BUITONI, Giovanni
Nacque. a Perugia il 6 nov. 1891da Francesco e Maria Egiziaca Marchettoni, terzogenito dei cinque fratelli (gli altri erano Bruno e Luigi, Giuseppe e Marco) della quinta generazione dei Buitoni. Iscritto alla, facoltà di giurisprudenza dell'università di Perugia, nel 1909 si recò in Germania per motivi di studio. L'anno successivo venne tuttavia richiamato dal padre a cr,isa delle gravi difficoltà sorte nel frattempo alla Perugina, la fabbrica di cioccolatini e confetture aperta un paio d'anni prima con la collaborazione delle famiglie Spagnoli, Andreani e Ascoli, tutte di origine israelitica (l'annotazione non è senza rilevanza: anche in seguito, quando si trattò di trovare i finanziamenti per gli investimenti in Francia e negli Stati Uniti, fu a banche dirette da membri di tale comunità che il B. preferì rivolgersi). In effetti le 100.000 lire di capitale iniziale erano andate perdute e a questa prima perdita se ne era aggiunta una ulteriore di 200.000 lire. Il giovane B., non lesinando certo gli sforzi personali (nel 1972 in un volume autobiografico ricorderà che all'epoca lavorava circa sedici ore al giorno e cinque ore anche la domenica), riuscì a risanare molto rapidamente una situazione frutto di disorganizzazione (prezzi di vendita e costi di produzione non venivano determinati razionalmente) e di una sorta di megalomania aziendale (la ditta si era mossa fin dall'inizio della sua attività con l'intento di metter piede nei ricchi mercati dell'Italia settentrionale, senza quasi curarsi dei, più vicini e, per il momento, anche più sicuri sbocchi commerciali). Gli accorgimenti messi a punto dal B. (che fin da allora si segnalò come il più intraprendente dei cinque fratelli) permisero alla Perugina di ritornare in attivo nel giro di pochissimo tempo, tanto che nel 1910 fu già in grado di distribuire di nuovo un utile.
Richiamato alle armi nel 1917 (anno in cui conseguì la laurea in legge), egli segui dapprima i corsi presso la Scuola ufficiali di Modena. Una diagnosi medica rivelatasi in seguito errata lo fece dichiarare inabile come ufficiale di fanteria. Svolse perciò il servizio militare nel restante periodo del conflitto mondiale presso il reparto automobilistico di Padova.
Rientrato al lavoro alla fine del 1918, si impegnò di nuovo a tempo pieno nella direzione della Perugina. Trasformata nel 1923 la ditta da società in nome collettivo in società per azioni con un capitale sociale di 1.000.000 di lire, ne divenne il primo amministratore delegato. Lo stile che impresse al suo lavoro richiamava quello di altri predecessori. Al primo posto stava un'attenzione, quasi ossessiva, per le innovazioni e non solo per quelle di carattere tecnologico.
