CIPELLI, Giovanni Battista
Noto col nome accademico di Battista Egnazio, nacque a Venezia da umili origini nel 1478.
Fin dagli anni dell'adolescenza decise di abbracciare lo stato ecclesiastico e fu ordinato prete prima del 1502. È frutto di fantasia. la notizia che si sia recato a Firenze per seguire le lezioni del Poliziano e a Padova per imparare il greco alla scuola di Marco Musuro. A Venezia ebbe maestro di lettere Benedetto Brugnoli, fu introdotto nello studio della filosofia da Vincenzo Bragadin e tanto profitto ne trasse che a diciotto armi appena, stimolato dai suoi maestri e fors'anche dalla povertà, aprì nella sua casa una scuola privata di lettere, che ebbe subito un grande concorso di discepoli. Fin dall'inizio di questo insegnamento interpretava i maggiori autori latini, tra cui Virgilio, Giovenale, Valerio Massimo, non accontentandosi di leggere i testi già stampati, ma prendendosi cura di collazionare sui codici antichi le opere che andava spiegando, allo scopo di emendarle e di restituirne la esatta lezione. Questa attività di maestro e filologo suscitò la gelosia del Sabellico (M. A. Cocci) che da molti anni insegnava pubblicamente umanità a Venezia. Il Sabellico cominciò nelle sue lezioni a screditare il giovane, il quale, sicuro ormai della propria dottrina e della conoscenza dei testi, non esitò a censurare con critica pungente alcune errate interpretazioni di classici latini fatte dal Sabellico e a stampare a Venezia nel 1502, in calce ad un volume di vari autori (tra cui il Sabellico, Filippo Beroaldo, Angelo Poliziano e Domizio Calderini) raccolti da Giovanni Benibo, queste annotazioni critiche intitolapdole Raceniationes. Nello stesso anno, ad integrazione di questi commenti e per correggere le precedenti edizioni, su cui si era fondato il Sabellico per le sue Enneades, fece stampare da Aldo Manuzio una nuova edizione dei Facta et dicta di Valerio Massimo. Così si acuì l'inimicizia tra i due dotti, ma nel 1506 il Sabellico, "colpito da grave infermità, chiamò a se il C. e affidò proprio all'antico nemico, come alla persona più capace, il compito di correggere e pubblicare la sua opera Exemplorum libri decem, alla quale aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita. E il C. alla morte del Sabellico non solo ne recitò l'elogio funebre, ma eseguì con mirabile zelo l'incarico ricevuto dall'infermo, tanto che nel 1507 pubblicò a Venezia l'opera posturna del Sabellico, premettendovi una dedica al doge Leonardo Loredan.
Mentre andava affermandosi come profondo conoscitore delle lingue classiche, il C. ebbe qualche riconoscimento anche nel mondo ecclesiastico: alunno dapprima nella collegiata di S. Marina, canonico poi del S. Salvadore, procuratore nel sinodo tenuto a Venezia nel 1514 dal patriarca Antonio Contarini, verso il 1515 gli fu concesso il beneficio parrocchiale di Zelarino e Martellago, poco lontano da Mestre, dove il C. trascorreva le vacanze e i periodi di riposo. Nel 1508 aveva espresso il desiderio di abbandonare la vita secolare per ritirarsi nel monastero di Camaldoli, ma avrebbe preteso di vivere nella solitudine religiosa dell'eremo senza obbligo alcuno di regola e facendo solo per libera decisione quanto gli altri facevano per imposizione claustrale: così il suo disegno di farsi eremita svanì e rimase a Venezia ad educare la gioventù.
