BRANCACCIO, Giovanni
Nacque il 15 ott. 1673 da una famiglia palermitana di piccola nobiltà.
Dopo essersi addottorato in giurisprudenza, il B. si dedicò all'avvocatura nel foro palermitano, coltivando però anche le lettere e la medicina, con particolare curiosità per l'"arte della memoria", sulla quale pubblicò a Palermo nel 1702 l'operetta Ars memoriae vindicata. Da tali occupazioni letterarie, così come dall'avvocatura, vennero assai presto a distoglierlo le preoccupazioni politiche. Sin dal 1700, apertasi la crisi per la successione di Spagna, il B. aveva preso ufficialmente posizione nel partito borbonico pubblicando in Palermo Anagrammata numeralia purissima,quibus non solum Caroli II Hispaniarum regis absque sobole mors et serenissimi Philippi de Borbon legitima successio: verum etiam dies,mensis,et annus,quo ille mortuus et hic Monarcha Hispaniarum futurus demonstratur;questa operetta fu ristampata, nello stesso anno, dal Mongitore in Trionfo palermitano nella solenne acclamazione del Cattolico Re delle Spagne e di Sicilia Filippo V.
Nominato giudice di appello della Reale Udienza di Palermo nel 1709, il B. ebbe negli anni successivi alcuni importanti incarichi nell'amministrazione dell'isola: nel 1710 provvide a ricostruire i depositi frumentari di varie zone del Regno; poi, nominato commissario generale e sindicador nella Valle di Mazara, fu incaricato di vendere i beni confiscati ai fuorusciti del partito austriacante; infine fu chiamato a sostituire Consalvo Asmundo nella carica di commissario generale della Valle di Noto. In tutti questi incarichi il B. si distinse agli occhi del governo spagnolo per l'abilità e la fermezza con cui seppe difendere gli interessi dell'erario, sino a diventare, nella direzione dell'azienda, il più vicino collaboratore del viceré Carlo Spinola. Nel 1714 fu anche nominato giudice del concistoro.
Dopo la parentesi dell'occupazione sabauda seguita al trattato di Utrecht, rioccupata la Sicilia dagli Spagnoli nel 1718, nel quadro della politica mediterranea del cardinal Alberoni, il B. fu nominato commissario generale con l'incarico di provvedere a ogni necessità dell'armata di Filippo V nella guerra contro gli Austriaci. In tale attività il B. dette prova di tanta fedeltà e zelo che, conquistata ormai l'isola dagli Austriaci, giunse a impegnarsi personalmente per tremila dobloni, necessari alle spese d'imbarco dell'esercito spagnolo (Archivo General de Simancas, Estado, leg. 6130, f. 29). Il governo austriaco privò il B. della carica di ministro perpetuo della Gran Corte, che in premio delle sue fatiche gli era stata concessa nel 1720 da Filippo V, e lo obbligò a provvedere, personalmente e in brevissimo tempo, agli impegni finanziari assunti in nome del governo spagnolo. Quest'ultimo fu tutt'altro che tempestivo nel provvedere alle necessità del B., il quale nel maggio del 1724 chiedeva ancora da Palermo alla corte di Madrid che gli fossero versati in Genova 2.560 dobloni a saldo delle somme anticipate (Archivo General de Simancas, Estado, leg. 6130, f. 127). Nel 1725 il B. si trasferì in Spagna, dove ottenne da Filippo V diversi incarichi nella "Real Hacienda", guadagnandosi il favore del sovrano con la sua diligenza, onestà e competenza fiscale. Alla corte di Madrid il B. rimase sino al 1734, allorché conquistati i regni di Napoli e di Sicilia, Filippo V decise che il B. passasse al servizio di Carlo di Borbone come sovraintendente generale delle rendite dei due regni "por el tiempo que se necesitará en ambos Reynos para arreglar sus introitos y precisos destinos de distribución" (Archivo General de Simancas, Estado, leg. 5847, f. 1).
L'incarico era accompagnato da precise istruzioni dello stesso Filippo V: tenuto conto della diversità di amministrazione che avevano avuto sino allora i due regni, era compito del B. proporzionare tra essi gli introiti e la distribuzione delle rendite; per la riscossione di queste occorreva accertare ed eliminare, particolarmente nel Regno di Napoli, gli innumerevoli abusi dei singoli amministratori e dei tribunali; il B. doveva per il momento astenersi dall'alterare i metodi amministrativi tradizionali, il che, a parere del sovrano, sarebbe stato possibile soltanto dopo una lunga esperienza personale dello stesso B., il quale doveva nel frattempo limitarsi a calcolare il valore complessivo dei diversi "ramos de rentas" (rendite ed imposte del viceregno spagnolo, imposte stabilite dal governo austriaco, rendite originate dalle ultime conquiste, donativi, ecc.), e riprendere il tradizionale sistema degli arrendamenti (Archivo General de Simancas, Estado, leg. 5847 ff. 8-10). Queste istruzioni, a parte la preoccupazione di eliminare gli abusi e l'accentramento nel B. di larghissime facoltà di direzione e di controllo, riproponevano in sostanza al giovane Regno una secolare prassi amministrativa che aveva già largamente nuociuto allo sviluppo economico del paese; ma da una parte le vicende politiche europee, che non garantivano ancora il tranquillo possesso del nuovo Regno alla dinastia borbonica, dall'altra probabilmente l'incapacità della corte spagnola e dello stesso B. di elaborare un piano a lunga scadenza di rinnovamento amministrativo e di impulso alla iniziativa economica persuasero a riprendere un metodo di governo che pesò poi notevolmente nei numerosi tentativi di riforme operate nel primo periodo del regno di Carlo.