Ad esempio, nel primo dopoguerra iniziò ad utilizzare un determinato tipo di grani di cacao per la produzione di cioccolato, certamente più costosi, ma sicuramente anche più saporiti. Introdusse macchinari sempre più moderni e perfezionati. Grazie ai consigli di un grande esperto dell'organizzazione scientifica del lavoro come Mario Spagnoli (direttore tecnico dello stabilimento Perugina) nel 1928 il B. ottenne con la propria fabbrica il primo premio al concorso indetto dall'Ente nazionale per l'organizzazione scientifica del lavoro. Ma anche gli aspetti commerciali e, più in generale, la politica di promozione delle vendite venivano seguiti con grande attenzione e sensibilità dall'amministratore delegato della Perugina. Basti pensare alla scelta del nome di un prodotto destinato in seguito a conquistare un po' tutti i mercati internazionali, il famoso "Bacio Perugina" (che la sua ideatrice, Luisa Spagnoli, aveva inizialmente battezzato inopportunamente "cazzotto"), oppure alla cura particolare con cui egli seguiva i rapporti con i rivenditori in tutta Italia, oppure ancora all'impegno profuso fin dall'inizio degli anni Venti (quando scelte del genere erano assolutamente pionieristiche) nelle campagne pubblicitarie. Si possono ricordare, ad esempio, la tavoletta di cioccolata Luisa, il cui valore nutritivo - così recitava il messaggio - era pari a quello di un pollo; oppure le caramelle Tripoli d'Italia, che avrebbero dovuto suscitare i più ardenti sentimenti patriottici. Le iniziative più originali riguardarono tuttavia non tanto la promozione di un singolo prodotto, quanto del marchio Buitoni Perugina stesso. Si pensi alla raccolta di figurine disegnate da Angelo Bioletto (ed in particolare alla ricercatissima figurina del Feroce Saladino) che permettevano, una volta completato l'album, di partecipare ad un concorso radiofonico a premi che aveva in palio, tra l'altro, la mitica automobile FIAT Topolino; ma si pensi anche alle gare automobilistiche della Coppa della Perugina, una manifestazione sportiva con tanto di sponsor ante litteram (e il B., tra l'altro, fu anche presidente dell'Automobil Club di Perugia dal 1923 al 1928).Le difficoltà create nei commerci con l'estero dalla rivalutazione della lira furono superate dalla Perugina abbastanza in fretta. Dopo un calo iniziale delle esportazioni da 1837 a 1487 quintali tra il 1926 e il 1927 (quando il capitale della società venne portato a 6.000.000), nel 1928 ci fu una rapida risalita fino a toccare i 2085 quintali. Si trattava di risultati estremamente positivi anche perché la società si trovava ridotta nella scomoda posizione di sola antagonista di un certo peso del gruppo di imprese (Moriondo e Gariglio, Talmone, Bonatti Gallettino e Biscotti) confluite nella Società Unica allora in mano a un personaggio potentissimo e spregiudicato come Riccardo Gualino, il quale tentò pure, ma invano, di convincere il B. a cedergli la Perugina. Benché l'obiettivo della conquista di nuovi mercati esteri restasse un punto importante nella strategia della società, il mercato interno rimase quello sul quale far convergere gli sforzi maggiori. Si trattava infatti di sconfiggere innanzitutto i produttori stranieri senza far ricorso ad appoggi a livello governativo, ma semplicemente convincendo i rivenditori nazionali a preferire le merci italiane. Per contro, la penetrazione sui mercati esteri - affermava nel 1928 il B. - doveva si proseguire, ma in maniera "lenta e metodica", senza cioè ingiustificate e a volte pericolose impennate (Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 509.822/1).
Questa strategia valeva tuttavia solo per la fabbrica di cioccolato. Nel ramo pastario del gruppo la linea adottata era molto diversa. Il B. era entrato a far parte del consiglio d'amministrazione del pastificio G. e F.lli Buitoni nel 1920, allora sotto la direzione dello zio Silvio. Come nel caso della Perugina, prima dell'intervento del B. i criteri di conduzione aziendale lasciavano alquanto a desiderare. Gli ammortamenti non venivano mai effettuati, mentre impianti ed immobili erano di continuo rivalutati. Scelte del genere potevano alla lunga rivelarsi pericolose, specie considerando che la società era in un periodo di forte espansione (nel 1922 era stato inaugurato un nuovo stabilimento a Roma, che andava ad aggiungersi a quelli di Sansepolcro e Perugia). Lo scontro di idee risultò inizialmente sfavorevole al B., che usci dalla Buitoni nel 1923. Vi fu richiamato nel 1927, quando la ditta era immersa in una gravissima crisi finanziaria. La rifondazione della società sotto la guida del B., nominato consigliere delegato dell'impresa, durò alcuni anni, ma fin dall'avvio della cura gli effetti furono positivi. Alla società furono elargiti nuovamente crediti da parte delle banche creditrici, prova evidente della fiducia che queste riponevano sul nuovo amministratore delegato (divenuto nel frattempo anche consigliere d'amministrazione della TIMO, Società telefoni Italia medio-orientale di Bologna e della S. A. Maioliche Deruta di Perugia).