La Repubblica non lo dimenticò e lo designò suo oratore in varie occasioni: nel 1501 gli affidò l'elogio funebre di Lorenzo Suarez de la Vega, ambasciatore del re di Spagna; nel 1502 quello di Benedetto Brugnoli, nel 1506 quello del Sabellico; nel 1510 gli diede l'incarico di tenere nella chiesa dei ss. Giovanni e Paolo, alla presenza del doge e del Senato, il discorso funebre per Niccolò Orsini, principe di Nola e condottiero degli eserciti veneti; nel 1511 lo invitò a recitare l'orazione funebre in onore di Luigi Dardano, cancelliere della Repubblica, nel 1514 quella per Pietro Dovizi di Bibbiena, nunzio pontificio, nel 1525 la commemorazione del cardinale Marco Comer. Nel 1510 il doge Leonardo Loredan l'elesse priore dello Spedale di S. Marco; nel 1515 il Senato veneto lo volle al seguito dei quattro. patrizi che si recarono a Milano per congratularsi con Francesco I, re di Francia e vincitore dello Sforza. In questa occasione il C. compose l'inno di lode in onore di re Francesco, in cui celebrava il suo arrivo in Italia e le vittorie ottenute contro gli Svizzeri: come segno di apprezzamento il re gli diede in dono un medaglione d'oro con incisa la propria effigie. Morto nel 1520 Raffaele Regio, maestro di umanità alla scuola di S. Marco della Cancelleria ducale, dopo che in pubblico concorso erano stati respinti tutti gli aspiranti a quell'insegnamento, con procedura irregolare senza concorso, fu. scelto a succedergli il C., il quale da questo momento poté godere di molta agiatezza, sia per il beneficio di Zelarino e dello Spedale di S. Marco, sia per lo stipendio assegnatogli di cento, poi di centocinquanta ed infine di duecento ducati d'oro.
Salito alla pubblica cattedra, il d. la tenne fino a settant'anni e tanto era il concorso di discepoli e dotti che gli fu concesso di tenere leziom nella sala grande dello Spedale. Non è noto con precisione l'argomento di queste lezioni, ma, per esempio, nel 1531 lesse le Georgiche di Virgilio, le Lettere familiari di Cicerone ed il VII libro della Storia naturale di Plinio, riservando parte del venerdì e del sabato al commento della lettera di s. Paolo ai Galati. Molti gli scolari che accorrevano a sentire il maestro, altrettanto numerosi gli studiosi che si rivolgevano a lui per aver consigli e notizie dotte.
Le lettere del C. sono quasi tutte perdute e le poche rimaste sono disperse in pubblicazioni diverse o sono inedite in varie biblioteche; sappiamo che furono tra i suoi corrispondenti Pietro Bembo, il card. Gaspare Contarini, Andrea Alciato, Fabrizio da Varano vescovo di Camerino, Pier Paolo Vergerio il Giovane, Paolo Giustiniani. Bernardo Navagero, Romolo Amaseo, Niccolò Leonico, Pietro Valeriano, Benedetto Ramberto e tanti altri; non ultimo Erasmo da Rotterdam, che nella letterai ai lettori, premessa all'edizione degli Adagia del 1513, insieme ad Aldo Manuzio, a Giano Lascaris, a Marco Musuro e a Girolamo Aleandro, ringrazia anche il C. per la sua collaborazione.
Fin dal 1502, testimone della nascita dell'Accademia Aldina (il suo nome è espressamente ricordato nello statuto), il C. strinse rapporti di familiare amicizia con Aldo Manuzio, che lo nominò, insieme ad altri, suo esecutore testamentario ed in segno di stima nel 15 13 gli dedicò il secondo volume delle Orationes rhetorum Graecorum. Per oltre cinquant'anni attiva e costante fu la presenza del C. presso Aldo ed i suoi successori: e qui egli trovò il terreno più fecondo per esercitare la sua attività di dotto, incontrando i vari studiosi che giungevano a Venezia per pubblicare le loro opere e seguendo con animo attento e con acume critico i nuovi libri, che uscivano dalla stamperia Aldina. Non piccolo suo merito fu l'aver guidato Paolo, il figlio di Aldo, nello studio delle lettere classiche e averlo indotto ad assumere la direzione della tipografia, seguendo le orme paterne. E Paolo, nel 1533, nell'edizione alle Epistole di Cicerone, il primo libro stampato con l'insegna "Venet. apud Paulum Manutium Aldi Filium", esprime tutta la sua riconoscenza al maestro.
Pur nell'ininterrotta attività editoriale, ben poche sono le opere originarie del Cipelli. A parte le Racemationes ristampate più volte (Venetiis 1508, Parisiis 1511), il poemetto in onore di Francesco I e i discorsi commemorativi già ricordati, il trattato che dette maggiore fama all'autore fu il De Caesaribus libri tres (in aedibus Aldi, Venetiis 1516).
