FARINA, Giovanni Battista
Nacque a Torino il 2 nov. 1893 da Giuseppe e Giacinta Vigna, approdati nel capoluogo piemontese da Cortanze d'Asti per sfuggire a condizioni di vita che la crisi economica del penultimo decennio dell'Ottocento aveva reso durissime. Decimo di undici figli, essendo il minore dei maschi, il F. fu chiamato in famiglia Pinin - che in dialetto, significa il più piccolo della covata - un appellativo al quale resterà definitivamente legato. Terminate le scuole elementari, a dodici anni non ancora compiuti entrò nella bottega per riparazioni di carrozzeria del fratello Giovanni, che, a sua volta aveva compiuto un lungo tirocinio alle dipendenze di Marcello Alessio, uno dei più noti carrozzieri torinesi.
Già agli inizi del Novecento la città subalpina era il centro più importante dell'industria automobilistica italiana. Nel 1899 vi era stata fondata con grandi mezzi la FIAT, Società anonima Fabbrica italiana di automobili, che sin dagli esordi conseguì una posizione egemone, e negli anni successivi a Torino sorsero imprese di rilievo quali l'Itala, la SCAT, la SPA, la Lancia. A questa supremazia in campo nazionale concorsero vari fattori: la contiguità con la Francia, paese all'avanguardia nell'automobilismo, la disponibilità di capitali, accumulati nell'agricoltura, alla ricerca di occasioni di investimento dopo gli anni della grande depressione, un ambiente culturale dominato dal positivismo, terreno fecondo per istituzioni come il politecnico e l'istituto professionale, indispensabile supporto per la nuova industria, la diffusa presenza dì abilità tecniche maturate in precedenti esperienze artigianali e manifatturiere, ad esempio l'arsenale. Fra queste una risorsa degna di particolare nota era rappresentata senza dubbio dai carrozzieri la cui attività a Torino è rilevabile almeno dal XVII secolo. La sfida che ad essi si poneva era comprendere le nette differenze strutturali e dinamiche, le diverse possibilità di fruizione fra il veicolo basato sul motore a combustione interna e il carro trainato da cavalli e la necessità quindi del progressivo passaggio da modi di fabbricazione artigianale alla fase della vera e propria industria, pur conservando negli esiti produttivi l'eleganza, il decoro, la creatività della tradizione.
In questo senso gli Stabilimenti Farina - fu il nome assunto dalla società di Giovanni Farina - sembravano fra le imprese più avanzate, se nel 1910 la FIAT ne richiese la collaborazione per carrozzare la Zero, il primo modello ideato per essere costruito in quantità tali da prefigurare la produzione di massa. Durante il conflitto mondiale l'azienda ricevette commesse sia per veicoli militari, sia per carlinghe d'aerei. È tuttavia all'inizio degli anni Venti che ottenne un risultato di considerevole significato tecnico ed economico sperimentando lo stampaggio e la costruzione interamente metallica e riuscendo in tal modo a produrre in serie 1.800 carrozzerie all'anno per la vettura di piccola cilindrata della marca Temperino.
Il F. fu, giovanissimo, fra i più stretti collaboratori del fratello, tanto che a diciassette anni trattò con i maggiori dirigenti della FIAT importanti aspetti della fornitura per la Zero e durante la guerra diresse le lavorazioni per aerei. Nel 1920 al fine di allargare i propri orizzonti in campo industriale compì un viaggio negli Stati Uniti, conobbe Henry Ford che gli propose di entrare alle sue dipendenze. Tornato in Italia e ripresa l'attività nell'impresa del fratello, il F. si impegnò anche nelle competizioni automobilistiche, una scelta a cui lo spinsero la passione per la velocità e la convinzione che le gare fossero una insostituibile fonte di conoscenza e stimolo per la sua opera di carrozziere. Nel 1928 divenne direttore degli Stabilimenti Farina. Il F. appariva allora soprattutto come uomo d'officina particolarmente a suo agio con i battilastra, gli operai che plasmavano la lamiera con mazze di legno a testa rotonda e con speciali martelli di ferro. Egli disegnava raramente ma era il costante ispiratore e l'inflessibile controllore dei progettisti.
Nel 1930 lasciò gli Stabilimenti Farina per fondare, con l'aiuto di alcuni soci, una propria azienda. Il 22 maggio di quell'anno presso il notaio Annibale Germano, a Torino, venne costituita con il capitale di L. 1.000.000 la S. A. Carrozzeria Pinin Farina di cui fu nominato presidente Gaspare Bona, uno degli azionisti, mentre il F. ricopriva la carica di amministratore delegato e direttore generale. Nella decisione di aprire la nuova azienda ebbe un ruolo determinante Olimpia De Bernardi, una ricca vedova zia della moglie del F., Rosa Copasso, che offrì per l'iniziativa la somma di un L. 1.000.000, ma soprattutto Vincenzo Lancia, amico ed estimatore del F. dai primi tempi dell'apprendistato presso l'officina del fratello.
