brusoni, Hist. dell'ult. guerra tra Venez. e Turchi..., Bologna 1674, pp. 61 s., 69 s.; A. Valier, Hist. della guerra di Candia, Venetia 1679, p. 56; B. Nani, Ist. della Rep. veneta, in Degl'istorici delle cose veneziane, IX, Venezia 1720, pp. 66-68, 98-101; G. Galilei, Opere (ediz. naz.), XX, pp. 409, 589; Calendar of State papers ... relating to English affairs existing in the archives ... of Venice…, a cura di A. B. Hinds, London 1912-1926, XVIII, pp. 283-285, 367 s.; XXVI, p. 195; XXVII, p. 286; P. Daru, Histoire de la Republique de Vénise, V, Paris 1821, pp. 34 s., 37; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., IV, Venezia 1834, p. 167; S. Romanin, Storia docum. di Venezia, VII, Venezia 1858, pp. 368, 387; A. Guglielmotti, La squadra ausiliaria della marina romana a Candia e alla Morea, Roma 1883, pp. 42, 47, 71; A. Medin, La storia della Repubblica di Venezia nella poesia, Milano 1904, p. 357; L. von Pastor, Storia dei papi..., XIV, 1, Roma 1932, p. 270; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, III, Stungart 1934, pp. 321 s.; M. Nani Mocenigo, Storia della marina veneziana..., Roma 1935, pp. 144-152; R. Quazza, Preponderanze straniere, Milano 1938, p. 231; A.Valori, Condottieri e generali del Seicento, Roma 1943, p. 69; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia venez. Del Seicento, in La civiltà venez. nell'età barocca, Firenze 1959, p. 289.