CASTI, Giovanni Battista
Nato ad Acquapendente, in quel di Viterbo, il 29 agosto 1724, studiò nel seminario di Montefiascone, dove a sedici anni era già professore di eloquenza, e vi rimase, probabilmente, sino al 1764. Si era intanto recato più volte a Roma, ove, già ascritto all'Arcadia, s'era fatto conoscere come poeta. Innamoratosi della marchesa Lepri (la Filli delle sue anacreontiche), l'accompagnò in Francia, poi tornò a Roma, donde fu scacciato, si dice, per la sua sregolata condotta e per la troppo libera Musa. Riparò nel 1764 a Firenze, atteggiandosi a prete riformatore e ottenendovi titolo e stipendio di poeta di corte. Quando Giuseppe II andò a Firenze a visitare il fratello, s'invaghì dell'ingegno e del gaio umore del C., e se lo condusse a Vienna (1769). A Vienna fece fortuna; divenne molto amico del figlio del conte di Kaunitz, ministro di Maria Teresa, e lo accompagnò in un giro per le principali metropoli d'Europa. In questi anni cominciò a comporre le Novelle. Nel 1778, quando da Vienna si trasferì a Pietroburgo, ne avea composte diciotto. Caterina II lo trattò molto bene, il che non gl'impedì di metterla in canzone nel Poema Tartaro, poema satirico di dodici canti in ottava rima, che fu poi pubblicato nel 1787. Quando Giuseppe II seppe quanti malumori il Poema Tartaro aveva suscitati nella corte russa, allontanò il C. da Vienna, dandogli trecento zecchini per il viaggio. Egli andò a Venezia, donde con la comitiva del bailo Foscarini salpò per Costantinopoli (1788). Dopo nove mesi, tornò a Venezia, passò a Torino, poi a Milano, dove si trattenne fino al 1790. Nella primavera del 1790, tornò a Vienna, essendo stato eletto poeta cesareo, e vi rimase fino al 1796. Fu il primo a scrivere con vera originalità opere buffe in italiano, che piacquero al Foscolo, al Goethe, allo Stendhal (Teodoro in Venezia, La Grotta di Trofonio, Cublai Gran Can de' Tartari, ecc.). Tornato in Italia, stette circa un anno in Toscana; e ottenne un canonicato. Nel luglio del 1798, era a Parigi, donde non si mosse più. A Parigi professò democrazia, e fu amico alla famiglia Bonaparte, ma avverso a Napoleone. Pubblicò nel 1793 un'edizione "corretta e ricorretta" delle Novelle Galanti, 48 novelle in ottava rima, che sono un "misto d'arguzia e di goffaggine"; e compose e pubblicò nel 1802 gli Animali Parlanti, liberissimo poema di ventisei canti in sesta rima, immenso apologo d'un geniale improvvisatore ottantenne, che trasporta nel mondo antidiluviano animalesco il conflitto, al quale ha assistito, dell'antico regime con le nuove forme repubblicane, il conflitto della Rivoluzione francese. Morì, vittima del rigido inverno parigino, il 5 febbraio 1803. Morì povero; non era ne cupido né ambizioso, e forse fu men tristo della fama.
Bibl.: C. Piermattei, G. B. C., con poesie inedite, Torino 1902; G. Manfredi, Contributo alal biogr. del C., Ivrea 1925; E. Masi, Il romanzo d'una imperatrice (sul Poema Tartaro), in Nuova Antologia, 15 ottobre 1893; Ch. Dejob, Les "Animaux parlants" de C. et les "Paralipomènes" de Leopardi, in Revue des cours et des conférences, VI, Parigi 1898, p. 22; F. Bernini, Storia degli "Animali parlanti", Bologna 1901; L. Pistorelli, I melodrammi giocosi del C., in Rivista musicale ital., II (1895), fasc. 1° e 3°: id., I melodr. giocosi inediti di G. B. C., ibid., IV (1897), fasc. 4°; F. Visconti, Un viaggio a Costantinopoli, Rocca S. Casciano 1912; G. Sindona, Il Casti e il suo pensiero politico negli "Animali parlanti", Messina 1925. Il carteggio del C., con altri suoi manoscritti, si trova, legato in due grossi volumi, nella Biblioteca nazionale di Parigi; e, oltre molte lettere di corrispondenti, contiene copie di lettere di lui, alcune lunghissime e piene d'interssanti notizie sui suoi viaggi.