Lancia non solo divenne azionista della nuova società, ma le garantì anche una consistente commessa iniziale, ordinando di carrozzare cinquanta esemplari della sua vettura più lussuosa, la Dilambda. Fin dai primi passi, la Pinin Farina tendeva ad assumere caratteristiche di impresa industriale. La fabbrica di corso Trapani, a Torino, aveva un'estensione di quasi 10.000 m² e vi trovavano lavoro 90 operai. Fra questi, come battilastra, Alfredo Vignale, in seguito anch'egli a capo di un'azienda del settore, mentre dagli Stabilimenti Farina seguì il fondatore un progettista di sicuro avvenire, Mario Felice Boano. Oltre ad esemplari unici, il F. si indirizzò presto verso la costruzione di fuoriserie a gruppi da cinque a dieci unità, la cui vendita veniva affidata ad intermediari indipendenti.
Giunsero immediati prestigio e riconoscimenti. Già nel 1930 la Pinin Farina poté vantare clienti quali la regina di Romania e il re dell'Iraq. Ad essi si aggiunse nel 1932 Guglielmo Marconi, e nello stesso anno con una Dilambda berlina a due porte, la nuova carrozzeria ottenne il gran premio d'onore al concorso d'eleganza di Villa d'Este, presso Como, la più nota manifestazione italiana di questo genere. Il F. si distingueva per la costante ricerca dell'appropriata impostazione delle masse, dell'armonia delle forme, dell'eleganza del disegno. Dal 1933, con la presentazione di una Lancia Astura manifestava il suo interesse per la concezione aerodinamica, il paradigma costruttivo all'avanguardia in quel periodo, che gli procurò diverse critiche per alcune soluzioni ritenute troppo radicali, ma che in definitiva gli consentì di pervenire a risultati fra i più validi degli anni precedenti il secondo conflitto mondiale, come il coupé dell'Alfa Romeo 6C 2300 Pescara del 1935 e soprattutto della Lancia Aprilia del 1937.
Durante gli anni Trenta il F. perseguì con tenacia un programma di razionalizzazione produttiva che lo portò a dotarsi di un ufficio studi ed esperienze e a creare un reparto stampaggio e un impianto meccanizzato di verniciatura. Ma il peso dei costi fissi, conseguente alla volontà di raggiungere la piena dimensione industriale, provocò, nell'incerta situazione del mercato dei primi anni Trenta, seri problemi economici. Nel 1933 il capitale sociale veniva ridotto da L. 1.000.000 a L. 600.000 in un'assemblea straordinaria nel corso della quale alcuni azionisti proposero la liquidazione della società. Tuttavia il F., impegnando il proprio patrimonio personale per far fronte alle perdite, riuscì a superare la difficile congiuntura. Nel 1939 fu deliberato il ripristino del capitale sociale a L. 1.000.000 mentre la produzione toccava le 800 unità e i dipendenti risultavano 500. Gli anni di guerra videro la Pinin Farina sfruttare tutta la sua versatilità per fabbricare oltre che autocarri e ambulanze, sedili per aerei, slitte, imbarcazioni di legno, cucine economiche.
Più che dalle azioni belliche, nel dopoguerra un grave danno venne arrecato all'azienda dall'incendio che nel dicembre del 1946 distrusse lo stabilimento di corso Trapani. Due mesi dopo, sebbene in capannoni provvisori, l'attività tornava normale. Un'altra prova della vitalità dell'impresa si era avuta nell'ottobre del 1946, quando il F., escluso dal Salone parigino poiché appartenente ad una nazione ex nemica, collocò due cabriolet - un'Alfa Romeo sport 2500 e una Lancia Aprilia - di fronte all'ingresso dell'esposizione, ottenendo l'entusiastico plauso della stampa francese.
Nel 1947 la Pinin Farina toccò uno dei suoi vertici creativi con la berlinetta Cisitalia tipo 202, semplice, monolitica, caratterizzata dai parafanghi integrati nella struttura della carrozzeria. La Cisitalia rappresenta sia il punto d'arrivo della ricerca aerodinamica degli anni Trenta, sia il riferimento progettuale dei coupé prodotti successivamente. Dal 1951 è esposta nel Museum of Modern Art di New York come esempio di scultura in movimento. Nel 1949 l'azienda costruiva 250 vetture in meno rispetto a dieci anni prima, ma registrava lo stesso numero di dipendenti ed un aumento di 3.000 m² della superficie della fabbrica.