Il primo libro va da Giulio Cesare a Baldovino II, l'ultimo imperatore latino di Costantinopoli; il secondo dalle origini dell'Impero bizantino fino alla caduta di Bisanzio; il terzo da Carlo Magno fino"a Massimiliano I d'Asburgo. Ad integrazione del lungo trattato aggiunse nel volume le vite di Nerva, Traiano e Adriano di Dione Cassio, tradotte da Giorgio Merula, ed un'edizione corretta degli Scriptores Historiae Augustae. Alla fine del libro stampò il discorso che nel frontespizio porta il titolo "Heliogabali principis ad meretrices elegantissima oratio non ante impressa", scritta da Leonardo Bruni, come in una nota alla vita di Eliogabalo il C. stesso afferma: "a Leonardo Aretino conscripta". Per quanto riguarda le parti originali dell'opera, il C. sembra non aver oltrepassato i confini, di una curiosità erudita rivelandosi poco più di un semplice cronista; ma sia pure entro questi limiti, le storie dei Cesari ebbero una insperata fortuna e ancor vivente l'autore furono ristampate a Firenze (1519), a Parigi (1544), a Leida (1546); ne fu pubblicata una traduzione italiana (Venezia 1540) ed una francese (Parigi 1529, 1543); si fecero estratti dei secondo libro col titolo: De origine Turcorum (ibid. 1539).
L'altro studio di ampio respiro, a cui il C. dedicò gli ultimi anni della sua vita, fu il De exemplis illustrium virorum Venetae civitatis atque aliarum gentium, diviso in nove libri, ad imitazione di Valerio Massimo: il libro uscì postumo nel 1554 a Venezia e pochi mesi dopo a Parigi.
Il manoscritto era rimasto in eredità a Marco dal Molin, procuratore di S. Marco, e questi ne aveva affidato la revisione e la stampa al figlio Marco, che vi premise una dedica a Pier Francesco Contarini, una breve vita dell'autore ed un carme di Niccolò Stopio in onore del C. stesso. Nel 1540. nella seconda edizione del carine dedicato a Francesco I, il C. accenna ad un suo lavoro: De Romanorum Excellentium Imperatorum ab inclinatione Romani Imperii usque ad tempora nostra, ma probabilmente fu solo un progetto mai realizzato.
Molto più che a queste opere, il nome del C. è legato a note edizioni di autori classici, molte uscite dalla stamperia Aldin a ed alcune di esse ristampate più volte. Egli corredò le edizioni che andava pubblicando di note filologiche e di restauri testuali, non pochi dei quali ritenuti tuttora validi ed accolti nelle edizioni critiche; soprattutto antepose ai testi delle forbite prefazioni e delle epistole dedicatorie, senza però riuscire ad evitare le ripetizioni di moduli costanti: in esse esalta l'amico, il dotto, il patrizio a cui dedica i suoi libri, ne ricorda le benemerenze, insiste sulla funzione educatrice della cultura e degli autori classici in particolare: e qui non spiccano concetti nuovi o doti individuali d'espressione, se si tolga l'eleganza dello stile latino, un'eleganza senza ricercatezze, legata alle forme retoriche tradizionali.
