BORTONI (Bortone, Bertone), Giovanni
Nacque a Quindici (Avellino) il 22 sett. 1678 da Aniello e Anna Santoniello. Frequentò il seminario di Napoli - il cui rinnovamento era stato uno degli impegni del cardinal Cantelmo, arcivescovo di Napoli - e vi si laureò in utroque (una seconda laurea in utroque la prese a Roma il 27 ottobre 1714), specializzandosi in diritto canonico e in storia ecclesiastica. Dopo essere diventato sacerdote (settembre 1701), nel 1703 era membro e censore della Società degli Spensierati di Rossano: negli elogi di questa società, pubblicati dal Gimma, in quell'anno compaiono alcuni dei suoi componimenti poetici rivolti al Gimma stesso, "altera pars animi", a Lucantonio Porzio, a Tommaso Donzelli. Inoltre nell'introduzione si parla di un suo poemetto in latino in più libri, Pallade, che avrebbe visto presto la luce e di cui non ho trovato altra traccia. Lettore a Napoli, il B. frequentava Andrea e Tommaso D'Aquino di Casoli e Giuseppe Valletta, la cui biblioteca era il luogo di incontro degli intellettuali napoletani, e fu membro della colonia sebezia dell'Arcadia con lo pseudonimo di Laurino Polio. Ma il suo nome è legato soprattutto a un episodio famoso, la polemica con A. Riccardi.
Questa si inserisce nel clima inquieto e complesso della guerra di successione spagnola. Napoli era toccata alla Spagna di Filippo V, ma una parte della popolazione avrebbe preferito l'Austria, nonostante il fallimento della congiura di Macchia. Anzi il cardinal Cantelmo, che in consonanza con la politica di Clemente XI si era schierato risolutamente con Filippo V, aveva trovato il proprio clero profondamente diviso fra quelli come il B. e il Maiello, fedeli alla Curia, e altri che non celavano le loro simpatie per l'Impero. Le armi austriache avevano risolto la questione, ma i problemi rimanevano aperti. Con il Martinitz, Daun e il Grimani il governo austriaco inaugurava infatti una politica giurisdizionalistica, che da una parte si collegava ad alcune istanze del ceto civile, dall'altra si alimentava di motivi politici più generali, come il diverso atteggiamento dell'Impero e del Papato nella guerra e la questione di Comacchio. Fra i rappresentanti del ceto civile che avevano affrontato la polemica con Roma, il più duro era stato certamente l'avvocato Alessandro Riccardi, che con il trasparente pseudonimo di Renato Serra d'Isca aveva scritto le Ragioni del Regno di Napoli nella causa de' suoi benefici ecclesiastici che si tratta nel Real Consiglio dalla Maestà del Re nuovamente a tale affare ordinato, Napoli, 18 giugno 1708. Questi si riallacciava a scritture precedenti del Biscardi, del di Fusco e dell'Amenta. Presto sarebbero venute ancora quelle - più tecniche - dell'Argento e del Grimaldi. Il tema delle Ragioni era una polemica appassionata contro l'uso curiale di attribuire i benefici ecclesiastici del viceregno a stranieri. Fra l'altro era stato uno dei punti del programma della congiura di Macchia e, ancora, delle richieste all'arciduca Carlo nel 1707, su cui tutti gli ordini e i ceti erano sostanzialmente d'accordo. Confutando la pretesa di Roma di sfruttare i benefici stranieri con lo specioso motivo di rappresentare la Chiesa nazionale, il Riccardi aggiungeva di personale un tono esasperatamente duro e polemico contro la Curia, il papa e un clero ignorante, incapace di sentire i problemi del paese in termini nazionali.