I primi anni Cinquanta segnarono l'inizio di una stagione di grandi successi. Nel 1951 il F., riprendendo l'impostazione della Cisitalia, introdusse la formula coupé gran turismo di lusso con la Lancia Aurelia B20, una vettura che conseguì risultati ragguardevoli nelle competizioni sportive (ad esempio, il secondo posto assoluto alla Mille miglia di quell'anno) ma al tempo stesso in grado di ben inserirsi nel traffico quotidiano; in sei anni ne vennero prodotte quattro serie.
Nel 1952 ebbe inizio la collaborazione in forma esclusiva con Enzo Ferrari che per essersi sino ad allora affidato a diversi carrozzieri rischiava di disperdere l'identità della propria marca. Il F. seppe definirla in forme inconfondibili conservando la sobrietà del suo stile pur fra gli ostacoli posti dalle caratteristiche meccaniche dei modelli della casa modenese. Nello stesso anno la statunitense Nash, in seguito American Motors, commissionò alla Pinin Farina i tipi della serie Ambassador e la versione sportiva Nash Healy che utilizzava telaio americano e motore britannico. Il F. dovette quindi competere con i modelli sportivi più noti nei paesi anglosassoni quali quelli della Jaguar e della Triumph, compito assolto con piena soddisfazione del committente, tenendo conto del gusto americano ma esprimendo la propria originalità con l'assenza di decorazioni che non trovassero corrispondenza in una precisa funzionalità. La collaborazione con le imprese automobilistiche straniere proseguiva con il debutto sui mercati internazionali, nell'aprile del 1955, della berlina Peugeot 403, primo episodio di un'intesa con la casa francese dalla quale avranno origine più di 20 tipi di vetture, mentre nell'ottobre del 1958 la Pinin Farina presentava la sua versione della Austin A40 della British Motor Corporation, inizio di un rapporto dagli esiti fortemente innovativi sul piano tecnico ed estetico.
Oltre alla definitiva affermazione della Pinin Farina sia sul piano nazionale sia su quello internazionale per la qualità dei prodotti, gli anni Cinquanta segnarono una svolta nella strategia aziendale. Sempre minor peso ebbe il lavoro dedicato alle fuoriserie. Il grande incremento quantitativo nella produzione automobilistica impose rapporti più stretti con le case costruttrici sia per lo studio di progettazione, sia per la fabbricazione in serie. La Pinin Farina affrontò questa necessità in occasione del rapporto con la Nash nel 1952 quando a Torino vennero costruiti diverse centinaia di spider e di coupé della marca americana. L'esperienza proseguì nel 1953 con il coupé Fiat 1100 TV per il quale Pinin Farina effettuò la vendita avvalendosi della rete commerciale della grande impresa torinese. Il punto di non ritorno sulla via della produzione in serie si ebbe nel 1954 grazie all'esordio della Giulietta, il modello con cui l'Alfa Romeo entrò nel campo delle vetture a grande diffusione. Della versione spider sino al 1965 la Pinin Farina costruirà 27.000 unità.
La commessa dell'Alfa Romeo contribuì in misura determinante a rendere inadeguata la fabbrica di corso Trapani, nonostante fosse stata portata nel 1952 ad una estensione di 14.500 m² . Nel giugno del 1958 ogni attività venne trasferita a Grugliasco, alle soglie di Torino, in un nuovo stabilimento che, diviso in cinque sezioni (studi ed esperienze, carrozzerie grezze, stampi e attrezzature, verniciatura, finizione e collaudo), garantiva all'azienda la completezza e la fluidità del ciclo produttivo. L'area occupata era di 36.500 m², i dipendenti passavano dai 662 del 1957 ai 921 del 1958, le vetture prodotte da 3.140 a 5.466, il valore degli impianti da 538 a 781 milioni per toccare 1905 nel 1959. Del resto i bilanci registravano una consistenza sempre maggiore degli utili che nel 1960 superavano L. 162 milioni.
Dall'inizio degli anni Cinquanta il F. aveva associato alla guida dell'azienda il figlio Sergio ed il genero Renzo Carli. Nella primavera del 1959 intraprese un lungo viaggio di piacere e di studio, di fatto una cesura che gli consentì di cedere ad essi tempestivamente il comando, assumendo da allora il ruolo di supervisore.