Le edizioni annotate del C. sono le seguenti: Valeri Maximi dictorum et factorum memorabilium libri novem, Venetiis 1502; P. Vergilii Maronis Opera, cum commentariis Servii et Probi, ibid. 1507, ristampata molte altre volte; C. Plimi Secundi Epistolae, ibid. 1508; M. T. Ciceronis Epistolae Familiares, ibid. 1509, Mediolani 1519, Parisiis 1545; D. I. Iuvenalis Satyrae Mediolani, 1514, dove il C. raccoglie anche i commenti di Giovanni Britannico, di Angelo Poliziano e di Filippo Beroaldo; L. C. Lactantii Firmiani Divinarum Institutionum libri septem..., Venetus 1515 ove il C. corregge i numerosi errori dell'edizione romana del 1465 e premette un accorato elogio funebre di Aldo, morto in quell'anno; Q. S. Florentis Tertulliani Apologeticus contra gentes, ibid. 1515, che nelle precedenti edizioni era "lacer totus et mutilus"; Auli Gellii Noctium Atticarum libri undeviginti, ibid. 1515, corredata di molti indici e della spiegazione latina di tutte le parole greche citate da Gellio; P. Ovidii Nasonis Heroides Epistolae, Venetiis 1515, con le annotazioni di numerosi dotti e dello stesso C., ristampata a Lione (1527), a Leida (1529), a Colonia (1543) e dieci volte a Venezia; C. Suetomi Tranquilli XII Caesares, Sex. Aurelii Victoris a D. Caesare Augusto usque ad Theodosium excerpta, Eutropii de Gestis Romanorum libri X, Pauli Diaconi libri VIII, Venetiis 1516, con molte correzioni e spiegazioni del C., che nella ristampa del 1521 vi aggiunse le osservazioni di Erasmo ed un minuzioso indice; Leonardi de Portis Vicentini de sestertio Pecumis ponderibus et mensuris antiquis libri duo, senza luogo né anno di stampa, pubblicata con prefazione e note del C., in seguito ad una polemica sorta con Guglielmo Bude, che rivendicava la priorità sulla materia trattata dal Porto: e nella contesa intervenne come paciere Giano Lascaris; Pedacii Dioscoridis de medicinali materia ab Hermolao Barbaro latinitate Primum donati libri quinque. Eiusdem de noxiis venenis... eiusdem de venenatis animalibus et rabioso cane, Venetiis 1516: il C. dedica il volume al doge Leonardo Loredan e al Senato veneto, scrive la prefazione a ciascun libro, interviene nel testo con le sue annotazioni e compone un indice particolareggiato, premettendo anche un breve di Leone X, scritto da Pietro Bembo, con il privilegio di stampa per quindici anni; M. T. Ciceronis Officiorum libri tres, Cato Maior sive de senectute. Laelius sive de amicitia, Somnium Scipionis, Venetiis 1519; Sancti. Thomae contra Gentiles con il commento di Francesco Silvestri, ibid. 1524; Ovidii Metamorphoseos librorum opus XV, ibid. 1527; A. C. Celsi Medicinae libri octo... Quinti Sereni Liber de medicina..., ibid. 1528: nella dedica al card. Ercole Gonzaga, il C. dichiara di aver collazionato un ottimo codice datogli da Francesco d'Asola, aggiungendoci molti riscontri con Ippocrate e Galeno e di aver reso leggibili i versi del Severo, quasi incomprensibili nelle precedenti edizioni; Arriani Historiae ab ascensu Alexandri, curata da Vittore Trincavelli, Venetiis 1535: è l'unica opera greca pubblicata dal C., dedicata ad Andrea de Franceschi, gran cancelliere della Repubblica, che negli anni 1547-155 1 controllò e appose la sua sigla in tanti manoscritti della Biblioteca Marciana.
Negli anni successivi il C. si limitò a ripubblicare alcune sue edizioni di classici e a curare la stampa delle seguenti opere, premettendovi delle brevi introduzioni: Ferd. Pinciani Hispani in omnia L. Annaei Senecae philosophi scripta, Venetiis 1536; Oratio de liberalibus disciplinis, Ioh. Muslero et auctore et propugnatore, ibid. 1538; Bernardini Scardeonis... de castitate libri septem, ibid. 1542; P. Paulus Vergerius... de unitate et pace Ecclesiae, ibid. 1542, cioè l'orazione chè il Vergerio pronunciò all'assemblea di Worms nel 1540, a cui il C. premise una sua prefazione; Alexii Ugonis... de solitudine dialogus, ibid. 1545; Aiphonsi Tostati Commentaria in Evangelium Matthaei (senza luogo e data).
Gli ultimi anni della vita del C. furono amareggiati da incomprensioni e liti per motivi dottrinali: nel corso di una discussione, trasportato dallo sdegno, pare si sia avventato, armato di coltello, contro il filosofo Francesco Robortello. Nel 1548, dopo averlo ospitato, dovette espellere dalla sua casa, con conseguenti polemiche, l'antico scolaro e amico Pier Paolo Vergerio, che fa poi bandito come eretico. Ormai vecchio e stanco, nel 1549 il Senato veneto gli permise di ritirarsi dall'insegnamento, conservandogli l'annuale stipendio ed esonerandolo da ogni tassa, affinché trascorresse tranquillo la sua vecchiaia. Morì a Venezia il 27 giugno 1553 e fu solennemente sepolto nella chiesa di S. Marina; ne recitò l'elogio funebre l'amico Pietro Brichi.
