INGONI, Giovanni Battista
Nacque a Modena intorno al 1528 e fu uno dei protagonisti della scena artistica emiliana, contribuendo insieme con Domenico Carnevale, attivo in quella regione negli stessi anni e aperto agli influssi provenienti dall'Italia centrale, a rinnovare la tradizione locale modenese di stampo classicista.
La prima notizia documentaria risale al 1557. In quell'anno, su segnalazione del Vignola (Jacopo Barozzi), l'I. fu chiamato a Perugia da Giacoma Ciocchi Del Monte, madre di Ascanio Della Cornia, per dipingere la cappella di famiglia in S. Francesco al Prato. La chiesa è stata alterata dalla ricostruzione settecentesca a seguito di un terremoto, e delle dieci figure ad affresco delle quali era stato incaricato se ne conservano solo alcune (i quattro Evangelisti, un Dottore della Chiesa, S. Paolo e la Colomba dello Spirito Santo), staccate dal sottarco della cappella e collocate nel convento attiguo.
Secondo Vasari questi affreschi sarebbero contemporanei all'Adorazione dei magi della Galleria nazionale dell'Umbria di Perugia, datata 1564 e dipinta da Arrigo Fiammingo (Hendrick van den Broeck) per la stessa chiesa; ma la maggior parte degli studiosi oggi propone una datazione anteriore. Nel plasticismo e nel carattere monumentale delle figure si nota un richiamo allo stile di Girolamo Muziano, attivo nella seconda metà del sesto decennio nel duomo di Orvieto. Sulla base di questa contiguità stilistica e sulla scorta dell'ipotesi critica avanzata da G. Sapori (1982) - che identificava l'I. con quel "seguace di Pellegrino Tibaldi" autore di alcune tele e bozzetti raffiguranti Sibille e Profeti e conservati presso il locale Museo dell'Opera del duomo - si è rafforzata l'idea di una presenza del pittore nella prima metà degli anni Settanta nella città umbra, dove avrebbe anche collaborato con Cesare Nebbia nell'elaborazione del progetto decorativo, non attuato, per la tribuna del duomo (Mancini, 1998).
Rientrato a Modena, l'I. realizzò per il coro della chiesa di S. Pietro le due grandi tele con l'Orazione nell'orto e la Trasfigurazione, che, ancora in situ, sembrano risentire del soggiorno umbro: nella composizione dominano infatti la grazia e la compostezza, e gli apostoli hanno panneggi fluidi ed eleganti. I due dipinti furono eseguiti entro il 1562, quando l'I. risulta documentato a Parma, attivo - come si desume dai pagamenti registrati dai libri di spese dal 1° giugno al 30 settembre di quello stesso anno - alla decorazione di alcune stanze del palazzo del Giardino, non meglio precisate (De Grazia - Meijer).
G. Mancini (1997) ha avanzato anche l'ipotesi che l'I. avesse partecipato alla decorazione del casino di sopra a Novellara insieme con i discepoli di Lelio Orsi, che vi lavorarono nel 1558 e poi nel 1563: le fonti riferiscono infatti della presenza nel cantiere di due artisti modenesi, e citano espressamente uno "Iacomo pittore", forse identificabile con l'I., che nel 1565 dipingeva alcune sale del casino.
A partire dalla metà del settimo decennio sembra attestarsi un periodo di attività dell'I. a Roma, dove forse era già stato intorno al 1557 (Mancini, 1998). Al 1565 risale infatti un documento - relativo a un altro artista, tal "M.ro Andrea Dal Monte pittore", e al castellano di Castel Sant'Angelo Giovan Battista Serbelloni - nel quale compare citato un "G. B. modenese", che Bertolotti ritenne di individuare nell'Ingoni. Il soggiorno romano del pittore dovette protrarsi per qualche tempo, se si considera corretta l'identificazione dell'I. con quel "Gio. Battista da Modena" che compare tra gli aiutanti di Muziano attivi nel cantiere di villa d'Este a Tivoli e che lavorò da metà maggio a fine giugno 1569 nella prima e nella seconda sala Tiburtina, secondo le carte pubblicate da Coffin.
Pure nell'I. andrebbe riconosciuto l'artista emiliano che l'8 giugno 1580 per ordine del papa Gregorio XIII ricevette 40 scudi, "resto di haver fatto 8 madonne e XII S. Gregori in sul raso bianco" e per altri lavori nella cappella Gregoriana in S. Pietro (Bertolotti).