L'ascesa della Pinin Farina non conobbe interruzioni negli anni successivi. Nel 1961 la superficie dello stabilimento venne più che raddoppiata. Nel 1962 con un aumento gratuito il capitale sociale passava da L. 8 a 640 milioni. Nel 1963 si toccava la punta di 19.864 carrozzerie costruite con 1.683 dipendenti. Se la crisi che alla metà degli anni Sessanta colpì l'economia italiana, ed in particolare l'industria automobilistica, costituì per l'impresa una battuta d'arresto, essa non ne intaccò la posizione di leader nazionale sino ad oggi indiscussa.
Numerose furono le onorificenze attribuite al F.: nel 1953 fu nominato dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi cavaliere del lavoro, l'anno successivo la britannica Royal Society of Arts gli conferì il titolo di "Royal Designer for Industry", nel 1957 ottenne il Compasso d'oro, il più importante riconoscimento italiano per il design, nel 1963 ricevette la laurea honoris causa in architettura dal politecnico di Torino e, due anni più tardi, dal capo dello Stato francese Charles De Gaulle, la Legion d'onore. Il F. si segnalò anche per attività e iniziative che andavano oltre gli interessi strettamente connessi al suo lavoro. Appassionato d'arte, nel 1956 contribuì al salvataggio dell'antico tempio di Ellesiya in Egitto, minacciato dalle acque della diga di Assuan. Nel 1961, nell'ambito delle manifestazioni torinesi per il centenario dell'Unità d'Italia, realizzò la mostra "Moda stile costume". Negli ultimi anni della sua vita il F. accentuò l'impegno in campo sociale. Nel 1963 promosse a Grugliasco la costruzione di un centro professionale e ricreativo per i giovani e divenne presidente del "Buon Pastore", un istituto di rieducazione per ragazze, impegnandosi per il suo ammodernamento. Nel 1965 donò all'Istituto di arti e mestieri di Torino un laboratorio tecnologico per le prove dei materiali.
Colpito da un male inguaribile, il F. morì a Losanna (Svizzera) il 3 apr. 1966. Il 6 giugno 1961 il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi aveva decretato la modifica del cognome Farina in Pininfarina per sancire un uso che caratterizzava un aspetto dell'industria e dello stile italiani nel mondo.
Fonti e Bibl.: Gli atti ufficiali (relazioni di bilancio, verbali di assemblee, atto costitutivo e trasformazioni societarie) dal 1930 al 1966 della Società Anonima Carrozzeria Pinin Farina, in seguito Carrozzeria Pininfarina spa, possono essere consultati presso la sede della società a Torino. È anche disponibile un archivio storico della Pininfarina i cui materiali hanno in gran prevalenza natura iconografica: disegni, progetti, bozzetti, "figurini"; per una descrizione si veda P.L. Bassignana, L'Archivio storico Pininfarina, in Archivio storico AMMA, Le culture della tecnica (semestrale), 1994, n. 1, pp. 67-76. Alla Pininfarina sono dedicate tre buste (prive di riferimenti catalogatori) dell'Archivio storico del Museo dell'automobile "Carlo Biscaretti di Ruffia" di Torino. Esse contengono soprattutto ritagli di stampa dedicati al F.: interessante è il dattiloscritto G. B. F. 1893-1993, che riproduce gli interventi per la commemorazione tenuta presso il museo il 29 ott. 1993. Gli è intitolata inoltre una cartella nell'Archivio storico della Fondazione Cavalieri del Lavoro a Roma.
Al F. si deve un'autobiografia curata da E. Caballo, Nato con l'automobile, Milano 1968. Di notevole importanza sono i due volumi di autori vari Pininfarina. Catalogue raisonné, Milano 1990, e la pubblicazione giubilare, Pininfarina, Pininfarina, Sessant'anni, Torino 1990. Su un aspetto significativo nella carriera del F., quale fu l'incontro con E. Ferrari, si veda A. T. Anselmi, Le Ferrari di Pininfarina, Milano 1988.
Per comprendere il contesto all'interno del quale il F. si formò ed iniziò la sua attività, si veda V. Castronovo, Torino, Bari 1987, pp. 139-220. Utile è anche il volumetto di G. Amari, Torino come Detroit, Bologna 1980, in particolare il capitolo dedicato ai carrozzieri, pp. 79-95. Per collocare l'opera del F. nel quadro del suo specifico settore industriale si vedano C. Biscaretti di Ruffia (con aggiornamento di D. Jappelli), Carrozzieri di ieri e di oggi, Torino 1963, e Carrozzeria italiana. Cultura e progetto, a cura di A. T. Anselmi, Milano 1978. Notizie sul F. si ricavano anche da vari dizionari biografici, come ad esempio: Chi è? Dizionario biografico degli italiani d'oggi, Roma 1961, p. 267, e Who Was Who 1961-1970, VI, London 1972, ad vocem