Il capitale sociale venne innalzato da 1,8 a 5 milioni, mentre il bilancio mostrò immediatamente i segni della nuova gestione (apparizione di una quota consistente di ammortamenti, incremento delle riserve e riduzione dei debiti). Il netto miglioramento dello stato contabile dell'azienda costituì uno stimolo ad ulteriori ampliamenti delle attività del gruppo, anche se la crisi economica generale rese di nuovo difficoltoso l'accesso al credito nella misura desiderata. L'atteggiamento ottimista del B. nei confronti non solo della situazione delle proprie imprese, ma più in generale nei riguardi dell'intera economia italiana, venne all'epoca non di rado scambiato per megalomania. In effetti, una certa dose di volontarismo, di desiderio di forzare le strettoie imposte dalle condizioni economiche a volte oggettivamente negative fu una caratteristica di fondo di questo imprenditore. Basti pensare che all'indomani del giovedi nero di Wall Street arrivò ad affermare "alle varie Cassandre arruolate in parecchie banche che la famosa "crisi" era il più delle volte la comoda scusa dei pavidi e degli inetti" (Arch. centr. dello Stato, Segr. particolare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 509.822/2).
I crediti richiesti per ampliare gli stabilimenti e soprattutto per impiantare, nel 1932, lo stabilimento poligrafico e cartotecnico (cui venne affidata la preparazione degli incarti e delle scatole) giunsero infine dall'IMI nel 1933. La tecnica ormai abituale del B. - quella sorta di gioco di prestigio basato su innumerevoli debiti progressivi - ebbe ancora una volta successo. Alla metà degli anni Trenta il gruppo Buitoni Perugina (quattro pastifici, una fabbrica di cioccolato e dolciumi, un poligrafico ed una cinquantina di punti vendita col marchio Perugina sparsi in tutta Italia, per una occupazione - complessiva che superava le 3500 unità) assunse le dimensioni di una multinazionale. Nel 1935, dopo non facili trattative (il regime era contrario ad investimenti all'estero per l'esborso di valuta che essi comportavano), venne fondata a Parigi la Société française des produits Buitoni (quando l'imprenditore perugino ottenne finalmente dal governo il permesso per esportare in Francia almeno i macchinari necessari per il nuovo stabilimento di Saint-Maur des Fossés, a quindici chilometri dalla capitale).
È possibile che le alte sfere dei regime avessero nei suoi confronti una sorta di debito morale per le vicende che avevano segnato il periodo durante il quale il B. era stato podestà di Perugia (1930-34). In effetti nel 1934 la magistratura aveva avviato un procedimento giudiziario nei suoi confronti per la decisione di sostituire i tubi in ghisa della fognatura della città senza che fosse stata preventivamente assicurata la copertura finanziaria della spesa. Anche se non è escluso che qualche norma amministrativo-contabile non fosse stata rispettata in maniera precisa (ma l'indagine non provò alcun reato), è probabile che l'attacco nei suoi confronti traesse origine da incomprensioni con i responsabili della federazione locale del Partito nazionale fascista e soprattutto dalle continue frizioni con Starace, indicato dallo stesso B. come colui che si era opposto alla sua nomina a ministro delle Finanze nel 1932 (la vicenda si concluse nel migliore dei modi per il B., dato che il suo massimo accusatore locale, il prefetto, venne allontanato da Perugia, come espressamente richiesto dal podestà).
