CALORI (de Caloris, Calora), Giovanni
Nacque probabilmente a Modena intorno al 1430 dal "nobilis vir" Bartolomeo (già morto nel 1466); la sua era forse quella stessa antica famiglia modenese cui era appartenuto nel Trecento il medico Paolo di Boniacopo Calori. Il C. compì gli studi nell'università di Ferrara, dove si addottorò in arti e medicina il 30 apr. 1453; sempre a Ferrara, nel successivo anno accademico (1453-54), fu lettore nello Studio, con lo stipendio di 50 lire. In seguito parrebbe dai suoi scritti che egli abbia lasciato l'insegnamento per assumere una condotta civica a Modena o a Ferrara, certamente da giovane e durante un'epidemia di peste bubbonica. Comunque, in data ignota, tornò di nuovo a Modena: il suo nome infatti, con quelli del padre e dei fratelli (Pier Paolo, Cristoforo, e Matteo), compare più volte nei memoriali notarili dell'Archivio di Stato di Modena, dal 1462 al 1484, in atti di eredità o vendite di terre.
Tra i più interessanti è l'istrumento dotale del 20 febbr. 1466(Mem.300, Atto 53)da cui si evince che in quell'anno il C. sposò Orsina, figlia di Bartolomeo di Morano. Un fratello del C., Matteo, studiava medicina a Ferrara, e il 7 nov. 1467 era testimone della laurea in arti del modenese Bonanno Fontana; più tardi, il 30 marzo 1470, si addottorò anch'egli in arti e medicina. I due fratelli mantennero cordiali rapporti, come indica il testamento di Matteo, steso a Modena il 20 maggio 1484, in cui egli assegna un legato anche alla cognata, Orsina di Morano. Nel testamento (riferito parzialmente dal Tiraboschi, ma non più reperibile all'Archivio di Stato di Modena) Matteo è detto "Habitator Mutinae de Contrata ruae Magnae" (ora via Farini): non è improbabile che ivi fosse la casa paterna, e che vi abitassero entrambi i fratelli.
Dopo il 1484 le tracce del C. si perdono, e nulla sappiamo della data e del luogo della sua morte: forse nel 1492 era ancora vivo ed era tornato ad insegnare medicina a Ferrara, se era lui quel Giovanni da Modena che lesse medicina nell'anno 1492.
Unica testimonianza dell'attività del C. restano due codicetti provenienti dalla Libreria medicea privata ed enumerati nell'inventario del 20 ott. 1495, compilato da Giovanni Lascaris e Bartolomeo Ciai quando i libri di Piero de' Medici furono trasferiti alla Biblioteca di S. Marco. I due manoscritti, intitolati rispettivamente nell'inventario del Lascaris Breviloquium de epidimia in medicina (ora codice L XI 45 della Biblioteca comunale di Siena, ff. 1-37v)e Breve portatecum (ora codice LXXIII 17della Biblioteca Laurenziana di Firenze), sembrano gemelli, attribuibili come sono a un medesimo copista e miniatore: soltanto, mentre il testo del codice laurenziano è ancora integro e conserva la tipica legatura in marocchino rosso, a quello senese tale legatura è stata sostituita alla meglio e mancano inoltre alcuni fogli. Quest'ultimo manoscritto contiene due trattatelli senza titolo, sul modo di prevenire e curare le epidemie di peste bubbonica: il primo è in latino, il secondo - in realtà una compilazione anteriore e più breve sullo stesso argomento - in volgare. Data la mutilazione del codicetto, la stesura latina (ff. 1-30v) manca della fine, la volgare (ff. 31r-37v) dell'inizio: dal confronto è chiaro che le due stesure cominciavano con il consueto sunto delle massime galeniche sulla preservazione della salute, e che ad esso seguivano i consigli su come comportarsi se colpiti dal contagio e l'esposizione dei sintomi e dei possibili metodi di cura. La stesura volgare sembra risalire al 1464, quando per paura della peste lo Studio di Ferrara fu trasferito a Rovigo: il C. allora, forse incaricato come "spedalingo" della cura degli appestati poveri, scrisse nella "matema lingua" il trattatello "per pauperibus", concludendolo con un ringraziamento a Dio che gli aveva concesso di "dare rimedio e riparo ad li poveri in questa crudelissima egritudine" (f. 37v).Più tardi, durante una seconda epidemia di peste - a quanto pare quella del 1479-, il C. rifece più ampiamente in latino il trattato precedente, dividendolo in tredici capitoli e aggiungendovi la prima redazione in volgare perché aiutasse ad interpretare eventuali oscurità del testo, e lo dedicò a Lorenzo de' Medici, promettendogli l'offerta di un'opera più ampia se questa fosse riuscita gradita.
Il ms. De Pestilentia, cart. s. XV, octavo, 33 ff., ora ms. Egerton 1650 del British Museum a Londra, è forse una stesura anteriore del codice senese. Trascritto sempre dallo stesso copista, il ms. londinese contiene, senza illuminazioni, tutti e tredici i capitoli del trattatello latino. I fogli in bianco che lo seguono indicano l'intenzione interrotta del copista di concludere il testo con la redazione in volgare. Quattro anni dopo, nel 1483, il C. infatti dedicò al Magnifico il manoscritto ora laurenziano: un Compendium febrium, la cui data viene stabilita dalla lettera di ringraziamento che Lorenzo gli inviò il 17 maggio 1483, elencata nei Protocolli. Qui la peste è soltanto una delle varie malattie febbrili esaminate, che comprendono la terzana, la quartana, la peste, il vaiolo e il morbillo. Nell'intenzione del C. il Compendium doveva essere per il Magnifico un Portatecum: derivato dalle massime dei medici più famosi, che spiegasse le cause, i sintomi delle febbri e i modi di evitarle e di curarle. Interessante è particolarmente la prefazione, in cui il C. tratta della podagra ereditaria della famiglia Medici, della quale avevano tanto sofferto Cosimo e Piero, nonno e padre di Lorenzo, e che già allora affliggeva il Magnifico.
Fonti e Bibl.: Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956, p. 243; F. Borsetti Ferranti Bolani, Historia almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrariae 1735, p. 93; B. de Montfaucon, Bibliotheca bibliothecarum manuscriptorum nova…, I, Parisiis 1739, p. 381; A. M. Bandini, Catalogus codicum Latinorum bibliothecae Mediceae Laurentianae, III, Florentiae 1776, coll. 41 s.; G. Timboschi, Biblioteca modenese…, I, Modena 1781, p. 364; W. Roscoe, Lorenzo de' Medici, II, London 1797, p. 113, nota a(l'allusione al Compendium del C. è omessa in altre edizioni); A. Piccolomini, Inventario della Libreria Medicea privata compilato nel 1495, in Arch. stor. ital., s. 3, XX(1874), pp. 74, 78; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secc. XV e XVI, Lucca 1900, pp. 26 s., 46 s., 50 s.; Id., Lo studio di Ferrara nei secc. XV e XVI, Ferrara 1923, pp. 137, 148; P. O. Kristeller, Iter italicum, II, p. 159.