Giunto a Napoli il 24 nov. 1734 e preso possesso della carica, il B. dovette superare l'ostilità delle magistrature napoletane, esautorate dai poteri speciali attribuitigli e contro il luogotenente e il consigliere della Camera di Santa Chiara, Juan de Sotomayor e Aniello Cappellari, dovette chiedere l'intervento dello stesso Filippo V. Nella riforma ministeriale del luglio 1737 il dipartimento finanziario, fu elevato al rango di Segreteria di stato e la direzione ne fu affidata al B., con giurisdizione sull'Azienda reale e sul commercio, sulla Camera della Sommaria, sulla dogana di Foggia, sulla giunta dell'"Alivio", sull'annona di Napoli, sulla sovraintendenza alla Salute, sulla delegazione dei Cambi, sull'amministrazione dei proventi dei corrieri e dei feudi farnesiani e medicei, sul tribunale siciliano del Patrimonio, sul Consolato di Messina e sulla amministrazione dei fondi per la crociata (Archivo General de Simancas, Estado, leg. 5810, f. 12). Il 6 luglio dell'anno successivo il B. venne anche nominato tesoriere dell'Ordine di S. Gennaro, istituito tre giorni prima.
I vecchi criteri fiscali seguiti dal B. divennero ancor più dannosi per le necessità nuove imposte dalla indipendenza politica. Alle nuove spese conseguenti all'istituzione di un esercito, di una diplomazia e di una casa reale autonomi il B. provvide moltiplicando le ritenute straordinarie e i "donativi" a mano a mano che se ne presentasse l'urgenza, senza un programma che armonizzasse l'opera del governo in questo delicatissimo settore e senza una corrispondenza effettiva tra le risorse dei vari settori economici del paese e le imposizioni fiscali, giacché il catasto onciario, anche se avviato durante il ministero del B., fu utilizzato soltanto assai più tardi. Così nel 1734 e nell'anno successivo furono, sottoposte a ritenute straordinarie le rendite dei forestieri assenti; nel 1734, col pretesto dell'ingresso di Carlo di Borbone in Napoli, fu imposto un donativo di un milione di ducati per il quale fu richiesto il contributo delle università e dei baroni, fu aggravata l'imposta sulla cera e il focatico fu aumentato di 58 grana; quattro anni dopo, in occasione delle nozze di Carlo di Borbone con Maria Amalia di Sassonia, fu imposto un secondo donativo di un milione venticinquemila ducati per il quale si obbligarono a una nuova contribuzione i baroni e fu aumentato il dazio sul sale e sullo zucchero; ancora un donativo di mezzo milione di ducati fu richiesto in occasione del primo parto della regina, nel 1740, con ritenute sugli uffici regi e con un nuovo aumento del focatico, che fu di tre carlini e mezzo nelle università feudali e di quattro carlini in quelle demaniali, seguito l'anno dopo da un altro donativo di un milione e nel 1744 da un quinto di quattrocentomila ducati, ricavati da nuove imposte sul vino e sulla calce; per le spese straordinarie della guerra di successione austriaca, nel 1746 fu votato un donativo di trecentomila ducati e settecentomila se ne pretesero nel 1747 per la nascita del presunto erede al trono, l'infante Filippo. Questo sistema dei donativi - pur tanto dannoso e impopolare che poi Bernardo Tanucci vantò, come un merito particolare del suo ministero durante la reggenza e i primi anni del regno di Ferdinando IV, quello di non aver mai voluto ricorrere ad esso - era però ancora insufficiente alle necessità dello Stato, sicché il B. dovette ricorrere ad altri espedienti che crearono nuove difficoltà allo sviluppo delle già scarse risorse economiche del paese: così i Provvedimenti annonari, che si cominciarono a emanare dal 26 febbraio del 1741. Solo un aspetto della politica fiscale del B. si presenta con un carattere di novità rispetto alla tradizione del viceregno, e si inquadra nell'orientamento giurisdizionalistico del primo periodo borbonico: il clero fu chiamato sempre più spesso a contribuire alle necessità del governo, le sue esenzioni furono sottoposte a verifica e in parecchi casi abolite o limitate, alcuni beni ecclesiastici furono incamerati, fu proibita la piantagione del tabacco nei recinti dei chiostri. In altri settori della sua giurisdizione il B. tentò però di corripondere più largamente alle esigenze del tempo: sempre tuttavia senza un piano deciso e univoco, che permettesse di vincere le resistenze e di non frustrare i tentativi con iniziative contraddittorie. Fu lo stesso B. a