Alla morte del padre (18 nov. 1938) il B. assunse anche la guida formale del gruppo, divenendo presidente della Perugina e della Buitoni. Nel 1939 si recò negli Stati Uniti in occasione dell'Esposizione universale di New York, alla quale presero parte le sue due società ottenendo un brillante successo. Nominato nel 1940 cavaliere del lavoro, non poté ritornare in Italia a causa dello scoppio del secondo conflitto mondiale. Nonostante le molte difficoltà frapposte dall'amministrazione americana, il B. riuscì ugualmente a fondare una nuova impresa, la Buitoni Foods Corporation, dotandola di due stabilimenti, uno a Brooklyn ed un secondo a Jersey City che rifornivano, tra l'altro, anche la spaghetteria aperta nel 1940 nel pieno centro di New York, a Times Square (mentre un anno prima la Perugina aveva inaugurato un negozio nella Quinta Strada).
Mentre il B. otteneva grandi risultati negli Stati Uniti (i suoi spaghetti al "minus amid", una pasta alla quale era stata levata la maggior parte dell'amido contenuto nella farina, ottennero un successo straordinario), in Italia il gruppo veniva diretto dal fratello Bruno. La Buitoni era ormai, di fatto, una autentica multinazionale, ma non funzionava certo come tale. Le sedi nazionali, specie quella americana, erano in larga misura autonome e, forse proprio per questo, esposte oltre misura alle diverse condizioni politiche ed economiche nelle quali operavano. Da Perugia (dove gli stabilimenti della Perugina erano stati quasi completamente distrutti dai bombardamenti) all'indomani della guerra cominciarono a giungere inviti al B. per un suo ritorno in Italia. Solo dopo lunghe e non facili discussioni intercorse tra le due sponde dell'Oceano, egli rimise piede a Perugia nel 1953, dietro la promessa che gli sarebbe stata affidata l'organizzazione dell'intero gruppo. In quello stesso anno venne perciò fondata la International Buitoni Organization con sede a Roma, società incaricata del coordinamento di tutte le attività industriali della famiglia.
Il B. che continuò peraltro a risiedere per lunghi periodi a New York (dove ormai era diventato un personaggio di spicco del jet set della città), si adoperò in quegli anni per incrementare le relazioni culturali tra l'Italia e gli Stati Uniti (e nel 1970 fu chiamato a far parte del Board of Directors della United Nations Association of the United States of America), istituendo borse di studio per studenti americani desiderosi di venire in Italia e versando sostanziosi contributi alla Harvard University e all'ateneo di Firenze.
Noto nelle cronache mondane anche per essere riuscito, ormai settantenne, a coronare nel 1963 il sogno di cantare alcune arie dal Don Giovanni e dall'Ernani alle Carnegie Hall di New York (affittata a proprie spese), si ritirò dalla direzione operativa del gruppo nel 1966, rimanendo nel consiglio d'amministrazione della Finanziaria Buitoni.
Il B. morì a Roma il 12 genn. 1979.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio della Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro, fasc. Buitoni; Biografia finanziaria italiana. Guida degli amministratori e dei sindaci delle società italiane per azioni, Roma 1929, p. 115; Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1940, p. 149; Un raduno alla Buitoni di Sansepolcro, in L'Organizzazione, 19 nov. 1953; C., Benvenuto a Giovanni Buitoni, in Centro Italia, 27 ott.-2 nov. 1953; Creatori di lavoro, Roma 1954, p. 36; Panorama biografico degli Italiani d'oggi, a cura di G. Vaccaro, I, Roma 1956, p. 242; Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1957, p. 96; Chi è? nella finanza italiana 1959, Milano-Varese 1960, p. 115; I capitani coraggiosi del lavoro italiano. I Buitoni, a cura di R. Guzman, in Rotosei, 18 apr. 1958; Chi è? Dizionario biografico degli Italiani d'oggi, Roma 1961, p. 115; G. Buitoni, Storia di un imprenditore, Milano 1972; M. Panara, La Buitoni si prepara a dire "oui", in La Repubblica, 13-14 genn. 1985; L. Laurenzi, La saga dei Buitoni, re di Baci, ibid., 8 febbr. 1985. Dati finanziari sulla Perugina e sulla Buitoni sono nelle varie edizioni delle Notizie statistiche sulle società italiane per azioni, pubblicate a Roma dall'Associazione fra le società italiane per azioni.