Alla scrittura del Riccardi risposero appunto il B. e Carlo Maiello. Quest'ultimo era stato in buoni rapporti con i rappresentanti della cultura laica partenopea. Amico di vecchia data del Riccardi e di Nicola Capasso, aveva avuto perfino delle noie dai gesuiti per il suo cartesianesimo. Professore e poi rettore del seminario, era stato molto vicino al cardinal Cantelmo e al suo programma di rinnovamento della cultura religiosa e di buoni rapporti con il potere politico spagnolo, come mostra la sua storia della congiura di Macchia che è filogovernativa. Le sue opere contro il Riccardi, Regni neapolitani erga Petri Cathedram religio adversus anonymi calumnias vindicata (fine del 1708) e il poderoso Apologeticus christianus... (1709), Si collocano in questo clima di opposizione della Curia napoletana al nuovo regime e alla sua politica giurisdizionalistica. Esse affiancano, con maggior ampiezza e solidità, l'opera del Bortoni. Questa appare quindi come la prima voce polemica contro il Riccardi e la politica giurisdizionalistica del nuovo regime: Risposta alla scrittura pubblicata addì 18 di giugno col titolo Ragioni del regno di Napoli nella causa de' suoi benefici ecclesiastici, dell'anno 1708. Manca il luogo di pubblicazione, ma una nota finale avverte che si tratta di una scrittura impressa lontano dall'occhio dell'autore, il che potrebbe far pensare sia stata stampata a Roma.
Fin dall'Avvisoal lettore il B., dopo avere deplorato che l'anonimo tratti così male i propri concittadini, chiarisce che il suo intento è di combatterne la non sana dottrina e di polemizzare contro la teoria che la Chiesa "concedendo benefici a stranieri, non sia ella la vera maestra e la depositaria fedele delle tradizioni apostoliche e de' canonici e divini ordinamenti..." (p. 6). Nel primo capitolo nega la consuetudine attribuita alla Chiesa di escludere gli stranieri dai benefici ecclesiastici; nei capitoli secondo, terzo e quarto confuta le autorità portate dall'anonimo e ne discute le fonti; nel quinto si chiede se siano da stimarsi stranieri nelle altre chiese i chierici di Roma. Il sesto si riferisce ad una appendice scritta dall'anonimo dopo le prime avvisaglie di polemica: il B. coglie nella scrittura del Riccardi un tema più generale che non la semplice polemica sui benefici, il tentativo implicito - ma neppur troppo - di discutere il titolo stesso di vescovo universale dato al pontefice. Il B., che precedentemente (p. 53) aveva notato come l'anonimo fosse ben più avanzato del famoso gallicano Pierre de Marca, ora tende a mostrare come l'autore delle Ragioni sia pervenuto a posizioni di rottura paragonabili a quelle di Wycliffe e di Martin Lutero.
Pubblicate le scritture, per il B. e il Maiello cominciarono le persecuzioni. Le deputazioni della città presentarono al viceré Grimani una memoria in cui chiedevano il bando dallo Stato dei due autori, la persecuzione dei loro parenti e la confisca dei beni. Tale memoria, rimessa al Collaterale, fu presentata e discussa il 24 marzo 1710 su relazione di Gaetano Argento. Il Collaterale si divise: l'Argento, che era stato condannato da Roma, era favorevole ai provvedimenti estremi suggeriti dalle deputazioni, Nicola Caravita e Giacinto Falletti di Barolo più moderati. Il viceré propendeva per questi ultimi e volle rinviare il caso al giudizio sovrano (Arch. di Stato di Napoli, Notamenti del Collaterale, 120, ff. 106-108), ma la risposta diede pienamente ragione all'Argento (Wien, Haus- Hof- und Staatsarchiv, Italien. Spanischer Rat,Neapel Correspon. Cardinal Grimani, fasc. 4, lett. del sovrano del 4 giugno 1710). L'imperatore, avendo saputo che Roma aveva proibito i libri dell'Argento, del Grimaldi e del Riccardi, che difendevano apertamente i suoi interessi, per ritorsione ordinava di privare il Maiello e il B. di ogni diritto di cittadinanza. Il Maiello, che era un personaggio più in vista, si era già rifugiato a Roma. Era però l'inizio di una brillante carriera che lo avrebbe portato alla responsabilità della segreteria dei Brevi ai principi.
Meno chiare sono le vicende del Bortoni. Aveva ottenuto da Roma un assegno mensile di 30 ducati che erano dichiaratamente polemici con i cento mensili dati al Riccardi. Inoltre gli era stato raccomandato di rimanere a Napoli, a meno che non venisse esiliato con la forza; successivamente sarebbe stato impiegato a Roma in maniera onorevole. In effetti così avvenne: il B. rimase a Napoli per qualche anno e solo più tardi si recò presso la Curia romana.