Nel suo testamento del 23 ott. 1546 (completato da due codicilli del 14 febbr. 1548 e del 27 maggio 1553), redatto dal notaio Antonio Marsilio, nominò coeredi delle sue sostanze le famiglie patrizie di Leonardo Loredan e di Francesco Bragadin, ma la massima parte assegnò a Marco da Molin, procuratore di S. Marco, al quale era rimasto sempre legato da profonda amicizia. È notizia ripetuta dai biografi che il C., oltre ad altri lasciti minori, abbia donato i suoi codici greci e latini alla Biblioteca di S. Giorgio Maggiore, ma nel testamento è scritto: "praeterea Coenobiis S. Georgii Maioris benedectinac familiae codices graccos Aldinis typis excussos, quos illi maluerint... danto". Il lascito quindi riguardava quelle edizioni aldine che i monacì avessero desiderato possedere e non i manoscritti greci e latini. Invece la biblioteca del C., che si deve -supporre assai ricca, tolta la piccola parte rimasta a S. Giorgio, fu subito venduta dagli eredi, perché al 6 ott. 1553, solo tre mesi dopo la morte del C., la troviamo in possesso di Ulrich Fugger; da questo passò poi alla Biblioteca Palatina di Heidelberg ed è ora suddivisa tra Heidelberg e la Biblioteca Vaticana. Nel cod. Vat. Palat. lat. 1916, un antico catalogo della Biblioteca Palatina, si contano almeno settantatré manoscritti greci segnati con la sigla "Egna [tius]", moltissimi sono i latini e non sappiamo se siano emigrati Oltralpe anche incunaboli o cinquecentine. Sembra che nulla sia rimasto a Venezia: in Biblioteca Marciana non si hanno né atti né altre notizie sul lascito dei libri dei C. o sugli acquisti degli agenti dei Fugger a Venezia o a Padova. Tra i manoscritti Marciani italiani o latini (nessuno greco) provenienti dal monastero dì S. Giorgio Maggiore (entrati in biblioteca in tre riprese negli anni 1797, 1811, 1815) contrassegnati con la sigla Mf nel catalogo del Valentinelli (Venezia 1868-1873) non risulta che ve ne siano con l'ex libris del C. o con altri elementi che consentano di assegnarli alla sua libreria.
Le opere originali e le edizioni sono già state in gran parte segnalate. A completamento bisogna ricordare che, oltre all'inno in lode di Francesco I, pubblicato a Milano nel 1515e a Venezia nel 1540, il C. compose un canne di ventinove versi Pro Codro Medici ad Lusitaniae Regem ed un altro di trentuno versi Pro Bononio suo, rimasti inediti e che si trovano nei Promiscuorum libri XXI di Girolamo Bologni, conserva:ti a Venezia nel Museo Correr (mss. Cicogna 2664-2665; una copia dei due carmi nel cod. Marc. lat. XIV, 112, f. 205). Fu un'esagerazione del Sansovino (Venetia città nobilissima, Venezia 1663, p. 595)l'affermazione che il C. abbia composto settanta Orazioni, ma non c'è dubbio che molte andarono irrimediabilmente perdute: ne furono pubblicate solo quattro, quelle in onore di Lorenzo Suarez (Venetiis 1501), di Benedetto Brugnoli (ibid. 1502), di Niccolò Orsini (ibid. 1509), di Luigi Dardano (ibid. 1554). Inedite quelle per Pietro Dovizi (conservata nel cod. Marc. lat. XIV, 230;notizia in M. Sanuto, Diarii, XVII, Venezia 1886, coll. 547-548)e per il card. Marco Corner (nel cod. Vat. lat. 7179, ff. 1-8;notizia in M. Sanuto, Diarii, XXXIX, Venezia 1894, col. 242). Inedita ed autografa l'orazione che si legge nel cod. Marc. lat. XIV, 199 coltitolo: De optimo cive. Oratio habita a. 1535 studiorum iniffis;pure inedita una Oratio de beneficentia che si trova nel cod. Lat. 679della Biblioteca Estense. Molte sono le lettere del C. che furono stampate in pubblicazioni e tempi diversi ed altre ancora sono inedite: a Matteo Avogadro bresciano e a Romolo Amaseo (in Epistolae clarorum virorum, Venetiis 1568, pp. 77-79), a Giovanni Groliero del 1518(in M. Goldast, Epistolarum philologicarum Centuria, Lipsiae 1674, p. 147), a Federico Nausea, vescovo di Vienna, del 1520 (G. Oporinus, Epistolarum miscellanearum ad F. Nauseam, Basileae 1550, p. 11), a Niccolò Leonico nel 1530e a Gian Francesco Stoa del 1526(G. Planerius, Varia Opuscula. Epistolae morales, Venetiis 1584, pp. 16, 26), aPier Cordato bellunese del 1549 (P. Cordato, Praeludia, Florentiae 1553, P.90); tre lettere ad Erasmo da Rotterdam, laprima del 1517e le altre del 1533 e 1534 (Erasmi Epistolae, II, IX, X, a cura di P. S. Allen, Oxomi 1906-1947, nn. 588, 2871, 2964);cinque a Wilibald Pirckheimer degli anni 1527-1529(Bilibaldi Pirckheimeri Opera, Francofurti 1610 pp. 307-310).