iniziare l'importante riforma del riscatto degli arrendamenti, ma ancora più come un espediente per conseguire entrate straordinarie piuttosto che con un chiaro programma di recupero delle rendite pubbliche; del resto, tentativi in questa direzione erano stati già compiuti durante l'ultimo quarantennio del governo spagnolo e durante il periodo austriaco, con l'istituzione in quest'ultimo caso di un apposito istituto, il Banco di San Carlo. Numerose iniziative il B. suggerì e riuscì a imporre nell'interesse del commercio del Regno, il quale però ebbe una effettiva ripresa soltanto nella seconda metà del secolo: così una riforma monetaria, portata a termine dallo Squillace; così i trattati di commercio con Costantinopoli (1748) e Tripoli (1741) - che liberarono il commercio marittimo del Regno dall'incubo della pirateria - con la Svezia (1742) e con la Danimarca (1748);così vari provvedimenti legislativi in favore di uno sviluppo dell'industria e dell'agricoltura, che però conseguirono scarsi risultati a causa soprattutto della pressione fiscale; così infine la proposta di un codice commerciale, di cui fu incaricato il Magistrato di commercio, il quale non riuscì però che a emanare una serie di disposizioni estemporanee che trovarono in pratica ben scarsa applicazione. Altro tentativo avviato dal B., d'accordo con il Montealegre e il Tanucci, fu, nel 1740, quello di incoraggiare l'immigrazione degli ebrei, con l'ambizioso proposito non soltanto di sviluppare attraverso la loro iniziativa le industrie e i commerci, ma anche di ripopolare con essi alcune province spopolate sia del continente sia della Sicilia; fu questo uno dei fallimenti più appariscenti della politica di riforme del primo periodo borbonico e una prova evidente della sua sostanziale timidezza: l'afflusso degli ebrei, delusi dalle successive limitazioni ai privilegi loro inizialmente concessi, fu infatti assai inferiore alle speranze e nel 1747 Carlo di Borbone, cedendo alle pressioni del clero, finì per rinunziare all'esperimento ed espulse tutti gli ebrei che si erano stabiliti nel Regno.
Quali che fossero le ragioni generali del sostanziale fallimento della politica economica del B. non c'è dubbio che egli fosse uomo inadeguato, per le sue esperienze e la sua formazione culturale, alle necessità del Regno. Questo apparve chiaro anche ai contemporanei presso i quali il B. godette largamente fama di inettitudine, mentre mai fu elevato alcun dubbio verso la sua onestà, cosa comunque notevole nei riguardi di un ministro delle Finanze. Negli ultimi anni del suo ministero il B. si vide del resto progressivamente esautorato dall'allora direttore della Dogana, il siciliano Leopoldo de Gregorio, poi marchese di Squillace, finché lo stesso B., divenuta per lui poco onorevole la situazione, preferì dimettersi dall'incarico nell'agosto del 1753. Non conosciamo la data della morte.
Fonti eBibl.: Sull'attività politica del B. in Sicilia tra il 1709 ed il 1725 cfr. Archivo General de Simancas, Estado, leg. 6130, ff. 29, 127-130; ricchissima è, nel medesimo archivio, la documentazione relativa al B. nel suo periodo napoletano: cfr. in particolare, nella sezione Estado, leg. 5810, ff. 9, 16, 79, 85, 205-207, 218-220; leg. 5813, f. 1; leg. 5829, ff. 91, 121; leg. 5835, f. 40; l'intero leg. 5847; leg. 5848, f. 150; leg. 5851, f. 94; leg. 5852, ff. 88, 89; leg. 5855, f. 46; leg. 5896, ff. 53-54. Cfr. i regesti di questi documenti in R. Magdaleno Redondo, Secretária de Estado,Sicilia. Virreinato español y negociación de Malta, Valladolid 1956, ad Indicem;alcuni significativi giudizi sul B. nella corrispondenza del Tanucci col principe di Jaci, in Archivo General de Simancas, Estado, libro 242, ff. 93, 682, e con Giacinto Catanti, ibid., libro 314, 28 ag. 1780; A. Mongitore, Bibliotheca sicula, I, Panormi 1707, pp. 340 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 1984 s.; M. Danvila y Collado, Historia general de España,Reinado de Carlos III, I, Madrid 1894, pp. 226 s.; A. Manno, Il nobiliario di Sicilia, I, Palermo 1912, p. 147; M. Schiva, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano-Roma-Napoli 1923, passim;E.Viviani della Robbia, Bernardo Tanucci ed il suo più importante carteggio, Firenze 1942, I, pp. 62, 70, 73, 87; II, p. 331. R. Magdaleno Redondo, Secretária de Estado. Reino de las Dos Sicilias. Siglo XVIII, Valladolid 1956, ad Indicem.