Intorno al 1572 l'I. realizzò il Cristo deposto, con la Madonna, la Maddalena, s. Giovanni e s. Pietro Martire inginocchiato per la Confraternita modenese di S. Pietro Martire, di cui l'artista era confratello.
Esposto solo nel 1576 e conservato nella Galleria Estense, fu attribuito da Tiraboschi in poi a un seguace di Guido Reni, Bernardino Cervi (Mazza, 1993). La presenza del nome Cervi nell'iscrizione lacunosa aveva infatti indotto a ritenere che si trattasse della firma del pittore Bernardino, mentre in realtà si riferisce a Niccolò, massaro della Confraternita e committente del dipinto, forse ritratto in una delle due figure in basso a destra, di cui compare nell'opera lo stemma, costituito dal cervo rampante.
Alla Deposizione estense, permeata di richiami ai modi di Muziano e Nebbia, è stato avvicinato per ragioni stilistiche il Battesimo della chiesa modenese di S. Biagio (ibid.), che la tradizione, fino ad anni recenti, riferiva a Carnevale. Nell'opera è evidente il carattere michelangiolesco assimilato nella cerchia muzianesca; mentre lo sfondo paesaggistico deriva forse dalle vedute affrescate sulle pareti di villa d'Este a Tivoli. Allo stesso I. spetterebbe pure (Mazza, 1999) la pala della Galleria nazionale di Parma, molto vicina a livello compositivo al dipinto di analogo soggetto della chiesa di S. Biagio e affine stilisticamente alle tele di S. Pietro. Il dipinto, ricordato da Vedriani nella biografia di Carnevale e che tradizionalmente non risulta riferito all'I., era in origine collocato nel duomo di Modena e fu poi ceduto nel 1660 alla Confraternita della Morte: l'atto di donazione da parte del conte Orazio Fontana è ricordato in un'iscrizione in basso a sinistra. Nella medesima Galleria è esposta anche una tavoletta, caratterizzata da un impianto simile e considerata un bozzetto dello stesso artista.
L'I. morì a Modena il 17 luglio 1608.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di P. Della Pergola - L. Grassi - G. Previtali, VI, Novara 1967, pp. 340 s.; L. Vedriani, Raccolta de' pittori, scultori et architetti modenesi più celebri, Modena 1662, p. 117; G.F. Pagani, Le pitture e sculture di Modena indicate e descritte, Modena 1770, pp. 57 s.; G. Tiraboschi, Notizie de' pittori, scultori, incisori e architetti…, Modena 1786, pp. 228 s.; A. Bertolotti, Artisti modenesi, parmensi e della Lunigiana in Roma nei secoli XV-XVII, Modena 1882, p. 28; D.R. Coffin, The villa d'Este of Tivoli, Princeton 1960, p. 62 e n. 69; A. Garzelli, Orvieto. Museo dell'Opera del duomo, Bologna 1972, pp. 31, 35, 84; G. Sapori, Perugia 1565-75: GirolamoDanti, in Bollettino d'arte, LXVI (1981), 11, pp. 7, 12 n. 25; Id., Artisti e committenti sul lago Trasimeno, in Paragone, XXXIII (1982), 393, pp. 34-36; D. De Grazia - B.W. Meijer, Mirola and Bertoia in the palazzo del Giardino Parma, in The Art Bulletin, LXIX (1987), pp. 396 s.; F.F. Mancini, Miniatura a Perugia tra Cinquecento e Seicento, Perugia 1987, pp. 26 s., 122 s. n. 48; S. Magliani, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 742; A. Mazza, La pittura a Modena nel Seicento: le chiese, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, II, a cura di J. Bentini - L. Fornari Schianchi, Milano 1993, pp. 318 s., 345 nn. 7-9; G. Mancini, Carattere della committenza artistica modenese nel secondo Cinquecento, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 9, XIX (1997), pp. 157-172; Id., Domenico Carnevali e la pittura a Modena nella seconda metà del Cinquecento, Modena 1998, pp. 13-40; A. Mazza, in Il duomo di Modena, a cura di C. Frugoni, Modena 1999, Testi, pp. 456-458; Atlante fotografico, II, p. 803; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, p. 600.