Inedite sono rimaste alcune lettere a Paolo Giustiniani (Frascati, Arcúivio della Congregazione degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona;Venezia, Bibliot. Querini-Stainpalia); una a Bernardino Trinagio (Venezia, Marc. lat. XIV, 217, f. 98), a Lodovico Spinola (Genova, Bibl. univ., B. 1. 15), a Pietro Bembo (Vat. Barb. lat. 2158), a Balo Italo da Rimini (Vat. Barb. lat. 1822). Non poche lettere inviate al C. dai vari dotti, tra le quali si devono ricordare le sei di Erasmo negli anni 1525-1531(op. cit., VI-IX, nn. 1623, 1707, 2105, 2249, 2302, 2448), una di A. Alciato (A. Alciato, Le lettere, a cura di G. L. Barni, Firenze 1953, pp. 1 s.), una di P. Bembo del 1534 (Opere del card. P. Bembo, IV, Venezia 1729, p. 230). Il card. Alessandro Famese nel 1538dichiara di aver ricevuto una lettera dal C. e si ripromette di rispondere (Nunziature di Venezia, II, a cura di F. Gaeta, Roma 1960, pp.190 s.).
Fonti e Bibl.: Il testam. ancora ined. redatto il 23 ott. 1546, con i due codicilli si trova nell'Arch. di Stato di Venezia, Atti notaio Antonio Marsilio, 1209, n. 494 e 1217, VIII, 73-76. Le notizie più importanti sulla vita si ricavano dall'elogio funebre di P. Brichi (Venezia 1553) e dall'attenta e bene documentata biogr. di Giovanni degli Agostini, Notizie istor. spettanti alla vita e agli scritti diBatista Egnazio, in Raccolta d'opuscoli scient. efilologici, a cura di A. Calogerà, XXXIII, Venezia 1745, pp. 1-191. Altre notizie in G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 4, Modena 1792, pp. 1493-1496; E. A. Cicogna, DelleInscrizioni Veneziane, I, Venezia 1824, pp. 341344; F. S. Fapanni, Intorno a G. B. Egnazio... parroco diZelarino e Martellago, Treviso 1836; A. Firmin-Didot, Alde Manuce et l'hellénisme aVenise, Paris 1875, pp. 449-452; C. Castellani, La stampa in Venezia dalla sua origine, Venezia 1889 (ed. anastatica a cura di G. E. Ferrari, Trieste 1973, pp. 52, 60, 94); M. E. Cosenza, Dictionary of the Italian Humanists, II, Boston 1962, pp. 1280-84; A. Pertusi, G. B. Egnazio (Cipelli) e L. Tuberone (Crijera) tra i primi storicidel Popolo turco, Venezia 1973, pp. 479-87, Sui mss. del C. e sulla sua biblioteca si veda: Codicesmanuscripti Palatini Graeci Bibl. Vaticanae, a cura di H. Stevenson senior, Romae 1885, pp. XXX-XXXI; K. Christ, Zur Geschichte der griechischenHandschriften der Palatina, in Zentralblatt für Bibliothekswesen, XXXVI(1919), pp. 3-34, 49-66 (Soprattutto pp. 22-23 con bibliografia precedente). Sul privilegio di stampa: R. Fulin, Docum. Perservire alla storia della tipografia veneziana, in Arch. veneto, XXIII (1882). pp. 187 s.