Scrisse un'orazione latina per le cerimonie funebri del cardinal Tournon morto in Cina. Inoltre un suo saggio poetico compare nel 1712 nei Componimenti poetici a cura di Tommaso d'Aquino in onore di Camilla Barberini, moglie del viceré Carlo Borromeo Arese. Si tratta di un poemetto in latino che traccia una breve biografia di Andrea d'Aquino, suo amico. La partecipazione a questa raccolta è indicativa della sua volontà di non guastarsi troppo con i propri superiori laici.
Il B. partecipò ancora ad un importante conflitto giurisdizionalistico: secondo Francesco Aguirre, autore di un'opera sulla controversia siciliana, Delle controversie agitate fra la corte di Roma e il governo di Sicilia dall'anno 1711 all'anno 1718 (Parma, Bibl. Pal., codd. 979-981), nessuno a Roma voleva impegnarsi in esso, perché abbastanza immotivato, tranne "uno che, per aver sostenuto poco prima la causa de' benefizi del Regno di Napoli a prò della santa Sede e per aver difeso il diritto di conferir questi a' forestieri, era stato da' suoi concittadini dichiarato esoso e nemico della patria, onde non parea azione discreta esporlo a questo nuovo cimento..." (I, f. 222). L'Aguirre potrebbe riferirsi sia al B. sia al Maiello, ma sappiamo che solo il secondo era a Roma fin dal 1709, mentre il primo era riuscito a rimanere nella città partenopea. Lo conferma infatti anche lo scrittore siciliano dicendo che per ordine di Clemente XI da Napoli fu chiamato il B. "sacerdote fornito di sufficiente erudizione nelle materie ecclesiastiche, di cui aveva dato qualche saggio in una scrittura anonima divulgata sul proposito della suddetta celebre controversia de' benefici di Napoli, e fattolo venire a Roma con l'onorevole carattere di cappellano segreto crocifero, gli impose di scrivere ex professo su questo articolo..." (I, f. 223). Il B. eseguì il desiderio di Clemente XI. La sua scrittura, di cui vi è copia alla Bibl. Casanatense di Roma, ha per titolo De ecclesiastici interdicti sententia,nec ullum ob metum violanda,nec subiectorum iudiciorum expetenda ex occasione sicularum controversiarum dissertatio, 1715. Divisa in tre parti, tratta dell'antichità dell'interdetto, della necessità di osservare in ogni caso le censure ecclesiastiche, dell'obbedienza dovuta ai dettami della Chiesa. L'Aguirre, che la giudica dal punto di vista del suo riferimento alla controversia, afferma che in questa scrittura il B., poco convinto della causa, si era mantenuto sulle generali.
Gli ultimi anni della vita del B. hanno meno rilievo. D'altronde la sua polemica contro il Riccardi non è, come in altri casi, il primo episodio di una carriera politica a servizio intransigente della Curia. Appare invece come qualcosa che egli, prudentissimo e abbastanza pauroso, cercò di evitare che si ripetesse, non riuscendovi completamente, come dimostra appunto la sua partecipazione - per volontà di Clemente XI - al conflitto siciliano. Nominato nel 1716 dal pontefice canonico della chiesa collegiata di S. Maria in via Lata, scrisse In insignem victoriam de ottomanico exercitu non sine singulari praesidio B. V. Mariae ad ferventes S. D. N. Clementis XI preces a Caesareis armis XVII KAL. Sept. MDCCXVII in Hungariam reportatam, Romae 1717. Con questa elegia egli tentava di servire entrambi i padroni e di far dimenticare la polemica antiaustriaca di dieci anni prima. Nel 1719 scriveva una supplica al viceré Schrattenbach - in cui fra l'altro documenta di essere rimasto a Napoli qualche anno dopo il Maiello - lamentando che nel 1715, avendo ottenuto un beneficio ecclesiastico da Clemente XI e avendo chiesto il regio exequatur, la pratica fosse rimasta inevasa e forse mai spedita a Vienna (Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura Napoli, 157, ff. 163-164).
Mentre lavorava per ordine del pontefice nella Congregazione per una nuova edizione del Bollario, curò, premettendovi una biografia del celebre francescano - prima favorevole a Venezia e successivamente passato dalla parte della Curia romana al tempo dell'Interdetto -, la terza edizione di F. M. A. Cappelli, De appellationibus Ecclesiae africanae ad romanam sedem dissertatio... Praefigitur I. Bortonii De eiusdem Cappelli vita et scriptis diatriba, Romae 1722. Era stato sollecitato a questo lavoro dal cardinale Albani.
Benedetto XIII lo creò priore della stessa chiesa di via Lata e vescovo di Lidda in partibus infidelium. In questi ultimi anni fu impegnato nel lavoro di revisione dell'opera di F. M. Ottieri, Istoria delle guerre avvenute in Europa e particolarmente in Italia per la successione alla Monarchia delle Spagne dall'anno 1696 all'anno 1725, 8 voll., Roma 1728-1757. L'autore di quest'opera nell'introduzione infatti dichiara: "soprattutto mi son prevaluto del giudicio di due letterati, i quali, per aver dato alle stampe diverse opere con applauso, sono assai cogniti al mondo. Questi sono monsignor Giusto Fontanini arcivescovo di Ancira e monsignor Giovanni Bortoni, vescovo di Lidda in Palestina, ai quali in principio era unito anche il degnissimo monsignor Domenico Passionei, che lasciò di assistere alla revisione quando partì nel 1721 per la Nunziatura degli svizzeri..." (p. XXIV). Con i due prelati l'Ottieri lavorò per molti mesi un giorno alla settimana. Egli stesso conferma che furono così severi che gli fecero rifare tre volte i primi due tomi. Alle pp. XLIV-XLV c'è l'approvazione del B. del 9 maggio 1728.
In questa data era referendario dell'una e dell'altra Segnatura, prelato domestico, consultore delle sacre congregazioni dell'Indice, delle Indulgenze e del S. Ufficio, e dal 22 dic. 1727 vescovo di Lidda. L'opera, di cui egli aveva approvato entusiasticamente i primi tre libri per la sua prospettiva filocuriale ed antimperiale, fu duramente avversata da Vienna, che attraverso l'ambasciatore a Roma fece ritardare la pubblicazione degli altri volumi.
Con molta probabilità - come riporta l'Audiffredi - il B. morì a Napoli nel 1729. Infatti il suo nome non compare più nelle Notizie di Roma per l'anno 1730 (Roma 1730) nell'elenco dei vescovi assistenti al soglio pontificio come negli anni precedenti.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Proc. Dat. 104, ff. 916-27; Elogi accademici della Soc. degli Spensierati di Rossano, a cura di G. Gimma, Napoli 1703, I, intr. n.n.; II, pp. 107, 140, 213, 234; G. M. Crescimbeni, Le vite degli arcadi illustri, IV, Roma 1727, p. 63; Id., Dell'istoria della volgar poesia, VI, Venezia 1730, p. 395; B. Audiffredi, Bibliothecae Casanatensis catalogus..., Romae 1761, I, pars altera p. 769; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, p. 1814; F. A. Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, Napoli 1781-1782, II, p. 378; L. Giustiniani, Memorie storiche degli scrittori legali del regno di Napoli, Napoli 1787, III, p. 101; E. D'Afflitto, Memorie degli scrittori del regno di Napoli, Napoli 1782-1794, II, 2, p. 246; F. Nicolini, Uomini di spada di chiesa di toga e di studio ai tempi di G. Vico, Milano 1942, pp. 153-156, 277, 376; L. Marini, P. Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950, p. 28; E. Papa, Politica ecclesiastica nel regno di Napoli tra il 1708 e il 1710, in Gregorianum, I (1956), pp. 55-87; R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del viceregno napoletano, Roma 1961, p. 181; P. Giannantonio, L'Arcadia napoletana, Napoli 1962, p. 299; C. Grimaldi, Memorie di un anticurialista del Settecento, a cura di V. I. Comparato, Firenze 1964, p. 33; P. Lopez, Riforma cattolica e vita religiosa e culturale a Napoli dalla fine del '500 ai primi del '700, Napoli-Roma 1964, pp. 231, 237, 241-248, 251 s.